Ricorso ex art. 127  Cost.  e  art.  32  legge  n.  87  del  1953
nell'interesse della Regione Puglia, c.f. 80017210727, in persona del
presidente in carica, dott. Michele Emiliano, con  sede  in  70121  -
Bari, Lungomare N. Sauro, 33,  autorizzato  con  deliberazione  della
giunta regionale n. 11 del 17 gennaio 2017 (All. A), rappresentato  e
difeso, per mandato in calce al seguente atto, dal prof. avv.  Stelio
Mangiameli  del  Foro  di  Roma  (c.f.:   MNGSTL54D16C351N,   P.E.C.:
steliomangiameli@ordineavvocatiroma.org,   fax:    06-5810197),    ed
elettivamente domiciliato in Roma, Via A. Poerio  n.  56,  presso  lo
studio professionale del medesimo avvocato 
    Contro: 
    la  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  in  persona   del
Presidente in carica, nella  propria  nota  sede  in  00187  -  Roma,
Palazzo Chigi, Piazza Colonna n. 370; 
    la  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  in  persona   del
Presidente in carica, presso l'Avvocatura generale  dello  Stato,  in
00186 - Roma, Via dei Portoghesi n. 12; 
    Per la declaratoria di illegittimita' costituzionale del  decreto
legislativo 25 novembre  2016,  n.  219,  recante  «Attuazione  della
delega di cui all'art. 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124,  per  il
riordino  delle  funzioni  e  del  finanziamento  delle   camere   di
commercio, industria, artigianato  e  agricoltura,  pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 276 del  25  novembre  2016,
costituzionalmente illegittimo: 
    1) nella sua interezza, per contrasto con gli articoli 76 Cost. e
10, comma 1, della legge 7 agosto 2015, n. 124; 
    2) in riferimento all'art.  3,  comma  4,per  contrasto  con  gli
articoli 76 Cost. e comma 1, della  legge  7  agosto  2015,  n.  124,
nonche' del principio di leale collaborazione; 
    3) in riferimento agli articoli 1, comma 1,  lettera  a),  numero
1), e 3, per violazione degli articoli 3, 5 e 18 Cost.,  nonche'  del
principio di ragionevolezza; 
    4) in riferimento all'art. 1, comma 1, lettera r), nella parte in
cui modifica il comma 10 dell'art. 18 del decreto legislativo n.  580
del 1993, per contrasto con gli articoli 3 e 117, commi 3 e 4,  Cost.
e del principio di ragionevolezza; 
    5) in riferimento all'art. 1, comma 1, lettera r), nella parte in
cui dispone l'abrogazione della lettera c) del comma 1  dell'art.  18
del decreto legislativo n.  580  del  1993,  per  contrasto  con  gli
articoli  3  e  117,  commi  3  e  4,  Cost.  e  del   principio   di
ragionevolezza; 
    6) in riferimento all'art.  4,  comma  6,  per  violazione  degli
articoli 3, 97 e 117, comma 4, Cost., nonche' dei principi  di  leale
collaborazione e di ragionevolezza. 
 
                           Fatto e diritto 
 
0)  Il  quadro  normativo,  le  competenze  cui  ricondurre  l'ambito
materiale de quo e la legittimazione ad agire 
    Il decreto legislativo n. 219  del  2016,  oggi  impugnato,  come
recita il proprio, e' stato emanato in «Attuazione  della  delega  di
cui, all'art. 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, per  il  riordino
delle  funzioni  e  del  finanziamento  delle  camere  di  commercio,
industria, artigianato e agricoltura». 
    La  disposizione,  rubricata  «Riordino  delle  funzioni  e   del
finanziamento delle camere di  commercio,  industria,  artigianato  e
agricoltura» prevede quanto segue: 
        «1. Il Governo e' delegato ad  adottare,  entro  dodici  mesi
dalla data di entrata in vigore  della  presente  legge,  un  decreto
legislativo per la riforma dell'organizzazione, delle funzioni e  del
finanziamento delle camere di  commercio,  industria,  artigianato  e
agricoltura, anche mediante la modifica della legge 29 dicembre 1993,
n. 580, come modificata dal decreto legislativo 15 febbraio 2010,  n.
