IL TRIBUNALE DI PALERMO
prima Sezione civile
Composto dai signori magistrati: dott.ssa Caterina Grimaldi Di
Terresena Presidente, dott. Michele Ruvolo giudice, dott. Giulio
Corsini giudice, dei quali il secondo relatore ed estensore, riunito
in camera di consiglio, ha emesso la seguente ordinanza nel corso del
procedimento iscritto al n. 14161/2016 R.G., tra A. G., nato a - ,
rappresentato e difeso in virtu' di procura in calce al ricorso
introduttivo del giudizio dagli avvocati Diego Vaiano, Francesco
Leone e Simona Fell ricorrente, contro l'Assemblea regionale
siciliana, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di
Palermo resistente, e R. F., nato a - , rappresentato e difeso in
virtu' di procura in calce alla comparsa di costituzione e di
risposta dall'avv. Antonio Liberto resistente e con l'intervento del
pubblico ministero interveniente necessario.
Oggetto: controversia in materia di eleggibilita', decadenza ed
incompatibilita' nelle elezioni regionali (art. 22 del decreto
legislativo 1° settembre 2011, n. 150).
Con ricorso del 25 luglio 2016, introduttivo del peculiare modulo
processuale delineato dall'art. 22 del decreto legislativo n.
150/2011 in materia di controversie elettorali, G. A. ha invocato la
declaratoria giudiziale di decadenza del resistente F. R.
dall'ufficio di deputato dell'Assemblea regionale siciliana nonche',
in via consequenziale, del diritto di subentrarvi in qualita' di
primo dei non eletti. Piu' specificatamente, il ricorrente ha
lamentato la mancata adozione da parte dell'organo legislativo
siciliano di un provvedimento (cfr. a tal proposito, documento n. 6
della produzione documentale di parte ricorrente) che sanzionasse
l'incompatibilita' di F. R. con la carica di deputato regionale in
conseguenza della sentenza definitiva n. 12 del 14 gennaio 2016,
emessa dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale d'appello della
Regione Siciliana (cfr. documenti n. 1 e n. 2 del fascicolo del
ricorrente), in virtu' della quale quest'ultimo, ritenuto
responsabile di aver cagionato - nella qualita' di legale
rappresentante di un ente strumentale operante nell'ambito della
formazione professionale siciliana - un ingente danno
all'amministrazione regionale, e' stato condannato al pagamento della
somma pari ad € 3.722.374,00. A tal fine l'odierno ricorrente, tenuto
conto che gli articoli 10-ter e 10-quater della legge regionale 20
marzo 1951, n. 29, nulla prevedono in ordine all'incompatibilita' con
l'ufficio di deputato regionale di colui il quale sia stato
dichiarato in via definitiva contabilmente responsabile per fatti
compiuti nella qualita' di amministratore ovvero impiegato
dell'amministrazione regionale e di enti da essa dipendenti o
vigilati e non abbia ancora estinto il relativo debito, ha messo in
dubbio la legittimita' costituzionale dell'evocato assetto normativo
- sotto i profili dell'irragionevolezza e della disparita' di
trattamento, in violazione degli articoli 3, 51 e 24 della
Costituzione - nella misura in cui esso si discosterebbe
ingiustificatamente non soltanto da quanto previsto in ambito
nazionale dall'art. 3, § 5 della legge 23 aprile 1981, n. 154, in
relazione alle cause di incompatibilita' con l'ufficio di consigliere
regionale, ma anche da quanto disposto dall'art. 10, § 5 della legge
regionale 25 giugno 1986, n. 31, con riferimento alle cause di
incompatibilita' con le cariche di consigliere provinciale, comunale
e di quartiere nell'ambito della Regione Siciliana.
