TRIBUNALE ORDINARIO DI MODENA 
                       Sezione seconda civile 
 
    Il giudice  tutelare sciogliendo  la  riserva  assunta,   osserva
quanto segue: 
        I. - S. A., amministratore di sostegno (nominato con  decreto
di questo giudice tutelare in data 14 ottobre 2012) della  figlia  K.
S. (nata in India il 2 settembre 1990 e  residente  a  .............,
via ........................ ,  n.  ...),  ha  richiesto  al  giudice
tutelare di autorizzare la trascrizione del decreto concessivo  della
cittadinanza a favore della figlia datato 20 luglio 2016, in  assenza
del prescritto giuramento. Dato che la figlia non sarebbe  in  grado,
ne' in condizioni  di  prestare  tale  atto,  in  quanto  affetta  da
«epilessia parziale con secondaria generalizzazione in  attuale  buon
controllo con terapia anticomiziale - associato ritardo mentale grave
in pachigiria focale» (come da documentazione della  Commissione  per
l'accertamento dello stato di invalidita'). 
    La giovane beneficiaria, e'  stata  ascoltata  in  udienza,  alla
presenza del padre-a.d.s. per saggiarne  l'idoneita'  a  prestare  il
prescritto giuramento. 
    In vero, la persona e'  apparsa  completamente  disorientata  nel
tempo e nello spazio (dal verbale risulta che la ragazza dice che  il
giudice «e' Stefano» e non e' in grado di precisare  dove  si  trova,
sottoscrive  il  verbale  col  nome  «Sara»)  e  il  padre-a.d.s.  ha
precisato che K. non sa leggere, ne' scrivere. 
    II. - In diritto, va preliminarmente  fornito  un  rapido  quadro
normativo della materia. 
    In base all'art. 9, primo comma, lettera f), della  legge  n.  91
del 1992, la cittadinanza italiana puo' essere concessa  con  decreto
del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio  di  Stato,  su
proposta  del  Ministro  dell'interno,  allo  straniero  che  risiede
legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica. 
    L'art. 10, della citata legge n. 91 prevede che: «il  decreto  di
concessione della cittadinanza non ha effetto se la persona a cui  si
riferisce non presta, entro  sei  mesi  dalla  notifica  del  decreto
medesimo, giuramento di essere fedele alla Repubblica e di  osservare
la Costituzione e le leggi dello  Stato»,  mentre  l'art.  23,  primo
comma, legge n. 91/1992 dispone che «le dichiarazioni per  l'acquisto
[...] della cittadinanza e la  prestazione  del  giuramento  previste
dalla presente legge sono rese all'ufficiale dello stato  civile  del
comune dove il dichiarante risiede o  intende  stabilire  la  propria
residenza,  ovvero,  in  caso  di   residenza   all'estero,   davanti
all'autorita' diplomatica o consolare del luogo di residenza». 
    A sua volta, l'art. 7, secondo comma, del decreto del  Presidente
della Repubblica 12 ottobre 1993, n. 572, dispone che: «il giuramento
di cui all'art. 10 della legge deve essere prestato  entro  sei  mesi
dalla notifica all'intestatario del decreto di cui agli articoli 7  e
9 della legge». 
    Infine, l'art. 25, primo comma, del decreto del Presidente  della
Repubblica 3 novembre 2000, n. 396,  ord.  stato  civile,  stabilisce
che: «l'ufficiale dello stato civile non puo' trascrivere il  decreto
di concessione della cittadinanza se prima non e' stato  prestato  il
giuramento prescritto dall'art. 10, legge 5 febbraio  1992,  n.  91»,
mentre secondo l'art. 27, del decreto del Presidente della Repubblica
citato, «l'acquisto della cittadinanza italiana ha effetto dal giorno
successivo a quello in cui e' stato prestato il giuramento, ai  sensi
di quanto disposto dagli articoli 10 e 15,  della  legge  5  febbraio
1992, n. 91, anche quando la trascrizione del decreto di  concessione
avviene in  data  posteriore».  Come  si  vede,  per  univoche  fonti
normative, la prestazione  dell'atto  formale  del  giuramento  viene
ritenuto   adempimento   determinante   per   l'acquisizione    della
cittadinanza italiana. 
