IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL VENETO (Sezione Prima) Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 1297 del 2016, proposto da: Aniello Siniscalchi, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonino Galletti, con domicilio ex art. 25 c.p.a. presso la segreteria del Tribunale amministrativo regionale; contro Ministero della difesa in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distr.le Venezia, domiciliata in Venezia, San Marco, 63; per l'annullamento del provvedimento del Ministero della difesa, Direzione generale per il personale militare datato 23 settembre 2016, protocollato il 30 settembre 2016 (prot. M_D GMIL REG 2016 0581577), con il quale e' stata irrogata la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari ai sensi degli articoli 861, comma primo, lettera d) e 857, comma sesto del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ed e' stato disposto che, per l'effetto, il predetto militare cessa dal servizio permanente e viene iscritto d'ufficio nel ruolo dei militari di troppa dell'Esercito italiano, senza alcun grado, nonche' di ogni altro atto o provvedimento, antecedente o consequenziale. Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della difesa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 ottobre 2017 il dott. Nicola Fenicia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; 1. Vista la sentenza non definitiva n. 980 del 3 novembre 2017, resa nel medesimo ricorso di cui in epigrafe, con la presente ordinanza il Collegio ritiene di dover sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1475, comma 2, del decreto legislativo 66/2010, secondo cui «I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali», essendo la questione rilevante ai fini della decisione del ricorso e non manifestamente infondata. 2. Quanto al profilo della rilevanza ci si richiama alla predetta sentenza non definitiva, ove si e' chiarito come il presente giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale, essendo stata, nel caso di specie, irrogata una sanzione disciplinare di stato, che e' risultata, all'esito dello scrutinio delle censure prospettate dal ricorrente, formalmente legittima sotto l'aspetto procedimentale nonche' sotto quello sostanziale, integrando la condotta contestata al ricorrente l'ipotesi dell'adesione da parte di un militare ad una associazione sindacale, contemplata dall'art. 1475, secondo comma, citato. Senonche' tale norma di cui si dovrebbe fare applicazione nel presente giudizio appare affetta da consistenti profili di incostituzionalita'. E' dunque evidente che il dubbio di costituzionalita' riguarda una norma che influisce direttamente sulla definizione del presente giudizio, in quanto ove tale norma dovesse essere dichiarata costituzionalmente illegittima, la condotta posta in essere dall'odierno ricorrente non potrebbe essere sanzionata. 3. Quanto alla non manifesta infondatezza, si osserva che la medesima questione e' stata gia' rimessa alla Corte costituzionale, dal Consiglio di Stato, sez. IV, con ordinanza del 4 maggio 2017, n. 2043, con la quale, appunto, si e' ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1475, comma 2, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento militare): «a) per contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli articoli 11 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, come da ultimo interpretati dalle sentenze in data 2 ottobre 2014 della Corte europea dei diritti dell'uomo, quinta sezione, nei casi «Matelly c. Francia» (ricorso n. 10609/10) e «Adefdromil c. Francia» (ricorso n. 32191/09); b) per contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 5, terzo periodo, della Carta sociale europea riveduta, firmata in Strasburgo in data 3 maggio 1996 e resa esecutiva in Italia con legge 9 febbraio 1999, n. 30». 3.1. Nel caso sottoposto al Consiglio di Stato il giudizio aveva ad oggetto il diniego del Comando generale della Guardia di finanza di autorizzare un sottoufficiale del Corpo a costituire un'associazione a carattere sindacale fra il personale dipendente del Ministero della difesa e/o del Ministero dell'economia e delle finanze o, in ogni caso, ad aderire ad altre associazioni sindacali gia' esistenti. 3.2. Il Consiglio di Stato nell'ordinanza in parola, in sintesi, ha ritenuto che: - e' legittimo per gli Stati prevedere, per i militari, restrizioni dell'esercizio dei diritti sindacali, purtuttavia, in base alla sopra citata giurisprudenza Cedu, si deve prendere atto che l'istituzione, da parte della legislazione italiana (analoga in parte qua a quella francese), di organismi e procedure speciali di rappresentanza militare non sarebbe idonea a sostituirsi al riconoscimento ai militari della liberta' di associazione che comprende il diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi; - l'art. 1475, comma 2, C.O.M., si pone in contrasto con l'interpretazione che la Corte di Strasburgo ha fornito degli articoli 11 e 14 della Cedu perche' la restrizione dell'esercizio del diritto di associazione sindacale dei militari non puo' spingersi sino alla negazione della titolarita' stessa di tale diritto. Quindi, il Consiglio di Stato, alla stregua di consolidati principi espressi dalla Corte costituzionale (richiamati in motivazione), ha evidenziato che: - l'interpretazione della Convenzione e' rimessa, ai sensi dell'art. 32 della medesima, alla sola Corte di Strasburgo; per