LA CORTE DEI CONTI
Sezione giurisdizionale per la Regione Liguria
Il giudice unico consigliere Maria Riolo, ha pronunciato la
seguente ordinanza nel giudizio pensionistico iscritto al n. 19762
del registro di segreteria, proposto da Simonetti Francesco, nato il
7 febbraio 1949 a Taranto, rappresentato e difeso, anche
disgiuntamente, dagli avvocati Alba Giordano e Umberto Verdacchia,
del Foro di Roma, elettivamente domiciliato in Genova, via Assarotti
n. 4, int. 6/A, presso lo studio dell'avv. Federico Campanella,
contro il Ministero della difesa, avverso la nota M-D MCOMRM 0035815
del 31 luglio 2015 della Marina militare, Direzione di commissariato,
di determinazione della pensione, e avverso il diniego della stessa
Amministrazione sull'istanza di rideterminazione del trattamento
pensionistico sulla base della retribuzione corrispondente al grado
effettivamente rivestito alla data di cessazione dal servizio.
Udito nella pubblica udienza del 2016, per la parte ricorrente,
l'avv. Umberto Verdacchi.
Ritenuto in fatto
Il signor Simonetti Francesco, ufficiale della Marina militare,
cessato dal servizio per limiti di eta' a decorrere dall'8 febbraio
2014, e' stato collocato in ausiliaria dalla stessa data, ai sensi
degli articoli 886, comma 1, e 992, comma 1, del Codice
dell'ordinamento militare, decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66.
L'interessato, nel lamentare il rifiuto dell'Amministrazione
(intervenuto il 24 luglio 2015) avverso l'istanza di rideterminazione
della pensione (proposta il 4 giugno 2015), ha chiesto:
l'annullamento «in parte qua» del provvedimento di determinazione
della pensione provvisoria della Direzione di commissariato Marina
militare di Roma, nella parte in cui assume nella base pensionabile
lo stipendio e gli altri assegni pensionabili propri del grado di
ammiraglio ispettore, anziche' quelli propri del grado di ammiraglio
ispettore capo, indicando in € 58.589,32 annui lordi lo stipendio di
ammiraglio ispettore classe 7ª (considerato dall'Amministrazione
nella determinazione della pensione) e in € 65.798,89 annui lordi lo
stipendio di ammiraglio ispettore capo (classe 6ª), di cui alla
promozione conseguita il 30 agosto 2012;
l'accertamento del diritto all'attribuzione dello stipendio e del
trattamento economico propri del grado rivestito, per effetto della
progressione di carriera conseguita il 30 agosto 2012, ai fini della
determinazione della base contributiva e di calcolo della pensione,
con effetto dalla data di cessazione dal servizio (8 febbraio 2014)
o, quanto meno, dal 1° gennaio 2015, data, quest'ultima, a decorrere
dalla quale e' cessata la c.d. cristallizzazione delle progressioni
di carriera venute a maturazione negli anni 2011, 2012, 2013 e 2014;
in via subordinata, la rimessione alla Corte costituzionale della
questione di legittimita' costituzionale, per contrasto con gli
articoli 2, 3, 36, 38, e 53 della Costituzione, dell'art. 9, comma
21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010 n. 122
nella parte in cui stabilisce che «le progressioni di carriera
comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011,2012 e
2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente
giuridici»; dell'art. 16, comma 1 lett. b) del decreto-legge 6 luglio
2011 n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011 n. 111, che ha
successivamente prorogato il predetto termine all'anno 2014, qualora
dette norme siano interpretate nel senso di «cristallizzare», alla
data del 31 dicembre 2010, il trattamento economico utile ai fini
della determinazione della base pensionabile per i pubblici
dipendenti di cui all'art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001,
n. 165, cessati dal servizio, per eta', nel periodo del 1° gennaio
2011 al 31 dicembre 2014, i quali abbiano conseguito avanzamenti di
carriera nello stesso periodo.