23, e il conseguente riordino  delle  disposizioni  che  regolano  la
relativa materia. Il decreto legislativo e' adottato nel rispetto dei
seguenti principi e criteri direttivi: 
    a) determinazione del diritto  annuale  a  carico  delle  imprese
tenuto conto delle disposizioni di cui all'art. 28 del  decreto-legge
24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge  11
agosto 2014, n. 114; 
    b) ridefinizione delle circoscrizioni territoriali, con riduzione
del numero dalle attuali 105 a non piu' di 60  mediante  accorpamento
di' due o piu' camere di  commercio;  possibilita'  di  mantenere  la
singola camera di commercio non accorpata sulla base  di  una  soglia
dimensionale minima di 75.000 imprese  e  unita'  locali  iscritte  o
annotate nel registro delle imprese, salvaguardando  la  presenza  di
almeno una  camera  di  commercio  in  ogni  regione,  prevedendo  la
istituibilita' di una camera di commercio in ogni provincia  autonoma
e citta' metropolitana  e,  nei  casi  di  comprovata  rispondenza  a
indicatori di efficienza di equilibrio economico, tenendo conto delle
specificita' geo-economiche  dei  territori  e  delle  circoscrizioni
territoriali di confine,  nonche'  definizione  delle  condizioni  in
presenza delle quali possono essere istituite le unioni regionali  o,
interregionali; previsione, fermo restando il predetto limite massimo
di  circoscrizioni  territoriali,  dei  presupposti  per  l'eventuale
mantenimento delle camere di commercio nelle province montane di  cui
all'articolo 1, comma 3, della legge 7 aprile 2014, n. 56,  e,  anche
in deroga alle soglie  dimensionali  minime,  nei  territori  montani
delle  regioni  insulari   privi   di   adeguate   infrastrutture   e
collegamenti pubblici stradali e ferroviari; previsione di misure per
assicurare alle camere di commercio accorpate la neutralita'  fiscale
delle operazioni derivanti  dai  processi  di  accorpamento  e  dalla
cessione e dal conferimento  di  immobili  e  di  partecipazioni,  da
realizzare attraverso  l'eventuale  esenzione  da  tutte  le  imposte
indirette, con esclusione dell'imposta sul valore aggiunto; 
    c) ridefinizione dei compiti e delle  funzioni,  con  particolare
riguardo a quelle di pubblicita' legale generale  e  di  settore,  di
semplificazione amministrativa, di tutela del  mercato,  limitando  e
individuando gli ambiti di attivita' nei quali volgere la funzione di
promozione del territorio e dell'economia locale, nonche' attribuendo
al sistema camerale specifiche competenze, anche delegate dallo Stato
e dalle regioni, eliminando le duplicazioni con altre amministrazioni
pubbliche, limitando le partecipazioni societarie a quelle necessarie
per lo  svolgimento  delle  funzioni  istituzionali  nonche'  per  lo
svolgimento di  attivita'  in  regime  di  concorrenza,  a  tal  fine
esplicitando   criteri    specifici    e    vincolanti,    eliminando
progressivamente  le  partecipazioni  societarie  non  essenziali   e
gestibili secondo criteri di efficienza da soggetti privati; 
    d)   riordino   delle   competenze   relative   alla   tenuta   e
valorizzazione  del  registro  delle  imprese  presso  le  camere  di
commercio, con particolare riguardo alle funzioni di promozione della
trasparenza del  mercato  e  di  pubblicita'  legale  delle  imprese,
garantendo la continuita' operativa del sistema informativo nazionale
e l'unitarieta' di indirizzo applicativo e interpretativo  attraverso
il ruolo di coordinamento del Ministero dello sviluppo economico; 
    e) definizione da parte del Ministero dello  sviluppo  economico,
sentita  l'Unioncamere,  di  standard  nazionali  di  qualita'  delle
prestazioni delle  camere  di  commercio,  in  relazione  a  ciascuna
funzione fondamentale, ai relativi servizi ed  all'utilita'  prodotta
per le imprese, nonche' di un  sistema  di  monitoraggio  di  cui  il
Ministero  dello  sviluppo  economico  si  avvale  per  garantire  il
rispetto, degli standard; 
    f) riduzione del numero  dei  componenti  dei  consigli  e  delle
giunte e riordino della  relativa  disciplina,  compresa  quella  sui
criteri di elezione, in modo da assicurare un'adeguata  consultazione
delle  imprese,  e  sul  limite  ai  mandati,  nonche'  delle  unioni
regionali, delle  aziende  speciali  e  delle  societa'  controllate;
individuazione di criteri che garantiscano, in caso di  accorpamento,
la  rappresentanza  equilibrata  negli  organi  camerali  delle  basi
associative  delle  camere  di  commercio  accorpate,  favorendo   il
mantenimento dei servizi sul territorio;  riordino  della  disciplina
dei compensi dei  relativi  organi,  prevedendo  la  gratuita'  degli
incarichi diversi da quelli  nei  collegi  dei  revisori  dei  conti;
definizione  di  limiti  al   trattamento   economico   dei   vertici
amministrativi delle camere di commercio e delle aziende speciali; 
    g) introduzione di una disciplina  transitoria  che  tenga  conto
degli accorpamenti gia' deliberati alla data  di  entrata  in  vigore
della presente legge; 
    h) introduzione di una disciplina  transitoria  che  assicuri  la
sostenibilita' finanziaria, anche con riguardo ai progetti  in  corso
per  la  promozione  dell'attivita'  economica   all'estero,   e   il
mantenimento  dei  livelli  occupazionali  e  che  contempli   poteri
sostitutivi per garantire la  completa  attuazione  del  processo  di
riforma,  anche  mediante  la  nomina  di  commissari  in   caso   di
inadempienza da parte delle camere di commercio. 
