IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA TOSCANA 
                           (Sezione Terza) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 1400 del 2016, proposto da: 
        Patrizia  Mugnaioni,  rappresentata  e  difesa  dall'avvocato
Flavia Pozzolini, con  domicilio  eletto  presso  il  suo  studio  in
Firenze, via XX Settembre, n. 60; 
    Contro  Comune  di  Campi  Bisenzio,  in   persona   del   legale
rappresentante pro  tempore,  rappresentato  e  difeso  dall'avvocato
Giovanni Genta, con domicilio eletto presso il suo studio in Firenze,
via dei della Robbia, n. 66; 
    nei confronti di Emanuele Campani, rappresentato e  difeso  dagli
avvocati Leonardo Bianchini, Francesco Bacci,  con  domicilio  eletto
presso lo  studio  Leonardo  Bianchini  in  Firenze,  viale  Spartaco
Lavagnini, n. 42; 
    Per l'accertamento: 
    (in tesi): della  inefficacia  della  SCIA  presentata  dal  sig.
Emanuele Campani al Comune di Campi Bisenzio in data 6 dicembre 2012; 
    (in ipotesi): della illegittimita'  dell'intervento  edilizio  di
cui alla suddetta SCIA quanto alla prevista apertura di finestra; 
    (in ulteriore ipotesi): dell'obbligo del Comune di Campi Bisenzio
di pronunciarsi espressamente  sull'istanza  di  verifica  presentata
dalla ricorrente in data 14 settembre 2016, nonche' sulle  precedenti
istanze indicate in atti. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio  di  Comune  di  Campi
Bisenzio e di Emanuele Campani; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 marzo 2017 il  dott.
Riccardo Giani e uditi per le parti i difensori come specificato  nel
verbale; 
    1 - Con ricorso notificato in data 23 ottobre 2016  e  depositato
il successivo 2  novembre  2016,  la  sig.ra  Patrizia  Mugnaioni  e'
insorta avverso il silenzio serbato  dal  Comune  di  Campi  Bisenzio
sull'istanza di inibitoria da essa presentata in  data  14  settembre
2016 avverso la SCIA del 6 dicembre 2012, con cui  il  sig.  Emanuele
Campani ha comunicato al suddetto ente l'intenzione  di  procedere  a
lavori di manutenzione  straordinaria  (tra  cui  l'apertura  di  una
finestra) sull'immobile in cui e' compresa (anche) l'abitazione della
ricorrente. 
    1.1 - Piu' in particolare la SCIA edilizia per cui e' causa ha ad
oggetto la realizzazione di  alcune  «opere  interne  ed  esterne  di
manutenzione straordinaria»  in  un  fabbricato  terratetto,  facente
parte  di  un  piu'  ampio  complesso   immobiliare,   poi   divenuto
condominio, sito in Campi Bisenzio, alla Via degli Allori, n. 79.  In
particolare, gli interventi  progettati  dal  segnalante  consistono:
nell'apertura di una finestra a servizio di camera da letto posta  al
piano primo dell'edificio; nella demolizione di un  tramezzo  interno
del sottoscala; nella diversa conformazione dei  gradini  di  accesso
all'abitazione; ed, infine, nella  copertura  dell'ingresso  con  una
tettoia di modeste dimensioni. Di queste opere, e'  stata  portata  a
compimento soltanto la finestra, posto che,  a  seguito  dell'istanza
rivolta dall'assemblea del condominio di Via degli Allori  al  Comune
di Campi Bisenzio, e diretta a conseguire la sospensione dei predetti
lavori  per  asserito  contrasto  dei  medesimi  con  l'art.  3   del
regolamento condominiale, l'Ente, con ordinanza n. 4 del  14  gennaio
2013, ne ha disposto l'immediata sospensione. 
    1.2 - In data 12 novembre 2015 la  sig.ra  Mugnaioni  ha  inviato
all'amministrazione una richiesta di «parere sulla legittimita' degli
atti e delle procedure promosse con la SCIA» della quale si  discute,
cui - in assenza di risposta da parte del  Comune  -  e'  seguito  un
primo sollecito del 16 dicembre 2015,  poi  reiterato  il  12  aprile
2016. Tutte e tre le richieste sono  rimaste  inevase,  cosicche'  la
Sig.ra Patrizia Mugnaioni, con nota del 23 giugno 2016,  ha  dapprima
invitato l'amministrazione  ad  accertare  l'inefficacia  della  SCIA
presentata  dal  Sig.  Emanuele  Campani  e  ad  adottare   tutti   i
conseguenti  provvedimenti  sanzionatori  diretti  alla  rimessa   in
pristino dell'edificio e poi, con ulteriore istanza del 14  settembre
2016, proposta ai sensi dell'art. 19, comma  6-ter,  della  legge  n.
241/1990, ha nuovamente sollecitato l'Ente a svolgere le verifiche ad
esso spettanti. Il silenzio  serbato  dall'amministrazione  anche  su
tale ultima istanza ha condotto  alla  proposizione  da  parte  della
Sig.ra Patrizia Mugnaioni del ricorso in  esame,  proposto  ai  sensi
dell'art. 31 c.p.a. 
    1.3 - Nello specifico la sig.ra Mugnaioni rileva che la  suddetta
SCIA e' stata presentata dal sig. Campani senza  previa  acquisizione
del  nullaosta  previsto  dall'art.  3.2.  del  regolamento  edilizio
comunale per gli interventi su immobili di interesse «documentale» ai
sensi del decreto legislativo n. 490/1999 - quale sarebbe  l'edificio
de quo - con conseguente  inefficacia  della  segnalazione  ai  sensi
dell'art. 84 legge regionale n. 1/2005.  Essa  censura,  inoltre,  il
contrasto  con  l'art.  3.2.2.  del  suddetto  regolamento,   poiche'
quest'ultimo stabilisce che su immobili del tipo in  questione  siano
eseguibili   soltanto   interventi   ripristinatori    di    aperture
preesistenti, mentre il  sig.  Campani  ha  realizzato  ex  novo  una
finestra. In  via  preventiva  rispetto  a  possibili  eccezioni,  la
ricorrente ha  evidenziato  che  il  gravame  dalla  stessa  proposto
risulterebbe tempestivo, poiche'  l'art.  19  comma  6-ter  legge  n.
241/90, non prevedendo alcun termine per la proposizione dell'istanza
di inibitoria di una  SCIA  da  parte  del  terzo  controinteressato,
consentirebbe a quest'ultimo di sollecitare  l'intervento  repressivo
dell'Amministrazione nonche' - ove questa non provveda - di  proporre
l'azione di cui all'art. 31 c.p.a. senza alcun limite  di  tempo  (ad
eccezione dell'ordinario termine di prescrizione decennale). A fronte
delle suesposte  argomentazioni,  la  sig.ra  Mugnaioni  ha  concluso
affinche' l'adito Tribunale amministrativo: 
    a) in tesi, accerti e dichiari «che la SCIA presentata  dal  sig.
Emanuele Campani al Comune di Campi Bisenzio in data 6 dicembre  2012
e' inefficace» e per l'effetto  accerti  e  dichiari  «l'obbligo  del
Comune di Campi Bisenzio di  adottare  i  provvedimenti  necessari  a
sanzionare le opere eseguite in assenza di titolo abilitativo»; 
    b) in ipotesi, accerti e dichiari «che l'intervento di  cui  alla
SCIA presentata dal sig. Emanuele Campani...  e'  illegittimo  quanto
alla apertura della finestra» e, per l'effetto,  accerti  e  dichiari
«l'obbligo del Comune di Campi Bisenzio di adottare  i  provvedimenti
necessari a sanzionare detto abuso mediante chiusura  della  finestra
suddetta»; 
    c) in ulteriore ipotesi, dichiari «l'obbligo del Comune di  Campi
Bisenzio  di  pronunciarsi  espressamente  sull'istanza  di  verifica
presentata dalla ricorrente in data 14 settembre 2016, nonche'  sulle
precedenti istanze presentate in atti». 
    1.4 - Si sono costituti in giudizio, per resistere al ricorso, il
Comune di Campi Bisenzio e il controinteressato, che  hanno  eccepito
la tardivita' del gravame,  per  tardiva  sollecitazione  dei  poteri
inibitori da parte del terzo, la  inammissibilita'  delle  azioni  di
accertamento e, per  quanto  concerne  l'Amministrazione  resistente,
anche la inammissibilita' del ricorso per carenza  di  legittimazione
di parte ricorrente. 
    1.5 - Con ordinanza n. 141 del 2017 la Sezione ha evidenziato che
con il presente ricorso  parte  ricorrente  ha  invero  proposto  una
pluralita' di azioni, volte sia  all'accertamento  della  inefficacia
della SCIA presentata  dal  controinteressato,  sia  all'accertamento
della illegittimita' dell'intervento edilizio segnalato, sia, infine,
all'accertamento della sussistenza dell'obbligo  dell'Amministrazione
di pronunciarsi sull'istanza di verifica presentata dalla  ricorrente
in relazione alla SCIA medesima, concludendo che solo l'ultima azione
fosse trattabile con il rito camerale di cui all'art. 31 c.p.a. e che
fosse quindi necessario, ai sensi dell'art. 32  c.p.a.,  disporre  la
congiunta trattazione delle piu' domande proposte con rito ordinario,
a tal uopo fissando l'udienza pubblica a cio' deputata. 