Nell'atto introduttivo del giudizio e nella memoria pervenuta il
1° luglio 2016, i difensori del ricorrente nel chiedere
l'accoglimento del ricorso, hanno esposto:
che l'interessato e' cessato dal servizio nel periodo, compreso
tra il 1° gennaio 2011 ed il 31 dicembre 2014, di vigenza dell'art.
9, comma 21, terzo periodo del decreto-legge n. 78/2010, convertito
dalla legge n. 122/2010 e del regolamento, approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122, di attuazione
dell'art. 16, comma 1, del decreto-legge n. 98/2011, convertito dalla
legge n. 111/2011.
che allo stesso non e' stato attribuito il trattamento economico
del grado di ammiraglio ispettore capo, salvo il riconoscimento da
parte dell'Amministrazione dell'indennita' di posizione dirigenziale,
prevista dall'art. 1819 del decreto legislativo n. 66/2010;
che la pensione e' stata calcolata in relazione ad una base
pensionabile determinata sul trattamento economico spettante alla
data del 31 dicembre 2010, inferiore al grado rivestito
dall'interessato alla data di cessazione dal servizio.
Secondo la difesa la condotta dell'Amministrazione si fonda su
una erronea lettura dell'inciso «ai soli fini esclusivamente
giuridici» contenuto nel terzo periodo dell'art. 9, comma 21, del
decreto-legge n. 78/2010, perche' farebbe discendere dalla norma
effetti permanenti della cristallizzazione che la legge aveva
previsto, invece, in via temporanea e non definitiva. L'art. 9, comma
21, del decreto-legge n. 78/2010, secondo l'assunto difensivo, non
contiene disposizioni finalizzate ad incidere negativamente sul
trattamento pensionistico, per cui l'Amministrazione non avrebbe
dovuto tener conto di detta cristallizzazione ai tini della
determinazione del trattamento di quiescenza dei destinatari del
«blocco».
La determinazione del Ministero della difesa creerebbe una
disparita' di trattamento nell'ambito dei soggetti che, pur avendo
conseguito la promozione al grado superiore nello stesso arco
temporale (dal 2011 al 2014) di vigenza della «cristallizzazione»,
cessano dal servizio prima o dopo il 1° gennaio 2015 e piu'
chiaramente la disparita' di trattamento si verificherebbe a danno di
coloro che, cessando dal servizio entro il 31 dicembre 2014,
nonostante l'avvenuta promozione, non usufruiscono della
valorizzazione nella base pensionabile del trattamento economico
conseguito con la promozione stessa a differenza di quelli che
cessano dal servizio dal 1° gennaio 2015.
I difensori ritengono che il Ministero della difesa avrebbe
dovuto attraverso un'interpretazione diversa da quella data alle
norme di riferimento, rideterminare la pensione del ricorrente alla
cessazione del blocco, similmente a quanto disposto dal Ministero del
tesoro nei confronti del personale militare destinatario della norma
vincolistica a suo tempo dettata dall'art. 7, comma 3, del
decreto-legge n. 384/1992, convertito con modificazioni, dalla legge
n. 438/82, che per l'anno 1993 ha escluso l'applicazione delle norme
sugli incrementi retributivi. All'epoca il Ministero del tesoro con
apposita circolare dispose il ripristino dell'operativita' degli
incrementi a decorrere dal 1° gennaio 1994 e, a decorrere dalla
stessa data, la rideterminazione della base pensionabile del
trattamento di quiescenza spettante al personale cessato dal servizio
nel periodo inciso dall'art. 7 decreto-legge n. 384/1992.
La questione di legittimita' costituzionale, proposta in via
subordinata alla richiesta di accoglimento del ricorso secondo
l'interpretazione dianzi prospettata, e' stata motivata dai difensori
principalmente con il riferimento alla giurisprudenza della Corte
costituzionale (sent. n. 299/1993; sent. n. 245 del 1997; sent. n.