    2. Il decreto legislativo di  cui  al  comma  1  e'  adottato  su
proposta del Ministro dello sviluppo economico, di  concerto  con  il
Ministro   delegato   per   la   semplificazione   e   la    pubblica
amministrazione e con il  Ministro  dell'economia  e  delle  finanze,
previa acquisizione del parere  della  Conferenza  unificata  di  cui
all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto  1997,  n.  281,  e  del
parere  del  Consiglio  di  Stato,  che  sono  resi  nel  termine  di
quarantacinque giorni dalla data  di  trasmissione  dello  schema  di
decreto legislativo,  decorso  il  quale  il  Governo  puo'  comunque
procedere.  Lo  schema  di  decreto  legislativo  e'  successivamente
trasmesso alle Camere per l'espressione dei pareri delle  Commissioni
parlamentari competenti per materia e per i profili  finanziari,  che
si  pronunciano  nel  termine  di  sessanta  giorni  dalla  data   di
trasmissione, decorso il quale il  decreto  legislativo  puo'  essere
comunque adottato. Se il termine previsto  per  il  parere  cade  nei
trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto al comma
1 o successivamente, la scadenza medesima  e'  prorogata  di  novanta
giorni.  Il  Governo,  qualora  non  intenda  conformarsi  ai  pareri
parlamentari, trasmette nuovamente il testo alle Camere  con  le  sue
osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate  dei  necessari
elementi integrativi di informazione e  motivazione.  Le  Commissioni
competenti per materia  possono  esprimersi  sulle  osservazioni  del
Governo entro il termine di  dieci  giorni  dalla  data  della  nuova
trasmissione. Decorso tale termine, il decreto puo'  comunque  essere
adottato. 
    3. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del  decreto
legislativo di cui al comma 1, il Governo puo' adottare, nel rispetto
dei principi e criteri direttivi e della procedura di cui al presente
articolo,  uno  o  piu'  decreti  legislativi  recanti   disposizioni
integrative e correttive». 
    In sostanza, l'art. 10 della legge n. 124 del  2015  delegava  il
Governo a varare un'ampia riforma delle Camere  di  commercio,  tanto
dal punto di vista geografico, della loro  presenza  nel  territorio,
quanto nell'organizzazione, nelle funzioni e nel finanziamento. 
    Tale ambito materiale interseca le competenze regionali,  per  un
verso, in via diretta nel senso che alcune competenze regionali  sono
destinate a incidere sull'ordinamento delle Camere di commercio. 
    Basti pensare al riparto di competenze amministrative previsto in
materia dagli articoli 37 e 38 del decreto  legislativo  n.  112  del
1998, che,  in  applicazione  del  criterio  storico-normativo,  deve
ritenersi comunque valido nella vigenza dell'attuale Titolo  V  della
Costituzione. 
    Per giunta, tale conclusione vale ora a fortiori, se si considera
che l'ambito materiale de quo non e'  contemplato  nelle  elencazioni
dell'art. 117 Cost., diversamente  da  quanto,  ad  esempio,  avviene
nello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige, il cui art.
4, comma l, numero 8), riconduce la disciplina dell'ordinamento delle
camere di commercio alla potesta' primaria  regionale.  Cio'  implica
che la materia ricade nella potesta' legislativa regionale  residuale
(art. 117, comma  4,  Cost.),  fatta  eccezione  per  quegli  aspetti
sussumibili nelle competenze  esclusive  statali  o  concorrenti  fra
Stato e regioni. 
    Per altro verso, le Camere di  commercio  sono  un  interlocutore
delle  regioni  nell'esercizio  della  competenza   in   materia   di
promozione  delle  attivita'  produttive.  Pertanto,   pur   in   via
indiretta, le competenze regionali sono destinate a confrontarsi  con
questi enti e a essere esercitate anche per il loro tramite. 
    Dai rilievi sin qui svolti emerge con nitore la sussistenza della
legittimazione della Regione ricorrente a  denunciare  la  violazione
della propria competenza in materia,  cui  peraltro  si  aggiunge  la
legittimazione a dedurre le limitazioni di tali autonomie funzionali,
come  peraltro  affermato  proprio  in  riferimento  alle  Camere  di
commercio da codesta ecc.ma Corte  nella  sentenza  n.  29  del  2016
(Considerato in diritto, punto 2.1), in applicazione analogica  della
propria giurisprudenza sulla legittimazione delle regioni a  tutelare
le competenze degli enti locali insistenti sul proprio territorio. 
    La rilevata incisione  (diretta  e  indiretta)  delle  competenze
regionali  nella  disciplina  delle  Camere  di  commercio  e',  poi,
funzionale a esprimere la  ragione  per  cui  la  Regione  ricorrente
possa,  nel  prosieguo,  legittimamente  dedurre  la  violazione   di
parametri costituzionali  estranei  al  riparto  di  competenze,  dal
Momento che, in ogni caso,  le  considerazioni  sopra  svolte  devono
indurre a ritenere che la disciplina delle Camere di commercio recata
dalla  normativa  impugnata  ridondi  sul  riparto  delle  competenze
regionali. 
