CORTE DEI CONTI Sezione regionale di controllo per la Campania Composta dai magistrati: Giovanni Coppola - Presidente, Rossella Cassaneti - consigliere, Alessandro Forlani - consigliere, Rossella Bocci - consigliere, Francesco Sucameli - primo referendario (relatore), Raffaella Miranda - primo referendario, ha pronunciato la seguente ordinanza; Visto l'art. 100, comma 2 della Costituzione; Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni; Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti; Visti il decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, e l'art. 27 della legge 24 novembre 2000, n. 340; Vista la legge 5 giugno 2003, n. 131, recante disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; Visto il regolamento (n. 14/2000) per l'organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, deliberato dalle sezioni riunite della Corte dei conti in data 16 giugno 2000 e successive modificazioni; Visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante il testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali e successive modificazioni (TUEL); Visto il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, recante «Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonche' ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012», convertito dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213; Visto l'art. 243-bis del TUEL «Procedura di riequilibrio finanziario pluriennale», introdotto dall'art. 3, comma 1, lettera r), del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213; Visto l'art. 243-quater del TUEL «Esame del piano di riequilibrio finanziario pluriennale e controllo sulla relativa attuazione», introdotto dall'art. 3, comma 1, lettera r), del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213; Considerata la pronuncia di questa sezione n. 53/2016/PRSP del 14 marzo 2016, con la quale e' stato approvato il PRFP del Comune di Pagani; Considerata la pronuncia di questa sezione n. 3/2017/PRSP dell'11 gennaio 2017, con la quale e' stato accertato il «grave inadempimento» del PRFP del Comune di Pagani, per il mancato raggiungimento degli obbiettivi intermedi nel 2015, con l'emersione di uno squilibrio aggiuntivo per debiti fuori bilancio non riconosciuti e non evidenziati per euro 4.407.423,87; Viste le delibere del consiglio comunale di Pagani n. 6 del 7 febbraio 2017 e n. 15/2017 dell'8 marzo 2017, acquisite al prot. n. 2463 del 3 aprile 2017, contenenti le misure correttive adottate a valle della suddetta delibera di «grave inadempimento» degli obbiettivi intermedi del PRFP; Vista la deliberazione del consiglio comunale di Pagani n. 31 del 30 maggio 2017, acquisita agli atti con comunicazione prot. C.d.c. n. 5651 del 26 ottobre 2017, con la quale il PRFP originarlo e' stato modificato ai sensi dell'art. 1, comma 434, legge 11 dicembre 2016, n. 232; Vista la relazione sull'attuazione del piano di riequilibrio concernente il primo ed il secondo semestre 2017, prot. C.d.c. n. 4397 del 14 luglio 2017 e prot. C.d.c. n. 530 del 6 febbraio 2018; Vista la relazione di deferimento del magistrato istruttore, depositata presso la segreteria della sezione, in data 16 gennaio 2018; Viste le ordinanze n. 2 e n. 7 con le quali e' stata trasmessa la ridetta relazione e convocato il comune per l'adunanza pubblica, prima del 6 febbraio e poi del 20 febbraio 2018; Visti l'art. 134 della Costituzione, l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Uditi nell'adunanza pubblica del 20 febbraio 2018 i rappresentanti dell'ente intervenuti in udienza; Udito il relatore primo referendario dott. Francesco Sucameli. Considerato in fatto 1. Con deliberazione della commissione straordinaria n. 40 del 19 febbraio 2013, assunta con i poteri di consiglio comunale, il Comune di Pagani ha fatto ricorso alla Procedura di riequilibrio finanziarlo pluriennale (PRFP) prevista dall'art. 243-bis TUEL. Con deliberazione della medesima commissione n. 13 del 17 febbraio 2014, assunta sempre con i poteri del consiglio comunale, e' stato approvato PRFP per il periodo 2014-2023 (durata decennale, la massima al tempo prevista). Il piano prevede un recupero dei disavanzo formale evidenziato (euro 5.074.673,99) con quote costanti decennali (euro 507.500,00 