    1.6 - In esito alla svolta udienza  pubblica,  con  sentenza  non
definitiva n. 618 del 2017 il Collegio: a) ha  esaminato  e  respinto
l'eccezione di inammissibilita' dell'intero gravame  per  difetto  di
legittimazione attiva, evidenziando come nella  specie  sussistano  i
presupposti  della  c.d.  vicinitas,  quale  peculiare   fattore   di
legittimazione all'azione giurisdizionale  amministrativa,  in  forza
del quale chi si trova in un rapporto di contiguita' spaziale con  un
particolare luogo puo' contestare i  provvedimenti  che  in  concreto
autorizzino la realizzazione di opere o  impianti  atti  ad  incidere
sulla sua configurazione; b) ha esaminato e dichiarato  inammissibili
le due prime  azioni  di  accertamento  dispiegate  dalla  ricorrente
nell'atto  introduttivo  del  giudizio,  stante  il  chiaro  disposto
dell'art. 19, comma 6-ter, legge n. 241/90 a  mente  del  quale  «gli
interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti
all'amministrazione e, in caso di  inerzia,  esperire  esclusivamente
l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2
luglio 2010, n. 104», con l'effetto che l'unica azione esperibile dal
terzo e' l'azione sul silenzio di  cui  all'art.  31  c.p.a.;  c)  ha
avviato lo scrutinio dell'azione di cui all'art. 31 c.p.a.,  proposta
in via  di  ulteriore  ipotesi  dalla  sig.ra  Mugnaioni,  esaminando
l'eccezione di tardivita' della sollecitazione da parte del terzo del
potere inibitorio  della  pubblica  amministrazione;  nella  suddetta
sentenza non definitiva la Sezione e'  giunta  alla  conclusione  che
l'art. 19 legge n. 241/90 non indichi un termine entro  il  quale  il
terzo e' chiamato, a pena di decadenza, a  sollecitare  le  verifiche
amministrative relative alla SCIA presentata e che un simile  termine
non sia ricavabile dal sistema, giacche' i termini di cui all'art. 29
e 31 c.p.a., evocati dalle parti  resistenti,  hanno  natura  affatto
diversa e non sono quindi richiamabili in via analogica  per  coprire
il segnalato vuoto normativo; la Sezione ha  quindi  evidenziato  che
tutto cio' porterebbe al risultato di ritenere infondata  l'eccezione
di tardivita' formulata dai resistenti, per mancanza  di  un  termine
legale  sul  quale  parametrare  la  tempestivita'   o   meno   della
sollecitazione del potere di verifica  effettuata  dalla  ricorrente;
tuttavia la  Sezione  medesima  ha  infine  posto  in  evidenza  come
l'evocato art. 19, comma 6-ter, legge n. 241/90, nella misura in  cui
non prevede un termine entro il quale  il  terzo  e'  legittimato  ad
esercitare il potere sollecitatorio  delle  verifiche  amministrative
previsto dalla stessa  disposizione,  risulti  in  contrasto  con  le
disposizioni costituzionali di  cui  agli  articoli  11,  117,  primo
comma, 3, 97, 117, secondo comma, lettera m) Cost.,  anticipando  che
con separata ordinanza avrebbe provveduto a rimettere la  evidenziata
questione di legittimita' costituzionale alla Corte costituzionale. 
    2 - E' necessario richiamare,  preliminarmente,  l'insieme  delle
norme  attualmente  regolanti  l'istituto   della   SCIA   e   quindi
ripercorrere     i     passaggi     fondamentali      dell'evoluzione
giurisprudenziale riguardante la tutela del  terzo  controinteressato
rispetto all'attivita' oggetto di segnalazione. 
    3 - Com'e' noto, l'art. 19 della legge n.  241/1990  consente  al
privato  di  avviare,  mediante   semplice   SCIA,   l'esercizio   di
un'attivita'  che  dipende   «esclusivamente   dall'accertamento   di
requisiti  e  presupposti   richiesti   dalla   legge   o   da   atti
amministrativi a contenuto generale» e per la quale «non sia previsto
alcun limite o  contingente  complessivo  o  specifici  strumenti  di
programmazione settoriale» (comma 1). 
    Ai sensi di tale norma, l'attivita' oggetto di SCIA «puo'  essere
iniziata...  dalla  data  della  presentazione   della   segnalazione
all'amministrazione  competente»  (comma  2),  salvo  il  potere   di
quest'ultima di verificare  successivamente  l'effettiva  sussistenza
dei presupposti per lo svolgimento dell'attivita' medesima. 
    A tal proposito, l'art. 19, comma 3 (come modificato dalla  legge
n. 124/2015) prevede che, in caso di accertata carenza  dei  suddetti
presupposti, l'Amministrazione possa adottare «motivati provvedimenti
di divieto  di  prosecuzione  dell'attivita'  e  di  rimozione  degli
eventuali effetti dannosi» nonche' - ove  possibili  -  provvedimenti
diretti alla conformazione  dell'attivita'  ai  requisiti  di  legge,
purche' proceda in tal senso entro sessanta  giorni  dal  ricevimento
della segnalazione certificata del privato (comma  3)  ovvero  trenta
giorni  «nei  casi  di  SCIA  in  materia  edilizia»  (comma   6-bis,
introdotto dall'art. 5, comma  2,  lettera  b  del  decreto-legge  n.
70/2011). 
    Viceversa,   una    volta    decorsi    i    suddetti    termini,
«l'amministrazione  competente  adotta   comunque   i   provvedimenti
previsti dal medesimo comma  3  (ma  in  tal  caso)  alle  condizioni
previste dall'art. 21-nonies», che -  com'e'  noto  -  disciplina  il
potere di annullamento in autotutela  dei  provvedimenti  illegittimi
(cfr. art. 19, comma 4). 
    4 - Le sopra citate norme  fissano  i  tratti  significativi  del
potere di verifica ufficioso spettante all'amministrazione a  seguito
della presentazione di una SCIA. Da esse si evince,  in  particolare,
che tale potere assume natura diversa a seconda che venga  esercitato
prima o dopo il decorso dei suddetti termini  di  sessanta  o  trenta
giorni. 
    Invero, nel primo caso, l'amministrazione e' tenuta semplicemente
ad accertare la sussistenza o meno dei presupposti di  legge  per  lo
svolgimento dell'attivita' segnalata e, pertanto, i poteri repressivi
ad essa spettanti sulla SCIA assumono carattere doveroso e vincolato. 
    Viceversa, una  volta  scaduti  i  suddetti  termini,  il  potere
dell'amministrazione di inibire gli effetti della SCIA resta soggetto
agli stessi  presupposti  previsti  dalla  legge  per  l'annullamento
d'ufficio, tra cui -  com'e'  noto  -  rientra  l'obbligo  di  previa
valutazione delle «ragioni di interesse pubblico» giustificative  del
provvedimento repressivo. Ne deriva che,  in  quest'ultimo  caso,  il
potere   dell'amministrazione   di    interdire    la    prosecuzione
dell'attivita' segnalata ha natura discrezionale e non doverosa. 
    5 - In tale quadro, si inserisce il tema della tutela  del  terzo
pregiudicato dall'intervento oggetto di SCIA, il quale ha  costituito
oggetto di un serrato  dibattito  giurisprudenziale  negli  anni  che
hanno preceduto l'emanazione del decreto-legge n. 138/2011. 
    5.1 - Invero, ancor prima dell'introduzione  (ad  opera  di  tale
decreto-legge)  del  comma  6-ter  dell'art.  19  -   il   quale   ha
espressamente disciplinato il potere di reazione del terzo  a  fronte
di una SCIA ritenuta illegittima - la giurisprudenza era suddivisa in
piu' orientamenti. 
    Il primo, assumendo  che  il  mancato  esercizio  del  potere  di
verifica dell'Amministrazione desse luogo ad un provvedimento  tacito
di assenso all'attivita' segnalata, riteneva che  il  terzo  leso  da
tale attivita' potesse esercitare l'ordinaria azione di  annullamento
avverso il suddetto titolo tacito (Cons. Stato, Sez. IV, 25  novembre
2008, n. 5811; id., 29 luglio 2008, n. 3742; id., 12 settembre  2007,
n. 4828: Cons. Stato, Sez. VI, 5 aprile 2007, n. 1550). 
    Un secondo orientamento stabiliva che il  terzo  pregiudicato  da
una SCIA dovesse proporre  un'azione  di  accertamento  negativo  dei
presupposti  dell'attivita'  segnalata.  Azione  che  -  in  caso  di
accoglimento - avrebbe obbligato l'Amministrazione a  conformarsi  ai
contenuti della pronuncia giudiziale  nel  successivo  esercizio  dei
poteri repressivi (Cons. St., sez. VI, 9 marzo  2009,  n.  717;  Con.
Stato, Sez. VI, 15 aprile 2010, n. 2139; Consiglio di Stato, sez. IV,
12 novembre 2015, n. 5161). 
    Infine, un'ulteriore filone  giurisprudenziale  reputava  che  lo
strumento appropriato per assicurare protezione  giuridica  al  terzo
fosse l'azione (originariamente disciplinata dall'art.  21-bis  della
legge  n.  1034/1971,  ossia  quella)  avverso  il  silenzio  serbato
dall'amministrazione  nel  procedimento  di  verifica  ufficiosa  dei
presupposti della SCIA. Azione che, qualora accolta dal giudice  dopo
la scadenza  dei  termini  di  cui  all'art.  19,  comma  3,  avrebbe
comportato   -    secondo    certe    pronunce    -    la    condanna
dell'Amministrazione  ad  esercitare  il  potere  inibitorio   avente
carattere doveroso e vincolato (Cons.  Stato,  Sez.  V,  22  febbraio
2007,  n.  948);  viceversa  -  secondo  altri  arresti  -   l'ordine
all'amministrazione stessa di attivare l'autotutela decisoria (avente
invece contenuto discrezionale: Cons. Stato,  Sez.  IV,  4  settembre
2002, n. 4453). 
    5.2 - I suesposti contrasti giurisprudenziali sono stati in parte
(e solo temporaneamente) sanati dalla sentenza dell'Adunanza Plenaria
del Consiglio di Stato del  29  luglio  2011,  n.  15,  la  quale  ha
stabilito: 
    a) che la scadenza dei termini di cui  all'art.  19,  commi  3  e
6-bis,  senza  che  l'amministrazione  abbia  esercitato   i   poteri
inibitori di cui alle medesime norme, da' luogo  alla  formazione  di
una determinazione tacita di conclusione  negativa  dell'accertamento
in ordine ad eventuali vizi della segnalazione nonche' di diniego  di
esercizio delle suddette potesta' repressive; con  conseguente  onere
per il terzo controinteressato di proporre avverso tale provvedimento
l'azione di  annullamento  entro  l'ordinario  termine  decadenziale,
termine che, secondo la Plenaria, decorre  dalla  data  di  acquisita
conoscenza, da parte del  terzo  medesimo,  dell'iniziativa  per  lui
pregiudizievole; 
    b) che il  controinteressato  che  abbia  impugnato  il  silenzio
negativo, benche' siano scaduti i termini per l'adozione dei suddetti
provvedimenti  inibitori,  ha  comunque  diritto  «ad  ottenere   una
pronuncia che impedisca lo svolgimento  di  un'attivita'  illegittima
mediante un  precetto  giudiziario  puntuale  e  vincolante  che  non
subisca  l'intermediazione  aleatoria  dell'esercizio  di  un  potere
discrezionale»; percio' egli  puo'  sempre  proporre,  congiuntamente
all'azione di annullamento del diniego  tacito,  la  c.d.  azione  di
adempimento,   tesa   ad   ottenere   una   pronuncia   che   imponga
all'amministrazione l'adozione del  negato  provvedimento  inibitorio
ove non vi siano spazi per  la  regolarizzazione  della  denuncia  ai
sensi del comma 3 dell'art. 19 della legge n. 241/1990»; 
    c) infine che, nelle more della formazione del titolo tacito,  il
terzo che  abbia  avuto  conoscenza  dell'iniziativa  segnalata  puo'
proporre  un'azione  di  accertamento   autonoma   in   ordine   alla
legittimita' o meno della SCIA (azione  suscettibile  di  conversione
automatica in mezzo impugnatorio  in  caso  di  emanazione  dell'atto
conclusivo del procedimento di verifica)  nonche',  congiuntamente  a
tale azione, chiedere la tutela interinale di cui agli articoli 55  e
61 c.p.a. 
