CORTE DEI CONTI 
           Sezione regionale di controllo per la Campania 
 
    Composta dai magistrati: Giovanni Coppola - Presidente,  Rossella
Cassaneti - consigliere, Alessandro Forlani -  consigliere,  Rossella
Bocci  -  consigliere,  Francesco  Sucameli  -   primo   referendario
(relatore), Raffaella Miranda - primo referendario, ha pronunciato la
seguente ordinanza; 
    Visto l'art. 100, comma 2 della Costituzione; 
    Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato
con  regio  decreto  12  luglio   1934,   n.   1214,   e   successive
modificazioni; 
    Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20,  recante  disposizioni  in
materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti; 
    Visti il decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito  dalla
legge 20 dicembre 1996, n. 639, e l'art. 27 della legge  24  novembre
2000, n. 340; 
    Vista la legge 5 giugno 2003, n. 131,  recante  disposizioni  per
l'adeguamento   dell'ordinamento   della   Repubblica   alla    legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; 
    Visto il regolamento  (n.  14/2000)  per  l'organizzazione  delle
funzioni di controllo della Corte dei conti, deliberato dalle sezioni
riunite della Corte dei conti in data 16  giugno  2000  e  successive
modificazioni; 
    Visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267,  recante  il
testo  unico  delle  leggi  sull'ordinamento  degli  enti  locali   e
successive modificazioni (TUEL); 
    Visto  il  decreto-legge  10  ottobre  2012,  n.   174,   recante
«Disposizioni urgenti in materia di  finanza  e  funzionamento  degli
enti territoriali, nonche' ulteriori  disposizioni  in  favore  delle
zone terremotate nel maggio 2012», convertito dalla legge 7  dicembre
2012, n. 213; 
    Visto  l'art.  243-bis  del  TUEL  «Procedura   di   riequilibrio
finanziario pluriennale», introdotto dall'art. 3,  comma  1,  lettera
r), del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito dalla legge
7 dicembre 2012, n. 213; 
    Visto l'art. 243-quater del TUEL «Esame del piano di riequilibrio
finanziario  pluriennale  e  controllo  sulla  relativa  attuazione»,
introdotto dall'art. 3, comma 1, lettera  r),  del  decreto-legge  10
ottobre 2012, n. 174, convertito dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213; 
    Considerata la pronuncia di questa sezione n. 53/2016/PRSP del 14
marzo 2016, con la quale e' stato approvato il  PRFP  del  Comune  di
Pagani; 
    Considerata la pronuncia di questa sezione n. 3/2017/PRSP dell'11
gennaio  2017,  con  la  quale   e'   stato   accertato   il   «grave
inadempimento»  del  PRFP  del  Comune  di  Pagani,  per  il  mancato
raggiungimento degli obbiettivi intermedi nel 2015,  con  l'emersione
di  uno  squilibrio  aggiuntivo  per  debiti   fuori   bilancio   non
riconosciuti e non evidenziati per euro 4.407.423,87; 
    Viste le delibere del consiglio comunale di Pagani  n.  6  del  7
febbraio 2017 e n. 15/2017 dell'8 marzo 2017, acquisite al  prot.  n.
2463 del 3 aprile 2017, contenenti le misure  correttive  adottate  a
valle  della  suddetta  delibera  di  «grave   inadempimento»   degli
obbiettivi intermedi del PRFP; 
    Vista la deliberazione del consiglio comunale di Pagani n. 31 del
30 maggio 2017, acquisita agli atti con comunicazione prot. C.d.c. n.
5651 del 26 ottobre 2017, con la quale il PRFP  originarlo  e'  stato
modificato ai sensi dell'art. 1, comma 434, legge 11  dicembre  2016,
n. 232; 
    Vista la relazione  sull'attuazione  del  piano  di  riequilibrio
concernente il primo ed il secondo semestre  2017,  prot.  C.d.c.  n.
4397 del 14 luglio 2017 e prot. C.d.c. n. 530 del 6 febbraio 2018; 
    Vista la relazione  di  deferimento  del  magistrato  istruttore,
depositata presso la segreteria della sezione,  in  data  16  gennaio
2018; 
    Viste le ordinanze n. 2 e n. 7 con le quali e' stata trasmessa la
ridetta relazione e convocato  il  comune  per  l'adunanza  pubblica,
prima del 6 febbraio e poi del 20 febbraio 2018; 
    Visti l'art.  134  della  Costituzione,  l'art.  1  della   legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e  l'art.  23  della  legge  11
marzo 1953, n. 87; 
    Uditi   nell'adunanza   pubblica   del   20   febbraio   2018   i
rappresentanti dell'ente intervenuti in udienza; 
    Udito il relatore primo referendario dott. Francesco Sucameli. 
 
                        Considerato in fatto 
 
    1. Con deliberazione della commissione straordinaria n. 40 del 19
febbraio 2013, assunta con i poteri di consiglio comunale, il  Comune
di Pagani ha fatto ricorso alla Procedura di riequilibrio finanziarlo
pluriennale (PRFP) prevista dall'art. 243-bis TUEL. 
    Con  deliberazione  della  medesima  commissione  n.  13  del  17
febbraio 2014, assunta sempre con i poteri del consiglio comunale, e'
stato approvato PRFP per il periodo 2014-2023 (durata  decennale,  la
massima  al  tempo  prevista).  Il  piano  prevede  un  recupero  dei
disavanzo formale evidenziato (euro 5.074.673,99) con quote  costanti
decennali  (euro  507.500,00  all'anno),  nei  termini  riportati  in
tabella. 

              Parte di provvedimento in formato grafico

    Successivamente, con pronuncia n. 53/2016/PRSP del 14 marzo  2016
la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per  la  Campania,
ha approvato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale. 
    Con la decisione n. 3/2017/PRSP questa sezione  ha  accertato  un
primo  «grave  inadempimento»  degli  obbiettivi   del   piano,   per
l'annualita'  2015,  nell'ambito  del  quale  si  e'  registrato   un
deterioramento   degli   equilibri   rispetto   al    risultato    di
amministrazione 2015 pari euro 4.100.097,84, a  causa  di  passivita'
non contabilizzate per euro 4.407.423,87. 
    In data 15 luglio 2017, con nota del collegio dei revisori  prot.
C.d.c. n. 4397, di  pari  data,  perveniva  la  relazione  semestrale
sull'attuazione del PRFP riguardo al primo semestre del 2017. 
    La   rimodulazione/riformulazione   e'   stata   effettuata   con
deliberazione del consiglio comunale n. 31 del  30  maggio  2017,  ai
sensi dell'art. 1, comma 434, legge 11 dicembre 2016, n. 232. 
    2. Nell'ambito del controllo sull'attuazione del PRFP,  ai  sensi
dell'art.  243-quater,  comma  7  TUEL,  questa  sezione  ha  avviato
l'analisi  della  documentazione  pervenuta;  pertanto,  ha  iniziato
un'interlocuzione istruttoria col comune per verificare la congruita'
della rimodulazione/riformulazione del PRFP, al fine di verificare la
correttezza della riduzione degli obbiettivi intermedi annuali. 
    Gli uffici della sezione hanno dunque: 
        a) proceduto a due audizioni dei  rappresentanti  del  comune
(verbale del 20 novembre 2017, prot. n. 7100968 del 28 febbraio 2017;
verbale prot. n. 70048610 del 22 dicembre 2017); 
        b) inviato una richiesta istruttoria (cfr. prot. n. 6075  del
21 novembre 2017); 
        c) ricevuto ed analizzato le correlate risposte (prot.  Corte
dei conti n. 6167 del 1° dicembre 2017 e  n.  6265  del  13  dicembre
2017). 
    3. Dagli atti acquisiti  risultava  che  l'ente,  a  valle  della
pronuncia specifica di questa sezione n. 3/2017/PRSP, aveva proceduto
alla riformulazione/rimodulazione del PRFP nell'ambito  delle  misure
correttive adottate. 
    Emergeva, altresi', che la modifica del PRFP e' stata  effettuata
secondo  il  ragionamento  logico-contabile  che  qui  si  espone  in
sintesi. 
    Da un lato, il comune ha ritenuto rilevante il miglioramento  del
risultato di amministrazione formalmente accertato nei primi tre anni
di attuazione del PRFP, nei termini seguenti: 
        2014 → euro 1.294.418,65; 
        2015 → euro 814.879,08; 
        2016 → (dati preconsuntivo) euro 735.414,23. 
    Nel complesso, il recupero del  disavanzo  sarebbe  stato  dunque
pari ad euro 2.844.629,36. 
    Considerato che il PRFP prevedeva un ritmo di riduzione  di  euro
507.500,00 all'anno, l'ente avrebbe avuto, a fine 2016, un  «credito»
di recupero pari a euro 1.322.211,96, ottenuto dalla  differenza  tra
euro 1.522.500,00 euro 507.500,00 × 3) e il  totale  della  riduzione
conseguita sui dati di bilancio (euro 2.844.629,36). 
    Peraltro,  poiche'  questa  sezione  aveva   accertato   maggiori
passivita' per euro 4.407.423,87, ad avviso dell'ente, l'obiettivo di
riequilibrio veniva «riformulato» in euro 6.637.468,50,  per  effetto
del seguente calcolo: 
        disavanzo  originario  da  piano  di  riequilibrio   →   euro
5.074,673,99; 
        a detrarre quote recuperate nel triennio 2014-2015-2016  →  -
euro 2.844.629,36; 
        nuovo e maggior disavanzo accertato dalla Corte dei  conti  →
euro 4.407.423,87; 
        totale = euro 6.637.468,50. 
    L'ente ha quindi ritenuto di avvalersi della facolta' di  ripiano
trentennale concessa dal citato art. 1,  comma  434  della  legge  n.
232/2016.  Nel  fare   cio'   ha   proceduto   a   redistribuire   il
soprariportato totale sui residui  27  anni  rispetto  alla  data  di
primigenio decorso del  PRFP  (2014).  Di  conseguenza,  il  suddetto
totale e'  stato  diviso  per  27  annualita',  ottenendo  una  quota
«rimodulata» annuale di disavanzo da ripianare  annualmente  pari  ad
euro 245.832,17, restando peraltro invariata la quota di riduzione da
armonizzazione  (art.  3,  comma  16,  del  decreto  legislativo   n.
118/2011, c.d. extra-deficit), in concreto  pari  a  euro  678.000,00
(quota che si aggiunge alla prima). 
    Pertanto,  le   quote   annuali   di   disavanzo   da   applicare
complessivamente nelle annualita' dei bilanci di previsione, dal 2017
in poi, risultavano pari almeno a: 
        quota annua disavanzo da PRFP →  euro  245.832,17  (obiettivo
intermedio minimo); 
        quota annua  di  disavanzo  da  riaccertamento  straordinario
(art.  3,  comma  16,  decreto  legislativo  n.  118/2011)   →   euro
678.000,00; 
        totale = euro 923.832,17. 
    La rimodulazione, dunque, riduceva il  disavanzo  complessivo  da
applicare annualmente  al  bilancio  da  euro  1.185.000,00  ad  euro
923.832,17, recuperando un margine di  spesa  annuale  pari  ad  euro
261.167,83. 
    4. Il magistrato istruttore, esaminati gli atti, nell'ambito  del
«monitoraggio»  dell'attuazione  del   piano   ai   sensi   dell'art.
243-quater, comma 7, in data 16 gennaio 2018 redigeva  una  relazione
con    la    quale    rilevava    criticita'    in    merito     alla
rimodulazione/riformulazione  del  PRFP.  In  particolare,  ravvisava
un'anomalia nel ripiano trentennale dello squilibrio accertato con la
precedente deliberazione n.  3/2017/PRSP  e  poneva  una  preliminare
questione di legittimita'  costituzionale  sull'art.  1,  comma  434,
legge n. 232/2016. Su tutte tali questioni, ai  sensi  dell'art.  111
Cost., commi 1 e 2, il magistrato istruttore chiedeva  al  presidente
di instaurare il contraddittorio collegiale con l'ente e  di  fissare
un'apposita adunanza con facolta' del comune di presentare memorie  e
scritti difensivi su tutte le questioni prospettate. 
    Il presidente, con  ordinanza  n.  2/2018  del  18  gennaio  2018
trasmessa via PEC in  pari  data,  deferiva  il  comune  in  adunanza
pubblica, per il successivo 6 febbraio. 
    Nelle more della pubblica  adunanza,  il  comune  non  presentava
alcuna memoria ne' si presentava nel giorno fissato. 
    In data 6 febbraio, peraltro, giungeva  la  relazione  semestrale
del collegio dei revisori, relativa al secondo semestre 2017. In essa
si riferiva che il risultato di amministrazione al 31  dicembre  2016
aveva  assorbito  lo   squilibrio   accertato   da   questa   sezione
(deliberazione  n.  3/2017/PRSP)  per  debiti  fuori  bilancio  (euro
4.407.423,87), mediante appositi accantonamenti. in tal modo,  l'ente
aveva certificato un disavanzo finale pari ad euro 25.621.468,50.  le
passivita' registrate con accantonamento riguardavano segnatamente le
seguenti poste: 
        debito fuori bilancio verso Consorzio di bacino Salerno 1 per
interessi di mora, pari ad euro 3.166.379,73; 
        debito fuori bilancio verso PCM UTA per euro 753.911,06; 
        debito verso Sannio ambiente per euro 170.000,00; 
        debito verso TEFA per euro 270.000,00, relativo al versamento
dell'addizionale   provinciale   originariamente   a   carico   della
partecipata Multiservice S.r.l. 
    La parte disponibile del  risultato  di  amministrazione,  al  31
dicembre  2017,  secondo  quanto  riportato   nell'ultima   relazione
semestrale, pur rimanendo di segno  negativo,  si  riduceva  ad  euro
21.225.983,18. 
    Nella camera di consiglio, il collegio si aggiornava alla  seduta
successiva. 
    In data 8 febbraio c.a., il  comune  produceva  una  nota  (prot.
C.d.c. n. 634 in pari data) con cui chiedeva  di  essere  rimesso  in
termini e di celebrare una nuova adunanza,  adducendo  a  motivazione
della richiesta un errore tecnico di sistema (il  quale  non  avrebbe
consentito  di  registrare   correttamente   e   tempestivamente   la
convocazione in pubblica adunanza). All'uopo corredava  la  richiesta
con il «ticket» dell'assistenza tecnica. 
    Il  presidente  della  sezione  accoglieva  la  richiesta  e  con
ordinanza n. 7/2018 del 9 febbraio, riconvocava,  in  pari  data,  il
comune nell'adunanza pubblica fissata per il successivo  20  febbraio
2018. 
    5. Il comune nelle more non ha presentato  memorie.  All'adunanza
pubblica, peraltro, senza sollevare contestazioni sulla  rilevanza  o
fondatezza  della   questione   sollevata,   men   che   meno   sulla
legittimazione di questa sezione, i  rappresentanti  dell'ente  hanno
comunque precisato che: 
        la  rimodulazione/riformulazione  e'  stata  effettuata   per
consentire di recuperare margini di spesa per l'erogazione di servizi
ai cittadini; i bilanci prevedono pochissima  spesa  discrezionale  e
mirano essenzialmente alla copertura della spesa  obbligatoria  e  al
recupero del disavanzo; 
        sulla base  di  accertamenti  successivi  alla  decisione  di
questa sezione n. 3/2017/PRSP, una parte  delle  maggiori  passivita'
per debiti, accertate in  euro  4.407.423,87,  sarebbero  in  realta'
debiti in contenzioso e, quindi,  ascrivibile  alla  categoria  delle
«passivita' potenziali». Per tale ragione (in base ad  una  relazione
dell'Avvocatura  del  30  novembre  2017),   e'   stato   effettuato,
successivamente,  un  piu'  ridotto  accantonamento  a  fondo  rischi
rispetto all'originario «nuovo disavanzo» registrato al  31  dicembre
2016,  sulla  base  dell'accertamento   di   questa   sezione.   Tale
accantonamento oggi e' infatti diminuito ad euro 1.810.077,29. 
    In relazione a tale importo, il comune avrebbe provveduto con una
manovra di rientro triennale,  ai  sensi  dell'art.  188  TUEL.  Esso
comprende i surrichiamati tre debiti fuori bilancio verso  PCM  UTA1,
Sannio ambiente  e  Tefa  (nella  misura  gia'  accertata  da  questa
sezione). Nello stesso tempo, l'ente ha ridotto l'accantonamento  per
il debito verso il Consorzio di bacino Salerno 1, calcolando il  solo
rischio di soccombenza nel giudizio in corso (stimato dall'Avvocatura
dell'ente pari ad euro 616.166,29, ossia pari a circa  il  20%  delle
somme richieste dai Consorzio). Pertanto, il comune ha  ritenuto  che
se anche la modifica del PRFP risultasse effettuato in  base  ad  una
norma costituzionalmente illegittima, sarebbe comunque  in  grado  di
dimostrare di avere raggiunto gli obbiettivi intermedi a fine 2017 in
base al vecchio PRFP. E cio'  anche  tenendo  conto  dell'obbligo  di
immediato  rientro,  ai  sensi  dell'art.  188  TUEL,  del   maggiore
disavanzo accertato  dalla  Corte  dei  conti  con  la  pronuncia  n.