all'anno), nei termini riportati in tabella. Parte di provvedimento in formato grafico Successivamente, con pronuncia n. 53/2016/PRSP del 14 marzo 2016 la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Campania, ha approvato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale. Con la decisione n. 3/2017/PRSP questa sezione ha accertato un primo «grave inadempimento» degli obbiettivi del piano, per l'annualita' 2015, nell'ambito del quale si e' registrato un deterioramento degli equilibri rispetto al risultato di amministrazione 2015 pari euro 4.100.097,84, a causa di passivita' non contabilizzate per euro 4.407.423,87. In data 15 luglio 2017, con nota del collegio dei revisori prot. C.d.c. n. 4397, di pari data, perveniva la relazione semestrale sull'attuazione del PRFP riguardo al primo semestre del 2017. La rimodulazione/riformulazione e' stata effettuata con deliberazione del consiglio comunale n. 31 del 30 maggio 2017, ai sensi dell'art. 1, comma 434, legge 11 dicembre 2016, n. 232. 2. Nell'ambito del controllo sull'attuazione del PRFP, ai sensi dell'art. 243-quater, comma 7 TUEL, questa sezione ha avviato l'analisi della documentazione pervenuta; pertanto, ha iniziato un'interlocuzione istruttoria col comune per verificare la congruita' della rimodulazione/riformulazione del PRFP, al fine di verificare la correttezza della riduzione degli obbiettivi intermedi annuali. Gli uffici della sezione hanno dunque: a) proceduto a due audizioni dei rappresentanti del comune (verbale del 20 novembre 2017, prot. n. 7100968 del 28 febbraio 2017; verbale prot. n. 70048610 del 22 dicembre 2017); b) inviato una richiesta istruttoria (cfr. prot. n. 6075 del 21 novembre 2017); c) ricevuto ed analizzato le correlate risposte (prot. Corte dei conti n. 6167 del 1° dicembre 2017 e n. 6265 del 13 dicembre 2017). 3. Dagli atti acquisiti risultava che l'ente, a valle della pronuncia specifica di questa sezione n. 3/2017/PRSP, aveva proceduto alla riformulazione/rimodulazione del PRFP nell'ambito delle misure correttive adottate. Emergeva, altresi', che la modifica del PRFP e' stata effettuata secondo il ragionamento logico-contabile che qui si espone in sintesi. Da un lato, il comune ha ritenuto rilevante il miglioramento del risultato di amministrazione formalmente accertato nei primi tre anni di attuazione del PRFP, nei termini seguenti: 2014 → euro 1.294.418,65; 2015 → euro 814.879,08; 2016 → (dati preconsuntivo) euro 735.414,23. Nel complesso, il recupero del disavanzo sarebbe stato dunque pari ad euro 2.844.629,36. Considerato che il PRFP prevedeva un ritmo di riduzione di euro 507.500,00 all'anno, l'ente avrebbe avuto, a fine 2016, un «credito» di recupero pari a euro 1.322.211,96, ottenuto dalla differenza tra euro 1.522.500,00 euro 507.500,00 × 3) e il totale della riduzione conseguita sui dati di bilancio (euro 2.844.629,36). Peraltro, poiche' questa sezione aveva accertato maggiori passivita' per euro 4.407.423,87, ad avviso dell'ente, l'obiettivo di riequilibrio veniva «riformulato» in euro 6.637.468,50, per effetto del seguente calcolo: disavanzo originario da piano di riequilibrio → euro 5.074,673,99; a detrarre quote recuperate nel triennio 2014-2015-2016 → - euro 2.844.629,36; nuovo e maggior disavanzo accertato dalla Corte dei conti → euro 4.407.423,87; totale = euro 6.637.468,50. L'ente ha quindi ritenuto di avvalersi della facolta' di ripiano trentennale concessa dal citato art. 1, comma 434 della legge n. 232/2016. Nel fare cio' ha proceduto a redistribuire il soprariportato totale sui residui 27 anni rispetto alla data di primigenio decorso del PRFP (2014). Di conseguenza, il suddetto totale e' stato diviso per 27 annualita', ottenendo una quota «rimodulata» annuale di disavanzo da ripianare annualmente pari ad euro 245.832,17, restando peraltro invariata la quota di riduzione da armonizzazione (art. 3, comma 16, del decreto legislativo n. 118/2011, c.d. extra-deficit), in concreto pari a euro 678.000,00 (quota che si aggiunge alla prima). Pertanto, le quote annuali di disavanzo da applicare complessivamente nelle annualita' dei bilanci di previsione, dal 2017 in poi, risultavano pari almeno a: quota annua disavanzo da PRFP → euro 245.832,17 (obiettivo intermedio minimo); quota annua di disavanzo da riaccertamento straordinario (art. 3, comma 16, decreto legislativo n. 118/2011) → euro 678.000,00; totale = euro 923.832,17. La rimodulazione, dunque, riduceva il disavanzo complessivo da applicare annualmente al bilancio da euro 1.185.000,00 ad euro 923.832,17, recuperando un margine di spesa annuale pari ad euro 261.167,83. 