1) Illegittimita' costituzionale del decreto legislativo n.  219  del
2016 nella sua interezza, per contrasto con gli articoli 76  Cost.  e
10, comma 1, della legge 7 agosto 2015, n. 124. 
    L'esercizio della  delega  legislativa  contenuta  nell'art.  10,
comma 1, della legge n. 124 del 2015 e' stato tardivo e, pertanto, si
chiede  che  l'intero   decreto   oggi   impugnato   sia   dichiarato
costituzionalmente illegittimo. 
    Nello specifico, l'art. 10, comma 1, della legge n. 124 del  2015
prevede il termine di dodici mesi  dall'entrata  in  vigore,  che  e'
avvenuta il 28 agosto 2015, dal momento che la pubblicazione ha avuto
luogo il 13 agosto 2015. 
    Pertanto, la delega avrebbe dovuto essere esercitata entro il  28
agosto 2016, e cioe' ben  prima  di  quando  cio'  e'  effettivamente
avvenuto. 
    Appare, percio', palese la violazione dell'art. 76 Cost. e  della
norma di delega interposta. 
    Per scrupolo difensivo, occorre in ogni caso  precisare  che  non
varrebbe in senso contrario dedurre la  proroga  del  termine  di  90
giorni prevista dal comma 2 dell'art. 10 della legge n. 124 del 2015,
destinata a scattare nel solo caso in cui il termine previsto  per  i
pareri ivi contemplati (Conferenza unificata, Consiglio  di  Stato  e
Commissioni parlamentari competenti  per  materia)  cada  nei  trenta
giorni che precedono la scadenza «ordinaria» della delega. 
    In sostanza, tale proroga sarebbe scattata nel solo caso  in  cui
tale termine fosse caduto nell'arco  temporale  compreso  tra  il  29
luglio 2016 e il 28 agosto 2016. 
    Eventualita', questa,  del  tutto  esclusa  per  tabulas,  se  si
considera che la prima deliberazione preliminare  del  Consiglio  dei
ministri (su cui quei pareri si pronunciano) e' del  25  agosto  2016
(v. preambolo del decreto impugnato) e che tuttavia, essa  e'  giunta
all'attenzione del Consiglio di Stato - primo organo a dover emettere
il parere - solo il 29 agosto 2016 e,  percio',  un  giorno  dopo  la
scadenza della delega legislativa (v. doc. B). 
    Ne' varrebbe in  senso  contrario  la  circostanza  che,  secondo
l'incipit del parere del Consiglio di Stato, la nota con cui il  MISE
ha richiesto il parere stesso e' del 26 Staoagosto 2016  (due  giorni
prima  della  scadenza).  Infatti,  nell'imminenza  della   scadenza,
sarebbe stato  onere  del  Governo  adottare  la  massima  diligenza,
affinche' la richiesta pervenisse in tempo utile per far scattare  la
proroga. 
    Cio' non e',  pero',  avvenuto  e  il  presupposto  affinche'  la
proroga operasse si e' verificato tardivamente. 
    Vero e' che la norma prevede che la proroga scatti non solo se il
termine per il parere cade nei 30 giorni precedenti la  scadenza  del
termine ordinario di delega, ma anche  se  cade  successivamente,  ma
tale disposizione non puo' che intendersi nel senso che  comunque  il
dies a quo da cui contare la scadenza deve rientrare nel  termine  di
delega ordinario. Il che potrebbe anche comportare  che  il  dies  ad
quem cada successivamente al termine di delega ordinario. 
    Se invece si accedesse all'interpretazione secondo cui il dies  a
quo e'  irrilevante,  si  arriverebbe  al  paradosso  che  la  delega
legislativa non avrebbe scadenza, perche' in ogni caso  la  richiesta
di parere tardiva (post 28 agosto 2016) avrebbe un termine successivo
alla scadenza della  delega  e  sarebbe  in  grado  di  far  scattare
«retroattivamente» la proroga. 
    Ora,  e'  facilmente  intuibile  come  una  tale  interpretazione
sarebbe elusiva dell'art. 76 Cost.  e  trasformerebbe  una  legittima
possibilita' di proroga (previamente prevista dal legislatore) in una
censurabile «sanatoria». 
    Se e' vero che la proroga prevista dall'art. 10, comma  2,  della
legge n. 124 del 2015 presuppone che la  richiesta  di  parere  debba
pervenire entro la data di scadenza naturale della delega (28  agosto
2016),  se  ne  deduce  la   palese   illegittimita'   costituzionale
dell'intero decreto  legislativo  n.  219  del  2016  per  violazione
dell'art.  76  Cost.,  ridondante  sul   riparto   delle   competenze
legislative, fra Stato e regioni, per le ragioni gia' dedotte sub 0). 
    Invero, e' del tutto evidente che  l'eventualita'  della  proroga
del termine  doveva  servire  a  completare  un  iter  diligentemente
avviato e non porre  rimedio  alla  violazione  di  un  termine  gia'
decorso. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma  4,  del  decreto
legislativo n. 219 del 2016, per contrasto con gli articoli 76  Cost.
e 10, comma 1,  della  legge  7  agosto  2015,  n.  124  nonche'  del
principio di leale collaborazione. 