    5.3  -  Gli  assunti   fatti   propri   dall'autorevole   arresto
giurisprudenziale richiamato sono stati  (pressoche'  immediatamente)
superati con l'introduzione (ad opera dell'art. 6, comma 1, lettera c
del decreto-legge n. 138/2011) del comma 6-ter dell'art. 19, legge n.
241/1990, il quale disciplina espressamente gli strumenti  di  tutela
del terzo a fronte della segnalazione  di  un'attivita'  privata  per
esso lesiva. 
    Tale norma ha anzitutto previsto che «la segnalazione certificata
di inizio  attivita',  la  denuncia  e  la  dichiarazione  di  inizio
attivita'  non  costituiscono   provvedimenti   taciti   direttamente
impugnabili». 
    In secondo luogo, il citato comma 6-ter ha precisato che, al fine
di contestare la sussistenza dei presupposti dell'attivita' segnalata
da altro soggetto, il terzo ha facolta': 
    a)  di  «sollecitare  l'esercizio   delle   verifiche   spettanti
all'amministrazione»; 
    b)  di  «esperire  -  in  caso  di  inerzia  di  quest'ultima   -
esclusivamente l'azione di cui all'art.  31,  commi  1,  2  e  3  del
decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104». 
    In altri termini,  il  nuovo  testo  dell'art.  19,  comma  6-ter
obbliga il privato che intenda  contrastare  l'attivita'  oggetto  di
SCIA a sollecitare  in  via  amministrativa  l'intervento  repressivo
dell'Ente pubblico e, in caso di mancata risposta di quest'ultimo,  a
ricorrere in sede giurisdizionale avverso il  silenzio  dallo  stesso
serbato. 
    La citata previsione esclude quindi radicalmente l'ammissibilita'
- nell'attuale quadro normativo - degli strumenti  di  tutela  a  suo
tempo riconosciuti dalla sentenza n. 15/2011  dell'Adunanza  Plenaria
al soggetto pregiudicato dall'altrui segnalazione. 
    Tanto si evince, in primo luogo, dall'affermazione  per  cui  «la
segnalazione certificata  di  inizio  attivita',  la  denuncia  e  la
dichiarazione di inizio  attivita'  non  costituiscono  provvedimenti
taciti direttamente impugnabili». Cio' che, evidentemente, nel  nuovo
contesto  disciplinare,  manifesta  l'intento  del   legislatore   di
escludere  che  l'inerzia  dell'Amministrazione   nell'attivita'   di
verifica   abbia   il   valore   di   silenzio    significativo    e,
conseguentemente, di espungere l'azione di  annullamento  dal  quadro
delle  tutele  spettanti  al  terzo  avverso  l'altrui   segnalazione
certificata. 
    In secondo luogo, la suddetta norma precisa  che  la  tutela  del
controinteressato puo' essere  realizzata  «esclusivamente»  mediante
l'azione  avverso  il  silenzio,   cio'   che   evidentemente   rende
inammissibili le azioni di accertamento autonome che la  sentenza  n.
15/2011 consentiva al terzo di esperire nella fase  compresa  fra  la
presentazione  dell'altrui  SCIA  e  la  scadenza  dei  termini   per
l'inibitoria ufficiosa. 
    Ne deriva che l'unico strumento di reazione processuale spettante
al terzo in virtu' della nuova disposizione e'  l'azione  avverso  il
silenzio. 
    6 - L'esposta scelta legislativa impone di stabilire se il potere
sollecitato con  l'azione  avverso  il  silenzio  (proposta  dopo  il
decorso dei termini di cui all'art. 19 commi 3 e  6-bis)  sia  quello
inibitorio ovvero quello di autotutela. Rileva il  Collegio  come  il
citato comma 6-ter pare aver (implicitamente) superato le  incertezze
a suo tempo messe in luce dalla giurisprudenza  sotto  tale  profilo,
poiche' la formulazione della norma  rende  evidente  che  il  potere
stimolato dal controinteressato mediante il ricorso ex art. 31 c.p.a.
e' quello inibitorio (avente  natura  doverosa  e  vincolata)  e  non
quello  di  autotutela,  caratterizzato  invece  da  alto  tasso   di
discrezionalita'. In tal senso depongono molteplici elementi logici e
testuali. 
    6.1 - Il primo di essi e' certamente costituito dalla  previsione
secondo cui il terzo, prima di promuovere l'eventuale ricorso avverso
il silenzio, e' tenuto a  «sollecitare  l'esercizio  delle  verifiche
spettanti  all'amministrazione».  Da  tale  prescrizione  si   desume
infatti che il controinteressato ha onere di attivare un procedimento
di verifica dei presupposti della SCIA separato ed autonomo  rispetto
a quello ufficioso  disciplinato  dal  comma  3  dell'art.  19  (cfr.
Tribunale amministrativo regionale Campania,  Napoli,  Sez.  VII,  23
ottobre 2015, n. 4998). Dal che deriva, all'evidenza, che  il  regime
dettato dal comma 4 - secondo  cui  il  potere  repressivo  ufficioso
dell'amministrazione  degrada  in  autotutela  dopo  il  decorso  dei
termini di cui al comma 3 - non  e'  applicabile  alla  procedura  di
controllo avviata su istanza del terzo. Al contrario, nell'ambito  di
tale procedura, l'amministrazione esercita (solo) le proprie potesta'
inibitorie. 
    6.2 - Nel senso che  il  terzo  solleciti  il  potere  inibitorio
dell'Ente pubblico depone anche il richiamo operato dal  comma  6-ter
all'art. 31, commi 1 e 2 del decreto legislativo n.  104/2010  (d'ora
innanzi «c.p.a.»). 
    Invero,  com'e'  noto,  tali  norme  individuano  il  presupposto
essenziale  dell'azione  avverso   il   silenzio   nell'inadempimento
dell'Ente  pubblico  all'obbligo  di   concludere   il   procedimento
amministrativo mediante una  determinazione  espressa.  Obbligo  che,
com'e' noto, non e' configurabile rispetto al potere  di  autotutela,
il quale e' incoercibile  dall'esterno  mediante  il  ricorso  contro
l'inerzia amministrativa (cfr. ex multis  Cons.  Stato,  Sez.  IV,  7
luglio 2014, n. 3426; id., sez. V, 22 gennaio 2014 n. 322; id.,  Sez.
IV,  22  gennaio  2013,   n.   355;   con   particolare   riferimento
all'autotutela sulla SCIA: cfr. Cons. Stato,  Sez.  IV,  12  novembre
2015, n. 5161; Tribunale amministrativo regionale Campania, Sez. VII,
n. 4998/2015). 
    Ne consegue che il rinvio alle suddette  prescrizioni  si  spiega
solo accedendo alla tesi secondo cui terzo - con  l'istanza  ex  art.
19, comma 6-ter - attiva il potere inibitorio dell'Amministrazione. 
    6.3  -  Infine,  un'ulteriore  (ed  ancora  piu'   significativa)
conferma di tale tesi, e' costituita dal richiamo compiuto dal  comma
6-ter al comma 3 del citato art. 31 c.p.a., secondo  cui  il  giudice
adito con  l'azione  avverso  il  silenzio  puo'  «pronunciare  sulla
fondatezza della  pretesa  dedotta  in  giudizio»  nei  casi  in  cui
l'Amministrazione ha esaurito  le  valutazioni  discrezionali  e  gli
adempimenti istruttori di sua competenza ovvero quando il  potere  da
essa esercitato ha natura vincolata. 
    Ora, il riferimento espresso a tale disposizione implica  che  il
terzo esercente  la  suddetta  azione  possa  richiedere  al  giudice
l'accertamento in ordine alla spettanza o meno del  bene  della  vita
oggetto  del   procedimento   (rappresentato,   nella   specie,   dal
provvedimento repressivo dell'intervento denunciato) e che,  in  caso
di   accertamento   positivo,   tale   giudice    possa    condannare
l'Amministrazione all'emanazione  del  provvedimento  medesimo  (cfr.
Tribunale amministrativo regionale Liguria, Sez. I, 9 aprile 2013, n.
611). Cio' implica necessariamente che il legislatore  -  laddove  ha
richiamato il  comma  3  dell'art.  31  c.p.a.  -  ha  implicitamente
riconosciuto che gli strumenti di reazione del  privato,  di  cui  al
comma 6-ter dell'art. 19, sono volti a stimolare la  (sola)  potesta'
inibitoria dell'Ente pubblico  e  non  anche  il  suo  intervento  in
autotutela. 
    6.4 - In favore di  questa  soluzione  si  e'  peraltro  espressa
autorevole giurisprudenza, secondo cui «il comma 6-ter dell'art.  19,
riservando al terzo la possibilita' di sollecitare  l'amministrazione
ad effettuare le verifiche di sua competenza e contemplando  altresi'
la possibilita' che avverso il silenzio mantenuto su tale istanza  il
terzo possa  tutelarsi  mediante  l'azione  ex  art.  31  c.p.a.,  ha
evidentemente presupposto  che  in  esito  alla  presentazione  della
S.c.i.a. e della D.i.a. non si formi alcun provvedimento  espresso  o
tacito e che pertanto le istanze sollecitatorie del terzo  non  hanno
la finalita' di eccitare dei poteri di autotutela  amministrativa  di
secondo grado» (TAR Piemonte, Sez.  II,  1°  luglio  2015,  n.  1114;
Tribunale amministrativo regionale Lombardia,  Milano,  Sez.  II,  30
novembre 2016, n. 2274; id., 15 aprile 2016, n. 735; id., 21  gennaio
2014, n. 2799; Tribunale amministrativo regionale  Campania,  Napoli,
Sez. III, 5 marzo 2015, n. 1410; Tribunale  amministrativo  regionale
Veneto, Sez. II, 12 ottobre 2015, n. 1038 e n. 1039). 
    6.5. Del resto, l'opposta tesi giurisprudenziale -  secondo  cui,
decorsi i termini di cui all'art. 19 comma  3,  il  terzo  attiva  il
(mero) potere di autotutela (Cons. Stato, Sez. VI, n. 4610/2016; id.,
22 settembre 2014, n. 4780; Cons. Stato, Sez. IV, 19 marzo  2015,  n.
1493;  Tribunale  amministrativo  regionale  Calabria,  Sez.  I,   n.
1533/2016) - oltre ad essere incompatibile con il disposto  dell'art.
19  comma   6-ter   per   le   suesposte   ragioni,   contrasta   con
l'interpretazione conforme a Costituzione della norma stessa. 
    A  quest'ultimo  proposito,  giova  ricordare  che,  secondo   il
condivisibile principio  affermato  dalla  Plenaria  n.  15/2011  (in
questa parte non scalfita dall'introduzione del comma 6-ter dell'art.