Il resistente F. R. contestando analiticamente gli assunti
postulati da parte ricorrente, ha eccepito l'infondatezza di tutte le
domande nonche' della relativa questione di legittimita'
costituzionale degli articoli 10-ter e 10-quater della legge
regionale 20 marzo 1951, n. 29, sollevata dal sig. G. A., rimarcando
che la lacuna normativa censurata da quest'ultimo, lungi
dall'infliggere un insanabile vulnus al diritto di elettorato passivo
ed al suo crisma di sostanziale eguaglianza su tutto il territorio
nazionale, altro non rappresenterebbe che la scelta insindacabile del
legislatore siciliano di non voler prevedere alcuna causa di
incompatibilita' con la carica di deputato regionale per coloro i
quali siano stati condannati in sede contabile per fatti compiuti
nelle qualita' di amministratore ovvero l'impiegato
dell'amministrazione regionale e di enti da essa dipendenti o
vigilati e non abbiano ancora estinto - come nel caso dell'odierno
resistente F. R. - il relativo debito.
In rappresentanza dell'Assemblea regionale siciliana si e'
costituita l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo che,
affermando l'impraticabilita' di applicazioni delle norme elettorali
di tipo analogico-estensivo e contestando l'interesse ad agire del
ricorrente (il quale attualmente riveste la carica di deputato
regionale in virtu' di un provvedimento di sospensione a carico dello
stesso F. R. determinato da una condanna non ancora definitiva subita
da quest'ultimo in sede penale), ha chiesto il totale rigetto delle
domande e della questione di legittimita' costituzionale spiegate dal
ricorrente.
Sulla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale
degli articoli 10-ter e 10 quater della legge regionale 20 marzo
1951, n. 29, in relazione agli articoli 3, 51 e 122 della
Costituzione nonche' dell'art. 5 del regio decreto legislativo 15
maggio 194, n. 455 (Approvazione dillo statuto della Regione
Siciliana).
Secondo quanto previsto dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953,
n. 87, il giudice remittente e' tenuto in prima battuta a verificare
se la questione di legittimita' costituzionale portata al suo vaglio
sia rilevante per la risoluzione del giudizio in corso. Sotto questo
profilo si impone al giudice remittente di evidenziare il nesso di
strumentalita' tra la questione di legittimita' ed il giudizio a quo,
il che significa che a rilevare non e' tanto l'astratta possibilita'
che una legge possa rivelarsi incostituzionale quanto, invece, che il
giudizio principale non possa esser definito indipendentemente dalla
risoluzione della questione sollevata.
Con riferimento al giudizio in corso, invero, il Tribunale
ritiene che ricorso proposto dal ricorrente G. A. non possa essere
definito nei termini prospettati, considerato che la lamentata
mancata previsione da parte degni articoli 10-ter e 10-quater della
legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, della incompatibilita' con
l'ufficio di deputato regionale di coloro che siano stati condannati
in sede contabile rifrange una lacuna normativa insuscettibile di
interpretazioni di tipo analogico o estensivo.
Ed infatti, a tal riguardo e' appena sufficiente osservare che i
principi di stretta interpretazione e di tassativita' delle cause di
ineleggibilita' e di incompatibilita' che permeano la materia
elettorale (declinati in piu' occasioni dalla stessa giurisprudenza
costituzionale: cfr., ex multis Corte Cost., 23 marzo 2012, n. 67;
Corte Cost., 17 ottobre 2011, n. 277 e Corte Cost., 6 febbraio 2009,
n. 27) precludono a questo giudice remittente di poter addivenire
alla risoluzione del presente procedimento colmando in via analogica,
sullo sfondo di quanto previsto dall'art. 3, § 5, della legge 23
aprile 1981, n. 154, il vuoto legislativo riscontrabile nel tessuto
della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, cosi' come censurato da
parte ricorrente.