304 del 2013; sent. n. 310 del 2013; sent. n. 154 del 2014) assumendo
che le norme in questione ed altre analoghe sono state ritenute
costituzionalmente legittime in quanto aventi carattere eccezionale e
transeunte in ragione della temporaneita' del sacrificio imposto,
mentre, nella specie, per i soggetti che, come il ricorrente, sono
cessati prima del 1° gennaio 2015, il sacrificio derivante dal
«blocco» assumerebbe carattere permanente definitivo.
Con memoria pervenuta in data 6 luglio 2016, si e' costituito in
giudizio il Ministero della difesa Direzione generale della
previdenza militare e della leva.
L'amministrazione ha formulato, in via gradata, le seguenti
conclusioni:
difetto di giurisdizione in quanto trattasi sostanzialmente di
rilievi che involgono aspetti stipendiali seppure con riflessi
pensionistici;
inammissibilita' del ricorso in quanto proposto avverso un
provvedimento pensionistico provvisorio, mentre l'art. 62 del regio
decreto n. 1214/1934, prevede il ricorso alla competente sezione
della Corte dei conti avverso i provvedimenti definitivi di pensione;
rigetto del ricorso con salvezza di spese.
L'Amministrazione ha addotto la legittimita' del proprio operato
e richiamando l'art. 9, comma 21, del decreto-legge n. 78/2010, ha
esposto che nella determinazione della base pensionabile non si e'
potuto tenere conto della promozione al grado di ammiraglio ispettore
capo perche' la stessa e' stata conseguita nel periodo di blocco,
adducendo che la normativa attualmente vigente avrebbe consentito la
corresponsione all'interessato dell'indennita' di posizione correlata
alla progressione in carriera, mentre gli incrementi retributivi
derivanti dalla promozione riguarderebbero solo il personale in
servizio alla data del 1° gennaio 2015. L'Amministrazione ha
evidenziato anche che l'interessato percepisce l'indennita' di
ausiliaria determinata con riferimento al trattamento economico del
pari grado in servizio.
All'udienza del 13 luglio 2016 e' stata adottata ordinanza
istruttoria (n. 26/2016); il Ministero della difesa con nota
pervenuta il 4 novembre 2016 ha prodotto la documentazione richiesta
riguardante il conferimento del grado di ammiraglio ispettore capo al
signor Simonetti.
All'udienza del 18 novembre 2016, con sentenza parziale n.
109/2016, respingendo le eccezioni proposte dal Ministero della
difesa, e' stata affermata la giurisdizione della Corte dei conti, e'
stata dichiarata l'ammissibilita' del gravame e, ritenuta la non
manifesta infondatezza della questione di costituzionalita'
prospettata da parte ricorrente, e' stata disposta l'adozione di
separata ordinanza per la rimessione degli atti alla Corte
costituzionale.
Considerato in diritto
Il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n.
122, contenente «Misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitivita' economica», all'art. 9, comma 21, ha
stabilito: «I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale
non contrattualizzato di cui all'art. 3, del decreto legislativo 30
marzo 2001, n. 165, cosi' come previsti dall'art. 24 della legge 23
dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e
2013 ancorche' a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a
successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all'art. 3
del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive
modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione
automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili
ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio
previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'art.
3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive
modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate
eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto,
per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il
personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque
denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli
anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini
esclusivamente giuridici».
Le suddette misure sono state prorogate fino al 31 dicembre 2014
per effetto dell'art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6
luglio 2011, n. 98 (disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,
della legge 15 luglio 2011, n. 111, e del decreto del Presidente
della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122, art. 1, comma 1, lett. a),
contenente il regolamento di attuazione del decreto-legge n. 98/2011.