19), i caratteri dell'interesse pretensivo del  terzo  impongono  «in
un'ottica costituzionalmente orientata, di accedere  ad  una  lettura
del sistema delle tutele che consenta al  terzo  stesso  di  esperire
un'azione  idonea  ad  ottenere   il   risultato   della   cessazione
dell'attivita' lesiva non consentita dalla legge mediante il doveroso
intervento dell'amministrazione titolare del potere  di  inibizione».
In altri termini, secondo la Plenaria, il controinteressato  rispetto
all'altrui SCIA ha diritto «ad ottenere una pronuncia  che  impedisca
lo svolgimento  di  un'attivita'  illegittima  mediante  un  precetto
giudiziario puntuale e vincolante che non  subisca  l'intermediazione
aleatoria dell'esercizio di un potere discrezionale». 
    Ebbene, e'  evidente  che  la  tesi  che  riconduce  l'intervento
dell'amministrazione  su  istanza  del  terzo  al  mero   potere   di
autotutela e' incompatibile col suddetto principio, poiche' subordina
integralmente  la  tutela  del  terzo  stesso  ad   una   valutazione
discrezionale dell'Amministrazione in ordine alla sussistenza o  meno
di un interesse pubblico alla  rimozione  degli  effetti  della  SCIA
contestata. 
    7 - Il meccanismo di tutela del terzo  congegnato  dall'art.  19,
comma  6-ter,  legge  n.  241/90  richiede,  per  la   sua   concreta
operativita', l'individuazione di tre distinti termini: il  primo  e'
il termine entro il quale il  terzo  deve  sollecitare  le  verifiche
spettanti all'amministrazione, presentando la  relativa  istanza;  il
secondo e' il termine concesso all'amministrazione  per  pronunciarsi
su tale istanza, ovvero quel lasso temporale decorso il  quale,  come
dice la norma, essa deve considerarsi inerte; l'ultimo e' il  termine
entro il quale il terzo deve esperire l'azione  avverso  il  silenzio
mantenuto dall'amministrazione sulla  sua  richiesta  di  provvedere.
Osserva il Collegio come il secondo e terzo termine siano agevolmente
rinvenibili; il termine concesso all'amministrazione per pronunciarsi
sull'istanza  sollecitatoria  del  privato,  ancorche'  non   fissato
espressamente dalla norma in considerazione, e' tuttavia  agevolmente
rinvenibile  dal  sistema  con  richiamo  alla  disciplina   generale
codificata dall'art. 2 legge n. 241/1990, secondo cui, in mancanza di
una   diversa   previsione   normativa   espressa,   i   procedimenti
amministrativi ad istanza di parte  devono  tutti  concludersi  entro
trenta   giorni   dal   ricevimento   della    domanda    da    parte
dell'amministrazione  competente;  il  termine  per  la  proposizione
dell'azione sul silenzio e' invece fissato espressamente dall'art. 31
c.p.a., il cui secondo comma precisa che quest'ultima  puo'  proporsi
fintanto che perdura l'inadempimento e, comunque, non oltre  un  anno
dalla scadenza del  termine  di  conclusione  del  procedimento.  Non
risulta invece fissato dall'art. 19, comma 6-ter,  legge  n.  241/90,
ne' ricavabile dal sistema, il termine entro il quale il  terzo  deve
presentare la  propria  istanza  di  sollecitazione  delle  verifiche
amministrative, con apertura  della  possibilita'  interpretativa  in
base alla quale il  terzo  resterebbe  sempre  libero  di  presentare
l'istanza sollecitatoria dei poteri amministrativi inibitori  nonche'
di agire ex art. 31 c.p.a. avverso il silenzio eventualmente  serbato
dall'Amministrazione, che e' esattamente  la  lettura  offerta  dalla
ricorrente (che richiama solo il termine prescrizionale decennale). 
    8 - Ritiene  il  Collegio  che,  prima  di  analizzare  l'opzione
ermeneutica da ultimo evocata - che, come si vedra', espone la  norma
a censure  di  incostituzionalita'  -  sia  necessario  procedere  ad
un'attenta verifica interpretativa circa la possibilita' di rinvenire
la delimitazione temporale del potere  sollecitatorio  del  terzo  da
altre previsioni regolanti la materia in questione. 
    8.1 - Una prima soluzione interpretativa e'  quella  di  ritenere
che il termine concesso al controinteressato per presentare l'istanza
sollecitatoria sia lo stesso che la norma assegna all'amministrazione
per l'esercizio  del  potere  inibitorio  ufficioso,  cioe'  sessanta
ovvero trenta giorni dalla presentazione della SCIA,  secondo  quanto
disposto dai commi 3 e 6-bis dell'art. 19 della legge n. 241/1990; in
tale lettura  una  volta  che  l'amministrazione  e'  decaduta  dalle
potesta' inibitorie ufficiose ex art. 19 commi  3  e  6-bis,  sarebbe
anche definitivamente  preclusa  la  possibilita'  per  il  terzo  di
ottenere un intervento  repressivo,  con  conseguente  onere  per  lo
stesso di presentare l'istanza sollecitatoria  prima  della  scadenza
dei   suddetti   termini,   onde   conservare   l'aspettativa    alla
soddisfazione del suo interesse pretensivo. 
    Si tratta tuttavia di opzione  ermeneutica  non  convincente,  in
quanto manifestamente illogica. 
    I termini in  considerazione  sono  strutturati  con  riferimento
all'esercizio del potere di verifica ufficiosa, il che giustifica che
il loro dies a quo sia fatto coincidere  con  il  «ricevimento  della
segnalazione» da parte dell'amministrazione; ma essi finirebbero  per
risultare di pratica inoperativita' ove applicati  all'esercizio  del
potere sollecitatorio del terzo, atteso che nessuna norma assicura al
medesimo la tempestiva comunicazione della presentazione  della  SCIA
ne'  tanto  meno  dell'inizio  dell'attivita'  segnalata;  il   terzo
finirebbe quindi per rimanere privo di qualsiasi forma di tutela  ove
apprendesse della  lesivita'  dell'intervento  dopo  il  decorso  del
termine concesso all'amministrazione per provvedere;  d'altra  parte,
anche  laddove  il  terzo  fosse  tempestivo,  ma  la   sua   istanza
intervenisse in prossimita'  della  scadenza  di  tale  termine,  ben
difficilmente egli otterrebbe  l'intervento  di  tutela  cui  aspira,
restringendosi l'arco  temporale  entro  il  quale  l'amministrazione
dovrebbe accertare l'illegittimita' dell'attivita'  oggetto  di  SCIA
nonche' inibirne la prosecuzione. 
    8.2 - Una seconda  prospettiva  interpretativa  sostiene  che  la
facolta' del controinteressato di proporre  l'istanza  inibitoria  ex
art. 19, comma 6-ter sarebbe  soggetta  al  termine  decadenziale  di
sessanta giorni, valido  anche  per  la  proposizione  dell'ordinario
ricorso annullatorio, termine che,  in  caso  di  SCIA,  decorrerebbe
dalla data in cui l'istante ha avuto notizia della  segnalazione  per
esso lesiva. La tesi  e'  sostenuta  da  Cons.  Stato,  Sez.  IV,  n.
5161/2015 cit. e ripresa dalle sentenze del Tribunale  amministrativo
regionale Lombardia (Milano) Sez. II, 30 novembre 2016, n.  2274,  15
aprile 2016, n. 735 e 5 dicembre 2016, n. 2301,  le  quali  precisano
inoltre  che  il  terzo,  una  volta  decorso  il  suddetto   termine
decadenziale, non rimane del tutto privo di strumenti di reazione, ma
conserva, nei confronti dell'Amministrazione, il  potere  di  diffida
all'adozione di atti di autotutela. 
    Il   Collegio   ritiene    non    condivisibile    la    proposta
interpretazione. 
    Si tratta di statuizioni giurisdizionali sicuramente apprezzabili
nel loro tentativo di eliminare le incertezze applicative della norma
in commento, ma che risultano prive  di  base  normativa,  alla  luce
delle norme sull'interpretazione, e danno conseguentemente  luogo  ad
una inammissibile integrazione pretoria del  precetto  normativo.  Il
problema in  esame  riguarda  infatti  l'individuazione  del  termine
assegnato al terzo per sollecitare l'intervento di verifica da  parte
dell'amministrazione sulla SCIA  presentata  da  altro  soggetto;  si
tratta quindi di termine inerente  l'esercizio  di  una  facolta'  di
attivazione del privato, funzionale a mettere in moto l'esecuzione di
verifiche amministrative ad  istanza  di  parte,  sulla  legittimita'
della SCIA presentata da altri; l'operazione ermeneutica che  ritiene
qui  applicabile  l'ordinario  termine  di  sessanta  giorni  per  la
proposizione  del  ricorso  giurisdizionale   avverso   provvedimenti
amministrativi, non tiene conto  della  diversita'  ontologica  della
disciplina  invocata   (termine   per   le   proposizione   di   atto
«processuale») rispetto all'ambito di attivita' in esame (ricerca  di
termine per attivazione del privato in  sede  «amministrativa»);  non
sussiste quindi nella specie il presupposto di «casi simili o materie
analoghe»  solo  ricorrendo  il   quale   e'   possibile   l'utilizzo
dell'analogia ai sensi dell'art. 12 delle Disposizioni sulla legge in
generale. 
    8.3 - Una terza tesi richiama il termine annuale di cui  all'art.
31, comma  2,  c.p.a.,  ritenendo  che  il  terzo  debba  sollecitare
l'amministrazione  nell'anno  dal  deposito  della  SCIA   presso   i
competenti uffici. 
    Anche questa tesi non convince, posto che il  termine  richiamato
e'   concesso   al   terzo,   non    per    stimolare    l'intervento
dell'amministrazione, ma per la proposizione dell'azione  avverso  il
silenzio eventualmente formatosi sulla sua istanza; la  richiesta  di
provvedere  avanzata  dal  terzo  apre,  infatti,  una   nuova   fase
procedimentale, all'esito della quale l'amministrazione ha  l'obbligo
di  pronunciarsi  con  un  provvedimento  espresso,   sia   esso   di
accoglimento (caso della SCIA illegittima) oppure  di  rigetto  (caso
della SCIA legittima); nell'ipotesi in cui poi essa  rimanga  inerte,
lasciando  inutilmente  decorrere  il  termine   di   trenta   giorni
assegnatole, secondo la regola generale di cui all'art. 2,  legge  n.
241/1990, per  la  conclusione  dei  procedimenti  amministrativi  ad
istanza di parte, il terzo potra' proporre l'azione di  cui  all'art.