3/2017/PRSP. 
    Inoltre, per quel che concerne le altre  irregolarita'  contabili
rilevate da questa sezione  con  la  decisione  n.  53/2016/PRSP,  il
comune ha evidenziato che vi sarebbe stato un sensibile miglioramento
della  riscossione  e  che  sarebbe  stata  completata  la  gara  per
l'aggiudicazione  dei  lavori  per  la   realizzazione   dei   loculi
cimiteriali. 
    Il collegio si ritirava dunque in  camera  di  consiglio  per  la
decisione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. Il collegio ritiene  di  sollevare,  d'ufficio,  pregiudiziale
questione di legittimita' costituzionale sull'art. 1, comma 434 della
legge 11 dicembre 2016, n. 232. 
    La norma oggetto della  questione,  modifica  l'originario  testo
dell'art. 1, comma 714, della legge n. 208/2015, che  gia'  prevedeva
una facolta' di rimodulazione/riformulazione di piani di riequilibrio
in corso di attuazione. 
    La norma era, nella precedente versione, cosi' formulata: 
    «714. Gli enti locali che nel corso degli anni dal 2013  al  2015
hanno presentato il piano di riequilibrio finanziario  pluriennale  o
ne hanno conseguito l'approvazione ai  sensi  dell'art.  243-bis  del
testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al
decreto legislativo 18 agosto 2000,  n.  267,  possono  ripianare  la
quota di disavanzo applicato al piano  di  riequilibrio,  secondo  le
modalita' previste dal decreto del Ministero  dell'economia  e  delle
finanze 2 aprile 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 89  del
17 aprile 2015. Entro il 30 settembre 2016, i  medesimi  enti,  fermo
restando la durata massima del piano di  riequilibrio  come  prevista
dall'art. 243-bis, comma 5, del citato testo unico di cui al  decreto
legislativo n. 267  del  2000,  possono  provvedere  a  rimodulare  o
riformulare il precedente piano in coerenza con l'arco  temporale  di
trenta anni previsto per il riaccertamento straordinario dei  residui
attivi e passivi di cui all'art. 3 del decreto legislativo 23  giugno
2011, n. 118.  La  restituzione  delle  anticipazioni  di  liquidita'
erogate agli enti di  cui  ai  periodi  precedenti,  ai  sensi  degli
articoli 243-ter e 243-qunquies del citato  testo  unico  di  cui  al
decreto legislativo n. 267 del 2000,  e'  effettuata  in  un  periodo
massimo di trenta anni decorrente dall'anno successivo  a  quello  in
cui viene erogata l'anticipazione». 
    Seguiva il comma 714-bis: «Gli enti locali che  hanno  presentato
il  piano  di  riequilibrio  finanziario  pluriennale  o   ne   hanno
conseguita l'approvazione ai sensi dell'art. 243-bis del testo  unico
delle leggi sull'ordinamento degli enti locali,  di  cui  al  decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, con  delibera  da  adottarsi  dal
consiglio dell'ente entro la data  del  30  settembre  2016,  possono
provvedere a rimodulare o riformulare il piano stesso, fermo restando
la sua durata originaria e quanto  previsto  nel  comma  7  dell'art.
243-bis del medesimo decreto legislativo n. 267 del 2000, per  tenere
conto dell'eventuale disavanzo risultante dal rendiconto approvato  o
dei debiti fuori bilancio, anche in deroga agli articoli  188  e  194
del decreto  legislativo  n.  267  del  2000.  Dalla  adozione  della
delibera consiliare discendono gli effetti previsti dai commi 3  e  4
dell'art. 243-bis del testo unico delle leggi sull'ordinamento  degli
enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000». 
    Nella nuova formulazione, introdotta dall'art. 1, comma 434 della
legge n. 232/2016, il comma 714, invariato il comma 714-bis,  e'  ora
cosi' formulato: 
    «714. Fermi restando i tempi di pagamento dei creditori, gli enti
locali che hanno presentato  il  piano  di  riequilibrio  finanziario
pluriennale o ne hanno conseguito l'approvazione ai  sensi  dell'art.
243-bis del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000,
n. 267, prima dell'approvazione del rendiconto per l'esercizio  2014,
se alla data della presentazione  o  dell'approvazione  del  medesimo
piano di riequilibrio  finanziario  pluriennale  non  avevano  ancora
provveduto ad effettuare il riaccertamento straordinario dei  residui
attivi e passivi di cui all'art. 3, comma 7, del decreto  legislativo
23 giugno 2011, n. 118, possono rimodulare o riformulare il  predetto
piano, entro 31  maggio  2017,  scorporando  la  quota  di  disavanzo
risultante dalla revisione straordinaria dei residui di cui  all'art.
243-bis, comma 8, lettera e), limitatamente ai residui antecedenti al
1° gennaio  2015,  e  ripianando  tale  quota  secondo  le  modalita'
previste dal decreto del Ministero dell'economia e  delle  finanze  2
aprile 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 89 del 17  aprile
2015. La restituzione delle anticipazioni di liquidita' erogate  agli
enti di cui al periodo precedente, ai sensi degli articoli 243-ter  e
243-quinquies del citato testo unico di cui al decreto legislativo n.
267 del 2000, e' effettuato in un  periodo  massimo  di  trenta  anni
decorrente dell'anno successivo a quello  in  cui  e'  stata  erogata
l'anticipazione.  A  decorrere  dalla   data   di   rimodulazione   o
riformulazione del piano, gli  enti  di  cui  ai  periodi  precedenti
presentano alla commissione di cui all'art. 155  del  medesimo  testo
unico di  cui  al  decreto  legislativo  n.  267  del  2000  apposita
attestazione  del  rispetto  dei  tempi  di  pagamento  di  cui  alla
direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del  Consiglio,  del  16
febbraio 2011». 
        1.1.  Sulla  legittimazione  della   sezione   regionale   di
controllo a  sollevare  la  questione  di  costituzionalita'  in  via
incidentale nell'ambito dei controlli sul piano di  riequilibrio.  La
sezione  ritiene  di  essere  legittimata   a   sollevare   questione
incidentale di costituzionalita' ai sensi  dell'art.  1  della  legge
costituzionale n. 1/1948 e  dell'art.  23  della  legge  n.  87/1953,
sussistendo la  giurisdizione  di  un  «giudice,  nell'ambito  di  un
"giudizio"». 
    Come e' noto, alla  giurisdizione  della  Corte  dei  conti  sono
intestate due diverse funzioni reciprocamente integrate, segnatamente
il «controllo» (art. 100 Cost.) e quella «giurisdizionale»  in  senso
stretto (art. 103 Cost.), nelle materie di  contabilita'  pubblica  e
nelle altre specificate dalla legge. 
    Gia' in passato il giudice delle leggi ha in passato riconosciuto
la legittimazione di questa magistratura  a  sollevare  questioni  di
legittimita' costituzionale incidentale anche in sede  di  controllo,
segnatamente, nell'ambito del controllo  preventivo  di  legittimita'
(sentenze  n.  226/1976  e  n.  384/1991)  nonche'   in   quello   di
parificazione dei bilanci statali e regionali (sentenze n.  165/1963,
n. 121/1966, n. 142/1968, n. 244/1995, n. 213/2008 e piu' di recente,
per le parifiche dei bilanci regionali, le sentenze n. 181/2015 e  n.
89/2017), quest'ultimo caratterizzato da «forme» giurisdizionali. 
    Infatti, nei procedimenti «davanti alla  sezione  di  controllo»,
«ai limitati fini dell'art. 1 della legge  cost.  n.  1  del  1948  e
dell'art. 23 dello legge n. 87 del 1953, la funzione in  quella  sede
svolta dalla Corte nei conti e', sotto  molteplici  aspetti,  analoga
allo funzione giurisdizionale» «[a]nche  se  [...]  non  [vi]  e'  un
giudizio in senso  tecnico-processuale»  (Corte  cost.,  sentenza  n.
226/1976). 
    Segnatamente, nella prefata sentenza il giudice  delle  leggi  ha
qualificato la decisione di controllo alla stregua di un  «giudizio»,
a prescindere dalle forme processuali. Cio' per la concorrenza di due
circostanze: da un lato, la sussistenza di  sufficienti  garanzie  di
contraddittorio, dall'altro, per la struttura logica della  decisione
che si risolve «[...], nel valutare la conformita' degli atti che  ne
formano oggetto alle norme del diritto oggettivo,  ad  esclusione  di
qualsiasi  apprezzamento  che  non   sia   di   ordine   strettamente
giuridico». 
    Tale  decisione,  del  resto,  risultava  coerente  con  la  piu'
risalente giurisprudenza della Consulta che, sin  dagli  esordi,  per
garantire la piena  attuazione  del  principio  di  costituzionalita'
delle leggi, ha affermato la necessita' di  tutelare  «il  preminente
interesse pubblico  della  certezza  del  diritto  (che  i  dubbi  di
costituzionalita'  insidierebbero)  [il  quale]   vieta   che   dalla
distinzione tra le varie categorie di giudizi e  processi  (categorie
del resto dai confini sovente incerti e  contrastanti),  si  traggano
conseguenze cosi' gravi, quali l'esclusione della  proponibilita'  di
questioni  di  legittimita'  costituzionale»  (Corte  costituzionale,
sentenza n. 129/1957). 
    Ai fini dell'interpretazione estensiva dei requisiti  di  accesso
al  giudizio  incidentale  di  costituzionalita',  sia  pure  in   un
procedimento di  controllo  (all'epoca  il  controllo  preventivo  di
legittimita' su atti) pur in assenza delle  «formalita'  della  [...]
giurisdizione contenziosa» (come  per  la  parifica,  art.  40  regio
decreto n. 1214/1934), decisiva risultava l'esigenza di «ammettere al
sindacato  della  Corte  costituzionale   leggi   che,   come   nella
fattispecie in esame, piu' difficilmente verrebbero, per  altra  via,
ad essa sottoposte» (sentenza n. 226/1976).  In  sede  di  controllo,
infatti, e' possibile sottoporre al  sindacato  di  costituzionalita'
atti normativi primari che per loro natura, altrimenti, difficilmente
possono venire all'attenzione del giudice delle leggi  attraverso  un
«processo» di tipo  dispositivo  (in  cui  ad  essere  tutelate  sono
situazioni giuridiche soggettive intestate  a  soggetti  direttamente
titolari dell'interesse, ai sensi degli articoli 24 e 113 Cost.).  Il
controllo preventivo di legittimita',  infatti,  avendo  a  parametro
leggi ed atti aventi forza di legge che incidono  in  modo  sensibile
sul bilancio (attraverso atti  che,  direttamente  o  indirettamente,
agiscono  sugli  aggregati   di   spesa   o   determinano   l'assetto
macro-organizzativo dello Stato) consente verificare la conformita' a
costituzione di disposizioni normative altrimenti prive  di  soggetti
direttamente   interessati    a    veicolare    la    questione    di
costituzionalita' davanti alla Consulta. 
        1.2. La suddetta legittimazione della  sezione  regionale  di
controllo a sollevare la questione incidentale di  costituzionalita',
per contro, e' stata negata per  taluni  controlli  che  differiscono
profondamente per parametro e natura  quelli  tradizionali  assegnati
alla  Corte  dei  conti  (controllo  preventivo  di  legittimita'   e
parifica). Si tratta segnatamente  di  una  genealogia  di  controlli
introdotti  nel  nostro  sistema   durante   una   particolare   fase
dell'evoluzione istituzionale dello Stato (in generale negli anni '90
del secolo scorso, cfr. in particolare l'art.  3,  commi  4-9,  della
legge  n.  20/1994),  improntata  alla  riduzione  del  sistema   dei
controlli  di  legalità-regolarita'.  Da  una  parte,   infatti,   si
ammetteva  l'estensione  del  parametro  di  valutazione  a   criteri
economico-gestionali,   sconfinanti   nel    merito    amministrativo
(insindacabile  nei  controlli  tradizionali),   per   altro   verso,
l'effettivita' di tali controlli veniva ridotta  esclusivamente  alla
capacita' di promuovere comportamenti auto-correttivi da parte  delle
amministrazioni  controllate,  attraverso  un  obbligo  giuridico  di
riesame (Corte costituzionale, sentenza n. 29/1995). 
    A causa di tale differenza di parametro ed effetti (e  in  ultima
analisi, di natura), nell'ambito di  tali  tipi  di  controllo,  alla
Corte dei  conti  e'  stata  negata  la  legittimazione  a  sollevare
questioni pregiudiziali di costituzionalita'  (Corte  costituzionale,
sentenza n. 37/2011) o comunitarie (Corte  di  giustizia  dell'Unione
europea, sentenza 29 novembre 1999, causa C-440/98, RAI, in Racc., p.
I-8597, punto 13). 
    In definitiva, nella consolidata  giurisprudenza  costituzionale,
mentre e' pacifica la sussistenza della legittimazione a sollevare un
incidente pregiudiziale di costituzionalita' in sede di controlli  di
legittimità-regolarita', e' escluso che tale legittimazione  sussista
nei c.d. controlli di gestione «collaborativi». 
        1.3.   Cionondimeno,   immutata   e'    rimasta    l'esigenza
costituzionale e sistemica di favorire  il  sindacato  costituzionale
attraverso la giurisdizione di  diritto  obiettivo  della  Corte  dei
conti,   attraverso   i   vecchi   e    i    nuovi    controlli    di
legittimità-regolarita' che la  Corte  dei  conti,  in  coerenza  con
l'originario disegno costituzionale, svolge sui  bilanci  degli  enti
pubblici. 
    Del resto, la iurisdictio che la Corte dei conti esercita secondo
la Costituzione, nelle forme del «controllo» di  legalità-regolarita'
e della giurisdizione in senso stretto, appare unitaria ed integrata,
in quanto tramite le funzioni svolte da tale magistratura si assicura
la legalita' ordinaria e costituzionale rispetto al  «bene  pubblico»
bilancio (Corte costituzionale, sentenze n. 184/2016, n.  228/2017  e
n. 247/2017), sede delle scelte  fondamentali  di  allocazione  delle
risorse pubbliche. 
    Infatti, tanto nell'originario disegno cavouriano che  in  quello
costituzionale del 1948, la Corte dei conti viene  identificata  come
«giudice» speciale della contabilita'  pubblica  (art.  103),  ed  in
particolare del bilancio (art. 100). 
    Nella contingenza storica che  puo'  determinare  la  maggiore  o
minore ampiezza delle «materie» della contabilita' pubblica ai  sensi
dell'art. 103, comma secondo, Cost. (Corte  costituzionale,  sentenze
n. 46/2008, n. 371/1998, n. 24/1993, n.  773/1988,  n.  641/1997,  n.
241/1984, n. 189/1984, n. 185/1982,  n.  129/1981,  n.  102/1977,  n.
68/1971), infatti, e'  indubbio  che  il  bilancio  costituisca  «la»
materia che per la Costituzione giustifica l'esistenza ed afferma  la
necessita' di un magistrato speciale, giudice del  diritto  e  perito
del fatto contabile. Infatti, anche quando il controllo si svolge  su
singoli atti, la loro  sottoposizione  al  sindacato  del  magistrato
contabile e' giustificata proprio  per  la  capacita'  di  questi  di
incidere in modo sensibile sul bilancio (art. 3, commi 1-3, legge  n.
20/1994; art. 11, legge n. 123/2011; articoli 1,  commi  53-57  della
L.F. n. 244/2007 e dell'art. 1, comma 173, L.F. n. 266/2005). 
    Il sindacato del magistrato  contabile  in  tale  materia,  nelle
«forme del controllo», del resto, risponde anche a  precise  esigenze
pratiche e giuridiche, connesse al  bene  oggetto,  per  antonomasia,
della sua giurisdizione (il bilancio). Quest'ultimo e' infatti  retto
da  norme  assai  peculiari  per  struttura  e   fattispecie   (norme
finanziarie e contabili) e si inserisce in un'attivita' pubblica, per
definizione caratterizzata da esigenze di celerita' di  giudizio  (la
gestione della provvista finanziaria e del patrimonio). 
    Pertanto,  l'ideale  cavouriano  di  un  sindacato  di  legalita'
sull'attivita' finanziaria e sulla gestione patrimoniale,  effettuato
da  un  giudice  terzo  e   indipendente   rispetto   alla   pubblica
amministrazione,  mantenuto  in  Costituzione  (articoli  100  e  103
Cost.), si traduce in  «forme»  che  non  devono  ingessare  i  tempi
dell'amministrazione  (cosa   che   accadrebbe   senz'altro   se   si
imponessero i tempi e le  forme  del  processo,  dove  l'esigenza  di
celerita' cede il passo  a  quello  della  garanzia  di  interessi  e
situazioni giuridiche intestati a soggetti specifici). 