    In concreto, la dottrina ha sottolineato  che  il  giuramento  e'
sempre stato, in ogni luogo, diretto a «rafforzare una pronunzia  del
giurante». Lo stesso, piu' in particolare, «non e' piu' che la  forma
rafforzata di una promessa, una  solennita'  supplementare  destinata
indubbiamente a far riflettere il giurante sulla  gravita'  dell'atto
che sta compiendo, ma che giuridicamente non lo modifica e  nulla  vi
aggiunge». La portata  di  tale  atto  si  esplica  su  di  un  piano
prevalentemente morale, in quanto «sospinge,  attraverso  un  vincolo
interno, all'osservanza di obblighi e doveri preesistenti», cosicche'
il giuramento non rivestirebbe efficacia costitutiva, ma accessoria. 
    III. - Il problema che il ricorso suscita non e' di poco momento;
esso consiste nel verificare,  a  fronte  di  persona  che,  a  causa
dell'infermita' mentale che l'affligge non sia in grado  di  prestare
il prescritto giuramento, in che modo l'ordinamento debba  reagire  e
porsi da un punto di vista sistematico e ricostruttivo, ricercando se
sussista una lacuna  normativa,  ovvero,  un  contrasto  del  tessuto
normativo rispetto  ai  parametri  costituzionali  ed  sovranazionali
dati. 
    Un primo decreto petroniano (Tribunale di Bologna 9 gennaio 2009,
in personaedanno, con nota di  Costanzo)  ha  ritenuto  di  estendere
l'esonero dal giuramento per  acquisire  la  cittadinanza  affermando
l'applicabilita' all'amministrazione di sostegno,  quale  effetto  ex
art. 411 del  codice  civile,  dall'esenzione  dal  giuramento  sulla
scorta di parere favorevole  espresso  dal  Consiglio  di  Stato  con
riguardo  la  concessione  della  cittadinanza  all'interdetto  senza
prestazione  di  giuramento,  in  quanto  atto   personalissimo   non
delegabile al tutore (C.d.S. 13 marzo 1987, n. 261/85). 
    Altro  provvedimento  del  Tribunale  di  Mantova  (Tribunale  di
Mantova 2  dicembre  2010)  ha  semplicemente  ritenuto  di  esentare
l'interdetto dalla prestazione del giuramento necessario ad acquisire
la cittadinanza, non essendo lo stesso delegabile al tutore. 
    Le soluzioni giuridiche riferite in precedenza non convincono. 
    IV. - Non pare ipotizzabile  l'applicazione  analogica  dell'art.
411 del codice civile, che ammette di  estendere  all'amministrazione
di sostegno «determinati effetti, limitazioni o  decadenze,  previsti
da disposizioni di legge per  l'interdetto  o  l'inabilitato».  Nella
specie, e' trasparente che la norma  codicistica  richiamata  ammette
l'estensione  all'amministrazione  di  sostegno  di  disposizioni  di
«legge»; non il contenuto di atti amministrativi, quali sono i pareri
espressi dal C.d.S. in sede consultiva. In vero, le  soluzioni  della
quaestio iuris possono essere due, alternative l'una all'altra. Da un
canto, secondo una prima prospettiva,  potrebbe  ipotizzarsi  che  il
giuramento,  supponendo  un  impegno  morale  ed  una  partecipazione
consapevole alla nuova collettivita' statuale da parte del  giurante,
con l'assunzione dello status di cittadino, implichi una sua adesione
consapevole e cosciente al rispetto dei doveri ed  all'esercizio  dei
diritti che, aderendo a tale collettivita', si assumono alla  stregua
della formula di giuramento prevista dalla legge  («giuro  di  essere
fedele alla Repubblica e di osservare  la  Costituzione  e  le  leggi
dello  Stato»;  art.  10,  della  legge  n.  91  del  1992,  la   cui
formulazione sostanzialmente riproduce quella affidata  all'art.  54,
primo  comma,  della  Costituzione).  In  quest'ottica,  laddove   si
richieda  per  il  compimento  di  tale  atto  formale  il   completo
discernimento, la cittadinanza non potrebbe essere acquisita da parte
di chi difetti  di  tale  capacita'  naturale,  essendo  incapace  di
comprendere il significato morale e giuridico  dell'atto  formale  da
compiere; l'atto del giurare non essendo in ogni caso surrogabile  da
parte del vicario, stante la sua natura personalissima. E pertanto la
cittadinanza, secondo l'ordinamento e,  secondo  questa  prospettiva,
non potrebbe essere acquisita dal disabile mentale impossibilitato  a
giurare ed a comprendere l'impegno morale che con tale atto assume di
fronte alla collettivita'. 