31 c.p.a. entro un anno dalla formazione del  silenzio.  Ne  consegue
che anche l'operazione ermeneutica qui evocata, nella misura  in  cui
trasporta il termine annuale  dall'art.  31  c.p.a.  alla  disciplina
dell'esercizio della sollecitazione amministrativa del terzo,  compie
una interpretazione non consentita e che, ancora una volta,  confonde
un termine processuale (quello dell'art. 31 c.p.a.)  con  un  termine
amministrativo (quello per la sollecitazione delle verifiche da parte
della p.a.). 
    8.4 - Una diversa lettura del sistema e' fornita da una pronuncia
(Cons. Stato, Sez. VI,  n.  4610/2016  cit.)  che  supera  invero  il
problema del termine per la proposizione dell'istanza sollecitatoria,
affermando che il soggetto leso dall'iniziativa segnalata e' comunque
tenuto a proporre il ricorso di  cui  all'art.  31  c.p.a.  entro  il
termine complessivo  di  un  anno  dalla  data  di  acquisita  «piena
conoscenza dei fatti idonei a determinare un  pregiudizio  nella  sua
sfera giuridica». 
    La tesi non convince. 
    Essa utilizza il termine annuale dell'art.  31  c.p.a.  non  come
termine per la presentazione della diffida del terzo, ma come termine
per la proposizione dell'azione ex art. 31 c.p.a., da proporsi  anche
prescindendo dalla presentazione della diffida  di  cui  all'art.  19
comma 6-ter legge n. 241/90, termine  che  decorrerebbe  dalla  piena
conoscenza della SCIA. Da un primo punto di vista tale  ricostruzione
risulta contraddire la natura propria del ricorso ex art.  31  c.p.a,
il quale presuppone l'avvenuta presentazione di un'istanza  di  avvio
(ovvero l'attivazione ufficiosa) di un procedimento amministrativo  e
la formazione del  c.d.  silenzio-inadempimento  dell'amministrazione
procedente. D'altra parte essa contrasta con il chiaro  disposto  del
comma 2 del  medesimo  art.  31,  secondo  cui  l'azione  avverso  il
silenzio «puo' essere proposta fintanto che  perdura  l'inadempimento
e, comunque,  non  oltre  un  anno  dalla  scadenza  del  termine  di
conclusione del procedimento». 
    Pertanto, anche la suddetta impostazione non appare  al  Collegio
idonea a superare le criticita' riscontrate. 
    8.5 - Ne' varrebbe a sanare la criticita' in  esame  il  richiamo
del  termine  di  18  mesi  previsto  per  l'annullamento   d'ufficio
dall'art. 21-nonies (come modificato dalla legge n. 124/2015) ed oggi
applicabile anche all'intervento in autotutela sulla SCIA in base  al
combinato disposto della suddetta norma con l'art. 19, comma 4, legge
n. 241/1990. 
    Invero, tale soluzione risulterebbe in contrasto con il  disposto
dell'art. 19, comma  6-ter,  in  primo  luogo,  poiche'  quest'ultimo
consente al terzo di stimolare l'esercizio del potere inibitorio puro
(e non dell'autotutela) dell'Ente pubblico. In secondo luogo, perche'
tale   termine,   riferendosi   all'autotutela   ufficiosa,   risulta
difficilmente conciliabile con le caratteristiche di un  procedimento
ad istanza  di  parte,  come  quello  attivato  dal  terzo  ai  sensi
dell'art. 19 comma 6-ter. 
    Tanto appare, peraltro, confermato da quanto prevede oggi  l'art.
2, comma 4 del decreto legislativo n. 222/2016, secondo cui, nei casi
di autotutela sulla SCIA, il suddetto periodo  di  18  mesi  «decorre
dalla  data  di  scadenza  del  termine  previsto  dalla  legge   per
l'esercizio   del   potere   ordinario   di   verifica    da    parte
dell'amministrazione competente». Cio' che chiarisce la riferibilita'
del  suddetto  limite  temporale  alle  (sole)  potesta'   repressive
esercitate dall'Amministrazione in via ufficiosa. 
    Da  tutto  cio'  consegue,  che  l'applicazione  della   suddetta
disposizione  al  procedimento  di  cui  all'art.  19,  comma   6-ter
esorbiterebbe totalmente dai limiti che l'art. 12 delle  Disposizioni
sulla legge in  generale  impone  all'interpretazione  analogica  del
giudice  e,  in  definitiva,  si  tradurrebbe  in  una  inammissibile
modificazione   pretoria   dell'ambito   applicativo   del   precetto
legislativo. 
    9 - Le considerazioni che precedono evidenziano  chiaramente  che
l'attuale  regime  della  SCIA  non  prevede  un   termine   per   la
presentazione da parte del terzo  dell'istanza  sollecitatoria  delle
verifiche amministrative di cui all'art.  19  comma  6-ter  legge  n.
241/1990 e che tale termine non e' desumibile dal sistema  normativo,
con la conseguenza  che  la  diffida  del  terzo  dovrebbe  ritenersi
tempestiva  anche  se  proposta  a   notevole   distanza   di   tempo
dall'avvenuto deposito della segnalazione presso l'Ente competente. 
    Ritiene tuttavia il Collegio che una simile lettura  si  porrebbe
in evidente contrasto con l'esigenza di  tutelare  l'affidamento  del
segnalante circa la legittimita' dell'iniziativa intrapresa,  con  il
principio di buon andamento della  pubblica  amministrazione  nonche'
con il generale principio di certezza dei rapporti  tra  cittadino  e
pubblica amministrazione. Ne consegue che, ad  avviso  del  Collegio,
l'art. 19, comma 6-ter, legge n. 241/90,  nella  misura  in  cui  non
prevede un termine per la  sollecitazione  da  parte  del  terzo  dei
poteri di verifica amministrativa della SCIA presentata da altri,  si
espone a dubbi di legittimita' costituzionale che risultano rilevanti
nella presente fattispecie e non manifestamente infondati. 
    10 - La  prospettata  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 19, comma 6-ter, cit. risulta connotata dal requisito della
rilevanza, ai fini della proposizione della questione incidentale  di
costituzionalita'. 
    La  rilevanza  discende  dalla  diretta  applicabilita'  al  caso
concreto della norma la cui costituzionalita' e' messa in discussione
(cfr. Corte costituzionale, ordd.  nn.  264/2015;  111/2009)  e  deve
valutarsi alla stregua del criterio della pregiudizialita', in virtu'
del quale la rilevanza va affermata ogniqualvolta la causa non  possa
essere definita indipendentemente dalla risoluzione  della  questione
(cfr. Corte costituzionale, sentt. nn. 270/2010; 151/2009;  303/2007;
50/2007; 84/2006). 
    Non e' dubitabile che nella  fattispecie  in  esame  debba  farsi
applicazione della disciplina di cui all'art. 19, comma 6-ter,  legge
n. 241/90 e che la questione controversa non  possa  essere  definita
senza fare applicazione della suddetta norma e affrontando  da  parte
del giudice il tema del termine entro il quale il terzo puo' porre in
essere  l'intervento   sollecitatorio   delle   verifiche   spettanti
all'amministrazione. In primo  luogo,  infatti,  come  risulta  dalla
narrativa in fatto, la ricorrente sig.ra Patrizia Mugnaioni ha  posto
in essere una serie di atti di sollecitazione del potere di  verifica
da  parte  dell'amministrazione   della   legittimita'   della   SCIA
presentata dal sig. Emanuele Campani in data 6 dicembre 2012; essa in
particolare ha sollecitato il Comune di Campi Bisenzio ad  effettuare
le suddette verifiche con note del  12  novembre  2015,  16  dicembre
2015,  12  aprile  2016,  23  giugno  2016  e  14   settembre   2016,
quest'ultima istanza proposta anche espressamente ai sensi del  comma
6-ter dell'art. 19 legge n. 241/90. In secondo luogo,  come  chiarito
nella narrativa in fatto, nel giudizio  di  merito  questo  Tribunale
amministrativo, sciolte  altre  questioni  pregiudiziali,  ha  dovuto
affrontare  l'eccezione  di  tardiva  sollecitazione  dei  poteri  di
verifica da parte del terzo, sollevata dalla parti resistenti, ed  ha
ritenuto  che  tale  questione  non  fosse   risolvibile   senza   la
proposizione della  presente  questione  di  costituzionalita'.  Allo
stato  della  legislazione  la  suddetta  eccezione  dovrebbe  essere
respinta. Come gia' ampiamente illustrato, il comma 6-ter non prevede
un termine entro il quale il  terzo  debba  sollecitare  l'intervento
dell'amministrazione, ne' tale termine, come sopra evidenziato,  puo'
ricavarsi dal sistema, con la conseguenza che, stando cosi' le  cose,
appare del tutto irrilevante la circostanza che, rispetto  alla  data
di presentazione della SCIA  edilizia  da  parte  del  Sig.  Emanuele
Campani, avvenuta il 6 dicembre 2012, la  Sig.ra  Patrizia  Mugnaioni
abbia atteso ben due anni ed undici mesi per rivolgersi al Comune  di
Campi Bisenzio (la prima richiesta di intervento e' del  12  novembre
2015) ed addirittura tre anni e nove mesi (se si considera  l'istanza
del 14 settembre 2016) prima di  stimolare  l'Ente  ad  esercitare  i
poteri inibitori ai sensi del  comma  6-ter  dell'art.  19  legge  n.
241/1990. D'altra parte l'azione giudiziaria ai  sensi  dell'art.  31
c.p.a. risulta proposta nell'anno dalla formazione del silenzio sulla
richiesta di provvedere rivolta dalla  medesima  all'amministrazione;
dagli atti  di  causa  si  rileva  infatti  che  la  Sig.ra  Patrizia
Mugnaioni ha notificato il proprio ricorso in data 23 ottobre 2016 e,
quindi, anche  considerando  la  prima  delle  istanze  dalla  stessa
formulate, ovvero quella del 12 novembre 2015,  entro  il  prescritto
termine di un anno; posto, infatti, che su tale istanza  il  silenzio
si e' formato il 12 dicembre 2015 (e cioe', secondo  quanto  disposto
dall'art. 2 della legge n.  241/1990,  decorsi  trenta  giorni  dalla
presentazione  dell'istanza  senza  che  l'amministrazione   si   sia
pronunciata su di essa) e che il menzionato termine  di  un  anno  e'
cominciato a decorrere proprio da tale data,  la  ricorrente  avrebbe
avuto a disposizione sino al 12 dicembre 2016 per  proporre  l'azione
avverso il silenzio  mantenuto  dal  Comune  di  Campi  Bisenzio.  Ne
consegue, come gia' rilevato, che in  applicazione  della  disciplina
vigente,  questo  Tribunale  Amministrativo  dovrebbe  dichiarare  la
infondatezza dell'avanzata eccezione di tardivita'. Ma, ad avviso del
Collegio, la mancata fissazione di un termine entro il quale il terzo
debba sollecitare le verifiche spettanti all'amministrazione si  pone
in contrasto, come meglio si vedra' di  seguito,  con  una  serie  di
parametri costituzionali. La pronuncia della Corte costituzionale che
dovesse accogliere la questione di legittimita' costituzionale,  come
di seguito proposta, avrebbe sicuri  effetti  sulla  decisione  della
presente questione, sia nell'ipotesi di pronuncia  additiva,  con  la
quale cioe'  la  Corte  dovesse  fornire  al  giudice  remittente  il
parametro temporale sulla cui base verificare la  tardivita'  o  meno
della sollecitazione dei poteri inibitori da  parte  del  terzo,  sia
nell'ipotesi di declaratoria pura della illegittimita' dell'art.  19,
comma  6-ter,  cit.   per   mancata   previsione   del   termine   di
sollecitazione  da  parte  del   terzo   dei   poteri   di   verifica
dell'amministrazione, la quale ultima  renderebbe  inoperativo,  sino
all'intervento   additivo   del   legislatore,   il    sistema    del
silenzio-inadempimento, imponendo all'interprete, al fine di decidere
la  controversia,  di  applicare  il  diritto  vivente   cosi'   come
ricostruito dalla giurisprudenza anteriormente  all'introduzione  del
comma 6-ter da parte del legislatore medesimo. 