    L'art. 3, comma 4,  del  decreto  legislativo  n.  219  del  2016
dispone che «il Ministro dello sviluppo economico (...), con  proprio
decreto, sentita la Conferenza  permanente  per  i  rapporti  tra  lo
Stato, le regioni e le province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,
provvede   (...)   alla   rideterminazione    delle    circoscrizioni
territoriali (...)». 
    Nel   rimettere   la   rideterminazione   delle    circoscrizioni
territoriali delle  Camere  di  commercio  a  un  successivo  decreto
ministeriale, la norma e' viziata per  eccesso  di  delega,  giacche'
l'art. 10, comma 1, lettera a), della legge n. 124 del 2015 disponeva
che fosse lo stesso decreto delegato (e,  cioe',  lo  stesso  decreto
legislativo n. 219 del 2016) a provvedere alla  «ridefinizione  delle
circoscrizioni territoriali».  Non  delegava  invece  il  Governo  ad
adottare dei «criteri di ridefinizione»  tramite  cui  un  successivo
atto governativo potesse disciplinare la materia. 
    Peraltro, la violazione della legge di delega cosi'  verificatasi
non rileva solo dal punto di vista contenutistico, bensi' anche sotto
altro  profilo.  Infatti,  tale  «rinvio»  a   un   successivo   atto
ministeriale e' un ulteriore indice del  mancato  assolvimento  della
delega in termini temporali. 
    Infatti, nonostante l'accelerazione impressa al varo del  decreto
delegato, il Governo non  e'  riuscito  a  completarne  l'esecuzione,
neppure ricorrendo all'escamotage  sopra  rilevato  di  far  scattare
illegittimamente una proroga del termine. 
    Per giunta,  il  rinvio  a  un  successivo  decreto  ministeriale
determinerebbe la paradossale conseguenza che  proprio  l'aspetto  di
maggior   interesse   territoriale   (la    rideterminazione    delle
circoscrizioni  delle  Camere  di  commercio)  sarebbe  sottratto  al
sindacato diretto di codesta ecc.ma Corte, alla luce dell'atto che lo
regolerebbe, tutt'al  piu'  impugnabile  dinanzi  alla  giurisdizione
amministrativa. 
    Al  contrario,  il  legislatore  delegante,   nel   disporre   la
rimessione di questa  disciplina  al  conseguente  decreto  delegato,
avrebbe garantito l'immediato ricorso al giudice costituzionale anche
per questo ambito di disciplina. 
    Ne deriva la palese violazione dell'art. 76 Cost. e  della  legge
di delega  interposta  e,  percio',  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 3, comma 4, del decreto legislativo n. 219 del 2016. 
    2.1. In ogni caso, l'art. 3, comma 4, del decreto legislativo  n.
219 del 2016 viola il principio di leale collaborazione,  perche'  in
un ambito materiale in cui incidono molteplici competenze legislative
non individua adeguati strumenti concertativi fra  Stato  e  Regioni,
poiche' richiede il mero parere della  Conferenza  Stato  -  Regioni,
anziche' l'intesa. 
    Proprio in riferimento ad  altre  deleghe  legislative  contenute
nella stessa legge n. 124 del 2015, codesta ecc.ma Corte (sentenza n.
251 del 2016), con una ratio applicabile anche al caso di specie,  ha
ritenuto che «un simile intervento del legislatore  statale  rientra,
infatti, nel novero di  quelli,  gia'  sottoposti  all'attenzione  di
questa Corte, volti a disciplinare,  in  maniera  unitaria,  fenomeni
sociali complessi, rispetto ai quali si delinea una «fitta  trama  di
relazioni, nella quale ben difficilmente sara' possibile  isolare  un
singolo interesse», quanto  piuttosto  interessi  distinti  «che  ben
possono  ripartirsi  diversamente  lungo  l'asse   delle   competenze
normative  di  Stato  e  Regioni»,  (sentenza  n.  278   del   2010),
corrispondenti alle diverse materie coinvolte. 
    In tali casi occorre valutare se una  materia  si  imponga  sulle
altre, al fine di individuare la titolarita' della competenza. 
    Talvolta la valutazione circa la prevalenza  di  una  materia  su
tutte le altre  puo'  rivelarsi  impossibile  e  avallare  l'ipotesi,
diversa da  quella  in  precedenza  considerata,  di  concorrenza  di
competenze, che apre la  strada  all'applicazione  del  principio  di
leale collaborazione. In ossequio a  tale  principio  il  legislatore
statale deve predisporre adeguati strumenti di  coinvolgimento  delle
Regioni, a difesa delle loro competenze. L'obiettivo e'  contemperare
le ragioni, dell'esercizio unitario  delle  stesse  con  la  garanzia
delle funzioni costituzionalmente attribuite alle autonomie (sentenze
n. 65 del 2016, n. 88 del 2014 e n. 139 del 2012). 