4. Il magistrato istruttore, esaminati gli atti, nell'ambito del «monitoraggio» dell'attuazione del piano ai sensi dell'art. 243-quater, comma 7, in data 16 gennaio 2018 redigeva una relazione con la quale rilevava criticita' in merito alla rimodulazione/riformulazione del PRFP. In particolare, ravvisava un'anomalia nel ripiano trentennale dello squilibrio accertato con la precedente deliberazione n. 3/2017/PRSP e poneva una preliminare questione di legittimita' costituzionale sull'art. 1, comma 434, legge n. 232/2016. Su tutte tali questioni, ai sensi dell'art. 111 Cost., commi 1 e 2, il magistrato istruttore chiedeva al presidente di instaurare il contraddittorio collegiale con l'ente e di fissare un'apposita adunanza con facolta' del comune di presentare memorie e scritti difensivi su tutte le questioni prospettate. Il presidente, con ordinanza n. 2/2018 del 18 gennaio 2018 trasmessa via PEC in pari data, deferiva il comune in adunanza pubblica, per il successivo 6 febbraio. Nelle more della pubblica adunanza, il comune non presentava alcuna memoria ne' si presentava nel giorno fissato. In data 6 febbraio, peraltro, giungeva la relazione semestrale del collegio dei revisori, relativa al secondo semestre 2017. In essa si riferiva che il risultato di amministrazione al 31 dicembre 2016 aveva assorbito lo squilibrio accertato da questa sezione (deliberazione n. 3/2017/PRSP) per debiti fuori bilancio (euro 4.407.423,87), mediante appositi accantonamenti. in tal modo, l'ente aveva certificato un disavanzo finale pari ad euro 25.621.468,50. le passivita' registrate con accantonamento riguardavano segnatamente le seguenti poste: debito fuori bilancio verso Consorzio di bacino Salerno 1 per interessi di mora, pari ad euro 3.166.379,73; debito fuori bilancio verso PCM UTA per euro 753.911,06; debito verso Sannio ambiente per euro 170.000,00; debito verso TEFA per euro 270.000,00, relativo al versamento dell'addizionale provinciale originariamente a carico della partecipata Multiservice S.r.l. La parte disponibile del risultato di amministrazione, al 31 dicembre 2017, secondo quanto riportato nell'ultima relazione semestrale, pur rimanendo di segno negativo, si riduceva ad euro 21.225.983,18. Nella camera di consiglio, il collegio si aggiornava alla seduta successiva. In data 8 febbraio c.a., il comune produceva una nota (prot. C.d.c. n. 634 in pari data) con cui chiedeva di essere rimesso in termini e di celebrare una nuova adunanza, adducendo a motivazione della richiesta un errore tecnico di sistema (il quale non avrebbe consentito di registrare correttamente e tempestivamente la convocazione in pubblica adunanza). All'uopo corredava la richiesta con il «ticket» dell'assistenza tecnica. Il presidente della sezione accoglieva la richiesta e con ordinanza n. 7/2018 del 9 febbraio, riconvocava, in pari data, il comune nell'adunanza pubblica fissata per il successivo 20 febbraio 2018. 5. Il comune nelle more non ha presentato memorie. All'adunanza pubblica, peraltro, senza sollevare contestazioni sulla rilevanza o fondatezza della questione sollevata, men che meno sulla legittimazione di questa sezione, i rappresentanti dell'ente hanno comunque precisato che: la rimodulazione/riformulazione e' stata effettuata per consentire di recuperare margini di spesa per l'erogazione di servizi ai cittadini; i bilanci prevedono pochissima spesa discrezionale e mirano essenzialmente alla copertura della spesa obbligatoria e al recupero del disavanzo; sulla base di accertamenti successivi alla decisione di questa sezione n. 3/2017/PRSP, una parte delle maggiori passivita' per debiti, accertate in euro 4.407.423,87, sarebbero in realta' debiti in contenzioso e, quindi, ascrivibile alla categoria delle «passivita' potenziali». Per tale ragione (in base ad una relazione dell'Avvocatura del 30 novembre 2017), e' stato effettuato, successivamente, un