Il periodo di efficacia del blocco degli effetti economici
derivanti dalle progressioni di carriera si e' concluso al 31
dicembre 2014. La legge di stabilita' 23 dicembre 2014 n. 190,
infatti, all'art. 1, comma 256, ha previsto la proroga fino al 31
dicembre 2015, soltanto delle disposizioni recate dall'art. 9, comma
21, primo e secondo periodo, del decreto-legge n. 78/2010.
A decorrere dal 1° gennaio 2015 il personale in servizio ha
potuto godere degli emolumenti derivanti dalle progressioni di
carriera conseguite nel periodo del blocco, ossia negli anni 2011,
2012, 2013 e 2014.
Il ricorrente, quale ufficiale della Marina militare, ha
conseguito il grado di ammiraglio ispettore capo in data 30 agosto
2012 ed essendo cessato dal servizio per limiti di eta', alla data
del collocamento in ausiliaria (8 febbraio 2014) non era in godimento
dei benefici derivanti dalla stessa promozione.
Nei suoi confronti l'Amministrazione, facendo riferimento al
suddetto blocco degli effetti economici delle progressioni di
carriera (terzo periodo del comma 21 dell'art. 9, del decreto-legge
n. 78/2010), ha liquidato la pensione provvisoria i considerando, ai
fini della base pensionabile, la posizione retributiva corrispondente
al grado di «ammiraglio ispettore» anziche' quella di «ammiraglio
ispettore capo».
Di cio' si duole il ricorrente che chiede la valorizzazione in
quiescenza dei benefici economici pensionabili riferiti al grado di
«ammiraglio ispettore capo» a decorrere dalla data di cessazione dal
servizio (8 febbraio 2014), o dal 1° gennaio 2015, data di cessazione
del blocco in argomento.
In subordine, l'interessato eccepisce l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 9, comma 21, terzo periodo del decreto-legge
n. 78/2010 e dell'art. 16, comma 1 lett. b) del decreto-legge n.
98/2011 per contrasto con gli articoli 2, 3, 36, 38 e 53 della
Costituzione, assumendo che il mancato ragguaglio della pensione al
grado effettivamente rivestito per i soggetti cessati dal servizio
prima del 1° gennaio 2015 determina un vulnus permanente ed
insanabile.
Cio' premesso, la questione dedotta in giudizio verte sul quantum
del diritto a pensione. La pretesa del ricorrente di determinazione
della pensione sulla base della retribuzione corrispondente al grado
di ammiraglio ispettore capo non puo', tuttavia, essere accolta nel
vigente contesto normativo.
Alla data di cessazione dal servizio, infatti, era ancora vigente
il blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera, e
l'art. 9, comma 21, terzo periodo del decreto-legge n. 78/2010,
l'art. 16, comma 1, lett. b) del decreto-legge n. 98/2011 e l'art. l
, comma 1, lett. a), del decreto del Presidente della Repubblica n.
122/2013, non hanno previsto, per i' soggetti che sarebbero cessati
dal servizio durante il periodo del blocco stesso, la valorizzazione
in quiescenza dei benefici economici pensionabili derivanti dalle
conseguite progressioni.
Il trattamento stipendiale corrispondente alla progressione di
carriera conseguita «ai fini esclusivamente giuridici» nel periodo
del «blocco», non essendo entrato a far parte della base retributiva
e contributiva del ricorrente, non puo', in assenza di un'espressa
previsione in tal senso, entrare nel calcolo della base pensionabile
e nella determinazione del trattamento di quiescenza (su analoga
fattispecie, Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Piemonte, sent.
n. 195 del 7 giugno 2016).
Infatti, ai sensi dell'art. 1866 del codice dell'ordinamento
militare, decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e dell'art. 53 de
decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973 n. 1092, la
base pensionabile si determina con riferimento allo stipendio e agli
emolumenti retributivi pensionabili integralmente percepiti in
attivita' di servizio. Anche per effetto delle disposizioni in
materia di ampliamento della base contributiva e pensionabile
previste dall'art. 2, commi 9, 10 e 11 della legge 8 agosto 1995, n.