gli Stati firmatari, pertanto, il diritto convenzionale vivente non e' quello rappresentato dal testo della Convenzione (ossia dalle relative disposizioni), bensi' quello risultante dall'esegesi della Corte Edu; - e' precluso di sindacare l'interpretazione della Convenzione europea fornita dalla Corte di Strasburgo, cui tale funzione e' stata attribuita dal nostro Paese senza apporre riserve; - le norme della Cedu, quali interpretate dalla Corte di Strasburgo, non acquistano la forza delle norme costituzionali e sono percio' soggette al controllo di legittimita' costituzionale proprio perche' si tratta di norme che integrano il parametro costituzionale, ma rimangono pur sempre ad un livello sub-costituzionale, ed e' necessario che esse siano conformi alla Costituzione; - la particolare natura delle stesse norme, escluse dall'ambito di operativita' dell'art. 10, primo comma, Cost. e diverse sia da quelle comunitarie sia da quelle concordatarie, fa si' che lo scrutinio di costituzionalita' non possa limitarsi alla possibile lesione dei principi e dei diritti fondamentali ma debba estendersi ad ogni profilo di contrasto tra le «norme interposte» e quelle costituzionali; - si deve escludere che le pronunce della Corte di Strasburgo siano incondizionatamente vincolanti ai fini del controllo di costituzionalita' delle leggi nazionali; tale controllo deve sempre ispirarsi al ragionevole bilanciamento tra il vincolo derivante dagli obblighi internazionali, quale imposto dall'art. 117, primo comma, Cost., e la tutela degli interessi costituzionalmente protetti contenuta in altri articoli della Costituzione; - a differenza della Corte Edu, la Corte costituzionale opera una valutazione sistemica e non isolata dei valori coinvolti dalle norme di volta in volta scrutinate ed e', quindi, tenuta bilanciare valori spesso contrapposti; pertanto solo ad essa spetta valutare come ed in quale misura l'applicazione della Convenzione da parte della Corte europea si inserisca nell'ordinamento costituzionale italiano, fermo il limite per cui, ai sensi dell'art. 53 della stessa Convenzione, l'interpretazione delle disposizioni della medesima non puo' implicare livelli di tutela inferiori a quelli assicurati dalle fonti nazionali. 3.3. Il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte anche la distinta ma connessa questione della contrarieta' dell'art. 1475, comma 2, con l'art. 5, terzo periodo, della Carta sociale europea riveduta (predisposta nell'ambito del Consiglio d'Europa, firmata in Strasburgo in data 3 maggio 1996 e resa esecutiva in Italia con legge 9 febbraio 1999, n. 30), nella parte in cui, affidando alla legislazione nazionale di determinare il «principio dell'applicazione delle garanzie» sindacali ai militari nonche' la «misura» di tale applicazione, intende evocare un nucleo essenziale di liberta' sindacali che non puo' non essere riconosciuto anche a favore di tali categorie di lavoratori. 3.4. Conseguentemente, il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte ogni valutazione sulla legittimita' delle sopra richiamate norme interposte in quanto non siano a loro volta contrarie alla Costituzione e, come tali, inidonee a integrare il parametro dell'art. 117, primo comma, Cost.; tanto avuto riguardo alla circostanza che l'art. 1475, comma 2, cit., e' dettato al fine di assicurare la coesione interna, la neutralita' e la prontezza delle Forze armate, presupposti strumentali necessari ed imprescindibili per assicurare l'efficacia della relativa azione, posta a tutela di un valore dell'ordinamento di carattere supremo e per cosi' dire primario, quale e' la difesa militare dello Stato. 4. Cio' premesso, il Collegio, ritiene di sollevare nei medesimi termini di cui alla predetta ordinanza del Consiglio di Stato, la stessa questione di legittimita' costituzionale, che nel caso di specie viene in rilievo con riferimento, non gia' alla legittimita' del divieto del Comando generale dell'Arma di costituzione della associazione UNAC in parola e di adesione alla stessa, su cui - a differenza del caso esaminato dal Consiglio di Stato - e' caduto il giudicato della sentenza del Tribunale amministrativo regionale Lazio n. 586/2016, bensi', piu' a valle, con riferimento alla distinta, anche se connessa, contestazione della legittimita' della sanzione disciplinare, applicata nel caso di specie al militare ricorrente per aver preso parte alla predetta associazione sindacale. Poiche', dunque, tale ultimo oggetto - afferente alla fase applicativa della sanzione - sfugge al giudicato portato dalla citata sentenza del Tribunale amministrativo regionale Lazio, la preliminare questione di legittimita' costituzionale della norma che, individuando la condotta vietata, costituisce il presupposto per l'applicazione della sanzione, puo' legittimamente essere sollevata nel presente giudizio. 5. L'antinomia tra l'art. 1475, comma 2, del decreto legislativo 66/2010, che vieta in radice ai militari di «costituire associazioni professionali a carattere sindacale», nonche' di «aderire ad altre associazioni sindacali» e gli articoli 11 e 14 della Cedu, come interpretati dalla Corte di Strasburgo, appare infatti anche a questo Collegio netta, evidente e non superabile in via interpretativa. 5.1. Da un lato, infatti, l'art. 11 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848), come noto, stabilisce che «1. Ogni persona ha diritto alla liberta' di riunione pacifica e alla liberta' d'associazione, ivi compreso il diritto di partecipare alla costituzione di sindacati e di aderire a essi per la difesa dei propri interessi. 