Peraltro, non puo' ritenersi condivisibile, anche nell'ottica
della rilevanza della questione di legittimita' sollevata nell'ambito
del presente giudizio, l'assunto dell'Avvocatura distrettuale dello
Stato di Palermo secondo il quale l'interesse a ricorrere dell'A.
sarebbe privo di consistenza giuridica. Se e' pur vero, difatti, che
l'odierno ricorrente riveste attualmente la carica di deputato
regionale a seguito della sospensione (prevista dal decreto
legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, cd. legge Severino) dello
stesso F. R. per una condanna - ancora non definitiva - riportata da
quest'ultimo in sede penale, e' comunque indubbio che la decadenza
invocata dall'A. si riconnette ad un provvedimento irrevocabile di
condanna emesso dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale
d'appello della Regione Siciliana, in data anteriore rispetto a
quello adottato nell'ottobre del 2016 dal Tribunale penale di Palermo
in forza del quale e' stata disposta la sospensione dell'odierno
resistente F. R. (cfr. verbale seduta d'aula n. 387 del 30
novembre-1° dicembre 2016, Assemblea regionale siciliana), e
costituisce peraltro un provvedimento ontologicamente differente
dalla predetta sospensione, la quale peraltro riveste carattere
temporaneo.
Cio' corrobora inequivocabilmente l'interesse ad agire del
ricorrente, nella misura in cui l'eventuale accoglimento della
domanda di decadenza del resistente F. R. consentirebbe all'A. di
subentrare nell'esercizio della carica elettiva sin dal gennaio 2016,
con tutto cio' che ne deriverebbe in termini consequenziali
relativamente alle prebende economiche che andrebbero a maturare.
Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita'
costituzionale degli articoli 10-ter e 10-quater della legge
regionale 20 marzo 1951, n. 29, in relazione agli articoli 3, 51 e
122 della Costituzione nonche' dell'art. 5 del regio decreto
legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della
Regione Siciliana).
Sul versante della non manifesta infondatezza, invece, il giudice
remittente e' chiamato a verificare che la questione di legittimita'
costituzionale sia munita almeno prima facie, di un minimo di
fondamento giuridico.
In altri termini, il sindacato giudiziale deve polarizzarsi sul
ragionevole dubbio che la disposizione normativa censurata possa
rivelarsi effettivamente lesiva del dettato costituzionale.
Inevitabile corollario di tale assunto e' rappresentato dall'obbligo
incombente sul giudice a quo di tentare di offrire una lettura
costituzionalmente conforme delle norme sospette di illegittimita'.
Soltanto ove il tentativo di interpretazione costituzionale orientata
fallisse, infatti, si rivelerebbe praticabile la rimessione della
questione alla Corte costituzionale.
Secondo la Corte costituzionale, invero, va dichiarata
inammissibile la questione di legittimita' costituzionale sollevata
dal rimettente quando questi trascuri di sperimentare la possibilita'
di dare alla disposizione censurata un'interpretazione
costituzionalmente orientata e di spiegare le ragioni che impediscono
di pervenire ad un risultato idoneo a superare i dubbi di
costituzionalita' (cfr. per tutte Corte Cost. nn. 230/2010; 190/2010;
190/2010; 189/2010; 154/2010; 110/2010).
Ora, con riferimento al giudizio a quo l'evocato tentativo di
interpretazione costituzionale orientata degli articoli 10-ter e
10-quater della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, non pare essere
consentito proprio dalla forza ermeneutica - gia' prospettata da
questo Tribunale sotto il profilo della rilevanza della questione di
legittimita' - dei principi di stretta interpretazione e di
tassativita' delle cause di incompatibilita' che pervadono la materia
elettorale (cfr. ancora Corte Cost., 23 marzo 2012, n. 67; Corte
Cost., 17 ottobre 2011, n. 277 e Corte Cost., 6 febbraio 2009, n.
27):
Precisato questo aspetto e considerato altresi' che il fatto
dedotto nel presente giudizio integra la fattispecie astratta delle
cause di incompatibilita' delineate dalla legge 23 aprile 1981, n.
154 (posto che risultano non revocabili in dubbio sia l'avvenuta
condanna definitiva in sede contabile del resistente F. R. la natura
strumentale dell'ente vigilato dalla Regione Siciliana del quale
quest'ultimo era legale rappresentate all'epoca dei fatti per cui e'
stata riconosciuta la sua responsabilita' amministrativa (1) ), il
Tribunale remittente dubita della legittimita' costituzionale degli
articoli 10-ter e 10-quater della legge regionale 20 marzo 1951, n.