335, il trattamento di quiescenza va rapportato alla contribuzione
versata durante il rapporto lavorativo e quindi agli emolumenti
percepiti in servizio.
Il quadro normativo di riferimento, ad avviso del rimettente, non
consente interpretazioni dalle quali possa discendere l'accoglimento
del ricorso.
La questione di legittimita' costituzionale, proposta in via
subordinata, dal ricorrente, e', pertanto, rilevante, ai fini del
riconoscimento del diritto vantato davanti a questa Corte.
La questione stessa si appalesa non manifestamente infondata nei
limiti e per i motivi che seguono.
La penalizzazione subita dai soggetti cessati dal servizio nel
periodo del blocco discende direttamente dall'art. 9, comma 21, terzo
periodo, del decreto-legge n. 78/2010, dall'art. 16, comma 1, lett.
b) del decreto-legge n. 98/2011 e dall'art. 1, comma 1, lett. a), del
decreto del Presidente della Repubblica n. 122/2013, laddove, pur
introducendo un temporaneo e transeunte blocco degli effetti
economici delle progressioni di carriera, il legislatore non ha
considerato la posizione di coloro che sarebbero cessati dal servizio
prima della cessazione della «cristallizzazione economica»,
trascurando, in tal modo, che gli stessi avrebbero subito una
«vanificazione» della conseguita progressione di carriera, con
definitiva perdita della retribuzione discendente dalla progressione
stessa.
La mancata previsione della valorizzazione in quiescenza degli
emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni di carriera, a
far data dalla cessazione del regime di «blocco», determina il
contrasto della disciplina della «cristallizzazione» con l'art. 3
della Costituzione sotto il duplice aspetto della contrarieta' al
principio della ragionevolezza e al principio di uguaglianza.
Per quanto riguarda il primo aspetto, la disciplina si appalesa
irragionevole a causa degli effetti definitivi che si producono nei
confronti dei soggetti che, cessando dal servizio prima della
cessazione del «blocco», non possono godere, neanche ai fini
pensionistici, degli effetti economici delle conseguite promozioni.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 304 del 12 dicembre
2013, nel ritenere infondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 9, comma 21, terzo periodo, del
decreto-legge n. 78/2010, promossa dal TAR del Lazio, ha affermato,
con riferimento ad alcuni dei parametri che il rimettente riteneva
violati (art. 2 e art. 3), che «la misura adottata e' giustificata
dall'esigenza di assicurare la coerente attuazione della finalita' di
temporanea «cristallizzazione» del trattamento economico dei
dipendenti pubblici per inderogabili esigenze di contenimento della
spesa pubblica, realizzata con modalita' per certi versi simili a
quelle gia' giudicate da questa Corte non irrazionali ed arbitrarie
(sentenze n. 496 e n. 296 del 1993; ordinanza n. 263 del 2002), anche
in considerazione della limitazione temporale del sacrificio imposto
ai dipendenti (ordinanza n. 299 del 1999).»
Il blocco degli effetti economici della progressione di carriera,
mentre si appalesa ragionevole per il periodo della durata del blocco
stesso, in considerazione del carattere temporaneo e transeunte, come
ritenuto dalla Corte costituzionale con la predetta sentenza 304/2013
e con le successive pronunce (n. 310/2013; 113/2014, n. 154/2014),
non si giustifica e si appalesa, percio', discriminatorio nei
confronti dei soggetti cessati dal servizio prima del 1° gennaio
2015.
In linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale nelle
suddette pronunce, il rimettente ritiene che le norme sulla
«cristallizzazione» degli effetti economici della progressione di
carriera non possano superare il vaglio di ragionevolezza nei
confronti dei soggetti cessati dal servizio nel periodo del blocco.