    Le «forme del  controllo»,  dunque,  coniugano  le  due  esigenze
(legalita'  e  buon  andamento   della   pubblica   amministrazione),
consentendo una  completa  cognizione  del  bilancio,  attraverso  la
caratteristica bilateralita' della procedura  (che  prevede  solo  il
giudice a fronte del controllato) e i poteri istruttori  inquisitori.
Peraltro, tali  caratteristiche  sono  controbilanciate  da  adeguate
garanzie di difesa (Corte costituzionale n. 226/1976),  previste  non
solo da espresse norme di procedura (regio decreto n. 1214/1934),  ma
valorizzate anche dall'interpretazione adeguatrice delle stesse  alla
luce della riforma del c.d. «giusto processo» (art. 111 Cost.,  commi
1 e 2): infatti, ai soggetti controllati, in  tutti  i  controlli  di
legittimità-regolarita' (pure quelli successivi al  testo  unico  del
1934, in particolare nei  controlli  previsti  dal  decreto-legge  n.
174/2012, convertito in legge n. 213/2012, sulle regioni, sul sistema
sanitario   e   sugli   enti   locali)   e'   assicurato   il   pieno
contraddittorio,  anche  attraverso  la   garanzia   della   pubblica
adunanza. 
    Infine, il controllo e la sua effettivita' vivono di una  stretta
relazione con il momento  successivo  della  giurisdizione  in  senso
stretto. Tale  ulteriore  «forma»  del  sindacato  delle  fattispecie
incidenti sul bilancio e sul patrimonio  pubblico  sussiste  sia  per
esigenze di garanzia dei soggetti controllati, sia per presidiare  le
norme e le decisioni di controllo con dispositivi  giuridici  che  ne
assicurino l'effettivita', eventualmente anche con la responsabilita'
individuale di coloro i quali  hanno  compromesso  la  legalita'  del
funzionamento della macchina pubblica (articoli 28, 100 e 103 Cost.). 
    Tale integrazione si realizza  attraverso  l'importante  funzione
del  pubblico  ministero  contabile  che  consente  di   separare   e
neutralizzare il naturale conflitto di interesse tra ente e comunita'
amministrata da un lato, e gli amministratori dall'altro.  Attraverso
il pubblico ministero, infatti, le illegittimita' e le  gestioni  che
violano la legge  e  la  Costituzione  da  parte  di  amministratori,
possono essere portati all'attenzione di un giudice,  all'interno  di
un processo, con le forme tipiche della «giurisdizione». 
    Si tratta dunque di una unitaria «iurisdictio», in  primo  luogo,
in quanto l'oggetto della disciplina  normativa  che  il  giudice  e'
chiamato ad applicare, in entrambe le funzioni, e'  quella  afferente
la  gestione  della  provvista  finanziaria,  del  bilancio   e   del
patrimonio  pubblico;  in  secondo  luogo  perche'  le  decisioni  di
controllo  si  inseriscono  nel  fluire  dell'azione   amministrativa
verificando le  fattispecie  contabili  a  diretto  contatto  con  le
scritture e con  l'amministrazione,  presidiando  la  continuita'  di
bilancio, consentendo  di  fare  emergere  illegittimita'  altrimenti
difficilmente  conoscibili  attraverso   le   forme   tipiche   della
giurisdizione, che comunque garantiscono, in un  momento  successivo,
la piena garanzia del principio di legalita' ed il diritta di difesa. 
        1.4. Tale unitaria iurisdictio e' stata di recente nuovamente
valorizzata, nell'ambito della riforma legislativa  e  costituzionale
stimolata dagli impegni assunti dall'Italia a livello  europeo  (art.
117, comma 1 Cost.), in materia di politica economica e di  bilancio,
riforma culminata con la legge costituzionale n. 1/2012. 
    Proprio la pressione del diritto dell'Unione europea  ha  portato
alla introduzione del precetto dell'equilibrio di bilancio (art.  97,
comma 1 Cost. e 81 Cost.) e all'espansione del sistema dei  controlli
di legittimità-regolarita' della Corte dei conti. 
    Infatti, al termine di un lungo processo  di  riforma  (legge  31
dicembre 2009, n. 196; legge 5 maggio 2009, n. 42; in  attuazione  di
una delega di quest'ultima, il decreto legislativo n. 118/2011),  con
la legge costituzionale n. 1/2012 e la legge rinforzata n.  243/2012,
alla Corte e' stato affidato un ruolo fondamentale nella tutela della
legalita' di bilancio (art. 20,  legge  n.  243/2012).  Da  un  lato,
infatti, sono stati codificati e resi normativi a tutti  gli  effetti
regole e principi contabili (per le regioni e  gli  enti  locali,  in
particolare, il decreto legislativo n.  118/2011),  per  altro  verso
sono aumentati i controlli previsti dalla «legge», legati a parametri
di stretta legalita': con il decreto-legge n. 174/2012 (convertito in
legge n. 213/2012) e varie novelle del  TUEL  sono  stati  introdotti
nuovi e numerosi controlli successivi sui  bilanci  delle  regioni  e
degli enti locali. 
    In terzo luogo - a differenza dei  controlli  «collaborativi»  di
cui alla sentenza Corte costituzionale n. 37/2011  -  tali  controlli
non mirano ad ottenere meri  effetti  auto-correttivi,  ma  all'esito
dell'accertamento  di  illegittimità-irregolarita',  comportano  ipso
iure   immediate   conseguenze   giuridiche   sulle   amministrazioni
controllate (e non piu' un mero «obbligo di riesame»).  Si  pensi  al
c.d. «blocco della spesa» (art. 148-bis  TUEL),  all'avvio  del  c.d.
«dissesto guidato» (art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 149/2011)
al mutamento del regime di salvaguardia degli equilibri  di  bilancio
(art. 243-quater, comma 7  TUEL  in  virtu'  del  quale  il  giudizio
negativo della Corte sul PRFP comporta il passaggio  dal  regime  del
piano di riequilibrio finanziario pluriennale a quello del dissesto). 
    Infatti, in piu' occasioni la Consulta ha qualificato tali ultimi
controlli    come     appartenenti     al     genus     di     quelli
legittimità-regolarita'  (sentenze  n.  60/2013,  n.  39/2014  e   n.
40/2014, n. 228/2017), non solo perche' il parametro e'  strettamente
normativo e la struttura del giudizio  del  magistrato  contabile  e'
chiaramente «dicotomica», ma anche per la diversa effettivita'  delle
norme  a  presidio  degli  equilibri  di  bilancio,  che  mirano   «a
prevenire» in modo efficace il pregiudizio  a  tale  precetto  (Corte
costituzionale, sentenze n. 60/2013 nonche' n. 39/2014 e n. 40/2014). 
    In questo contesto - su stimolo della stessa Corte costituzionale
(sentenza n. 39/2014, punto 6.3.4.3.3) e nel rispetto  della  riserva
di giurisdizione per materia dell'art.  103,  comma  2,  Cost.  -  il
legislatore ha aumentato lo  standard  di  garanzia  del  diritto  di
difesa e del contraddittorio, prevedendo espressamente la facolta' di
impugnazione delle decisioni di controllo, attraverso un ricorso alle
sezioni riunite (sebbene gia' possibile in base al disposto dell'art.
103, comma 2, Cost., cfr. SS.RR. sentenze n. 2 e  n.  6  del  2013.).
Tale  ricorso  puo'  essere  presentato  oltre   che   dal   soggetto
controllato, da chi vi abbia interesse in relazione alla  lesione  di
situazioni  giuridiche  soggettive  meritevoli  di  tutela  ai  sensi
dell'art. 24 Cost. (art. 11, comma 6, lettera  e)  del  codice  della
giustizia contabile, decreto legislativo n. 174/2016). 
    In questo modo, si e' realizzata un'ulteriore integrazione tra le
«forme» del controllo e della  giurisdizione,  che  ha  aumentato  il
grado di prossimita' del primo con il «giudizio» ai sensi e  per  gli
effetti dell'art. 1 della  legge  costituzionale  n.  1  del  1948  e
dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953. 
        1.5. Tanto premesso, in  relazione  all'odierno  giudizio  di
controllo (verifica dell'attuazione  dei  piani  di  riequilibrio  ai
sensi e per gli effetti  dell'art.  243-quater,  comma  7  TUEL),  la
legittimazione   di   questa   Corte   a   sollevare   incidente   di
costituzionalita' dipende dalla verifica della natura  del  controllo
esercitato, in particolare dalla qualificabilita' dello  stesso  alla
stregua  di  un  controllo  «collaborativo»  o  di  un  controllo  di
legittimità-regolarita'. 
    Piu' in generale, ai sensi e per gli effetti  dell'art.  1  della
legge costituzionale n. 1 del 1948 e dell'art. 23 della legge  n.  87
del 1953, occorre verificare la sussistenza di un «giudice» e  di  un
«giudizio» (cfr. Corte costituzionale,  sentenze  n.  384/1991  e  n.
89/2017). 
1.6.1. Quanto al requisito soggettivo  («giudice»),  la  Consulta  ha
evidenziato che le sezioni di controllo della Corte  dei  conti  sono
composte da magistrati «che, analogamente ai  magistrati  dell'ordine
giudiziario,  si  distinguono  tra  loro  "solo  per  diversita'   di
funzioni" (art. 10, legge 21 marzo 1953, n. 161)». Si tratta  infatti
di una magistratura «annoverata, accanto [a quella] ordinario  ed  al
Consiglio di Stato, tra le "supreme magistrature" (art.  135  Cost.);
istituzionalmente  investita  di  funzioni  giurisdizionali  o  norma
dell'art. 103, secondo comma, Cost., la Corte dei conti e',  infatti,
l'unico organo di controllo che, nel nostro ordinamento, goda di  una
diretta  garanzia  in  sede  costituzionale»  (Corte  costituzionale,
sentenza n. 226/1976). 
    Tale requisito  e'  stato  confermato  anche  con  riguardo  alle
sezioni regionali di controllo (sentenze n. 181/2015 e n. 89/2017). 
    La terzieta' e la neutralita' della Corte dei conti, infatti,  e'
stata riconosciuta anche rispetto al sistema  delle  autonomie:  essa
non esercita competenze di natura amministrativa,  ma  e'  organo  al
servizio del principio di legalita' repubblicana e  del  suo  sistema
istituzionale multilivello (art. 114 Cost.): infatti,  parallelamente
alla riforma del titolo V, la Consulta ha evidenziato  che  la  Corte
dei conti non e' espressione organizzativa dello Stato,  bensi'  essa
e'  organo  dello  Stato-comunita'  (sentenza  n.  29/1995)  e  dello
Stato-ordinamento (sentenze n.  267/2006;  nonche'  n.  179/2007,  n.
37/2011, n. 198/2012). 
    Del resto, la Corte dei conti, nel procedimento di controllo  sui
piani  di  riequilibrio  e'  «super  partes»,  ossia  e'  doppiamente
neutrale: lo e' rispetto allo  Stato-ordinamento  (art.  114  Cost.),
nella sua plurale articolazione (Corte  costituzionale,  sentenze  n.
29/1995, n. 470/1997 e n. 60/103); ma lo e' soprattutto rispetto alla
«comunita'» di riferimento e agli interessi afferenti il  bene  della
vita che tramite il controllo ricevono tutela obiettiva (il  bilancio
come bene pubblico). Si tratta, infatti e segnatamente, di  interessi
finanziari  adespoti,  afferenti  i  membri  della  collettivita'  di
riferimento, i quali entrano in una  relazione  (soltanto)  «mediata»
col bilancio: di conseguenza, gli «interessati» al bilancio non  sono
solo gli amministratori, ma  anche  i  cittadini  utenti  nonche'  il
«mercato» che interagisce col bilancio, fornendo beni e servizi. 
    La  Corte,   quindi,   si   interpone   tra   l'interesse   degli
amministratori pro tempore e quelli della comunita'  di  riferimento,
la quale aspira ad uno strumento adeguato di riequilibrio  del  «bene
pubblico»  bilancio.  L'interesse  dei  primi,   infatti,   si   pone
potenzialmente  in  conflitto  con  quelli  della  seconda,  per   le
responsabilita' che potrebbero conseguire  in  caso  di  un  giudizio
negativo ai sensi dell'art. 243-quater, comma 7  TUEL  sul  piano  di
riequilibrio. 
    Si rammenta che in tal  caso  e'  previsto  che  scatti  il  c.d.
dissesto  «guidato»  (art.  6,  comma  2,  decreto   legislativo   n.
149/2011), non piu' evitabile con la presentazione di un nuovo  piano
di riequilibrio (SRC Campania n. 8/2018, SRC Umbria, n.  1/2018;  SRC
Sicilia n. 25/2018/PRSP) e che in tale ipotesi, a mezzo del  pubblico
ministero   contabile,   siano   effettuati,   presso   le    sezioni
giurisdizionali di questa Corte, accertamenti per la  verifica  delle
responsabilita' e per l'applicazione delle sanzioni di  cui  all'art.
248, commi 5 e 5-bis TUEL (sanzioni pecuniarie ed incandidabilita'). 
    Tale conflitto di interessi e' gia' stato evidenziato dalla Corte
costituzionale  quando  ha  sottolineato   che   «l'incuria   del[lo]
squilibrio strutturale [dei bilanci] interromp[e] - in virtu' di  una
presunzione assoluta -  il  legame  fiduciario  che  caratterizza  il
mandato elettorale e  la  rappresentanza  democratica  degli  eletti»
(sentenza n. 228/2017). 
1.6.2. Per quanto riguarda il requisito  oggettivo  («giudizio»),  il
controllo sui piani  di  riequilibrio  e'  gia'  stato  espressamente
qualificato come un controllo di legittimità-regolarita', escludendo,
in tal modo, ogni  assimilazione  ai  controlli  «collaborativi».  Il
giudice delle leggi ha infatti evidenziato - come gia'  prima  per  i
controlli monitori ai sensi del nuovo art. 148-bis  TUEL  (introdotto
dal decreto-legge n. 174/2012, convertito in legge n. 213/2012;  cfr.
Corte costituzionale, sentenza n. 40/2013) - che i recenti  controlli
introdotti a presidio della «salvaguardia di bilancio», costituiscono
controlli di regolarità-legittimita' (sentenza  n.  228/2017)  e  tra
questi, in particolare, quelli attinenti alla valutazione  dei  piani
di riequilibro e della loro attuazione (articoli 243-quater, comma  7
TUEL). Infatti in tale pronuncia si legge: «[...] appare evidente che
i controlli [...] del titolo VIII del TUEL  (art.  243-bis  rubricato
«Procedura  di  riequilibrio  finanziario  pluriennale»;   243-quater
rubricato «Esame del piano di riequilibrio finanziario pluriennale  e
controllo sulla relativa attuazione»; 243-quinquies rubricato «Misure
per garantire la stabilita' finanziaria degli enti locali sciolti per
fenomeni di infiltrazione e  di  condizionamento  di  tipo  mafioso»;
243-sexies rubricato «Pagamento di  debiti»;  246  «Deliberazione  di
dissesto»;  248  rubricato  «Conseguenze   della   dichiarazione   di
dissesto»)    -    consistono     appunto     in     controlli     di
legittimità-regolarita' se non addirittura in attribuzioni di  natura
giurisdizionale. 
    Appartengono alla prima categoria: 
        a) la determinazione di misure correttive  per  gli  enti  in
predissesto (art. 243-bis, comma 6, lettera a) del TUEL); 
        b) l'approvazione o il  diniego  del  piano  di  riequilibrio
(art. 243-quater, comma 3 del TUEL); 
        c)  gli  accertamenti  propedeutici  alla  dichiarazione   di
dissesto (art. 243-quater, comma 7 del TUEL). 
    Riguardano funzioni di natura giurisdizionale: 
        a) la giurisdizione delle sezioni  riunite  della  Corte  dei
conti in speciale composizione  avverso  le  delibere  della  sezione
regionale di controllo (art. 243-quater, comma 5 del TUEL); 
        b) l'attivita' requirente della procura regionale sulle cause
del dissesto (art. 246, comma 2 del TUEL); 
        c) l'accertamento delle responsabilita' degli  amministratori
e dei revisori dei conti ai fini  dell'applicazione  delle  ulteriori
sanzioni amministrative (art. 248, commi 5 e 5-bis del TUEL)» (enfasi
aggiunta). 
    In  buona  sostanza,  il  controllo  effettuato   dalle   sezioni
regionali di controllo sui piani  di  riequilibrio  «si  risolve  nel
valutarne "la conformita' [...] alle norme del diritto oggettivo,  ad
esclusione  di  qualsiasi  apprezzamento  che  non  sia   di   ordine
strettamente   giuridico».   Una   funzione   cioe'    di    garanzia
dell'ordinamento, di «controllo  esterno,  rigorosamente  neutrale  e
disinteressato [...] preordinato a  tutela  del  diritto  oggettivo».