    11 - Ritiene il Collegio che la mancanza  di  indicazione  di  un
termine entro il  quale  il  terzo  possa  sollecitare  le  verifiche
amministrative sulla SCIA presentata da altri renda l'art. 19,  comma
6-ter, legge n. 241/90 costituzionalmente illegittimo.  In  punto  di
non manifesta infondatezza, il  Collegio  evidenzia  come  la  citata
disposizione normativa contrasta con  svariati  principi  di  rilievo
costituzionale,  tra  cui,  in  primo   luogo,   quello   di   tutela
dell'affidamento del segnalante (quale desumibile dagli  articoli  3,
11 e 117, primo comma Cost., in relazione all'art. 1  del  Protocollo
addizionale n. 1 alla Convenzione europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali  ed  all'art.  6,
paragrafo 3, del Trattato UE), in  secondo  luogo,  quello  del  buon
andamento dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.) ed infine quello
di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e di tutela dei  livelli  essenziali
di cui all'art. 117, secondo comma lettera m) Cost. 
    11.1 - In primo luogo  il  Collegio  ritiene  non  manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  19,
comma 6-ter, legge n. 241/90, laddove non prevede un termine  per  la
sollecitazione da parte del terzo delle verifiche amministrative, per
violazione della necessaria tutela dell'affidamento  del  segnalante,
come desumibile dagli articoli 3,  11  e  117,  comma  1,  Cost.,  in
relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali ed all'art. 6, paragrafo  3,  del  Trattato  sull'Unione
europea. 
    L'esigenza di tutelare  l'affidamento  circa  la  stabilita'  dei
rapporti tra privato e pubblica amministrazione costituisce principio
cardine   dell'attivita'   amministrativa   in   tutti   i    settori
dell'intervento pubblico. 
    A questo proposito, gia' con la  sentenza  del  12  luglio  1957,
Algera, C-7/56  e  C-  3-7/57,  la  Corte  di  Giustizia  Europea  ha
riconosciuto che l'affidamento del privato circa  la  stabilita'  del
provvedimento amministrativo a  lui  favorevole  dev'essere  tutelato
anche laddove l'Amministrazione disponga di un potere  amministrativo
repressivo del provvedimento  stesso  (quale  quello  di  revoca  e/o
annullamento d'ufficio). In particolare, tale principio impone che  i
suddetti poteri vengano esercitati dall'Ente pubblico  «almeno  entro
un limite di tempo ragionevole»  dal  rilascio  dell'atto  ampliativo
della sfera giuridica  del  privato.  Tale  principio  e'  stato  poi
ripetutamente confermato dalla giurisprudenza comunitaria (ex  multis
CGCE, 3 marzo 1982, Alpha Steel Ltd. c. Commissione, C-14/81; id., 26
febbraio 1987, Consorzio  Cooperative  d'Abruzzo  comma  Commissione,
C-15/85). 
    Com'e'  noto,  peraltro,   il   suddetto   assunto   ha   trovato
riconoscimento espresso nell'ordinamento  nazionale,  il  quale,  con
varie disposizioni, ha sancito un limite temporale alla  possibilita'
per  l'Amministrazione  di  tornare  su   decisioni   precedentemente
adottate ed incidenti sulla  sfera  giuridica  di  soggetti  privati.
Cosi' ad esempio l'art. 1, comma 136 della  legge  n.  311/2004  (non
piu'   vigente),   stabiliva   che   l'annullamento   d'ufficio    di
provvedimenti amministrativi  incidenti  su  rapporti  negoziali  non
potesse  «essere  adottato  oltre  tre  anni   dall'acquisizione   di
efficacia del provvedimento, anche  se  la  relativa  esecuzione  sia
perdurante». 
    Analogamente, l'art. 21-nonies, legge n. 241/1990 ha sancito  che
l'annullamento ufficioso di  un  (qualsivoglia)  atto  amministrativo
debba intervenire «entro un termine ragionevole». Peraltro, a seguito
delle modifiche introdotte a tale norma dalla legge n.  124/2015,  si
e' precisato che il suddetto termine ragionevole  non  puo'  comunque
eccedere i «diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti
di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici». 
    Ebbene, il citato principio  di  affidamento  trova  applicazione
anche in materia di SCIA. 
    Al riguardo, si ricorda che l'art. 19, comma 4, legge n. 241/1990
prevede che «decorso il termine per l'adozione dei  provvedimenti  di
cui al comma 3, primo periodo, ovvero di cui al  comma  6-bis  (cioe'
degli  atti  propriamente  inibitori),  l'amministrazione  competente
adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo  comma  3  alle
condizioni previste dall'art. 21 nonies»: e cioe' (tra  l'altro)  nel
rispetto del suddetto termine ragionevole. 
    Ebbene, come recentemente  chiarito  dalla  Corte  costituzionale
(pronunciatasi in un caso di SCIA edilizia), le  suddette  previsioni
«debbono considerarsi il necessario  completamento  della  disciplina
dei  titoli  abilitativi,  poiche'  la  individuazione   della   loro
consistenza  e  della  loro  efficacia  non  puo'  prescindere  dalla
capacita'  di   resistenza   rispetto   alle   verifiche   effettuate
dall'Amministrazione successivamente alla maturazione degli  stessi».
Piu'  nello  specifico,  la  Corte  ha   chiarito   che   il   rinvio
all'autotutela (e conseguentemente  al  termine  ragionevole  di  cui
all'art. 21-nonies) contenuto in  suddette  norme  «si  colloca  allo
snodo delicatissimo del rapporto fra il potere amministrativo  ed  il
suo riesercizio, da una  parte,  e  la  tutela  dell'affidamento  del
privato, dall'altra» (Corte cost. n. 49/2016). 
    In altri termini - secondo la  Corte  -  le  suddette  previsioni
hanno espressamente tutelato l'affidamento del segnalante  in  ordine
alla  legittimita'  dell'intervento  denunciato,  prevedendo  che  il
mancato esercizio dei poteri inibitori puri entro i termini perentori
di cui all'art. 19 commi 3 e 6-bis, fondi una  legittima  aspettativa
del  privato  circa  la  legittimita'   dell'iniziativa   intrapresa.
Aspettativa che puo' essere nuovamente posta in discussione dall'Ente
pubblico solo mediante ricorso alle forme (aggravate) dell'autotutela
decisoria  e  che  si  consolida  definitivamente  con   il   decorso
dell'ulteriore termine di 18 mesi per l'esercizio di tale autotutela. 
    E' ben vero che il sistema introdotto dal citato art. 19, comma 4
non puo' operare laddove la verifica dei presupposti della  SCIA  sia
stata sollecitata dal terzo ai sensi del  comma  6-ter  del  medesimo
articolo (infatti, come sopra chiarito, l'attuale testo dell'art.  19
consente al controinteressato di attivare un autonomo procedimento di
controllo  sulla  legittimita'  della  segnalazione,  il  quale  deve
concludersi, in caso di accertata insussistenza  dei  presupposti  di
legge, con un provvedimento di repressione dell'attivita' abusiva). 
    Tuttavia,  e'  evidente   che   le   esigenze   di   salvaguardia
dell'affidamento del segnalante si ripropongono (con analoga cogenza)
anche nei rapporti tra quest'ultimo ed il terzo proponente  l'istanza
di cui all'art. 19 comma  6-ter.  Sarebbe  infatti  irragionevolmente
discriminatoria    l'interpretazione    che    riconoscesse    tutela
all'affidamento dell'autore della  segnalazione  solo  nei  confronti
dell'iniziativa repressiva ufficiosa dell'amministrazione e non anche
rispetto alle verifiche che quest'ultima effettua  su  richiesta  del
controinteressato. 
    Pur a fronte di cio', tuttavia, la norma in esame non prevede  un
termine per la proposizione dell'istanza  diretta  a  stimolare  tali
verifiche  e  conseguentemente  espone  il  segnalante   al   rischio
permanente dell'inibizione dell'attivita'  iniziata.  Cosi'  facendo,
l'attuale meccanismo legislativo, da un lato esaspera la  tutela  del
terzo,  d'altro  lato  pretermette  quella  del  segnalante   e,   in
definitiva,  vanifica  l'intento  (chiaramente  palesato  dal   testo
complessivo   dell'art.   19)   di   favorire    il    consolidamento
dell'aspettativa del segnalante stesso per effetto del  mero  decorso
del tempo. 
    Da quanto sopra, ad avviso del Collegio, emerge la violazione dei
principi nazionali e comunitari in materia di affidamento, nonche' la
violazione dell'art. 3 Cost., essendo  irragionevole  che  la  tutela
dell'affidamento   venga   espressamente    contemplata    (con    la
temporizzazione    dell'intervento)    a    fronte     dell'esercizio
dell'autotutela amministrativa e  non  a  fronte  dell'esercizio  dei
poteri di verifica attivati dal terzo. 
    La SCIA e' infatti idonea ad ingenerare nel segnalante - a fronte
del mancato esercizio dei poteri amministrativi repressivi - un certo
affidamento in  ordine  alla  legittimita'  dell'intervento  avviato.
Affidamento  che   dev'essere   garantito   -   sia   nei   confronti
dell'amministrazione che in quelli del controinteressato  -  mediante
la fissazione di precisi termini  entro  (e  non  oltre)  i  quali  i
controlli amministrativi sulla regolarita'  della  SCIA  non  possono
piu' essere attivati ne' in via ufficiosa, ne' su istanza di parte. 