Il sacrificio imposto ai soggetti in questione, non avendo
carattere temporaneo, va oltre la giustificata necessita' di risparmi
immediati per il contenimento della spesa pubblica e, quindi, va
oltre la insindacabile discrezionalita' del legislatore, sfociando in
una arbitraria, e comunque palesemente eccessiva e sproporzionata
solo per alcuni, compromissione degli interessi colpiti dalla
«cristallizzazione».
Tale ultima considerazione consente di introdurre il secondo
motivo di rilievo costituzionale, nel senso che l'evidenziato
«effetto definitivo» della misura del blocco, che si produce solo per
alcuni dei soggetti destinatari delle disposizioni de quibus, viola
l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della disparita' di
trattamento tra soggetti che, a parita' di qualifica e anzianita' di
servizio, conseguono la promozione nel periodo di cristallizzazione.
Alcuni di essi, rimasti in servizio, possono godere degli effetti
economici della progressione alla data di cessazione del blocco,
mentre altri, come il ricorrente, cessati dal servizio per limiti di
eta', non possono goderne neanche ai fini della determinazione della
base pensionabile. Tale disparita' di trattamento non si giustifica
per una diversita' delle situazioni raffrontate, posto che la diversa
eta' anagrafica o la sopravvenuta cessazione dal servizio non
rappresentano elementi distintivi a fronte di identiche situazioni
giuridiche caratterizzate dalla stessa anzianita' di servizio e
dall'avvenuto conseguimento della medesima progressione.
La disparita' di trattamento, inoltre, si manifesta con maggiore
evidente irrazionalita' tra soggetti che come il ricorrente
conseguono la progressione di carriera nel periodo di «blocco» e
cessano dal servizio nello stesso periodo e colleghi che raggiungono
lo stesso grado (o qualifica) dopo di loro e prima della cessazione
della «cristallizzazione». Questi ultimi, nonostante abbiano
conseguito la progressione di carriera successivamente ai primi,
avendo gli stessi una minore anzianita' di servizio, godranno,
tuttavia, per il solo fatto di essere anagraficamente piu' giovani,
dei benefici alla scadenza del blocco in quanto in servizio al 1°
gennaio 2015, mentre i primi, pur avendo conseguito la progressione
prima di loro e in possesso di una maggiore anzianita' di servizio,
non possono goderne neanche ai fini della determinazione della
pensione, trovandosi al 1° gennaio 2015 in posizione di quiescenza.
A sostegno della prospettata non manifesta infondatezza della
questione di costituzionalita' delle norme in argomento, nella parte
in cui non hanno regolato la posizione dei soggetti che sarebbero
cessati dal servizio nel periodo del blocco, giova richiamare la
pronuncia n. 304/2013 della Corte costituzionale, laddove, si legge
che «Nelle ordinanze da n. 243 a n. 246 del 2012, il rimettente
afferma, con riferimento alla ipotizzata violazione dell'art. 36
della Costituzione, che «la disposizione non regola la posizione di
coloro tra essi che, nominati Ministri plenipotenziari [o
«ambasciatori: ordinanza n. 246] nel considerato triennio 2011/2013,
saranno, nell'arco dello stesso periodo, collocati a riposo per
raggiunti limiti di eta'». Poiche' la questione non costituiva
oggetto dei giudizi principali, il rimettente formula la sopra
riportata considerazione, con la quale imputa al legislatore
un'omissione (quella cioe' di non aver regolato situazioni che
presentavano determinate peculiarita'), senza pero' farne,
correttamente, oggetto di una specifica richiesta atta a promuovere
su questo diverso aspetto il giudizio incidentale. Il punto, quindi,
esula dal presente procedimento».
Nel caso in esame, a differenza della fattispecie esaminata nella
predetta sentenza, la mancata regolamentazione degli effetti delle
promozioni ai fini pensionistici per i' soggetti che sarebbero
cessati dal servizio nel periodo del blocco, e' determinante e
rilevante, essendo questo giudice chiamato a decidere sul quantum del
trattamento di quiescenza di soggetto cessato dal servizio nel
periodo della cristallizzazione.