Infatti  «il  controllo  effettuato  dalla  Corte  dei  conti  e'  un
controllo esterno, rigorosamente  neutrale  e  disinteressato,  volto
unicamente o garantire la legalita' degli atti  ad  essa  sottoposti,
[...] che si  differenzia  pertanto  nettamente  dai  controlli  c.d.
amministrativi;    svolgentisi    nell'interno     della     pubblica
amministrazione; ed e' altresi' diverso anche da altri controlli, che
pur presentano le caratteristiche  da  ultimo  rilevate,  in  ragione
della natura e della posizione dell'organo cui e' affidato» (sentenze
n. 226/1976 e n. 384/1991). 
    Il  carattere  di  «giudizio»  e'   confermato   da   altre   due
circostanze. 
    In primis, dalla procedura caratterizzata da  un  alto  tasso  di
contraddittorio. 
    Come sopra evidenziato, oltre a fare applicazione analogica delle
norme  a  suo  tempo  adottate  dal  legislatore  per  il   controllo
preventivo di legittimita' (e gia' ritenute  sufficienti,  al  tempo,
per superare il test di legittimazione per l'accesso alla Corte, cfr.
sentenza  n.  226/1976),  la  Corte  dei  conti  valorizza  la  norma
costituzionale sui «giusto processo» (art. 111 Cost., commi 1  e  2),
assicurando il contraddittorio su tutte le risultanze  istruttorie  e
la  garanzia  dell'adunanza  pubblica  (che  consente  di   discutere
oralmente  le  memorie  scritte  sulle  contestazioni   che   vengono
preliminarmente portate a conoscenza dell'ente controllato). 
    In secundis, il requisito oggettivo  del  «giudizio»  si  ravvisa
nella idoneita' della decisione di controllo a costituire uno stabile
accertamento,  alla  stregua  di  un  provvedimento  emesso  in  sede
giurisdizionale. 
    Sebbene non siano  suscettibile  di  passare  in  giudicato  alla
stregua  delle  sentenze,  le  decisioni  di  controllo,  una   volta
trascorso il termine per la loro impugnazione o in  mancanza  di  una
sentenza di merito di riforma da parte delle  sezioni  riunite  (art.
243-quater, comma 5 TUEL), definiscono il fatto  ed  il  diritto  coi
crismi della certezza  giuridica.  Ossia  esse  assumono,  «giuridica
stabilita'» (Corte dei conti  sezioni  riunite,  n.  64/2015/EL;  SRC
Campania n. 8/2018/QMIG), costituendo la base del giudizio  contabile
successivo nel caso in cui sussistano  i  presupposti  di  legge  per
l'attivazione di un ulteriore e successivo controllo. 
    Tale stabilita' e' fondamentale per la tutela del bene della vita
sottostante al  giudizio  di  controllo  (e  all'eventuale  sindacato
giurisdizionale): il bilancio  inteso  come  «bene  pubblico»  (Corte
costituzionale, sentenze n. 184/2016, n. 228/2017 e n. 247/2017). 
    Alla  sede  giurisdizionale,  invece,   compete   verificare   la
plausibilita' logica e giuridica del  ragionamento  effettuato  dalla
sezione di controllo, quale premessa  per  la  stabilizzazione  degli
effetti di legge o per l'avvio di ulteriore disamina del bilancio  in
sede di controllo. In questo modo, il legislatore  ha  assicurato  la
tutela di eventuali  interessi  che  possono  essere  stati  lesi  da
decisioni di controllo eventualmente viziate da errores in  iudicando
o in procedendo. 
        1.7. Giova infine, ancora  una  volta,  sottolineare  che  la
necessita' di assicurare la legittimazione diretta della  sezione  di
controllo al giudizio incidentale  di  costituzionalita'  -  anche  a
fronte della possibilita' di un successivo sindacato  giurisdizionale
in senso stretto - deriva dalla duplice  esigenza  di  «garantire  il
principio di costituzionalita'» ed «evitare che si venga a creare uno
zona  franca  del  sistema  di   giustizia   costituzionale»   (Corte
costituzionale, sentenza n. 1/2014, punto 2 in diritto). 
    Infatti,  come  gia'  evidenziato  in  passato,  il   «preminente
interesse pubblico  della  certezza  del  diritto  (che  i  dubbi  di
costituzionalita'  insidierebbero),   insieme   con   l'altro   della
osservanza  della  Costituzione»  vieta  di  ritenere   esiziale   la
circostanza che il  giudizio  di  controllo  non  si  svolga  con  le
formalita' tipiche della giurisdizione, in quanto dalla  «distinzione
tra le varie categorie di giudizi e processi (categorie del resto dai
contorni sovente incerti e contestati)» potrebbe derivare  la  «grave
conseguenza» della  formazione  nell'ordinamento  di  «zone  franche»
sottratte al sindacato di  costituzionalita'  (Corte  costituzionale,
sentenza n. 226/1976). 
    Il rischio che la disciplina della salvaguardia di bilancio degli
enti locali si traduca in una «zona franca» sottratta al sindacato di
costituzionalita'  e'  particolarmente  elevato  in  ragione  di  due
fattori. 
    In   primo   luogo,   per   la   «natura   particolare»    (Corte
costituzionale,  sentenza  n.  1/2014)  delle  norme  applicate,  che
attengono ai limiti legislativi e costituzionali alla  determinazione
dei contenuti del «bene pubblico bilancio». 
    Il contenuto del bilancio, come sede delle scelte fondamentali di
allocazione  delle  risorse  pubbliche,   e'   infatti   rimesso   al
legislatore e all'amministrazione;  solo  in  sede  di  sindacato  di
controllo  (e  in  via  mediata  l'eventuale,  successivo,  sindacato
giurisdizionale) e' possibile verificare,  da  parte  di  un  giudice
terzo, la legalita' ordinaria e costituzionale  nella  determinazione
di quei contenuti. 
    Del resto, nell'ambito delle regole normative, di  cui  la  Corte
dei  conti  deve  verificare   il   rispetto,   costituiscono   norme
fondamentali la  «clausola  generale»  di  equilibrio  «in  grado  di
operare pure in assenza di norme interposte»  (Corte  costituzionale,
sentenza n. 192/2012), nonche' la  disciplina  di  salvaguardia  (con
cio' intendendosi il sistema di prescrizioni in virtu' delle quali la
disciplina statale, che regola il bilancio di regioni ed enti locali,
stabilisce le modalita' di recupero effettivo e sostenibile dei  suoi
squilibri e detta le prescrizioni in caso  di  mancato  riequilibrio;
cfr., al riguardo, Corte costituzionale, sentenza n. 228/2017). 
    Ora e' evidente che la disciplina sul bilancio, ed in particolare
quella sulla sua «salvaguardia», non  interferendo  direttamente  con
situazioni giuridiche soggettive di diritto soggettivo e di interesse
legittimo, difficilmente verrebbe alla cognizione del  giudice  delle
leggi nell'ambito di un «processo» dispositivo. 
    Si correrebbe cosi' il  rischio  di  sottrarre  al  sindacato  di
costituzionalita'  importanti   norme   statali   e   regionali   che
disciplinano la formazione dei contenuti del bene pubblico  bilancio,
con  l'effetto  di  lasciare  prive  di  presidio   giudiziale   aree
importanti dell'ordinamento in cui sono regolati interessi di  sicuro
rilievo costituzionale: si deve rammentare, infatti, che il  bilancio
e' un «bene pubblico» attraverso  cui  si  determinano  le  politiche
fondamentali  e  la  strumentale  allocazione   delle   risorse;   di
conseguenza la disciplina ordinaria che lo governa e' essenziale  per
la realizzazione dei principi costituzionali «di solidarieta' sociale
per il pieno sviluppo della persona  umana  attraverso  la  rimozione
degli ostacoli alla liberta' e all'uguaglianza di  ordine  economico»
(articoli 2 e 3 Cost.), gli  stessi  che  impongono  l'equilibrio  di
bilancio e la sostenibilita' del debito (art. 97, comma 1 Cost.)  per
assicurare, innanzi tutto, i  livelli  essenziali  delle  prestazioni
(art. 117, secondo comma, lettera m) Cost.). 
    Inoltre,  proprio  per  la  naturale  vocazione  del  bilancio  a
dispiegare effetti, in continuita', nel tempo, la  pubblicita'  e  la
solidarieta' evocata non e' solo quella tra i cittadini  in  un  dato
momento  della  vita  della  Repubblica,   ma   quella   dinamica   e
intergenerazionale» che  deve  sussistere  per  garantire  l'ordinato
sviluppo della vita democratica dello Stato. 
    Rispetto a tale bene, dunque, si dispiegano interessi, certamente
costituzionalmente rilevanti, di natura finanziaria  e  adespota  (in
taluni casi collegati a generazioni e soggetti futuri) che per natura
possono venire all'attenzione della  Corte  costituzionale  solo  per
mezzo della iurisdictio di diritto oggettivo della Corte dei conti ed
in particolare della sua  funzione  di  controllo.  Cio'  «giustifica
[...] l'esigenza di ammettere al sindacato costituzionale leggi  che,
come nella fattispecie in esame, piu'  difficilmente  verrebbero  per
altra via, ad esso sottoposte»  (Corte  costituzionale,  sentenza  n.
384/1991), attraverso un «giudice», pur in assenza  delle  forme  del
«processo»; si tratta cioe' di  garantire  che  anche  la  disciplina
ordinaria che presiede alla formazione ed alla  tutela  del  bilancio
possa essere giustiziata secondo Costituzione, quando tale disciplina
entra in conflitto con i fondamenti della Carta fondamentale. 
    In secondo luogo, la necessita' di riconoscere direttamente  alla
sezione  regionale  di  controllo  la  legittimazione   a   sollevare
questione  incidentale  di  costituzionalita'  deriva  da  un'attuale
lacuna procedurale dei procedimenti di controllo. 
    Per costante  diritto  vivente,  nei  procedimenti  di  controllo
diversi da quelli della parifica, si fa applicazione analogica  della
disciplina  procedurale  prevista  per  il  controllo  preventivo  di
legittimita' (articoli 21 e seguenti, testo unico n. 1214 del  1934).
L'interpretazione   analogica   di   tali   disposizioni,   applicate
evolutivamente ai sensi dell'art. 111 Cost., comporta: 
        a) il contraddittorio durante tutta l'istruttoria; 
        b) lo svolgimento della pubblica adunanza nel momento in  cui
il magistrato istruttore deferisce il controllato alla sezione  nella
sua collegialita' per la decisione finale. 
    La fase finale, ed in particolare l'adunanza  pubblica,  consente
anche  oralmente  contraddittorio,  con  la  garanzia  del   pubblico
svolgimento della discussione. 
    Peraltro, non esiste nel procedimento di controllo un soggetto  o
una parte controinteressata all'approvazione o al  giudizio  positivo
sul PRFP; pertanto se la sezione regionale  di  controllo  non  fosse
ritenuta legittimata a sollevare d'ufficio questione  incidentale  di
costituzionalita',  non  rivenendosi  violazioni  di  legge,  sarebbe
tenuta ad approvare il piano o a non rilevare inadempimenti  connessi
al mancato riequilibrio secondo la disciplina vigente. 
    In tale eventualita', inoltre, non vi sarebbero soggetti in grado
di introdurre un giudizio dinanzi alle sezioni  riunite  in  speciale
composizione, nell'ambito del quale fare valere l'incostituzionalita'
delle leggi applicate.  Ne',  peraltro,  tale  funzione  puo'  essere
svolta dal pubblico ministero che, in base alla  disciplina  vigente,
non partecipa al procedimento di controllo. 
    Si  determina,  quindi,  in  assenza  di   riconoscimento   della
legittimazione della  sezione  regionale  di  controllo  a  sollevare
questioni  incidentali  dinanzi  alla  Consulta,  una  situazione  di
insindacabilita'  di  vaste  porzioni  dell'ordinamento,   in   netto
contrasto: 
        con la stessa volonta' legislativa che, invece, prevede anche
l'impugnazione  di  pronunce   favorevoli   all'ente   locale   (art.
243-quater,   comma   5   TUEL,   che   fa    espresso    riferimento
all'impugnazione anche delle «delibere  di  approvazione»),  con  una
evidente irrazionalita' del sistema; 
        con il principio di costituzionalita', che vieta che vi siano
«zone franche del tutto impreviste  dalla  Costituzione,  all'interno
delle quali  la  legislazione  ordinaria  diverrebbe  incontrollabile
(sentenza n. 148 del 1983 e sul punto, sostanzialmente  nello  stesso
senso, sentenza n. 394 del 2006) - (sentenza n. 28 del 2010)»  (Corte
costituzionale, sentenza n. 5/2014). 
        1.8. Ed infatti, in questa prospettiva, proprio tenendo conto
dell'esigenza di giustiziare, secondo Costituzione,  importanti  aree
dell'ordinamento, e segnatamente le norme finanziarie e  di  bilancio
tipicamente attratte dalla giurisdizione in sede di  controllo  della
Corte dei conti, il giudice delle leggi ha «sintetizzato», nella piu'
recente sentenza n. 89/2017, i contenuti e i requisiti di accesso  al
giudizio di costituzionalita' incidentale per i controlli sui bilanci
delle regioni e degli enti locali. In proposito la Corte ha osservato
quanto segue. 
    «Tali condizioni possono essere cosi' sintetizzate: 
        a) applicazione di parametri normativi. E'  da  sottolineare,
in proposito, come nel procedimento di parifica il prevalente  quadro
normativo di riferimento sia quello del decreto  legislativo  n.  118
del 2011 e come l'esito del procedimento sia dicotomico nel senso  di
ammettere od escludere dalla parifica le singole partite di  spesa  e
di entrata che compongano  il  bilancio  (sull'esito  dicotomico  dei
controlli  di  legittimità-regolarita'   sui   bilanci   degli   enti
territoriali, sentenza n. 40 del 2014); 
        b)  giustiziabilita'  del  provvedimento   in   relazione   a
situazioni soggettive dell'ente territoriale eventualmente coinvolte.
Infatti, l'art. 1, comma 12, del decreto-legge 10  ottobre  2012,  n.
174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli
enti territoriali, nonche' ulteriori  disposizioni  in  favore  delle
zone terremotate nel maggio  2012),  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, come  modificato  dall'art.  33,
comma 2, lettera a), numero 3), del decreto-legge del 24 giugno 2014,
n. 91 (Disposizioni  urgenti  per  il  settore  agricolo,  la  tutela
ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica  e
universitaria,  il  rilancio  e  lo  sviluppo   delle   imprese,   il
contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonche' per
la definizione immediata di  adempimenti  derivanti  dalla  normativa
europea), convertito, con modificazioni, dallo legge 11 agosto  2014,
n. 116, dispone che avverso le delibere della  sezione  regionale  di
controllo della Corte dei conti  -  tra  le  quali,  appunto,  quella
afferente al giudizio di parificazione - «e'  ammessa  l'impugnazione
alle sezioni riunite della Corte dei conti in speciale  composizione,
con le forme e i termini di cui all'art.  243-quater,  comma  5,  del
decreto legislativo 18 agosto 2000, numero 267»; 
        c) pieno contraddittorio  sia  nell'ambito  del  giudizio  di
parifica esercitato dalla sezione di controllo della Corte dei  conti
sia nell'eventuale giudizio ad istanza di parte, qualora quest'ultimo
venga avviato dall'ente territoriale cui si rivolge la  parifica.  In
entrambe le  ipotesi  e'  contemplato  anche  il  coinvolgimento  del
pubblico ministero a tutela dell'interesse generale  oggettivo  della
regolarita'  della  gestione  finanziaria  e  patrimoniale  dell'ente
territoriale (art. 243-quater, comma 5, del  decreto  legislativo  18
agosto   2000,   n.   267,   recante   «Testo   unico   delle   leggi
sull'ordinamento degli enti  locali»;  articoli  53  e  seguenti  del
regolamento di procedura di cui al regio decreto 13 agosto  1933,  n.
1038, recante  «Approvazione  del  regolamento  di  procedura  per  i
giudizi innanzi alla Corte dei conti», ora sostituiti dagli  articoli
172 e seguenti dell'allegato 1  del  decreto  legislativo  26  agosto
2016, n. 174, recante «Codice di  giustizia  contabile,  adottato  ai
sensi dell'art. 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124». In definitiva,
anche nel procedimento di parifica «e' garantita la possibilita'  che
gli interessi ed il punto di vista  dell'amministrazione,  nelle  sue
varie articolazioni, siano fatti valere nel corso  del  procedimento.
[...] D'altronde, sul piano sostanziale, il  riconoscimento  di  tale
legittimazione [al giudizio costituzionale] si giustifica  anche  con
l'esigenza di ammettere al sindacato della Corte costituzionale leggi
che, come nella fattispecie in esame, piu' difficilmente  verrebbero,
per altra via, ad essa sottoposte» (sentenza n. 226 del 1976). 