    V. - Dall'altro, puo' ipotizzarsi l'insorgenza  di  questione  di
legittimita' costituzionale delle disposizioni  normative  richiamate
in precedenza (art. 10, della legge n. 91 del 1992, art.  7,  secondo
comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 572 del 1993, e
25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del  2000),  in
particolare, nella parte in  cui  le  stesse  non  prevedono  deroghe
all'obbligo della prestazione del giuramento,  quale  condizione  per
l'acquisizione della cittadinanza italiana, in presenza di condizioni
personali di infermita' mentale in cui  versi  il  futuro  cittadino,
impeditive il compimento dell'atto formale in discorso. 
    Da questo punto di vista, dato che, a giudizio della dottrina, il
giuramento,  avendo  natura  ancillare  e  secondaria   rispetto   al
conseguimento della cittadinanza, non avrebbe  efficacia  costitutiva
di essa, potrebbe ritenersi non manifestamente infondata la questione
di   legittimita'   costituzionale   delle   disposizioni   normative
richiamate e  che  impongono  la  prestazione  del  giuramento  quale
condizione per l'acquisizione della cittadinanza, per  violazione  di
piu' di un parametro costituzionale. 
    In  particolare,  se  la  Repubblica  riconosce  e  garantisce  i
«diritti inviolabili dell'uomo»  (art.  2  della  Costituzione),  non
permettere  al  disabile  psichico  l'acquisizione  di   un   diritto
fondamentale, qual'e' lo status di  cittadino  (fonte  di  diritti  e
doveri  pubblicistici),  dal  momento  che  non  e'  in  grado  della
prestazione dell'atto formale del giuramento,  significherebbe,  alla
fin fin  fine,  non  «garantire»  tale  diritto;  escludendo,  cosi',
l'infermo di mente dalla nuova collettivita' in cui e' nato e  si  e'
formato,  solo  a  causa  dell'impedimento  determinato   dalla   sua
condizione  psichica  di  natura  personale.   L'ostacolo   personale
impedirebbe  l'acquisizione  del  diritto  e  gli   arrecherebbe   un
considerevole danno. 
    Che dire poi del parametro  affidato  al  capoverso  dell'art.  3
della Costituzione? 
    Se  e'  compito  della  Repubblica  rimuovere  gli  ostacoli  che
«impedisco il pieno sviluppo della persona umana», non si puo'  forse
ritenere che  l'impossibilita'  di  prestazione  del  giuramento  per
acquisire la cittadinanza, determinato  dalla  condizione  patologica
della  persona  affetta  da   malattia   mentale,   non   costituisca
significativo   «ostacolo»   all'esplicazione   della    personalita'
dell'individuo, come tale contrastante con tale  cruciale  previsione
programmatica? 
    Se cosi' e', allora,  le  disposizioni  normative  in  precedenza
richiamate,  disponenti  che  il  mancato  giuramento  nei  sei  mesi
successivi  alla  notifica   del   decreto   di   concessione   della
cittadinanza ne determina inefficacia, paiono contrastare  anche  con
quest'ultimo  parametro   costituzionale,   creando   disparita'   di
trattamento tra cittadini sani e normali, questi ultimi in  grado  di
prestare giuramento, e quanti sani non siano  in  quanto  affetti  da
disabilita'  e  che,  per  effetto  della  mancata  prestazione   del
giuramento, non possono acquistare lo status civitatis. 
    Tenuto conto di cio', il presente procedimento  va  sospeso,  con
remissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale,  dato  che   la
questione  di  legittimita'  costituzionale  quivi  sollevata   sugli
articoli 10 della legge 5 febbraio 1992, n. 91,  7  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 572 del 12 ottobre 1993  e  25,  primo
comma, del decreto del Presidente della Repubblica 3  novembre  2000,
n. 396, appare rilevante, in questo procedimento dovendosi  applicare
le disposizioni normative teste'  richiamate,  e  non  manifestamente
infondata, alla luce della violazione  dei  parametri  fissati  dagli
articoli 2 e 3, secondo comma, della Costituzione. 
    VI. - Il mancato rispetto  del  principio  di  uguaglianza  quale
diritto fondamentale dell'individuo va rilevato anche con riferimento
al quadro legislativo sovranazionale, cui l'ordinamento  dello  Stato
e' tenuto a conformarsi. 
    Infatti, l'art. 18 della Convenzione O.N.U. per i  diritti  delle
persone disabili, ratificata dall'Italia con la legge  n.  18  del  3
marzo 2009 (e quindi legge dello Stato a tutti gli effetti),  dispone
che: «il diritto alla cittadinanza non puo' essere negato e dunque  i
disabili hanno il diritto di acquisire e cambiare la  cittadinanza  e
non possono essere privati della stessa  arbitrariamente  o  a  causa
della loro disabilita'». 