2. L'esercizio di questi diritti non puo' essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una societa' democratica, alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale e alla protezione dei diritti e delle liberta' altrui. Il presente articolo non osta a che restrizioni legittime siano imposte all'esercizio di tali diritti da parte dei membri delle forze armate, della polizia o dell'amministrazione dello Stato». E il successivo art. 14 della Convenzione statuisce che «Il godimento dei diritti e delle liberta' riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione». 5.2. Inoltre, con le pronunce emesse in data 2 ottobre 2014, nei casi «Matelly c. Francia» (ricorso n. 10609/10) e «Adefdromil c. Francia» (ricorso n. 32191/09), la Corte europea dei diritti dell'uomo ha affermato che «le restrizioni che possono essere imposte ai tre gruppi di soggetti menzionati nell'art. 11 CEDU [membri delle Forze armate, della Polizia e dell'Amministrazione dello Stato] richiedono un'interpretazione restrittiva e devono, conseguentemente, limitarsi all'esercizio dei diritti in questione. Esse non possono, tuttavia, mettere in discussione l'essenza stessa del diritto alla liberta' sindacale. Pertanto la Corte non accetta le restrizioni che incidono sugli elementi essenziali della liberta' sindacale senza i quali il contenuto di tale liberta' sarebbe vuotato della sua sostanza. Il diritto di formare un sindacato e di aderirvi e' un elemento essenziale della liberta' sindacale» («Matelly c. Francia» §§ 57-58, «Adefdromil c. Francia» §§ 43-44). Se, dunque, e' legittimo per gli Stati prevedere, per i militari, restrizioni dell'esercizio dei diritti sindacali, purtuttavia secondo la Corte «tali restrizioni non devono privare i militari ed i loro sindacati del diritto generale alla liberta' di associazione per la difesa dei loro interessi professionali e morali», anche in considerazione del fatto che l'istituzione, da parte della legislazione francese, di «organismi e procedure speciali» di rappresentanza militare «non sarebbe idonea a sostituirsi al riconoscimento ai militari della liberta' di associazione, che comprende il diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi» («Matelly c. Francia» §§ 69-70, «Adefdromil c. Francia» § 54). 5.3. Dall'altro lato vi e', nel nostro ordinamento interno, l'art. 1475, comma 2, decreto legislativo 66/2010, che lungi dal restringere l'esercizio dei diritti sindacali dei militari, li sopprime del tutto; di qui il contrasto di tale norma con l'art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli articoli 11 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, come da ultimo interpretati dalle sentenze citate della Corte europea dei diritti dell'uomo. 5.4. Per di piu', condividendosi quanto affermato sul punto dal Consiglio di Stato con l'ordinanza del 4 maggio 2017, n. 2043, la disposizione di cui all'art. 1475, comma 2, decreto legislativo 66/2010 appare in contrasto anche con il testo della Carta sociale europea riveduta, il cui art. 5 assegna agli Stati firmatari, fra l'altro, il dovere di determinare la misura in cui la liberta' di associazione sindacale, sancita in via generale dalla Carta stessa, trovi applicazione nei confronti degli appartenenti alle Forze armate. La disposizione dell'art. 5, terzo periodo, della Carta, laddove rimette alla legislazione nazionale di determinare il «principio dell'applicazione delle garanzie» sindacali ai militari nonche' la «misura» di tale applicazione, intende infatti evocare un nucleo essenziale - certo ristretto, limitato e circoscritto - di liberta' sindacali che non puo' non essere riconosciuto anche a favore di tali categorie di lavoratori: ne consegue che una norma nazionale che, come l'art. 1475, comma 2, del decreto legislativo 66/2010, privi in radice i militari del diritto di «costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali» si pone in contrasto con tale disposizione di diritto internazionale convenzionale. 6. In conclusione, alla luce delle considerazioni che precedono appare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1475, comma 2, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento militare), per i profili gia' enucleati dal Consiglio di Stato con l'ordinanza n. 2043/2017, ovvero: a) per contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli articoli 11 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, come da ultimo interpretati dalle sentenze emesse in data 2 ottobre 2014 dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, quinta sezione, nei casi «Matelly c. Francia» (ricorso n. 10609/10) e «Adefdromil c. Francia» (ricorso n. 32191/09); b) per contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 5, terzo periodo, della Carta sociale europea riveduta, firmata in Strasburgo in data 3 maggio 1996 e resa esecutiva in Italia con legge 9 febbraio 1999, n. 30. 7. Ai sensi dell'art. 23, secondo e terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, il presente giudizio e' sospeso fino alla definizione dell'incidente di costituzionalita'. 8. Ai sensi dell'art. 23, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la presente ordinanza e' notificata alle parti costituite e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.