    Alla   luce   di   quanto   sopra,   dunque,   risulta   evidente
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 19 comma 6-ter, il quale  -
in aperto contrasto con i suddetti principi - attribuisce al terzo un
potere di sollecito a tempo  indeterminato  nei  confronti  dell'Ente
pubblico e, conseguentemente, restituisce a quest'ultimo una potesta'
di intervento sine die sull'iniziativa denunciata. 
    A cio' si aggiunga  che,  con  specifico  riguardo  alla  materia
edilizia,   la   suesposta   soluzione   normativa   da'   luogo   ad
un'irragionevole  disparita'  di  trattamento  dei  privati  il   cui
intervento sia assoggettato, rispettivamente, al  regime  della  SCIA
ovvero a quello del permesso a costruire, ponendo ulteriore questione
di violazione dell'art. 3 Cost. 
    Invero, com'e' noto, in quest'ultimo caso lo strumento di  tutela
azionabile dal controinteressato  e'  l'azione  di  annullamento  del
titolo abilitativo eventualmente rilasciato al richiedente.  In  tale
ipotesi, dunque, l'affidamento di  quest'ultimo  e'  garantito  dalla
previsione del termine decadenziale generale di sessanta  giorni  per
l'esperimento della suddetta azione, decorso  il  quale  il  permesso
diventa inoppugnabile  e  l'aspettativa  del  richiedente  stesso  si
consolida    definitivamente    (almeno     nei     confronti     dei
controinteressati). 
    Viceversa, in caso di SCIA, l'art. 19, comma  6-ter  codifica  il
principio opposto: di fronte ai terzi lesi dall'iniziativa segnalata,
l'interesse del segnalante alla prosecuzione di quest'ultima  non  si
consolida mai e, al contrario, recede sempre a fronte  della  pretesa
dei terzi stessi alla rimozione dell'attivita' per essi lesiva. 
    Orbene, pur non potendosi predicare la  necessaria  parificazione
delle tutele del segnalante e del soggetto richiedente il permesso di
costruire,  data  la  notevole  differenza  dei   citati   meccanismi
abilitativi, e' pur vero che tale diversita' non giustifica la totale
pretermissione (ma casomai il diverso bilanciamento) dell'affidamento
maturato  in  capo  all'autore  della  SCIA.  Pena  il   crearsi   di
un'irragionevole disparita' di trattamento tra  posizioni  soggettive
aventi contenuto (se non analogo, quantomeno) affine. 
    Da quanto  sopra  deriva,  ad  avviso  di  questo  Tribunale,  la
violazione dei principi costituzionali sopra richiamati. 
    11.2 - La prospettata questione di illegittimita'  costituzionale
risulta del pari non manifestamente  infondata  per  contrasto  della
norma in questione con i principi di ragionevolezza e buon  andamento
di cui agli articoli 3 e 97 Cost. 
    A questo proposito, merita anzitutto osservare che il  meccanismo
introdotto dall'art. 19 comma 6-ter  impone  all'amministrazione,  su
semplice istanza del terzo, di avviare un procedimento di verifica  a
contenuto (in tutto e per tutto) analogo a quello gia' svolto in  via
ufficiosa ai sensi dell'art. 19, comma 3. 
    Peraltro, come sopra chiarito, la citata  norma  non  prevede  un
termine  per  la  presentazione  della  suddetta  istanza,   con   la
conseguenza che l'Ente pubblico e' tenuto a verificare  nuovamente  i
presupposti dell'attivita' segnalata anche qualora sia  trascorso  un
notevole lasso di tempo dalla relativa comunicazione. 
    Ora, e' chiaro che il suesposto modello si pone in contrasto  con
i principi di cui alle citate norme costituzionali, nella  misura  in
cui impone all'amministrazione, quale  che  sia  il  momento  in  cui
sopravviene l'istanza del controinteressato, di rivedere la posizione
assunta in precedenza  (in  sede  di  verifica  ufficiosa)  circa  la
legittimita' dell'iniziativa segnalata. 
    Sul punto, si rileva  anzitutto  che  la  fissazione  di  precisi
limiti temporali entro cui devono  essere  adottati  i  provvedimenti
definitivi in ordine alle procedure (ivi comprese quelle di verifica)
di   competenza   dell'amministrazione   costituisce    «applicazione
generale..., sia pure non esaustiva, del principio costituzionale  di
buon andamento  dell'amministrazione  (art.  97  della  Costituzione)
negli  obiettivi  di   tempestivita',   pubblicita',   partecipazione
dell'azione amministrativa, quali valori essenziali in un ordinamento
democratico» (Corte cost. n. 262/1997). Invero, e'  evidente  che  il
rispetto dei termini perentori entro cui devono essere  conclusi  gli
accertamenti  e  le  valutazioni  rimessi  agli   apparati   pubblici
incentiva l'efficienza degli apparati stessi nonche' la  ponderazione
delle scelte adottate, stante l'impossibilita' del loro ripensamento. 
    Viceversa, la possibilita' incondizionata di rivalutare - anche a
notevole distanza di tempo - l'assetto di interessi raggiunto con  le
precedenti   determinazioni    produce    un    effetto    deflattivo
sull'efficienza,  aumenta  il  rischio  di  adozione   di   decisioni
contraddittorie  da  parte  dello  stesso  ente  e,  in   definitiva,
pregiudica il buon andamento dell'azione pubblica. 
    Peraltro, si evidenzia che, riguardo al controllo ufficioso sulla
legittimita' o meno della SCIA, il  legislatore  ha  fissato  precisi
termini alle facolta' di intervento  dell'amministrazione  (tanto  in
via inibitoria quanto in via di autotutela). Dacche' si desume che lo
stesso regime del controllo ufficioso  prevede  un  limite  temporale
oltre il quale l'interesse pubblico all'eliminazione delle  attivita'
abusive viene meno, prevalendo su di esso l'esigenza di certezza  dei
rapporti tra privati e pubblica amministrazione. 
    E' dunque evidente che la riapertura del procedimento di verifica
dei presupposti della SCIA a  fronte  di  un'istanza  presentata  dal
terzo oltre i suddetti limiti temporali  non  puo'  dirsi  funzionale
alla tutela di alcun interesse pubblico, il  quale  invece  recede  a
fronte delle suddette esigenze di certezza. 
    Al contrario, il riavvio del suddetto procedimento si traduce  in
un inutile dispendio di attivita' per l'Ente pubblico, il quale, dopo
un periodo di tempo (anche notevole) dalla presentazione della  SCIA,
sarebbe tenuto ad intraprendere una complessa  attivita'  istruttoria
volta ad accertare l'originaria legittimita'  o  meno  dell'attivita'
segnalata. 
    Peraltro  tale  ulteriore  aggravio   non   trova   assolutamente
giustificazione nel rango dell'interesse tutelato dall'art. 19, comma
6-ter. 
    Infatti tale norma salvaguarda (solo) un'aspettativa individuale:
quella del terzo leso  dall'iniziativa  segnalata  a  che  la  stessa
iniziativa  venga  interrotta.  Nondimeno,  l'Ente  pubblico,  quando
procede  su  istanza  del  controinteressato  e'  sempre   tenuto   a
provvedere in via inibitoria (anche a discapito  del  buon  andamento
amministrativo e dell'affidamento del segnalante). Viceversa,  quando
procede alle verifiche ufficiose - le quali assicurano  il  ben  piu'
pregnante interesse collettivo al controllo sul legittimo  avviamento
delle attivita' regolamentate - l'Ente stesso e' tenuto a  rispettare
gli stringenti limiti temporali imposti dall'art. 19, commi  3,  4  e
6-bis. Cio' che  evidentemente  configura  un  meccanismo  di  tutela
sproporzionatamente asimmetrico in capo al segnalante a  seconda  che
l'attivazione delle verifiche amministrative avvenga in via ufficiosa
o ad istanza del terzo. 
    Ne' in senso contrario puo' sostenersi che  l'esclusione  di  una
simile potesta' di intervento sine die pregiudicherebbe  le  esigenze
di contrasto agli illeciti commessi dai privati nei vari  settori  di
attivita' in cui trova applicazione l'istituto  della  SCIA.  Invero,
per tutelare tali  esigenze  l'Amministrazione  dispone  di  autonomi
poteri repressivi sottratti al regime  generale  dell'art.  19  della
legge n. 241/1990 (cosi' ad esempio, nella  materia  che  ci  occupa,
l'Amministrazione  stessa  dispone  di  poteri  c.d.  di   «vigilanza
edilizia» - cfr. articoli 27, 30-34, 37 del  decreto  del  Presidente
della Repubblica  n.  380/2001  -  che  sfuggono  anche  al  «termine
ragionevole»  di  cui  all'art.  21-nonies:   ex   multis   Tribunale
amministrativo regionale Lazio, Roma, Sez. I-quater, 22 aprile  2016,
n. 4713). Ma tali poteri non comportano un riesame della legittimita'
originaria dell'intervento gia' assentito con  il  precedente  titolo
abilitativo. Bensi' attengono al riscontro  di  eventuali  successive
violazioni del titolo stesso ovvero alla  repressione  di  iniziative
intraprese senza previa consultazione dell'autorita' competente. 
    Con  la  conseguenza  che  neanche  la   generale   esigenza   di
repressione degli abusi nei settori di  attivita'  non  liberalizzate
(quale e' in buona parte l'attivita' edilizia) giustifica il  modello
di tutela del terzo introdotto dall'art. 19, comma 6-ter. 
    Orbene, le  suesposte  considerazioni  mostrano  gia'  come  tale
modello  costituisca  un  ostacolo  al  buon  andamento   dell'azione
amministrativa, traducendosi potenzialmente in un  notevole  aggravio
di   attivita'   per   l'Amministrazione   coinvolta,   con   effetti
pregiudizievoli per i valori di celerita', stabilita'  ed  efficienza
sopra richiamati. 
    Vi e' tuttavia un altro dato che rende evidente il contrasto  tra
la citata norma ed il suddetto  principio  costituzionale,  ossia  il
rischio di un vero e proprio stallo delle Amministrazioni preposte al
controllo delle attivita' oggetto di SCIA, a causa  delle  incertezze
interpretative derivanti dall'attuale formulazione dell'art. 19 comma
6-ter. 
    A questo proposito, giova premettere  che  -  come  ripetutamente
chiarito dal Giudice delle leggi - il principio  del  buon  andamento
sancito dall'art. 97 Cost. rappresenta,  non  solo  un  parametro  di
legittimita' dell'azione amministrativa, ma anche un  canone  per  il
corretto esercizio della potesta' normativa, in virtu' del  quale  il
legislatore deve assicurare quanto piu'  possibile  la  chiarezza  ed
univocita' interpretativa delle norme che l'amministrazione e' tenuta
ad applicare nell'esercizio del potere pubblico.  Configurandosi,  in
caso contrario, un vizio capace di inficiare la  stessa  legittimita'
costituzionale della legge approvata. 