    Come e' evidente tutti i suelencati  requisiti  sono  soddisfatti
nel procedimento di controllo ai sensi dell'art. 243-quater, comma 7,
TUEL. Infatti: 
        a) come gia'  evidenziato  nella  sentenza  n.  228/2017,  si
tratta di un controllo di legalità-regolarita'; 
        b) il provvedimento e'  giustiziabile  ai  sensi  e  per  gli
effetti degli articoli 243-quater, comma 5 TUEL e dell'art. 11, comma
6,  lettera  e)  del  Codice  della  giustizia   contabile   (decreto
legislativo n. 174/2016); 
        c)  e'  assicurato  ampio  contraddittorio  con  il  soggetto
controllato, al quale si applica in via diretta, l'art. 111, commi  1
e 2 Cost. e, in via analogica, le norme sui procedimenti di controllo
previsti dal vigente testo unico della Corte dei conti  (testo  unico
n. 1214 del 1934). 
    2. Sulla rilevanza della  questione.  In  merito  alla  rilevanza
della questione di legittimita' costituzionale che la sezione intende
sollevare, nel caso di specie si osserva che  il  giudizio  non  puo'
essere definito indipendentemente dalla risoluzione  della  questione
costituzionale qui prospettata, per le ragioni di seguito indicate. 
    Si deve preliminarmente ricordare che l'art. 1, comma 434,  della
legge n. 232/2016, norma di cui qui si fa questione, ha novellato  il
precedente art. 1, comma  714  della  legge  n.  208/2015  (legge  di
stabilita' 2016) e si  applica  nell'ambito  di  un  procedimento  di
controllo volto a monitorare l'adempimento del piano e  ad  accertare
l'eventuale  «grave»  e  «reiterato»  mancato  raggiungimento   degli
obbiettivi intermedi. 
    Tale  disposizione,   infatti,   consente   la   «riformulazione»
(estensione o riduzione quantitativa dell'obiettivo di  riequilibrio)
o la «rimodulazione» (diversa distribuzione temporale del ripiano) di
un piano finanziario pluriennale pregresso, cioe' la modifica  di  un
precedente piano valido ed efficace, con un  atto  amministrativo  di
secondo grado. 
    Il presupposto oggettivo di tale rimodulazione/riformulazione non
e' pero' l'emersione di nuovo disavanzo (ipotesi  invece  contemplata
dall'art.  1,  comma   714-bis   della   medesima   legge),   ma   la
redistribuzione  di  squilibri  gia'  noti,   con   un   effetto   di
alleggerimento sugli obbiettivi intermedi annuali. 
    Inoltre, poiche' la modifica al PRFP ai sensi del comma  714  non
e' determinata dalla sopravvenienza di un nuovo «fatto» (un  maggiore
disavanzo), ma da quella di una nuova disciplina normativa contabile,
non  e'  necessaria  una  renovatio   dell'intero   procedimento   di
controllo, ma solo una verifica in sede di «monitoraggio» del PRFP in
precedenza approvato, ai sensi dell'art. 243-quater,  comma  7.  Come
specificato dalla sezione delle autonomie di questa magistratura, con
la  pronuncia  nomofilattica   n.   13/2016/QMIG   «Il   sopravvenuto
intervento normativo attuato con l'introduzione dei commi 714  e  715
riconosce la facolta' di  riformulare  o  rimodulare  il  piano  gia'
approvato o presentato solo per consentire il ripiano  del  disavanzo
scaturito dal riaccertamento straordinario dei residui nei termini  e
con le modalita' stabilite dall'art. 3 del decreto legislativo n. 118
del  2011  e  dal  decreto  ministeriale  2  aprile  2015  ma  lascia
impregiudicati i vincoli normativi e  gli  impegni  gia'  assunti  da
ciascun ente al momento dell'approvazione del piano». 
    Diversamente, la rimodulazione/riformulazione prevista  dall'art.
1, comma 714-bis e' collegata ad un «fatto» nuovo (l'emersione di  un
ulteriore disavanzo) e per tale ragione comporta  nuova  approvazione
del PRFP, a valle di  nuova  istruttoria  della  commissione  per  la
stabilita'   finanziaria   (Sezione   autonomie,   deliberazione   n.
9/SEZAUT/2017/QMIG). 
        2.1. Tanto premesso sulla tipologia di controllo  esercitato,
si rammenta che il PRFP di Pagani, in corso di attuazione,  e'  stato
ritenuto conforme a  legge  ed  approvato  in  precedenza  da  questa
sezione con la pronuncia n. 53/2016/PRSP. 
    Con  la  deliberazione  n.  3/2017/PRSP,  la  sezione  ha   pero'
accertato un primo «grave inadempimento» degli obbiettivi del  piano,
per l'annualita' 2015, ai sensi dell'art. 243-quater, comma 7 TUEL. 
    Successivamente,  con  la  citata  deliberazione  del   consiglio
comunale (n.  30  dei  31  maggio  2017),  l'ente  ha  effettuato  la
riformulazione/rimodulazione del pregresso piano, ai sensi  dell'art.
1, comma 714 legge n. 208/2015, come  novellato  dell'art.  1,  comma
434, della legge n. 232/2016. 
    Come  risulta  dagli  atti,  tale  modifica  del  PRFP   mira   a
redistribuire nel tempo le seguenti componenti: 
        l'originario disavanzo da  piano  di  riequilibrio  per  euro
5.074.673,99  (a  scorporo  del  quale  si  sono  detratte  le  quote
recuperate nel triennio 2014-2015-2016 per euro 2.844.629,36); 
        il nuovo e maggior disavanzo accertato dalla Corte dei  conti
per euro 4.407.423,87. 
    La «novita'» di tale ultima quota di disavanzo e' determinata dal
fatto che  esso  e'  emerso  successivamente  e  riguarda  passivita'
diverse, non afferenti, cioe', quelle oggetto del PRFP (debiti  fuori
bilancio non evidenziati per euro 4.275.874,88), con  la  conseguenza
che si tratta di un disavanzo  «sopravvenuto».  Come  e'  noto,  tali
disavanzi sarebbero stati ripianabili alle condizioni nonche' entro i
termini  (30  settembre  2016)  e   l'orizzonte   temporale   (durata
originaria del piano) concessi con la facolta' legislativa di cui  al
comma 714-bis dell'art.  1  della  legge  n.  208/2015.  La  medesima
facolta' sarebbe stata quindi esercitabile entro e non  oltre  il  30
settembre 2016 (cfr. SRC Campania  n.  240/2017/PRSP)  e  non  il  30
maggio  2017  (com'e'  invece  avvenuto  nel  caso  al  vaglio  della
sezione). 
    Ad avviso di  questa  sezione,  allo  stato  degli  atti,  appare
evidente che  la  rimodulazione/riformulazione,  almeno  parzialmente
(ossia con riguardo alla seconda componente di euro 4.407.423,87), e'
illegittima. 
    Eppur tuttavia, anche a fronte di tale  parziale  illegittimita',
la sezione deve comunque verificare «preliminarmente» se  ed  in  che
termini la riduzione degli obbiettivi intermedi si giustifica per  la
restante  quota  di   euro   5.074.673,99,   afferente   l'originario
squilibrio oggetto del PRFP e a suo tempo determinato  proprio  dalla
revisione straordinaria dei residui ai sensi dell'art. 243-bis, comma
8, lettera e) TUEL (cfr. SRC Campania n. 53/2016/PRSP). Tale quota di
disavanzo, stante la vigente formulazione  dell'art.  1,  comma  714,
legge n. 208/2015, puo' essere ripianata  in  trent'anni  dopo  avere
effettuato la corrispondente riformulazione/rimodulazione del PRFP. 
    La verifica della legittimita' della ridetta modifica del PRFP e'
logicamente preliminare in quanto la rimodulazione/riformulazione  ai
sensi dell'art. 1, comma 434, legge n. 232/2016 modifica  il  quantum
degli «obbiettivi intermedi» e «finali», mediante una loro riduzione,
obbiettivi che costituiscono, per la Corte,  il  canone  concreto  di
controllo per tutta  la  durata  del  piano  di  riequilibrio  e  non
soltanto nella contingenza dell'esercizio in corso. 
    L'applicazione dell'art. 1,  comma  434,  legge  n.  232/2016  e'
dunque sempre rilevante nel procedimento di controllo sull'attuazione
del PRFP, sia per l'esercizio in corso che per quelli successivi. 
    Infatti: in caso di conferma della costituzionalita' della norma,
la verifica dell'eventuale «grave  e  reiterato  adempimento»  dovra'
tenere  conto  della  parziale  correttezza  della  riduzione   degli
obbiettivi  intermedi   intervenuta   per   effetto   della   ridetta
rimodulazione/riformulazione;    in    caso     di     illegittimita'
costituzionale della norma medesima, la  rimodulazione/riformulazione
sarebbe  totalmente  irregolare,  aggravando  il  parametro  per   la
valutazione della «gravita'» dell'inadempimento,  nonche'  della  sua
«reiterazione». 
    Attiene invece al merito e a questioni logicamente successive  la
verifica  della  congruita'  degli   accantonamenti   unilateralmente
ridotti, a fine 2017, rispetto al maggiore squilibrio accertato dalla
Corte con la  decisione  n.  3/2017/PRSP  (decisione  non  impugnata)
nonche' la valutazione  dell'idoneita'  delle  manovre  triennali  di
bilancio a coprire lo  squilibrio  in  modo  siffatto  riquantificato
(oltre alla questione  incidentalmente  emersa  del  non  intervenuto
riconoscimento dei debiti fuori bilancio,  per  la  quale  occorrera'
verificare l'incidenza sul saldo di finanza pubblica). 
    Si  tratta  cioe'  di  questioni  di  fatto  e  di  diritto   che
presuppongono   comunque   la   risoluzione   della   questione    di
costituzionalita' inerente all'art. 1,  comma  434,  della  legge  n.
232/2016, questione che influenza e condiziona l'esito del  controllo
effettuato da questa Corte; ragione per  cui  la  questione  medesima
risulta «rilevante» ai sensi e per gli effetti degli articoli 23 e 24
della legge n. 87 del 1953. 
    3. Della non manifesta infondatezza. Cio' detto, la sezione,  nel
controllo  sull'adempimento  degli  obbiettivi  intermedi   e   nella
preliminare valutazione della modifica al PRFP, ritiene di non  poter
dare applicazione all'art. 1, comma 434 della legge n.  232/2016,  in
quanto, come e' noto, un giudice non puo'  «ius  dicere»  in  base  a
norme della cui costituzionalita' dubita:  ove  infatti  ritenga  non
«manifestamente   infondata»    la    questione    di    legittimita'
costituzionale sorta (articoli 23 e 24 della legge n. 87/1953),  egli
deve  rimettere  alla  Consulta  la  delibazione  delle  disposizioni
normative rilevanti nel proprio giudizio. 
    In quest'ottica, nell'ambito dei compiti e delle valutazioni  che
la  legge  e  la  Costituzione  affidano  al  giudice  a  quo  (Corte
costituzionale, sentenze n. 221/2015, n.  262/2015,  n.  45/2016,  n.
95/2016, n. 240/2016), questa sezione ritiene altresi'  che  non  sia
possibile dare  della  disposizione  contabile  qui  «rilevante»  una
applicazione  «conforme»  a   Costituzione,   attraverso   una   mera
operazione esegetica (Corte costituzionale, ex plurimis, sentenza  n.
356/1996; sentenze n. 219/2008 e n. 1/2013). 
    Cio' in quanto la formulazione della legge e' chiara e  tale  per
cui e' incompatibile con la stessa qualsiasi interpretazione  diversa
da quella imposta dalla sua lettera, salvo pervenire alla rottura del
testo o soluzioni  esegetiche  «eccentriche»  (Corte  costituzionale,
sentenza n. 36/2016). 
    Infatti, la rimodulazione/riformulazione del PRFP, in  base  alla
richiamata formulazione letterale, e' consentita nei  limiti  e  alle
seguenti condizioni: 
        1) che sia stata effettuata la «revisione  straordinaria  dei
residui» (art. 243-bis, comma 8, lettera e) TUEL), condizione questa,
come e' noto, necessaria per l'accesso al PRFP ed in  relazione  alla
quale e' emersa una «quota di disavanzo» inglobata nel piano vigente; 
        2) che tale revisione sia stata effettuata «limitatamente  ai
residui antecedenti al 1° gennaio 2015»; 
        3)  che  tale  revisione  sia  stata  effettuata   in   epoca
precedente al «riaccertamento straordinario» ai  sensi  dell'art.  3,
comma 16, del decreto legislativo n. 118/2011. 
    In presenza delle surrichiamate condizioni, la legge da' facolta'
di  rimodulare  e  riformulare  il  PRFP,   procedendo   al   ripiano
trentennale,  expressis  verbis,  di  «tale  quota»   (ossia   quella
riveniente dalla  «revisione  straordinaria  dei  residui»  ai  sensi
dell'art. 243-bis, comma 8, lettera e) TUEL). 
    Non appare dunque possibile dare un'interpretazione  diversa  ne'
ricondurre il ripiano trentennale alla stessa  logica  contabile  del
«riaccertamento  straordinario»  (art.  3,  comma  16,  del   decreto
legislativo n. 118/2011), come  era  invece  prima  nella  precedente
formulazione dell'art. 1, comma 714, della legge n. 208/2015. 
    Il ripiano trentennale del decreto ministeriale 2 aprile 2015,  a
suo tempo, appunto, previsto per il «riaccertamento straordinario» ed
il connesso «extra-deficit», e' qui invece  applicato  per  squilibri
determinati dal difetto di copertura di spese  a  fronte  di  crediti
gia' inesigibili secondo la vecchia  contabilita',  senza  che,  come
accadeva nell'art. 3, comma 16 del decreto legislativo  n.  118/2011,
cio' sia associato ad altri eventi straordinari ed eccezionali. 
    Nell'attuale formulazione della legge, la sezione  regionale,  in
sede  di  controllo,  puo'  solo  prendere  atto  di   quanta   parte
dell'obiettivo  di  riequilibrio  e'  scaturito,  a  suo  tempo,  dal
risultato negativo della gestione residui (cioe'  quello  determinato
dalla «revisione straordinaria» ai sensi dell'art. 243-bis, comma  8,
lettera e) TUEL, e correlativamente  ritenere  conforme  a  legge  il
ripiano di «tale quota» con le modalita' previste in origine  per  il
«maggiore disavanzo», ai sensi  del  decreto  ministeriale  2  aprile
2015, scaturito dal  c.d.  «riaccertamento  straordinario»  ai  sensi
dell'art. 3, comma 4, del decreto legislativo n. 118/2011. 
    Al termine di tale operazione, si delineano per l'originario PRFP
due  diversi  orizzonti  temporali,  quello  originario,   e   quello
trentennale (per la quota ascrivibile alla revisione straordinaria ai
sensi dell'art. 243-bis, comma 8, lettera e) TUEL che, nella pratica,
come  nel  caso  di  specie,  costituisce  la  fonte  principale   di
squilibrio nella finanza degli enti locali e l'«oggetto» del PRFP). 
    Infatti, la rimodulazione/riformulazione in tal guisa  effettuata
determina l'attrazione, fuori dal perimetro  del  PRFP  e  dalla  sua
durata originaria, di una parte del suo  obiettivo  di  riequilibrio,
che  viene  ora  ri  planato  con  le  stesse  modalita'   del   c.d.
extra-deficit (art. 3, comma 16, decreto legislativo n. 118/2011), in
un arco temporale di  trent'anni,  senza  che  vi  sia  una  esigenza
sistemica che giustifichi una  riduzione  degli  oneri  dei  ripiano.
L'effetto finale e'  solo  la  riduzione  della  quota  di  disavanzo
complessivo a  diverso  titolo  applicabile  su  ogni  annualita'  di
bilancio, allargando la capacita' di spesa degli enti,  senza  questa
abbia un'idonea copertura. 
    Non e' quindi possibile dare della norma di cui si  fa  questione
un'interpretazione diversa e comunque conforme all'«art. 81  Cost.  e
con gli altri precetti finanziarl di rango costituzionale» (sentenza.
n. 274/2017, paragrafo 4.4) come gia' operato in altri casi da questa
sezione (SRC Campania n. 1/2017/PRSP e sul  comma  435  della  stessa
legge, SCR Campania n. 219/2017/PRSP). 
    Gli enti locali, di tal guisa,  accedono  ad  una  disciplina  di
ripiano che vanifica  la  dimensione  temporale  del  bilancio  e  la
necessita' che  entro  tale  orizzonte  questo  sia  ripristinato  in
equilibrio.  Tale  norma  deroga  altresi'  alla   disciplina,   gia'
straordinaria, per il ripiano pluriennale, prevista  dal  TUEL  (art.
243-bis e seguenti;  articoli  244  e  seguenti)  in  caso  di  crisi
strutturale della finanza degli enti locali. 
    Di conseguenza, la disciplina dell'art. 1, comma 434 della  legge
n. 232/2016 consente di rompere gli  ordinari  argini  temporali  del
bilancio e quelli, gia' ampi, previsti per  il  suo  riequilibrio  in
caso  di  crisi  strutturale,   senza   che   cio'   corrisponda   al
perseguimento di finalita' costituzionali  compatibili  col  precetto
dell'equilibrio. 