    Il  parere  come  strumento  di  coinvolgimento  delle  autonomie
regionali e locali non puo' non misurarsi con  la  giurisprudenza  di
questa Corte che, nel corso degli anni, ha sempre piu' valorizzato la
leale collaborazione quale principio guida nell'evenienza, rivelatasi
molto frequente, di uno stretto intreccio fra materie e competenze  e
ha  ravvisato  nell'intesa  la  soluzione  che  meglio   incarna   la
collaborazione (di recente, sentenze n. 21 e n.  1  del  2016).  Quel
principio e' tanto piu' apprezzabile se si considera  la  «perdurante
assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e,  piu'
in generale, dei procedimenti legislativi» (sentenza n. 278 del 2010)
e diviene dirimente nella considerazione  di  interessi  sempre  piu'
complessi, di cui gli enti territoriali si fanno portatori». 
    Il caso de quo, in cui, come rilevato sub  0),  si  determina  un
intreccio di competenze difficilmente risolvibile sulla  base  di  un
criterio di prevalenza, richiede, percio', la previsione di  adeguati
strumenti di leale collaborazione, che, non si esauriscano  nel  mero
parere   della   Conferenza   Stato-Regioni,   bensi'   quanto   meno
nell'intesa. 
    Si chiede, pertanto, che in ogni caso  l'art.  3,  comma  4,  del
decreto legislativo n. 219 del 2016 sia dichiarato costituzionalmente
illegittimo nella parte in cui prevede  il  parere  della  Conferenza
Stato-Regioni, anziche' l'intesa. 
3) Illegittimita' costituzionale degli articoli 1, comma  1,  lettera
a), numero 1), e 3 del decreto  legislativo  n.  219  del  2016,  per
contrasto con gli articoli 3,  5  e  18,  nonche'  del  principio  di
ragionevolezza. 
    L'art. 1, comma 1, lettera a), numero 1, e l'art. 3  del  decreto
legislativo n. 219 del 2016 prevedono la riduzione del  numero  delle
Camere di commercio da 105 a non piu'  di  60  (in  attuazione  della
disposizione di delega di cui all'art. 10, comma 1, lettera b), della
legge n. 124 del 2015). 
    Va premesso che le Camere di commercio sono cosiddette  autonomie
funzionali, anch'esse tutelate dall'art. 5 Cost.,  quale  espressione
del  generale  principio  di  autonomia  vigente  nell'ordinamento  e
considerato che  tale  disposizione  espressamente  prevede  che  «la
Repubblica, una e indivisibile, riconosce  e  promuove  le  autonomie
locali (e) adegua i principi ed i metodi della sua legislazione  alle
esigenze dell'autonomia e del decentramento». 
    La disposizione non si limita pertanto a riconoscere  l'autonomia
degli enti territoriali, bensi' e' estesa a ogni forma di  autonomia,
ivi inclusa quella funzionale. 
    Per giunta, le Camere  di  commercio,  sebbene  esercitino  anche
funzioni  pubbliche,  sono  comunque   espressione   di   un   libero
associazionismo imprenditoriale tutelato dall'art. 18 Cost., pertanto
la loro disciplina non puo' spingersi sino a ledere irragionevolmente
tale liberta'. 
    Cio' che invece, la disciplina recata dal decreto delegato e,  in
particolare, l'art.1, comma 1, lettera a) numero 1, e l'art. 3 fanno,
se si considera che  ne  riducono  irragionevolmente  il  numero  per
conseguire un non necessario risparmio di spesa. 
    Le Camere di commercio - occorre sottolinearlo - non gravano  sul
bilancio dello  Stato  o  di  qualunque  altro  ente  pubblico,  come
dimostra il disposto dell'art. 18, comma 1, del  decreto  legislativo
n. 580 del 1993, che elenca le rispettive fonti di finanziamento. 
    Nella misura in cui esse non aggravano il bilancio  dello  Stato,
ma anzi lo alleviano, non si vede per quale  ragione  non  dovrebbero
poter  sorgere  spontaneamente  o,  comunque,  secondo  criteri  piu'
elastici, pur se vigilate da istituzioni pubbliche. 
    Pertanto, la prevista riduzione in ogni caso a  non  piu'  di  60
appare palesemente irragionevole e sproporzionata,  perche'  tende  a
conseguire un presunto risparmio  di  spesa  rispetto  a  un  sistema
virtuoso (e che, anzi, allevia il bilancio statale, come rilevato dal
parere di cui alla Conferenza unificata di cui al doc. C), ispirato a
un'autonomia (art. 5) e a una liberta' (art.  18)  costituzionalmente
tutelate. 
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma  1,  lettera  r),
del decreto legislativo n. 219 del 2016, nella parte in  cui  formula
l'art. 18, comma 10, del decreto legislativo n.  580  del  1993,  per
contrasto con gli articoli 3 e 117, commi 3 e 4, nonche' dei principi
di ragionevolezza e di leale collaborazione. 