    Ed invero, la Corte costituzionale ha piu' volte sancito che «non
e' conforme a tale  disposizione  (art.  97  Cost.)  l'adozione,  per
regolare  l'azione  amministrativa,  di  una   disciplina   normativa
«foriera di incertezza», posto che  essa  puo'  tradursi  in  cattivo
esercizio  delle  funzioni  affidate   alla   cura   della   pubblica
amministrazione»  (Corte  cost.,  16  aprile  2013,  n.   70;   Corte
costituzionale, 22 dicembre 2010, n. 364; in termini - anche  se  con
riguardo alla violazione dell'art. 3 Cost. - Corte costituzionale, 20
luglio 2012, n. 200). 
    Ebbene, e'  evidente  che  la  norma  in  questione  pone  l'Ente
pubblico - chiamato  a  provvedere  sull'istanza  sollecitatoria  del
terzo - in stato di totale  incertezza  in  ordine  all'esistenza  (o
meno) di un obbligo a provvedere sull'istanza medesima. 
    Invero,  a  seconda  dell'interpretazione  data  dall'Ente   alla
disposizione in esame, il sollecito del privato  puo'  ritenersi,  di
volta in volta, tardivo ovvero tempestivo. Con  la  conseguenza  che,
nel  primo  caso,  l'Amministrazione  e'  legittimata  a   dichiarare
l'irricevibilita' dell'istanza senza  previo  svolgimento  di  alcuna
istruttoria (cfr. art. 2, comma 1, legge n. 241/1990). Viceversa, nel
secondo caso, essa e' tenuta a svolgere la verifica  sui  presupposti
della SCIA ed a concluderla tramite l'emanazione di un atto espresso,
pena la proposizione dell'azione di cui all'art. 31 c.p.a.  da  parte
del terzo pretermesso. 
    Del  resto,  la   molteplicita'   delle   tesi   proposte   dalla
giurisprudenza  in  ordine  all'individuazione  del  termine  per  la
presentazione dell'istanza del controinteressato, da un lato, acuisce
le difficolta' interpretative poste dall'art. 19 comma 6-ter a carico
dell'amministrazione  e,  d'altro  lato,  conferma   la   sostanziale
incertezza  del  disposto   di   tale   articolo.   Dacche'   emerge,
plasticamente, il contrasto di quest'ultimo con i suesposti  principi
costituzionali. 
    11.3 - Fermo  quanto  sopra,  il  Collegio  ritiene  che  la  non
manifesta infondatezza della questione in oggetto emerga altresi' dal
contrasto tra la norma censurata ed il canone di ragionevolezza delle
scelte legislative sancito nell'art. 3 Cost., in  relazione  all'art.
117, comma 2, lettera m, Cost. 
    Sul punto, si osserva  anzitutto  che  svariate  disposizioni  di
legge riconducono la  normativa  nazionale  in  materia  di  SCIA  ai
«livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili  e
sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»
e  che,  com'e'  noto,  sono  rimessi  alla  competenza   legislativa
esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117, comma  2,  lettera  m),
Cost. (cfr. art. 29, comma 2-quater legge n. 241/1990; art. 49, comma
4-ter, decreto-legge 78/2010, conv. con legge n. 122/2010). 
    Peraltro, nel condividere il  suddetto  assunto  legislativo,  la
Corte costituzionale  ha  chiarito  che  tutto  il  meccanismo  della
segnalazione certificata di inizio attivita' costituisce «prestazione
specifica» dello Stato nei  confronti  del  cittadino  anche  laddove
viene tutelato «il diritto dell'interessato ad un sollecito esame, da
parte della pubblica amministrazione competente, dei  presupposti  di
diritto e di fatto  che  autorizzano  l'iniziativa  medesima»  (Corte
cost., 27 giugno 2012, n. 164). 
    Tale   assunto   si   riferisce   evidentemente   ai    controlli
amministrativi sulla legittimita' o meno della SCIA che,  secondo  il
Giudice  delle  leggi,  devono  essere  assistiti  dalla   previsione
legislativa di puntuali limiti temporali, diretti  ad  assicurare  il
«sollecito esame»  dell'iniziativa  denunciata  e,  in  quanto  tali,
rientranti nei «livelli essenziali» di  tutela  della  posizione  del
segnalante ex art. 117, comma 2, lettera m) Cost. 
    La suddetta affermazione  -  benche'  espressa  dalla  Corte  con
precipuo riferimento ai controlli ufficiosi di cui all'art. 19  commi
3, 4 e 6-bis - non puo' non  valere  anche  riguardo  alle  verifiche
amministrative svolte su istanza del terzo. Invero, rispetto a queste
ultime, la posizione del segnalante presenta le  stesse  esigenze  di
sollecita definizione del procedimento inibitorio che le citate norme
tutelano quando il procedimento stesso e' avviato d'ufficio dall'Ente
pubblico. 
    Senonche',  mentre  rispetto  a  tali  controlli   ufficiosi   il
segnalante  puo'  contare  sulla  previsione  di  specifici   termini
decadenziali entro cui  i  controlli  stessi  devono  necessariamente
concludersi (e che, come detto, costituiscono «livelli essenziali» ex
art. 117, comma 2, lettera m,  Cost.),  l'art.  19  comma  6-ter  non
prevede  alcun  limite  temporale  alla  possibilita'  che  il  terzo
solleciti  il  potere   inibitorio   dell'amministrazione.   Con   la
conseguenza che il termine per il compimento di tale sollecito  resta
escluso dal novero dei livelli essenziali di cui all'art. 117,  comma
2, lettera m) Cost. 
    Tale soluzione normativa e'  palesemente  irragionevole,  poiche'
omette  di  disciplinare  un  elemento  indispensabile  alla   tenuta
complessiva del meccanismo semplificatorio introdotto dal legislatore
e da quest'ultimo ascritto ai livelli  essenziali  delle  prestazioni
garantite su scala nazionale. 
    A questo proposito, e' appena il caso di accennare che -  secondo
l'interpretazione datane dalla giurisprudenza costituzionale - l'art.
117,  comma  2,  lettera  m)  Cost.  pone,  in  materia  di   livelli
essenziali, una riserva di legge (relativa, ma) rinforzata «in quanto
vincola il  legislatore  ad  apprestare  una  garanzia  uniforme  sul
territorio nazionale» (Corte cost., 19 dicembre  2012,  n.  297).  In
particolare, nell'attuazione  di  tale  riserva,  il  legislatore  e'
tenuto a determinare gli «standard strutturali  e  qualitativi  delle
prestazioni da garantire (come detto, in modo uniforme)  agli  aventi
diritto» (Corte cost. 10 giugno 2010, n. 207; id., 5 aprile 2013,  n.
62; id., 15 gennaio 2010, n.  10),  dacche'  deriva  che  la  riserva
stessa, oltre a ripartire  le  competenze  normative  in  materia  di
livelli essenziali, impone  al  legislatore  di  prevedere  standards
minimi uniformi delle prestazioni riconducibili ai livelli stessi. 
    E' evidente che nei suddetti standards  minimi  non  possono  non
rientrare  anche  i  termini  per  la   conclusione   dei   controlli
amministrativi sui presupposti della  SCIA  tanto  nei  casi  in  cui
l'iniziativa repressiva e' avviata d'ufficio dall'Ente pubblico (come
del resto gia' affermato dalla citata sentenza  n.  164/2012)  quanto
nelle ipotesi in cui il procedimento inibitorio e' avviato su istanza
del terzo. 
    Invero, la  mancata  previsione  di  tali  termini  e'  idonea  a
vanificare del tutto la  prestazione  somministrata  dallo  Stato  al
cittadino sotto forma di semplificazione delle procedure  abilitative
per  lo  svolgimento  di  attivita'  (come   quella   edilizia)   non
liberalizzate. Se  in  teoria  infatti  la  semplificazione  dovrebbe
consentire  di  raggiungere  il  medesimo   risultato   (assentimento
dell'iniziativa privata) con un iter amministrativo  piu'  snello  di
quello   ordinario,   l'attuale   disciplina   della   SCIA   risulta
contraddittoria con tali finalita':  da  un  lato  invero,  essa  non
assicura sempre una riduzione dell'attivita' burocratica (poiche'  il
procedimento di verifica  dei  presupposti  della  segnalazione  puo'
essere avviato piu' volte a fronte di  plurime  istanze  di  soggetti
controinteressati); e, d'altro lato, tale disciplina non conduce  mai
ad una regolamentazione definitiva degli interessi contrapposti nella
vicenda   amministrativa,   residuando   sempre   un    potere-dovere
dell'Amministrazione di  rimettere  in  discussione  la  legittimita'
originaria dell'intervento segnalato, ogniqualvolta essa  riceva  una
domanda di intervento da parte di un terzo. 
    Peraltro, si evidenzia che l'esclusione dal  novero  dei  livelli
essenziali del termine per l'esercizio del potere  sollecitatorio  di
cui all'art. 19 comma 6-ter rischia  di  pregiudicare  l'esigenza  di
uniformita' normativa che caratterizza l'istituto della SCIA nel  suo
complesso. Invero, tale opzione legislativa, data la peculiare natura
della riserva posta dall'art. 117, comma  2,  lettera  m)  Cost.  (la
quale consente l'intervento regionale sugli aspetti di dettaglio  del
regime dei livelli essenziali: cfr. Corte costituzionale n.  297/2012
cit.), apre  la  strada  a  discipline  territoriali  eterogenee  del
suddetto termine, con conseguente disomogeneita' degli  standards  di
tutela a livello nazionale. 
    Da tali considerazioni emerge, ad avviso del Collegio, l'assoluta
illogicita'  e  sproporzione  del  meccanismo  di  tutela  sine   die
apprestato dall'art. 19, comma 6-ter alla posizione del soggetto leso
dall'altrui SCIA nonche', in definitiva, un'illegittima  compressione
dei livelli essenziali delle prestazioni riconosciute  al  segnalante
dalla norma nazionale. 
    Alla  luce  di  quanto  sopra,  dunque,  il  precetto   normativo
censurato risulta palesemente incostituzionale. 
    12 - Alla luce delle considerazioni  che  precedono  il  Collegio
ritiene rilevante e non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale  dell'art.  19,  comma  6-ter,  legge  n.
241/90,  nella  parte  in  cui  non  prevede  un   termine   per   la
sollecitazione da parte del terzo delle  verifiche  sulla  SCIA,  per
contrasto con gli articoli 3, 11, 97,  117,  primo  comma  Cost.,  in
relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali ed all'art. 6, paragrafo  3,  del  Trattato  sull'Unione
europea, e 117, secondo comma, lettera m)  Cost.  Dispone  quindi  la
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale  per  la  decisione
della  suddetta  questione,  sospendendo  nelle  more   il   presente
giudizio.