    Lo scopo  della  Convenzione  e'  quella  di  indurre  gli  Stati
firmatari a promuovere, proteggere e garantire  il  pieno  ed  uguale
godimento di tutti i diritti umani  e  le  liberta'  fondamentali  da
parte delle persone con disabilita'.  La  condizione  di  disabilita'
viene individuata nell'esistenza di  barriere  di  diversa  natura  e
tipologia che possano ostacolare la piena ed effettiva partecipazione
nella societa', in condizioni di uguaglianza con gli  altri,  per  le
persone che presentano delle durature menomazioni  fisiche,  mentali,
intellettuali o sensoriali. 
    Il testo normativo richiama la Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo ed e' dotato di portata universale, dato che si  rivolge  a
tutte le persone disabili, indipendentemente  dalla  nazionalita',  e
alle quali garantisce il diritto ad un livello di vita adeguato e  il
diritto alla protezione  sociale,  rievocando  i  principi  enunciati
anche dalla  Dichiarazione  O.N.U.  dei  diritti  delle  persone  con
ritardo mentale del 1971,  della  Dichiarazione  O.N.U.  dei  diritti
delle  persone  con  disabilita'  del   1975,   degli   articoli   21
(«Nell'ambito d'applicazione del trattato che istituisce la Comunita'
europea e del  trattato  sull'Unione  europea  e'  vietata  qualsiasi
discriminazione  fondata   sulla   cittadinanza,   fatte   salve   le
disposizioni  particolari  contenute  nei  trattati  stessi»)  e   26
(«L'Unione  riconosce  e  rispetta  il  diritto   dei   disabili   di
beneficiare di misure intese a garantirne l'autonomia,  l'inserimento
sociale  e  professionale  e  la  partecipazione  alla   vita   della
comunita'») della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione  europea
di Nizza, resa vincolante dal Trattato di Lisbona del 2009. 
    Si  evince,  pertanto,  che  l'Unione  e'  fondata  sul  rispetto
dell'uguaglianza della dignita' umana, della democrazia, dello  stato
di diritto e del rispetto dei diritti umani compresi quelli enunciati
dall'art. 67 del Trattato sul funzionamento  dell'Unione  europea  in
base ai quali «l'Unione realizza uno spazio di liberta', sicurezza  e
giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali nonche'  dei  diversi
ordinamenti giuridici e delle  diverse  tradizioni  giuridiche  degli
Stati membri». 
    Da tali principi dell'ordinamento si ricava  che  la  tutela  dei
diritti umani nell'Unione europea  non  dipende  dal  possesso  della
cittadinanza dell'Unione, che va riconosciuta anche ai  cittadini  di
Paesi terzi. Sotto questo profilo si e' avviato il passaggio  da  una
fase  improntata  alla  salvaguardia  dei   diritti   dei   cittadini
dell'Unione ad una nuova fase caratterizzata anche dalla tutela della
persona in quanto  tale.  Il  punto  cruciale  riguarda  il  rapporto
intercorrente tra l'iniziativa dell'amministratore ed i  bisogni,  le
aspirazioni, gli interessi del beneficiario  straniero  ed  incapace;
nell'ipotesi di totale nonche' effettiva  incapacita'  di  formazione
della volonta' consapevole da  parte  dello  straniero  disabile,  la
privazione  tout  court  della  capacita'  di  agire   nell'esercizio
dell'acquisto della cittadinanza (in quanto atto personalissimo, come
tale  non  delegabile  in  via  surrogatoria  all'amministratore   di
sostegno),  appare  criticabile  almeno  per  un  duplice  ordine  di
ragioni:  in  primis,  tale  impostazione  lederebbe   la   legittima
aspettativa dello straniero a vedersi  riconosciuta  la  cittadinanza
italiana, stante il ricorso dei  requisiti  oggettivi  fissati  dalla
legge; in secundis,  si  affaccerebbe  il  rischio,  di  lasciare  lo
straniero isolato da quella trama di relazioni di cui, ai fini  dello
status civitatis, costituisce il principale centro di imputazione  di
interessi. 
    Come si vede, quindi, anche da questo punto di vista,  si  dubita
della legittimita' costituzionale della  trama  normativa  costituita
dalle disposizioni normative che impongono anche al disabile, che  ne
sia  impossibilitato  per  effetto  della   patologia   mentale   che
l'affligge, di prestare giuramento quale presupposto  per  l'acquisto
della cittadinanza.