    A differenza del caso previsto dall'art. 3, comma 16, del decreto
legislativo n. 118/2011, la modalita' di ripiano trentennale  non  e'
infatti collegata al mutamento  del  paradigma  contabile,  bensi'  a
squilibri  determinati  dall'emersione   di   crediti   considerabili
«inesigibili»  gia'  in  base  alla  vecchia   disciplina   contabile
(disciplinata dal testo previgente del TUEL e dal soft law costituito
dai principi elaborati dall'osservatorio ex art. 154 TUEL). 
    Si rammenta che la  valutazione  di  esigibilita'  di  una  posta
(rilevante per il FCDE e il riaccertamento  ordinario),  segnatamente
di un credito, attiene non solo alla  sussistenza  o  permanenza  del
titolo,  ma  anche  alla  capacita'   del   debitore   di   adempiere
regolarmente le proprie  obbligazioni,  grazie  alla  liquidita'  del
proprio patrimonio e la  manifestata  collaborazione  all'adempimento
dell'obbligazione. 
    Va dunque distinta la nozione di  esigibilita'  «sostanziale»  da
quella «in senso  giuridico»,  assunta  a  riferimento  dai  principi
contabili applicati per definire la competenza finanziaria potenziata
e l'imputabilita'  a  bilancio.  L'esigibilita'  giuridica,  infatti,
attiene ad  un  elemento  accidentale  del  titolo  dell'obbligazione
finanziaria sottostante,  in  particolare,  l'assenza  di  termini  o
condizioni, sia per lato attivo che passivo (cfr. decreto legislativo
n. 118/2011, allegato 4/2, paragrafo 2, ultimo capoverso). 
    Pertanto, secondo il collegio, si palesa una possibile violazione
del  precetto  dell'equilibrio  di  bilancio,  la  cui  garanzia   e'
assicurabile  solo  a  mezzo   di   un'eventuale   dichiarazione   di
illegittimita'   costituzionale,   ed   eccede    le    potenzialita'
dell'esegesi di questa sezione. 
    Nel  rinviare,  per  il  dettaglio  delle  rimesse   censure   di
costituzionalita', a quanto segue - in estrema sintesi  si  evidenzia
che, ad avviso di questa sezione, la  citata  disposizione  normativa
viola: 
        in primo luogo, gli articoli 81  e  97,  comma  1  Cost.,  in
combinato disposto con gli articoli 2, 3, 1 e 41 Cost.  La  norma  in
oggetto  consente  cioe'  che  uno  squilibrio  effettivo  ed  avente
fondamento nella mancanza di risorse (ossia  quello  derivante  dalla
revisione straordinaria dell'art. 243-bis, comma 8, lettera e) TUEL),
possa essere ripianato in un orizzonte temporale grandemente dilatato
rispetto  alla  disciplina  prevista  per  la  crisi  -  ordinaria  e
straordinaria - della finanza locale (rispettivamente  articoli  162,
188, 193 e 194 per la crisi ordinaria;  per  la  crisi  straordinaria
cfr, l'art. 243-bis per il c.d. «predissesto» e l'art. 265  TUEL  per
il caso di dissesto), in deroga  alla  regola  di  legge  normalmente
applicabile,   in    assenza    di    qualsivoglia    giustificazione
costituzionale; 
        in secondo luogo, gli articoli 24 e 117, comma 1  Cost.,  per
violazione  del  parametro  interposto  dell'art.  1,  protocollo  1,
nonche' gli articoli 6 e 13 CEDU. Infatti, tale facolta' di  modifica
del PREP, inserita peraltro in un  quadro  di  costante  instabilita'
legislativa della disciplina del ripiano pluriennale,  determina  una
situazione di incertezza del diritto, in grado  di  compromettere  la
tutela del patrimonio dei creditori e delle loro ragioni di credito. 
        3.1.  Violazione  degli  articoli  97  e  81  codificanti  la
«clausola  generale»  dell'equilibrio  di  bilancio,   in   combinato
disposto con gli articoli 2, 3 e 1 Cost. Venendo ora alla trattazione
in dettaglio dei ravvisati motivi di contrasto, la sezione ravvisa  a
carico  della  surrichiamata  disposizione,  in   primo   luogo,   la
violazione degli articoli 97 e 81 codificanti la «clausola  generale»
dell'equilibrio di bilancio, in combinato disposto con  gli  articoli
2, 3 e 1 Cost. 
    Sul punto, va in primo luogo ricordato, in linea generale, che la
Corte costituzionale, a seguito della legge costituzionale n.  1  del
2012, ha dato ricorrentemente forza al precetto dell'equilibrio (gia'
declinato quale «equilibrio tendenziale»: cfr. ex  plurimis  sentenza
n. 213/2008), arricchendo la sua fattispecie e trasformandolo in  una
«clausola generale», «in grado di operare pure in  assenza  di  norme
interposte» (Corte cost., sentenza n. 192/2012). 
    Costituendo tale precetto una clausola generale (cioe' una  norma
la cui fattispecie rinvia, tramite concetti indeterminati,  a  regole
anche  esterne  all'ordinamento  giuridico,  garantendo  porosita'  e
circolarita' dello stesso con la realta' regolata) e non un  semplice
principio, invoca di per se' una  «disciplina  di  salvaguardia»  (un
rimedio), con cio' intendendosi il sistema di prescrizioni in  virtu'
delle quali la disciplina statale che regola il bilancio  di  regioni
ed enti locali  stabilisce  le  modalita'  di  recupero  effettivo  e
sostenibile dei suoi squilibri nonche' le  prescrizioni  in  caso  di
mancato riequilibrio (sentenza n. 228/2017). 
    La  disciplina   di   salvaguardia,   infatti,   si   pone   come
costituzionalmente   necessaria   e   legittima   anche    interventi
sostitutivi del  legislatore  regionale  (Corte  cost.,  sentenza  n.
107/2016). 
    Tale  nuova  prospettiva  ha  legittimato  discipline  di   legge
ordinaria implementanti tali sistemi nei  confronti  delle  autonomie
costituzionali (cfr. Corte cost., sentenze n. 40/2014 e n.  228/2017)
ovvero ha esposto a incostituzionalita' leggi statali e regionali che
contrastano con il precetto e con le altre  finalita'  costituzionali
cui esso e' strumentale (sentenze n.  181/2015  e  n.  247/2017).  La
Corte costituzionale, infatti, in proposito  ha  avvertito  che  «non
potrebbe ritenersi consentito un abuso della  «tecnicita'  contabile»
finalizzato a creare  indiretti  effetti  novativi  sulla  disciplina
specificativa dei principi costituzionali di natura finanziaria e  di
quelli ad essi legati da un rapporto di interdipendenza» (sentenza n.
247/2017, punto 10 in diritto). 
    Invero, «nel sindacato di costituzionalita' copertura finanziaria
ed equilibrio integrano una clausola generale  in  grado  di  operare
pure in assenza  di  norme  interposte  quando  l'antinomia  [con  le
disposizioni   impugnate]   coinvolga   direttamente   il    precetto
costituzionale: infatti «la  forza  espansiva  dell'art.  81,  quarto
[oggi terzo]  comma,  Cost.,  presidio  degli  equilibri  di  finanza
pubblica, si sostanzia in una vera e  propria  clausola  generale  in
grado di colpire tutti  gli  enunciati  normativi  causa  di  effetti
perturbanti la sana gestione finanziaria e contabile (sentenza n. 192
del 2012)» (Corte costituzionale, sentenza n. 184/2016). 
    Tanto premesso in punto di natura e struttura  della  norma,  sul
piano dei contenuti (fattispecie ed effetti del precetto), il giudice
delle leggi ha fornito numerose  indicazioni,  onde  evitare  che  il
legittimo intervento bilanciativo del legislatore ordinario possa, di
fatto, svuotare e rendere ineffettivo il precetto  costituzionale  in
parola.  Quest'ultimo,  per  effetto  di  tali  indicazioni,  risulta
articolarsi  su  due  principali  coordinate,   l'una   quantitativa,
afferente la proporzione  della  spesa  con  le  risorse  economiche,
finanziarie  e  patrimoniali  disponibili,   e   l'altra   temporale,
coincidente con l'orizzonte cronologico del bilancio, entro il  quale
devono  essere  corretti  gli  eventuali   squilibri   emersi.   Tali
coordinate (quantitativa e temporale)  devono  sussistere  anche  sul
piano della disciplina «rimediale» per «salvaguardia» del bilancio  e
dei suoi equilibri. 
    Piu'  specificamente,  sul   piano   quantitativo   il   precetto
dell'equilibrio costituisce lo svolgimento dell'obbligo di  copertura
finanziaria  al  tempo  gia'  previsto  dalla  vecchia   formulazione
dell'art. 81 (al comma terzo). 
    Infatti, «copertura  economica  delle  spese  ed  equilibrio  del
bilancio sono due  facce  della  stessa  medaglia,  dal  momento  che
l'equilibrio presuppone che ogni intervento programmato sia  sorretto
dalla previa individuazione delle pertinenti risorse»  (Corte  cost.,
sentenza n. 274/2017, punto 4 in diritto). A differenza  dell'obbligo
di copertura,  pero',  nel  sistema  della  legge  costituzionale  n.
1/2012, l'equilibrio non opera marginalmente, a fronte dell'aumento o
diminuzione delle risorse (cioe' sugli incrementi di  spesa  e  sulle
riduzioni di entrate),  bensi'  a  livello  complessivo,  sull'intero
bilancio attraverso i saldi tra entrate e spese, tra costi e  ricavi.
Ed in particolare, esso opera sul principale saldo della contabilita'
finanziaria, ovvero sul risultato di amministrazione. 
    In  ragione  di  cio',  l'equilibrio  prescrive  che  le  risorse
economiche,   finanziare   e   patrimoniali   siano   sufficienti   e
proporzionate in modo da potere sostenere integralmente le spese e  i
costi di gestione. 
    Sul piano temporale, la Corte costituzionale  ha  qualificato  il
precetto de  quo  in  termini  dinamici  o  tendenziali,  ossia  come
«ricerca di  un  armonico  e  simmetrico  bilanciamento  tra  risorse
disponibili e spese necessarie per il perseguimento  delle  finalita'
pubbliche»    (sentenza    n.    250/2013),    tale    da     imporre
«all'amministrazione un impegno  non  circoscritto  al  solo  momento
dell'approvazione del bilancio, ma esteso o tutte  le  situazioni  in
cui tale equilibrio venga a mancare per  eventi  sopravvenuti  o  per
difetto genetico conseguente all'impostazione della stessa  legge  di
bilancio» (ibidem). 
    L'orizzonte temporale della salvaguardia e'  naturalmente  quello
del  medesimo  bilancio,  in  corso  o   immediatamente   successivo;
conseguentemente, nella disciplina vigente degli  enti  territoriali,
l'orizzonte e' quello triennale (articoli 162, 188, 193 e 194  TUEL).
La Corte costituzionale ha infatti ricordato che per porre rimedio  a
situazioni di conflitto tra gestione ed equilibrio  di  bilancio,  lo
strumento e' quello  «dell'adozione  di  appropriate  variazioni  del
bilancio di previsione» (sentenza n. 250/2013)  ovvero  del  recupero
dello squilibrio (il quale deve essere certificato in sede consuntiva
tramite il risultato di  amministrazione)  attraverso  i  bilanci  di
previsione immediatamente  successivi;  cio'  in  considerazione  del
principio della continuita' di bilancio e degli  esercizi  finanziari
(sentenza n. 274/2017). Il principio della continuita',  infatti,  e'
«essenziale  per  garantire   nel   tempo   l'equilibrio   economico,
finanziario e patrimoniale» (cfr.  sul  punto  Corte  costituzionale,
sentenza n. 155/2015). 
    Quanto sin qui rilevato risponde ad una precisa logica di sistema
in cui il bilancio si configura come  un  bene  giuridico  «pubblico»
(Corte cost., sentenze n.  184/2016,  n.  228/2017  e  n.  247/2017),
costituzionalmente tutelato (articoli 81 e 97 Cost.), di cui  occorre
preservare effettivita' e funzionalita' tramite il suo equilibrio. 
    Il  precetto  dell'equilibrio,  infatti,  presidia   fondamentali
valori costituzionali, espressi dagli articoli 3, 2 e  1  Cost.,  che
del medesimo precetto costituiscono la ratio. 
    Se da un lato,  rispettare  l'equilibrio  di  bilancio  significa
supportare   con   risorse   effettive   le    politiche    pubbliche
democraticamente  determinate,   parallelamente,   questo   significa
realizzare le condizioni affinche' la Repubblica possa rimuovere «gli
ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando  di  fatto  la
liberta' e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della  persona  umana»,  realizzando  l'uguaglianza  sostanziale  dei
cittadini (art. 3, comma 2,  Cost.:  cfr.  sentenze  Corte  cost.  n.
10/2016 e n. 70/2015). 
    Tale uguaglianza, tra l'altro, proprio  grazie  allo  strutturale
carattere temporale del bilancio, deve realizzarsi  anche  in  chiave
trans-generazionale. Poiche' l'equilibrio «economico,  finanziario  e
patrimoniale» deve essere realizzato «nel tempo»  -  attesa  la  gia'
richiamata continuita' degli esercizi finanziari e del bilancio (cfr.
Corte cost., sentenza n. 155/2015 cit.) - esso costituisce un  dovere
di «solidarieta' politica, economica  e  sociale»  delle  generazioni
presenti con quelle future (art. 2 Cost.). 
    Inoltre, il precetto di equilibrio, riguardato sotto  il  profilo
della  «salvaguardia  di  bilancio»,  costituisce  uno  strumento  di
verifica e misurazione della responsabilita' dei  soggetti  investiti
di cariche pubbliche: la violazione dell'equilibrio, infatti,  attiva
un sistema di responsabilita' giuridiche e politiche, attraverso  cui
il principio della legittimazione democratica  delle  istituzioni  si
rende effettivo (art. 1 Cost.). 
    Come evidenziato  dal  giudice  delle  leggi  nella  sentenza  n.
228/2017, gia' precedentemente citata, la disciplina di  salvaguardia
si pone come «strumentale all'effettivita' di adempimenti primari del
mandato elettorale  [e]  indissolubilmente  legat[a]  alla  cura  dei
sottesi interessi finanziari. [Tale disciplina] si ricollega [...]  a
un'esigenza sistemica unitaria dell'ordinamento, secondo cui  sia  la
mancata approvazione dei bilanci, sia l'incuria del  loro  squilibrio
strutturale interrompono - in virtu' di una presunzione assoluta - il
legame  fiduciario  che  caratterizza  il  mandato  elettorale  e  la
rappresentanza democratica degli eletti». 
    Per   tale   intrinseca   razionalita',   la   disciplina   della
contabilita' pubblica, laddove richieda anche complessi  elaborati  e
allegati, deve trovare nel risultato di  amministrazione  un  veicolo
trasparente e univoco di rappresentazione degli equilibri  nel  tempo
(Corte cost., sentenza n. 274/2017, punto 4 in diritto). 
3.1.1. La strumentalita' dell'equilibrio ad altri precetti  e  valori
costituzionali, da un  lato,  riempie  di  contenuto  assiologico  il
principio del «buon andamento» (art. 97, comma 1  Cost.),  dall'altro
gli conferisce una flessibilita'  applicativa  che  non  consente  di
assimilare equilibrio e pareggio aritmetico. 
    Occorre  infatti  assicurare,  in  ogni  caso,  effettivita'   ed
efficacia dell'azione amministrativa, nella  considerazione  che  gli
enti pubblici e la continuita' di servizi e funzioni sono necessari e
non e' possibile l'espulsione dal sistema dagli stessi  alla  stregua
delle imprese dal mercato. 
    Cosicche' l'equilibrio di  bilancio,  famulativo  e  allo  stesso
tempo qualificativo del buon andamento, costituisce lo strumento  per
assicurare: 
        la continuita' dell'amministrazione e della Repubblica  (cfr.
Corte cost., sentenze n. 49/1976 e n.  104/2017  per  la  continuita'
degli uffici, nonche' sentenze n. 188/2015, n. 10/2016 e n.  107/2016
per la continuita' dei servizi essenziali); 
        l'efficacia delle politiche pubbliche, anche con  riguardo  a
specifiche finalita' di legge (sentenza n. 70/2012); 
        l'effettivita' dei LEP. Esso e' essenziale per  l'uguaglianza
dei cittadini nel godimento dei livelli essenziali delle  prestazioni
(art. 3, comma 2 Cost.). La  Repubblica,  infatti,  nelle  sue  varie
articolazioni  (art.  114  Cost.)  non  puo'  sottrarsi  per  ragioni
finanziarie all'erogazione di prestazioni che sono costituzionalmente
necessarie (le funzioni fondamentali dell'ordinamento, tra cui quelle
di sicurezza e governo del territorio, e i «livelli essenziali  delle
prestazioni» concernenti i diritti civili e sociali  ai  sensi  degli
articoli 117, secondo comma, lettera m) e 120, secondo comma  Cost.).