    Il precedente comma 9 dell'art. 18 del decreto legislativo n. 580
del 1993 disponeva che «per il cofinanziamento di specifici  progetti
aventi per scopo l'aumento della produzione e il miglioramento  delle
condizioni   economiche   della   circoscrizione   territoriale    di
competenza, le  camere  di  commercio,  sentite  le  associazioni  di
categoria maggiormente rappresentative a livello provinciale, possono
aumentare per gli esercizi  di  riferimento  la  misura  del  diritto
annuale fino a un massimo del venti per cento». 
    L'attuale comma 10 dell'art. 18  (come  modificato  dall'art.  1,
comma 1, lettera r), del decreto legislativo n. 219 del 2016) dispone
che «per il finanziamento di programmi e  progetti  presentati  dalla
camere di commercio, condivisi con le regioni ed aventi per scopo  la
promozione dello sviluppo economico  e  l'organizzazione  di  servizi
alle imprese, il Ministro dello sviluppo economico, su  richiesta  di
Unioncamere, valutata la rilevanza dell'interesse del programma o del
progetto nel  quadro  delle  politiche  strategiche  nazionali,  puo'
autorizzare l'aumento, per gli esercizi di riferimento, della  misura
del diritto annuale fino ad  un  massimo  del  venti  per  cento.  Il
rapporto sui risultati dei progetti e' inviato  al  Comitato  di  cui
all'art. 4-bis». 
    La  disposizione  e'  palesemente  posta  in   violazione   tanto
dell'autonomia delle Camere  di  commercio,  quanto  (direttamente  e
indirettamente) dell'autonomia regionale, perche' di fatto  subordina
l'effettiva implementazione dei progetti concordati fra i  due  Enti,
che puo' presupporre una fonte di finanziamento ulteriore, all'avallo
ministeriale. 
    Nella sostanza, un controllo ministeriale del  tutto  disarmonico
rispetto all'attuale concezione costituzionale dell'autonomia,  anche
alla luce della riforma del Titolo V del 2001. 
    Tale  controllo  ministeriale  non  trova  fondamento  in  alcuna
disposizione costituzionale: non nell'art. 117, comma 3, Cost. e,  in
particolare,  nella  competenza  statale   a   dettare   i   principi
fondamentali in materia di coordinamento della finanza  pubblica,  se
si considera che le Camere di commercio si avvalgono di un sistema di
finanziamento slegato dalla  finanza  erariale;  non  nell'art.  117,
comma 4, Cost. e nel principio di leale collaborazione  fra  Stato  e
autonomie, che anzi appaiono palesemente violati;  il  primo  perche'
l'esercizio della competenza  regionale  (in  materia  di  camere  di
commercio e di promozione delle attivita' produttive) e'  subordinato
all'avallo   ministeriale,    il    secondo    perche'    l'esercizio
dell'autonomia presuppone un rapporto paritetico fra gli Enti  e  non
la loro gerarchizzazione che cosi' si realizza. 
    Peraltro, la disposizione si coordina in modo irragionevole  -  e
di  qui  la  violazione  dell'art.  3  sub  specie  di  principio  di
ragionevolezza con il comma 2 dell'art. 2 del decreto legislativo  n.
580 del 1993 (come riformulato per effetto delle modifiche recate dal
decreto  impugnato),  secondo  cui  «Le  camere  di  commercio  (...)
svolgono le funzioni relative a: 
    (Omissis) 
        g) ferme restando quelle  gia'  in  corso  o  da  completare,
attivita' oggetto di convenzione con le  regioni  ed  altri  soggetti
pubblici  e  privati  stipulate  compatibilmente  con  la   normativa
europea. Dette attivita' riguardano, tra l'altro,  gli  ambiti  della
digitalizzazione, della qualificazione aziendale e dei prodotti,  del
supporto  al  placement   e   all'orientamento,   della   risoluzione
alternativa delle controversie. Le stesse possono  essere  finanziate
con  le  risorse  di  cui  all'art.  18,   comma   1,   lettera   a),
esclusivamente  in  cofinanziamento  con   oneri   a   carico   delle
controparti non inferiori al 50%». 
    Se queste attivita' sono - per cosi' dire - aggiuntive e  possono
essere finanziate solo tramite il diritto annuale, appare paradossale
che si possa provvedere in merito senza l'aumento  della  loro  unica
fonte di finanziamento, ne' appare proporzionato che la meritevolezza
del progetto (che giustificherebbe l'aumento del diritto annuale) sia
previamente vagliata da un organo governativo. 
    Come  gia'  rilevato,  si   deve   inoltre   tenere   in   debita
considerazione che il sistema delle Camere di commercio e' un sistema
in attivo, di cui le finanze erariali, anzi, si giovano (v. parere di
cui al doc. C, ult. pagina: «il sistema camerale versa annualmente al
bilancio dello Stato oltre 38 milioni di euro che con il  taglio  del
50% del diritto annuale costituirebbero annualmente quasi il 10%  del
diritto riscosso»). 
    Non si spiega quindi questa forma di pregiudizio e di  preventivo
controllo del suo «potere impositivo».  Infatti,  senza  una  «libera
leva» fiscale le Camere di commercio potrebbero non essere  in  grado
di condurre attivita' promozionali. 