29, in relazione agli articoli 3, 51, 122 della Costituzione nonche'
(alla stregua di parametro interposto) art. 5 del regio decreto
legislativo 15 maggio 1946, n. 455, nella parte in cui non prevedono
- a differenza di quanto invece, dispone in subiecta materia la
legislazione nazionale - l'incompatibilita' con l'ufficio di deputato
regionale di colui il quale, dichiarato in via definitiva
contabilmente responsabile per fatti compiuti nella qualita' di
amministratore ovvero impiegato dell'amministrazione regionale e di
enti da essa dipendenti o vigilati, non abbia ancora estinto il
relativo debito di natura risarcitoria.
Dalla disamina delle fonti statali e regionali in materia di
ineleggibilita' ed incompatibilita' con le cariche elettive si evince
che la descritta lacuna normativa desumibile dagli articoli 10-ter e
10-quater della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, costituisce un
«unicum» nella cornice ordinamentale della Repubblica. Invero,
prevedono una simile causa di incompatibilita' non soltanto, l'art.
3, § 5, della legge statale 23 aprile 1981, n. 154, in ambito
nazionale, ma anche, con riferimento alla normativa vigente nelle
regioni a statuto speciale, l'art. 5, lettera q), della legge
regionale 7 agosto 2007, n. 20, della Valle d'Aosta, l'art. 26,
lettera f), della legge regionale 7 marzo 2007 della Regione
Sardegna, l'art. 4, lettera h), della legge regionale 29 luglio 2004,
n. 21, della Regione Friuli-Venezia Giulia. Peraltro, come
opportunamente rimarcato dal ricorrente, l'art. 10, § 5, della legge
regionale 25 giugno 1986, n. 34, della Regione Siciliana contempla,
nel quadro ordinamentale autonomistico, la medesima causa di
incompatibilita' per danno contabile in relazione alle cariche di
consigliere comunale, provinciale o di quartiere.
Pare, quindi, del tutto evidente la situazione di assoluta
singolarita' conseguente alla mancata previsione, esclusivamente nel
territorio della Regione Sicilia e con riferimento ai soli
consiglieri regionali, di una causa di incompatibilita' invece
presente per tutti i consigli regionali delle regioni a statuto
ordinario, nonche' per i consigli regionali delle regioni (a statuto
speciale) Sardegna, Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e per i
consiglieri comunali, provinciali o di quartiere della stessa Regione
Sicilia.
La possibile disparita' di trattamento scaturente dal raffronto
tra il disposto legislativo siciliano e le menzionate disposizioni
statali e regionali non sembra poter superare lo scrutinio di
ragionevolezza condotto alla luce dell'art. 3 e, con precipuo
riguardo al tema dell'accesso alle cariche elettive dell'art. 51
della Costituzione.
A tal proposito e' opportuno rimarcare che la costante
giurisprudenza costituzionale predica che l'esercizio del potere
legislativo da parte delle regioni dotate di speciale autonomia
statutaria in materia elettorale deve inevitabilmente misurarsi con
il limite del rispetto del principia di eguaglianza sancito in
termini generali dall'art. 3 e, piu' specificamente, dall'art. 51
della Carta costituzionale. Piu' in particolare, e' stato affermato
che la disciplina regionale siciliana concernente l'accesso alle
cariche elettive deve estrinsecarsi nel rispetto del diritto di
elettorato passivo in condizioni di sostanziale uguaglianza su tutto
il territorio nazionale (cfr., in questi termini, Corte. Cost., 30
gennaio 1985, n. 20, e piu' recentemente, Corte Cost., 23 aprile
2010, n. 143).
Una diversificazione attuata nell'esercizio di una competenza
legislativa primaria (quale e' in materia elettorale quella della
Regione Siciliana) rispetto al panorama nazionale della disciplina
relativa cause di ineleggibilita' e di incompatibilita' e' stata
ritenuta ammissibile dalla giurisprudenza costituzionale soltanto
nelle ipotesi in cui ricorressero «peculiari condizioni locali»
congruamente e ragionevolmente apprezzate dal legislatore regionale
(Corte Cost., 25 luglio 1997, n. 276; il cui tenore motivazionale si
appunta, inoltre, sull'esigenza che tale diversificazione sia
finalizzata alla tutela di un interesse generale).