E', infatti, «la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere  sul
bilancio, e non l'equilibrio di questo a  condizionarne  la  doverosa
erogazione» (Corte costituzionale, sentenza n. 275/2016). 
    In virtu' della sopra evidenziata  ratio,  infatti,  in  caso  di
crisi della finanza territoriale, ove «i disavanzi emersi non possano
essere  riassorbiti  in  un  solo  ciclo  di  bilancio»,   la   Corte
costituzionale ha  ritenuto  «inevitabili»,  «misure  di  piu'  ampio
respiro temporale. Cio' anche al fine di  assicurare  lo  svolgimento
delle funzioni della regione in ossequio al "principio di continuita'
dei servizi di rilevanza sociale [affidati all'ente territoriale, che
deve essere] salvaguardato" (sentenza n. 10 del 2016)»  (sentenza  n.
107/2016). 
    A questa logica rispondono le norme  del  Piano  di  riequilibrio
pluriennale (articoli 243-bis e seguenti) e  del  dissesto  (articoli
244 e seguenti TUEL)  che,  in  caso  di  crisi  «strutturale»  della
finanza dell'ente locale, gia' definiscono piu' ampi orizzonti per il
rientro da situazioni di squilibrio. 
    Per altro verso, non  si  nega  che  il  «buon  andamento»  possa
giustificare la  disciplina  del  ripiano  trentennale  prevista  dal
decreto legislativo, n. 118/2011, in connessione  al  passaggio  alla
nuova disciplina contabile e al c.d.  «riaccertamento  straordinario»
(«disavanzo tecnico» ai sensi  dell'art.  3,  comma  13  del  decreto
legislativo n. 118/2011 «maggiore disavanzo», ai sensi  dell'art.  3,
comma 16, del decreto legislativo  n.  118/2011):  cfr.  Corte  cost.
sentenza n. 107/2016. Infatti, il principio di  prudenza  di  cui  il
Fondo crediti di dubbia esigibilita' (FCDE) ed il Fondo  rischi  (FR)
sono espressione potrebbe portare a svalutare alla stregua di crediti
di dubbia esigibilita' (FCDE) crediti che in concreto,  invece,  sono
dotati di un «nomen bonum» (si pensi a crediti  per  cui  sono  stati
effettuati regolari atti interruttivi concernenti  aziende  debitrici
in bonis  e  con  cui  e'  stato  raggiunto  un  accordo  transattivo
regolarmente evaso  alle  scadenze  stabilite  o  ad  un  consistente
credito tributario verso una multinazionale altamente  solvibile  che
si  e'  insediata  improvvisamente  in  un  territorio   storicamente
depresso e con una bassa riscossione volontaria e coattiva) oppure  a
considerare come attuali, sia pure  in  percentuale,  passivita'  che
invece hanno caratteristiche solo potenziali  e  pertanto  potrebbero
non realizzarsi (FR). 
    Nella  stessa  ottica,  deve  essere  assicurato  lo  svolgimento
effettivo di funzioni attribuite (Corte cost., sentenze n.  115/2015,
n.  10/2016,  nonche'  n.  280/2016),  pertanto   la   politica   dei
trasferimenti o  dei  tagli  deve  rispondere  a  proporzionalita'  e
ragionevolezza,  onde  evitare  che  gli  enti  siano   costretti   a
continuare ad erogare servizi e a svolgere  funzioni  in  assenza  di
risorse. 
    In definitiva, in virtu'  del  combinato  disposto  di  parametri
costituzionali degli articoli 97, 81, 3, 2, 1, ogni politica non puo'
che essere «bilanciata» secondo un principio di  diretta  proporzione
con le risorse disponibili, perche' solo in questo modo e'  possibile
l'effettivita'   delle   scelte   allocative,   tanto   per    quelle
discrezionali,  che  per  quelle  obbligatorie  concernenti   diritti
incomprimibili (Corte cost., sentenza  n.  275/2016)  e  le  funzioni
effettivamente esercitate ed attribuite  (Corte  cost.,  sentenze  n.
115/2015, n. 10/2016, nonche' n. 280/2016). 
    Per converso, ogni scelta allocativa, ove risultasse non sorretta
da una risorsa, finanziaria, economica,  patrimoniale,  a  monte,  in
grado di renderla effettiva e reale, impone  misure  di  salvaguardia
che devono  realizzarsi  entro  l'orizzonte  temporale  del  bilancio
medesimo,  orizzonte  che  il  legislatore  puo'  estendere,  secondo
ragionevolezza, effettuando un bilanciamento con la sopra evidenziata
ratio del precetto dell'equilibrio e con  i  principi  costituzionali
cui questo e' strumentale. 
3.1.2.  Ed  infatti  il  giudice  delle  leggi  ha   evidenziato   la
problematicita' di soluzioni  normative  continuamente  mutevoli  che
prescrivono il riassorbimento dei disavanzi in archi temporali  molto
vasti, oltre l'orizzonte del bilancio (cfr. sentenze n. 279/2016,  n.
6/2017 e n. 107/2016 e da ultimo la sentenza  n.  274/2017),  sebbene
non  abbia  escluso  la  possibilita'  di  un   «eccezionale   misura
legislativa [per far fronte al]l'esigenza dello Stato di fronteggiare
un problema non circoscritto [al  singolo  ente].  L'indirizzo  della
subentrata  legislazione  [...]  prende  in  sostanza  le  mosse  dal
presupposto che in una fase di complesse operazioni di riaccertamento
dei  residui  finalizzate  a  far  emergere   la   reale   situazione
finanziaria [degli enti],  i  disavanzi  emersi  non  possano  essere
riassorbiti  in   un   solo   ciclo   di   bilancio   ma   richiedano
inevitabilmente misure di piu' ampio respiro temporale» (sentenza  n.
107/2016). 
    Pertanto, al di fuori di un contesto  giustificativo  compatibile
con i precetti  costituzionali  sopra  richiamati,  la  copertura  di
disavanzi  con  regole  straordinarie  quanto  ai  tempi  di  rientro
«diventerebbe un veicolo per un indebito allargamento - in  contrasto
con l'art. 81 Cost. - della spesa di enti gia'  gravati  dal  ripiano
pluriennale di disavanzi di amministrazione pregressi (in tal  senso,
sentenza n. 279/2016). In  quanto  eccezione  al  principio  generale
dell'equilibrio del bilancio»; infatti, la  disciplina  straordinaria
per  il  ripiano  di  tali  disavanzi   «e'   comunque   di   stretta
interpretazione e deve essere  circoscritta  alla  sola  irripetibile
ipotesi  normativa  del  riaccertamento  straordinario  dei   residui
nell'ambito della prima applicazione del principio  della  competenza
finanziaria potenziata, in ragione delle particolari contingenze  che
hanno caratterizzato  la  situazione  di  alcuni  enti  territoriali»
(sentenza n. 6/2017). 
    La  costituzionalita'  di  siffatte  norme  eccezionali,  dunque,
dipende dalla ragionevolezza  del  bilanciamento  tra  l'esigenza  di
assicurare il riequilibrio entro l'orizzonte temporale del bilancio e
la ratio del precetto dell'equilibrio medesimo, in connessione con  i
precetti costituzionali cui e' strumentale. 
    Tale ragionevolezza non sussiste, ad avviso  della  sezione,  con
riguardo    al    ripiano     trentennale     previsto     per     la
rimodulazione/riformulazione di cui  all'art.  1,  comma  434,  della
legge n. 232/2016 (novellante l'art. 1,  comma  714  della  legge  n.
208/2015). 
    Cio' in quanto l'attuale formulazione dell'art. 1 del  comma  714
della legge n. 208/2015 (legge di stabilita'  2016),  come  novellato
dall'art. 1, comma 434, della legge n. 232 del 2016, per un verso, ha
lasciato immutato il presupposto (ovvero, l'adozione  e  approvazione
del PRFP in data  anteriore  al  riaccertamento  straordinario);  per
altro verso ha individuato la quota ripianabile con quella  derivante
dallo stralcio dei residui ineffettivi (revisione al sensi  dell'art.
243-bis, comma 8, lettera e) TUEL) in  data  anteriore  allo  stesso,
senza alcuna connessione con la logica sottostante al  riaccertamento
straordinario. 
    Segnatamente, oggetto del ripiano trentennale dell'art. 1,  comma
434, della legge n. 232 del 2016: 
        a) non e' piu' il «maggiore disavanzo» prodotto dal passaggio
alla nuova contabilita' armonizzata, a fronte di istituti  innovativi
quale la competenza finanziaria rinforzata, il FCDE o il FR (art.  3,
comma 16 del decreto legislativo  n.  118/2011  e  correlato  decreto
ministeriale 2 aprile 2015). Si rammenta, che proprio nell'ottica  di
evitare abusi del  riaccertamento  straordinario,  la  giurisprudenza
contabile ha dato dell'art. 3, comma 16 del  decreto  legislativo  n.
118/2011, nonche' del connesso decreto ministeriale  2  aprile  2015,
una interpretazione  costituzionalmente  conforme,  sancendo  la  non
assorbibilita' nel ripiano trentennale di disavanzi anteriori  e  non
aventi causa nel mutamento del paradigma contabile (cfr. SRC Campania
n.   196/2015/PRSP,   n.   250/2015/PRSP,   n.   228/2015/PRSP,    n.
217/2015/PRSP, n. 196/2015/PRSP,  n.  162/2015/PRSP;  SRC  Marche  n.
100/2016/PRSP; sezione autonomie n. 31/2016/FRG). Si pone  in  rilevo
come di tale interpretazione  il  legislatore  prenda  indirettamente
atto con un recente intervento legislativo (art. 1, comma 848,  della
legge n. 205/2017).  Per  altro  verso,  il  ripiano  trentennale  si
giustifica  costituzionalmente  proprio  (e  solo)  in  ragione   del
mutamento del paradigma contabile avvenuto con il decreto legislativo
n. 118/2011: la crescita esponenziale dei disavanzi, collegati a tale
piu' trasparente e prudenziale contabilita', ha condotto  infatti  il
legislatore ad ammettere un eccezionale  sistema  di  ripiano  su  un
largo lasso temporale (trenta anni, art. 3,  comma  16,  del  decreto
legislativo n. 118/2011),  per  evitare  che  il  nuovo  standard  di
prudenza, corollario del principio dell'equilibrio di bilancio,  sia,
da un lato eccessivamente rigoroso rispetto allo scopo costituzionale
del legislatore (art. 81 Cost.), per altro  verso,  sia  di  ostacolo
all'erogazione di  prestazioni  costituzionalmente  necessarie  (art.
117, comma secondo, lettera m) a causa  del  repentino  mutamento  di
standard contabile; 
        b) non e' nemmeno la  parte  dell'obiettivo  di  riequilibrio
quantificato con l'originario PRFP, il quale e' stato assorbito negli
stessi nuovi  istituti  contabili  dell'armonizzazione  sopra  citati
(FCDE e/o FR) come era nella logica dell'art.  1,  comma  714,  della
legge n. 208/2015, nella sua originaria formulazione. Con tale norma,
come  e'  stato  evidenziato  (SRC  Campania  n.  240/2017/PRSP),  il
legislatore aveva inteso superare una discriminazione occorsa tra gli
enti che avevano adottato il piano di riequilibrio prima e quelli che
avevano effettuato tale scelta dopo il riaccertamento  straordinario,
sotto l'egida del decreto legislativo n.  126/2014  (decreto  che  ha
introdotto il ripiano trentennale del  «maggiore  disavanzo»  di  cui
sopra, disavanzo generato con il riaccertamento straordinario di  cui
di cui all'art. 3, comma 16 del decreto legislativo n. 118/2011).  La
precedente  formulazione  dell'art.  1,  comma  714  della  legge  n.
208/2015, quindi, consentiva  agli  enti  locali  che  non  si  erano
avvantaggiati  del  ripiano   trentennale   prima   di   quantificare
l'obiettivo di ripiano del PRFP, di ridurre gli obbiettivi  intermedi
e finali di quest'ultimo nella misura in cui fosse  dimostrabile  che
una parte delle passivita' che ne erano state fatte  oggetto  fossero
state «assorbite» dentro i nuovi istituti  prudenziali  generanti  il
c.d. «maggiore disavanzo» (art. 3, comma 16, decreto  legislativo  n.
118/2011 e art. 1 del decreto ministeriale 2 aprile 2015). 
    La riduzione doveva essere dunque contabilmente  giustificata  ed
essere sottoposta al vaglio in sede di controllo da parte della Corte
dei conti (art. 243-quater, comma 7 TUEL); 
        c) nella vigente formulazione dell'art. 1, comma  714,  della
legge n. 208/2015  (oggetto  del  ripiano)  e'  invece  la  quota  di
disavanzo che deriva dall'accertata inesigibilita' di residui  attivi
emersa in sede di revisione straordinaria ai sensi dell'art. 243-bis,
comma 8, lettera e) TUEL. Si tratta cioe' di  squilibri  e  disavanzi
gia' tali secondo la vecchia disciplina contabile. 
    L'art. 1, comma 434 della  legge  n.  232/2016,  dunque,  sebbene
preveda che la prefata «revisione  straordinaria»  debba  risalire  a
data anteriore al «riaccertamento straordinario» (art. 3,  comma  16,
del decreto legislativo n. 118/2011) e che le  modalita'  di  ripiano
siano proprio quelle previste per quest'ultimo (decreto  ministeriale
2 aprile 2015), spezza il rapporto causale tra ripiano trentennale  e
mutamento del paradigma contabile (che  invece  era  ancora  presente
nella precedente versione dell'art. 1, comma 714, legge n. 208/2015). 
    Pertanto,  con   la   nuova   formulazione,   il   riaccertamento
straordinario non e' piu' causa,  ma  solo  «occasione»  del  ripiano
trentennale; infatti, la Corte dei conti non deve piu' verificare che
tutto o parte del «maggiore disavanzo» ai sensi dell'art. 3, comma 16
del decreto  legislativo  n.  118/2011,  sia  generato  dagli  stessi
fenomeni di squilibrio gia' fatti oggetto dei PRFP, ma deve  prendere
atto della semplice  ascrivibilita'  del  disavanzo  rimodulato  alla
revisione straordinaria effettuata ai sensi dell'art. 243-bis,  comma
8, lettera e), che, come  si  e'  visto,  attiene  a  squilibri  gia'
sussistenti secondo il precedente paradigma contabile. 
    Non si puo' infatti sostenere che tutti i  crediti  in  questione
sono stati comunque iscritti nel Fondo crediti di dubbia esigibilita'
(FCDE),  proprio  perche'   stralciati   prima   del   riaccertamento
straordinario. 
    Ne', tantomeno,  si  puo'  presumere,  virtualmente,  che  se  le
valutazioni sui residui, effettuate con la revisione di cui  all'art.
243-bis, comma 8, lettera e) TUEL, fossero  state  fatte  nell'ambito
del  riaccertamento  straordinario,  questo  avrebbe   portato   alla
formazione  di  un  corrispondente  FCDE  (generante   un   disavanzo
ripianabile in trent'anni). 
    Infatti, questo presupporrebbe che il legislatore avesse lasciato
intatto il  potere  della  sezione  di  controllo  di  verificare  in
concreto la causa dello stralcio (credito ormai inesigibile o solo di
dubbia esigibilita', per i quali la nuova contabilita'  prevede  solo
un accantonamento a FCDE e non lo stralcio). Invece,  la  legge,  con
una  sorta  di  presunzione  assoluta,  fornisce  un  mero   criterio
quantitativo  per  l'accesso  al  ripiano  trentennale  a  suo  tempo
prevista dall'art. 3, comma 16, del decreto legislativo n.  118/2011,
lo  si  sottolinea  ancora  una  volta,  in  relazione  alla  novita'
straordinaria degli istituti prudenziali del FCDE e FR. 
    Il ripiano viene  qui  invece  associato  all'integralita'  degli
stralci effettuati con la revisione ex art. 243-bis, comma 8, lettera
e) TUEL, quindi anche per crediti ineffettivi ed  inesigibili,  ossia
privi del titolo per il mantenimento in bilancio sia nella nuova  che
nella vecchia contabilita'. La formulazione letterale della legge non
lascia spazio al sindacato  al  giudice  del  bilancio,  che  avrebbe
potuto effettuare tale discernimento  a  tutela  degli  equilibri  di
bilancio. 
    L'evidenziata  frattura  della  relazione  diretta  causale   tra
presupposto (riaccertamento straordinario e nuova  definizione  degli
equilibri in base ad un  nuovo  paradigma  contabile)  e  accesso  al
ripiano   trentennale,   rende   pertanto   la   norma   in    parola
costituzionalmente irragionevole alla stregua dei parametri evocati. 