    Alla luce di tutto quanto sin qui dedotto, deve ritenersi che  la
nuova formulazione del comma 10 dell'art. 18 del decreto  legislativo
n. 580 del 1993 sia costituzionalmente illegittimo nella parte in cui
prevede che sia il Ministro dello sviluppo economico,  «su  richiesta
di Unioncamere, valutata la rilevanza dell'interesse del programma  o
del progetto nel quadro  delle  politiche  strategiche  nazionali»  a
poter autorizzare l'aumento del diritto annuale, anziche'  le  stesse
Camere di commercio. 
5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma  1,  lettera  r),
del decreto legislativo n. 219 del 2016, nella parte  in  cui  abroga
l'art. 18, comma 1, lettera c), del decreto legislativo  n.  580  del
1993, per contrasto con gli articoli 3 e 117, commi 3  e  4,  nonche'
del principio di ragionevolezza. 
    L'art. 1, comma 1, lettera r), del decreto legislativo n. 219 del
2016 e' costituzionalmente illegittimo  nella  parte  in  cui  abroga
l'art. 18, comma, 1, lettera c), del decreto legislativo n.  580  del
1993, il quale - fra le fonti di finanziamento - contempla anche  «le
entrate  e  i  contributi  derivanti  da  leggi  statali,  da   leggi
regionali, da convenzioni o previsti in relazione  alle  attribuzioni
delle camere di commercio». 
    Nell'escludere che le Camere di  commercio  possano  giovarsi  di
finanziamenti provenienti dalle regioni (o da altri enti), in  virtu'
di convenzioni, la norma comprime irragionevolmente  sia  l'autonomia
regionale,   precludendo   questa    forma    di    erogazione    per
l'incentivazione  delle  attivita'   produttive   e,   comunque   per
l'esercizio delle proprie competenze di cui all'art. 117, commi  3  e
4, sia l'autonomia delle Camere di commercio, per le  quali,  per  un
verso, si  impedisce  di  ricorrere  autonomamente  al  finanziamento
aggiuntivo   tramite   aumento   del   contributo   annuale    (salva
autorizzazione ministeriale) e  a  cui,  per  altro  verso,  si  nega
l'ottenimento delle erogazioni regionali. 
    Cio' che, peraltro, e'  irragionevole  -  e,  percio',  anche  in
violazione  dell'art.  3  Cost.  -  rispetto  alla  disposizione   su
richiamata, secondo cui le «attivita' oggetto di convenzione  con  le
regioni (...)  possono  essere  finanziate  (...)  esclusivamente  in
cofinanziamento con oneri a carico delle controparti non inferiori al
50%», lasciando palesemente dedurre l'ammissibilita' di questa  fonte
di finanziamento. 
    Verosimilmente, anche in ragione di cio' la Conferenza  unificata
(v. doc. C, proposta 9) aveva proposto di mantenere fra le  fonti  di
finanziamento le entrate derivanti  da  convenzioni  con  i  soggetti
pubblici e privati, come peraltro si deduce  dalla  necessita'  degli
oneri a carico delle controparti. 
    Per tali ragioni, si chiede  che  codesta  ecc  ma  Corte  voglia
dichiarare l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  1,
lettera r), del decreto legislativo n. 219 del 2016, nella  parte  in
cui abroga l'art. 18, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n.
580 del 1993, determinandone percio' il ripristino. 
6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma  6,  del  decreto
legislativo n. 219 del 2016, per contrasto con gli articoli 3,  97  e
117, comma 4, nonche' dei  principi  di  ragionevolezza  e  di  leale
collaborazione. 
    L'art. 4, comma 6,  del  decreto  legislativo  n.  219  del  2016
prevede a carico delle regioni  l'obbligo  di  comunicazione  in  via
telematica  di   propri   atti   alla   Camera   di   commercio   per
l'implementazione del fascicolo informatico d'impresa.  Tale  obbligo
indiscriminato  e  generalizzato  costituisce  uno  sproporzionato  e
irragionevole aggravio amministrativo, non limitato  a  specifiche  e
circoscritte fattispecie, che si pone percio' in  contrasto,  con  lo
stesso principio di ragionevolezza (art. 3  Cost.),  con  l'autonomia
organizzativa regionale (art. 117, comma 4, Cost.) e con  i  principi
dell'attivita' amministrativa espressi nell'art. 97 Cost. 
    In  ogni  caso,  la  previsione  che  le  modalita'  concrete  di
trasmissione siano stabilite da un decreto del MISE,  senza  l'intesa
con la Conferenza Stato-Regioni, si pone in contrasto con l'autonomia
organizzativa regionale e con il principio di leale collaborazione. 
    Infatti,  la  diretta  incisione  statale   di   una   competenza
squisitamente regionale come l'organizzazione regionale  deve  quanto
meno  trovare  in  dei  meccanismi  concertativi   il   bilanciamento
dell'incisione dell'attribuzione stessa; meccanismi che, nel caso  de
quo,  sono  del  tutto  assenti,   con   conseguente   illegittimita'
costituzionale della disposizione almeno in parte qua.