Inoltre, anche nella sentenza della Corte Cost. 23 aprile 2010,
n. 143, e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale di una
norma della Regione Siciliana nella parte in cui non prevedeva una
particolare incompatibilita' con l'ufficio di deputato regionale e
cio' in considerazione del fatto che nell'esercizio di una competenza
legislativa come quella prevista dallo statuto siciliano si possono
anche diversificare le cause di ineleggibilita' e incompatibilita',
ma occorre che cio' avvenga sulla base di «condizioni peculiari
locali», che quindi debbono essere congruamente ragionevolmente
apprezzati[e] dal legislatore siciliano (vedi anche le sentenze n. 84
del 1994 e n. 463 del 1992, relative a leggi della Regione Siciliana
ed a mancate previsioni di ipotesi di ineleggibilita', con cui la
Corte ha ritenuto che discipline differenziate sono legittime sul
piano costituzionale, solo se trovano ragionevole fondamento in
situazioni peculiari idonee a giustificare il trattamento
privilegiato riconosciuto dalle disposizioni censurate).
La circostanza che gli articoli 10-ter e 10-quater della legge
regionale 20 marzo 1951, n. 29, nulla prevedano in ordine
all'incompatibilita' con l'ufficio di deputato regionale di colui il
quale sia stato dichiarato in via definitiva contabilmente
responsabile per fatti compiuti nella qualita' di amministratore
ovvero impiegato dell'amministrazione regionale e di enti da essa
dipendenti o vigilati e non abbia ancora estinto il relativo debito,
ponendosi in controtendenza rispetto alla disciplina statale ed a
quella delle altre regioni a statuto speciale, non sembra essere
supportato da peculiari e ipotetiche condizioni del tessuto
politico-sociate siciliano. D'altra parte, la stessa giurisprudenza
costituzionale ha in piu' occasioni precisato che tali condizioni
possono al piu' rintracciarsi nell'esigenza di evitare che
l'esercizio della carica elettiva possa essere inquinata da indebite
influenze di matrice illecita e non anche per legittimare una mera
diversita' di disciplina, altrimenti lesiva dell'indefettibile
esigenza di uniformita' imposta dagli articoli 3 e 1 della
Costituzione (cfr., in quest'ottica, Corte Cost., 14 dicembre 1990,
n. 539).
Il fatto poi che una simile causa di incompatibilita' sia
prevista dallo stesso legislatore siciliano all'art. 10, § 5. della
legge 25 giugno 1986, n. 34, per i consiglieri comunali, provinciali
e di quartiere (in aderenza d'altra parte, a quanto contemplato
dall'art. 63, § 5 del decreto legislativo n. 267/2000) sembra
rafforzare l'irragionevolezza della dedotta disparita' di
trattamento, dal momento che l'esercizio della carica di deputato
regionale, anche in un'ottica sistematica, presuppone sicuramente un
requisito di onorabilita' almeno analogo a quello dei consiglieri
comunali, provinciali o di quartiere.
Ne', a parere del Tribunale, potrebbe obiettarsi che la lacuna
normativa emergente dalla lettura degli articoli 10-ter e 10-quater
della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, sia giustificabile
attingendo all'argomento a contrario compendiato nel brocardo ubi lex
vuluit, dixit: ubi noluit tacuit. E' pur vero, difatti, che l'art. 3
dello statuto della Regione Siciliana attribuisce al legislatore
locale potesta' legislativa primaria il cui unico limite e'
costituito dal rispetto della Costituzione e dei principi
fondamentali dell'ordinamento repubblicano, ma e' altrettanto
inconfutabile che questo stesso limite, alla luce di quanto appena
esposto, debba ritenersi violato laddove non venga rispettato il
diritto di elettorato passivo in condizioni di sostanziale
uguaglianza su tutto il territorio nazionale.