    Il riaccertamento straordinario, per gli enti che  fanno  ricorso
alla rimodulazione/riformulazione in parola, diventa, dunque, solo un
mezzo per ampliare la capacita' di spesa, la cui espansione non  puo'
essere ammessa in condizioni di disavanzo. Cio'  pur  trattandosi  di
enti  in  condizione  di   conclamato   squilibrio   strutturale,   a
prescindere da ogni valutazione sulla necessita' di tale  dilatazione
per garantire la continuita' amministrativa  dell'ente,  come  invece
avviene nella piu' recente formulazione dell'art.  243-bis,  comma  5
TUEL, novellato dall'art. 1, comma 888, legge n. 205 del 2017  (legge
di bilancio 2018, dove la durata del PRFP, oggi  espandibile  fino  a
venti anni, e' agganciata ad un criterio oggettivo di  sostenibilita'
dato dal rapporto tra passivita' ed impegni). 
    Una dilatazione non  giustificata  dell'orizzonte  temporale  del
ripiano rende l'equilibrio di bilancio e il precetto  dell'equilibrio
un mero flatus vocis, volto a porre rimedio  a  forme  episodiche  di
disavanzo, connesse  ad  inefficienze  di  gestioni  concrete  (Corte
cost., sentenza n. 6/2017), e non, invece, ad  esigenze  del  sistema
della finanza pubblica allargata. 
    In proposito si rammenta che la Corte costituzionale (sentenza n.
107/2016), ha affermato che  l'ampliamento  dell'orizzonte  temporale
per il ripiano puo' ammettersi In ragione  di  eventi  contabili  che
facciano   emergere   un   disavanzo   che   puo'   essere   ritenuto
«straordinario» nelle sue cause e nelle sue dimensioni  e  che  deve,
quindi, essere fronteggiato normativamente in modo da consentire agli
enti di  recuperare  le  coperture  in  un  arco  di  tempo  che  sia
ragionevole e compatibile con la capacita'  di  reperire  le  risorse
mancanti  e  necessarie  ad  erogare  le  su  richiamate  prestazioni
costituzionalmente imprescindibili. Per contro, la facolta' dell'art.
1, comma 434, legge n.  232/2016  non  appare  rispondere  a  nessuna
esigenza sistemica della finanza pubblica, quanto piuttosto a  quelle
contingenti  di  taluni  enti  di  accedere  ad  un   minore   rigore
finanziario. 
    Ne' si puo' ritenere che  tale  ampliamento  sia  giustificato  o
giustificabile per l'esigenza di evitare il dissesto, che non e'  una
misura penalizzante per l'ente, ma  solo  una  diversa  procedura  di
riequilibrio. 
    Il dissesto, infatti, ha, nel sistema vigente, una  funzione  sua
propria ed essenziale, non realizzabile col  PRFP.  In  caso  di  sua
attivazione il riequilibrio interviene in un tempo piu' breve (cinque
anni, ai sensi dell'art. 265, comma 1 TUEL), mentre  si  provvede  al
ripiano tramite una gestione separata,  facendo  leva,  da  un  lato,
sulla  riduzione  concorsuale  e  consensuale  delle  passivita'  nei
confronti dei creditori (articoli 256-258 TUEL) e, dall'altro,  sulla
valorizzazione della massa attiva (art. 255 TUEL). 
    Dunque, esso costituisce uno  strumento  di  cui  il  legislatore
prevede la necessaria attivazione quando le vicende del singolo  ente
(l'accertata incapacita' di adottare tempestivamente un PRFP congruo)
e la gravita'  dello  squilibrio  rendono  necessario  addivenire  al
risanamento  sacrificando  -   parzialmente   -   il   principio   di
universalita' di bilancio. Solo in questo l'ordinamento  «preferisce»
la procedura di «predissesto», ai sensi degli articoli 243-bis TUEL e
seguenti, al dissesto ai sensi degli articoli 244 e seguenti TUEL, in
quanto   la   procedura   pluriennale   consente   il    riequilibrio
«consolidato»  delle  finanze  dell'ente,   senza   il   rischio   di
occultamento di scompensi in gestioni separate di bilancio. 
    In definitiva, la disciplina introdotta dall'art. 1,  comma  434,
della legge n. 232 del 2016 non ha altra finalita' e  giustificazione
se non quella di consentire di  spalmare  disavanzi  effettivi,  gia'
presenti in epoca precedente al riaccertamento straordinario e al  di
fuori di una disamina delle ragioni della eliminazione delle  partite
dei vari residui, in un orizzonte temporale di trenta anni. 
    Ad avviso  della  sezione  cio'  risulta  incompatibile  con  una
gestione di bilancio equilibrata, in quanto ha l'esclusivo  scopo  di
spostare  su  generazioni  successive  il  peso  finanziario  di  una
gestione priva di coperture, in  danno  del  principio  di  cui  agli
articoli 97, 81, 3 e 2 Cost., sottraendo gli amministratori al vaglio
della loro responsabilita' politica e amministrativa (art. 1 Cost.). 
        3.2. Violazione del precetto  dell'equilibrio  ai  sensi  del
combinato disposto degli articoli  97,  81  e  41  Cost.  La  sezione
ravvisa altresi', a carico della surrichiamata disposizione (art.  1,
comma  434,  legge  n.  232/2016),   la   violazione   del   precetto
dell'equilibrio ai sensi del combinato disposto  degli  articoli  97,
81, 41 Cost. 
    Si rammenta,  infatti,  che  il  carattere  «pubblico»  del  bene
giuridico bilancio fa si' che, rispetto allo stesso, si dipanino  una
serie di interessi finanziari adespoti, costituzionalmente rilevanti,
anche diversi da quelli degli utenti. Esso coinvolge  l'interesse  di
tutti coloro che, a vario titolo, entrano in potenziale contatto  col
bilancio,  in  particolare  coloro  i  quali  che  con  la   pubblica
amministrazione hanno relazioni di mercato. 
    Invero, l'eccessivo protrarsi dei tempi di perfezionamento  e  di
definitivo assetto del piano di riequilibrio,  favorito  da  continui
interventi normativi  di  dubbia  razionalita'  e  coerenza,  possono
innescare ulteriori ritardi nei pagamenti e la  crisi  delle  imprese
che hanno fornito alla pubblica amministrazione beni e servizi. 
    A  tal  proposito,  anche  il  prevedere  come   condizione   per
l'esercizio  della  facolta'   di   rimodulazione/riformulazione   il
rispetto dei «tempi  medi  di  pagamento»  previsti  per  legge,  non
esclude che per effetto della  rimodulazione  stessa  si  pongano  le
condizioni per un loro deterioramento. 
    Infatti, l'allargamento della capacita' di spesa che si determina
per l'accesso ad una modalita' di ripiano addirittura trentennale  di
un disavanzo effettivo, da un lato, consente di aggirare l'obbligo di
copertura di  debiti  gia'  esigibili,  per  altro  verso,  getta  le
premesse di una inevitabile crisi di cassa che nel tempo e' destinata
a scaricarsi, in termini di costi, sulla collettivita'  degli  utenti
dei servizi e sulle imprese. 
    Per  tal  motivo  occorre  che  la  disciplina  della  crisi  sia
effettivamente  in  grado  di  consentire  il  recupero  del   debito
accumulato, sebbene in  un  lasso  temporale  piu'  ampio  di  quello
ordinario triennale; il legislatore, per contro, non puo' trasformare
la  stessa  in  un'occasione  per  consentire  l'allargamento,  medio
tempore, della capacita' di spesa, quando cio' non sia necessario per
garantire l'effettuazione di quella costituzionalmente necessaria. In
tal guisa,  infatti,  si  pregiudica  o  si  deteriora  la  capacita'
dell'ente  di  rispondere  alle  ragioni  dei  creditori,  che  dallo
squilibrio strutturale dell'ente sono direttamente danneggiati. 
        3.3. Violazione dell'art. 24 e dell'art. 117, comma  1  Cost.
La sezione  rileva,  infine,  la  non  manifesta  infondatezza  della
questione di costituzionalita' dell'art. 1, comma 434, della legge n.
232/2016 rispetto all'art. 24 e all'art. 117, comma 1 Cost. 
    Segnatamente, la disposizione di legge oggetto della  rimessione,
inserendosi in una produzione legislativa di continua concessione  di
facolta' di  rimodulazione/riformulazione  (art.  1,  comma  15,  del
decreto-legge n. 35/2013 convertito nella legge n. 64/2013;  art.  1,
commi 714 e 715 della legge n. 208/2015; art.  1,  commi  434  e  435
della legge n. 232/2016; da ultimo, l'art. 1, commi 848, 849,  888  e
889 della legge n. 205/2017), ad avviso della sezione viola l'art. 24
Cost. nonche' l'art. 117, comma 1 Cost. (in  relazione  al  parametro
interposto costituito dall'art. 1 del Protocollo  1  sul  diritto  di
proprieta' della CEDU e dagli articoli 6  e  13  della  stessa  Carta
internazionale). 
    La violazione dei citati parametri interposti si ravvisa in  base
alle seguenti due considerazioni. 
    Da un lato, le continue  modifiche  ai  PRFP  (rimodulazioni  e/o
formulazioni), non soltanto innescano  notevoli  ritardi  nella  loro
valutazione in termini di sostenibilita'  e  congruita',  ma  possono
altresi' condurre a sospensioni delle azioni esecutive dei creditori,
per decisione giudiziale (art. 295 c.p.c.) o per espressa  previsione
di legge (cfr. l'art. 1,  comma  714-bis  della  legge  n.  208/2015)
ovvero per la situazione di incertezza che deriva della  pendenza  di
una questione pregiudiziale contabile circa il  titolo  legale  della
rimodulazione/riformulazione,  come  e'  avvenuto  con  la  legge  n.
208/2015, che all'art. 1, commi 714 e del comma 714-bis, prevede  due
distinte   facolta'   di   rimodulazione/riformulazione,   prevedendo
espressamente  l'ennesima  sospensione  delle  azioni  esecutive  per
quelle ex comma 714-bis. 
    Infatti, la normativa caotica e di non sempre chiara lettura,  in
relazione alla quale non e' spesso facile determinare  quale  sia  il
titolo  legislativo  della  rimodulazione/riformulazione  (cfr.   SRC
Campania n. 240/2017/PRSP), determina in sede di ottemperanza  presso
il giudice amministrativo le condizioni per un'eventuale accoglimento
della istanza ai sensi dell'art. 295 c.p.c., secondo cui «Il  giudice
dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o
altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui  definizione
dipende la decisione della causa», attesa l'assorbente  giurisdizione
della Corte dei conti in  materia  di  piani  di  riequilibrio  e  di
bilancio. 
    Per  altro  verso,  il  costante   ius   superveniens   determina
incertezza  sulla  misura   del   disavanzo   annuale   del   ripiano
(l'obbiettivo intermedio) e sulla  disciplina  giuridica  applicabile
(sussistenza delle condizioni  di  legge  per  l'accertamento  di  un
«grave  e  reiterato  inadempimento»,  con   il   conseguente   avvio
irrevocabile  del  «dissesto   guidato»,   cfr.   SRC   Campania   n.
8/2018/QMIG, ovvero permanenza del regime di  riequilibrio  ai  sensi
degli articoli 243-bis e seguenti TUEL,  per  effetto  del  legittimo
accesso a rimodulazioni/riformulazioni che costringono ad  una  nuova
valutazione  integrale  del  piano  e/o  del   percorso   della   sua
attuazione). 
    Questa  incertezza  e'  esiziale  nei  casi  limite  di  evidente
difficolta' a risanare i conti dell'ente locale  e  puo',  specie  in
tali casi, costituire una  violazione  dei  principi  generali  della
certezza del diritto, del legittimo  affidamento  e  della  giustizia
effettiva (per i creditori) con conseguente prevaricazione di diritti
fondamentali in nome di asserite esigenze di  bilancio,  non  in  via
transitoria, ma costanti e prevalenti,  che  scaricano  sulle  future
generazioni responsabilita' civili gia' emerse. 
    Di conseguenza, la soddisfazione  delle  pretese  di  tali  terzi
viene esposta ad un sacrificio temporalmente indeterminato,  a  causa
del continuo dubbio e  dell'incertezza  sul  regime  di  riequilibrio
applicabile  (dissesto  o  piano  di   riequilibrio   rimodulato)   e
dall'allungamento dei tempi di valutazione amministrativa  (Ministero
dell'interno) e  giudiziaria  (Corte  dei  conti)  della  fattispecie
concreta. 
    Tale situazione e' certamente aggravata dal «diritto vivente» che
interpreta il frequente ius superveniens (ed  in  particolare  quello
oggetto della rimessione) nel  senso  di  privare  di  stabilita'  le
decisioni delle sezioni regionali di controllo rimuovendo gli effetti
ad  esse  ricollegati  (sezioni  riunite  in  speciale  composizione,
sentenze n. 3 e n.  17  del  2017  e  similiter,  su  norma  analoga,
sentenza n. 6 del 2018). 
    Segnatamente   si   ammette   che   tale   legge   consenta    la
rimodulazione/riformulazione  anche  nel  caso  in  cui  la   sezione
regionale di controllo abbia emesso una pronuncia negativa  ai  sensi
dell'art. 243-quater, comma 7 TUEL, con l'avvio automatico, non  piu'
sospendibile,  del   dissesto   guidato   (cfr.   SRC   Campania   n.
8/2018/QMIG). 
    Cio' determina una continua ed assoluta incertezza sul regime  di
riequilibrio applicabile, ledendo il diritto dell'ente locale e della
«comunita' amministrata» ad un  ricorso  «effettivo»  dinanzi  ad  un
«giudice imparziale» che definisca e accerti la  sussistenza  o  meno
delle condizioni di riequilibrabilita' effettiva del «bene  pubblico»
bilancio, ampliando i tempi di tale valutazione e,  per  intanto,  la
facolta' di spesa autorizzabile. 
    La stessa violazione di diritti fondamentali della  persona,  tra
l'altro, si configura  per  analoghe  disposizioni  della  Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione europea (CFDUE), segnatamente l'art.
47, che sancisce il «Diritto a un ricorso effettivo e  a  un  giudice
imparziale». Trattandosi di norma senza effetto diretto, in relazione
a «principi e i diritti enunciati [che] intersecano in larga misura i
principi e i diritti garantiti dalla Costituzione italiana [...],  le
violazioni dei diritti della persona postulano la  necessita'  di  un
intervento erga omnes [della Corte costituzionale], anche  in  virtu'
del principio che situa il sindacato accentrato di  costituzionalita'
delle leggi a fondamento dell'architettura costituzionale  (art.  134
Cost)» (Corte costituzionale n. 269/2017). 
    In modo siffatto, dunque, il legislatore priva  continuamente  di
stabilita' la legge  (che  disciplina  il  riequilibrio)  nonche'  il
dictum  di  controllo  e  i  correlati  effetti,  impedendo  che   si
costituisca il  presupposto  per  la  soddisfazione  effettiva  delle
ragioni di terzi (in particolare  dei  creditori),  vale  a  dire  un
bilancio riequilibrato. Ne deriva che un simile intervento  normativo
allunga in modo indeterminato i tempi di valutazione della congruita'
del riequilibrio e della sua attuazione. 
    In proposito la Corte EDU ha  gia'  posto  in  rilievo  che  come
l'indeterminatezza  dei  tempi  di  conclusione  delle  procedure  di
risanamento finanziario violi l'art. 1 del Protocollo 1  (Diritto  al
rispetto della proprieta'), e l'art. 6, paragrafo 1  (Diritto  ad  un
giusto processo), e l'art. 13 (Diritto ad un ricorso effettivo) della
Convenzione europea del diritti dell'uomo  (cfr.  De  Luca  e/Italia,
ricorso n. 43870/04 e Pennino e/Italia, ricorso n. 43892/04). 
    Anche la Corte  costituzionale,  in  proposito,  «ha  piu'  volte
affermato che un intervento legislativo -  che  di  fatto  svuoti  di
contenuto i titoli esecutivi giudiziali conseguiti nei  confronti  di
un soggetto debitore - puo'  ritenersi  giustificato  da  particolari
esigenze transitorie qualora, per un verso, siffatto svuotamento  sia
limitato ad un ristretto periodo temporale (sentenze n. 155 del  2004
e n. 310 del 2003) e, per altro verso [...] siano controbilanciate da
disposizioni  di   carattere   sostanziale   che,   a   loro   volta,
garantiscano, anche per altra via che non sia quella della esecuzione
giudiziale, la sostanziale realizzazione dei  diritti  oggetto  delle
procedure estinte (sentenze n. 277 del  2012  e  n.  364  dei  2007)»
(sentenza n. 186/2013). 
    Sempre nello stesso senso, si rammenta che persino la  disciplina
del dissesto e' stata ritenuta non in contrasto con  la  Costituzione
(ed in particolare con gli articoli 2, 3,  23,  24,  41  e  53  della
Costituzione) solo e nella misura in cui non  pregiudica  le  ragioni
dei creditori che hanno intrapreso una relazione economica con l'ente
dissestato (sentenza n. 269/1998).