La mancata previsione da parte del legislatore regionale della
causa di incompatibilita' con l'ufficio di deputato regionale di
colui il quale sia stato dichiarato in via definitiva contabilmente
responsabile per fatti compiuti nella qualita' di amministratore
ovvero impiegato dell'amministrazione regionale e di enti da essa
dipendenti o vigilati e non abbia ancora estinto il relativo debito
verrebbe, dunque, a porsi in contrasto anche con l'art. 122 della
Costituzione, in quanto la potesta' legislativa di natura primaria
sarebbe stata esercitata in spregio ad un principio fondamentale,
dell'ordinamento repubblicano, quale e' quello della, sostanziale
eguaglianza (in assenza di peculiari condizioni che giustifichino una
diversa disciplina) del diritto di elettorato passivo.
A tal riguardo va peraltro puntualizzata che la stessa Corte
costituzionale nel dichiarare costituzionale della citata legge
regionale 20 marzo 1951, n. 29, nella parte in cui non prevedeva
l'incompatibilita' tra l'ufficio di deputato regionale e la
sopravvenuta carica di sindaco e assessore di un comune compreso nel
territorio della regione con popolazione superiore a ventimila
abitanti (in virtu' dell'applicazione della regola del cd.
parallelismo tra cause di ineleggibilita' e cause di
incompatibilita'), ha affermato che il riconoscimento di tali limiti
non equivale certo a disconoscere la potesta' legislativa primaria di
cui e' titolare la Regione Siciliana, ma concorre semmai a tutelare
il fondamentale diritto di elettorato passivo, che, rivelandosi
intangibile nel suo contenuto di valore, deve essere disciplinato
senza generare discriminazioni sostanziali tra cittadino e'
cittadino, qualunque sia la regione o il luogo di appartenenza (cfr.,
in tale prospettiva, Corte Cost., 23 aprile 2010, n. 143).
E del resto, persino la piu' attenta dottrina non ha mancato di
evidenziare che le pronunce di legittimita' costituzionale aventi ad
oggetto lo statuto e le leggi emanate dalla Regione Siciliana
dovrebbero caratterizzarsi per la ricerca di elementi di unita' e di
uniformita', particolarmente pregnanti in materia elettorale, a
scapito delle piu' accentuate forme di differenziazione scaturenti
dall'esercizio dell'autonomia statutaria. In altri termini, in
assenza delle evocate condizioni peculiari della realta' locale che
giustifichino una disciplina delle cause di incompatibilita' con
l'ufficio di deputato regionale diversa rispetto a quella statale, e'
piu' che concreto il rischio che l'attuale assetto della legge
regionale 20 marzo 1951, n. 29 (con riferimento agli articoli 10-ter
e 10-quater) violi le disposizioni costituzionali assunte a parametro
di giudizio.
Violazione che questo giudice remittente ritiene possa essere
superata attraverso la dichiarazione di illegittimita' degli articoli
10-ter e 10-quater della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, nella
parte in cui in cui prevedono l'incompatibilita' con la carica di
deputato regionale di colui il quale sia stato dichiarato in via
definitiva contabilmente responsabile per fatti compiuti nella
qualita' di amministratore ovvero impiegato dell'amministrazione
regionale e di enti da essa dipendenti o vigilati e non abbia ancora
estinto il relativo debito.
(1) I Centri interaziendali per l'addestramento professionale
nell'industria (C.I.A.P.I.) sono, infatti, enti strumentali
dell'amministrazione regionale che, ancorche' assumano
l'etichetta tipologica delle associazioni privatistiche si
rivelano in chiave sostanziale persone giuridiche gravitatiti
nella monade pubblicistica, in quanto dalla stessa direttamente
controllate, vigilate nonche' finanziariamente sostenute. Cio' si
ricava agevolmente anche dalla lettura della legge regionale n.
25 del 6 marzo 1976, che prevede interventi del Presidente della
Regione Siciliana e di regionali nella nomina del Presidente e
dei componenti del consiglio di amministrazione e dei collegi dei
revisori e nelle variazioni alle dotazioni risultanti dalle
tabelle organiche.