piu' ridotto accantonamento a fondo rischi rispetto all'originario «nuovo disavanzo» registrato al 31 dicembre 2016, sulla base dell'accertamento di questa sezione. Tale accantonamento oggi e' infatti diminuito ad euro 1.810.077,29. In relazione a tale importo, il comune avrebbe provveduto con una manovra di rientro triennale, ai sensi dell'art. 188 TUEL. Esso comprende i surrichiamati tre debiti fuori bilancio verso PCM UTA1, Sannio ambiente e Tefa (nella misura gia' accertata da questa sezione). Nello stesso tempo, l'ente ha ridotto l'accantonamento per il debito verso il Consorzio di bacino Salerno 1, calcolando il solo rischio di soccombenza nel giudizio in corso (stimato dall'Avvocatura dell'ente pari ad euro 616.166,29, ossia pari a circa il 20% delle somme richieste dai Consorzio). Pertanto, il comune ha ritenuto che se anche la modifica del PRFP risultasse effettuato in base ad una norma costituzionalmente illegittima, sarebbe comunque in grado di dimostrare di avere raggiunto gli obbiettivi intermedi a fine 2017 in base al vecchio PRFP. E cio' anche tenendo conto dell'obbligo di immediato rientro, ai sensi dell'art. 188 TUEL, del maggiore disavanzo accertato dalla Corte dei conti con la pronuncia n. 3/2017/PRSP. Inoltre, per quel che concerne le altre irregolarita' contabili rilevate da questa sezione con la decisione n. 53/2016/PRSP, il comune ha evidenziato che vi sarebbe stato un sensibile miglioramento della riscossione e che sarebbe stata completata la gara per l'aggiudicazione dei lavori per la realizzazione dei loculi cimiteriali. Il collegio si ritirava dunque in camera di consiglio per la decisione. Considerato in diritto 1. Il collegio ritiene di sollevare, d'ufficio, pregiudiziale questione di legittimita' costituzionale sull'art. 1, comma 434 della legge 11 dicembre 2016, n. 232. La norma oggetto della questione, modifica l'originario testo dell'art. 1, comma 714, della legge n. 208/2015, che gia' prevedeva una facolta' di rimodulazione/riformulazione di piani di riequilibrio in corso di attuazione. La norma era, nella precedente versione, cosi' formulata: «714. Gli enti locali che nel corso degli anni dal 2013 al 2015 hanno presentato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale o ne hanno conseguito l'approvazione ai sensi dell'art. 243-bis del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, possono ripianare la quota di disavanzo applicato al piano di riequilibrio, secondo le modalita' previste dal decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 2 aprile 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 89 del 17 aprile 2015. Entro il 30 settembre 2016, i medesimi enti, fermo restando la durata massima del piano di riequilibrio come prevista dall'art. 243-bis, comma 5, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, possono provvedere a rimodulare o riformulare il precedente piano in coerenza con l'arco temporale di trenta anni previsto per il riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi di cui all'art. 3 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118. La restituzione delle anticipazioni di liquidita' erogate agli enti di cui ai periodi precedenti, ai sensi degli articoli 243-ter e 243-qunquies del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, e' effettuata in un periodo massimo di trenta anni decorrente dall'anno successivo a quello in cui viene erogata l'anticipazione». Seguiva il comma 714-bis: «Gli enti locali che hanno presentato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale o ne hanno conseguita l'approvazione ai sensi dell'art. 243-bis del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, con delibera da adottarsi dal consiglio dell'ente entro la data del 30 settembre 2016, possono provvedere a rimodulare o riformulare il piano stesso, fermo restando la sua durata originaria e quanto previsto nel comma 7 dell'art. 243-bis del medesimo decreto legislativo n. 267 del 2000, per tenere conto dell'eventuale disavanzo risultante dal rendiconto approvato o dei debiti fuori bilancio, anche in deroga agli articoli 188 e 194 del decreto legislativo n. 267 del 2000. Dalla adozione della delibera consiliare discendono gli effetti previsti dai commi 3 e 4 dell'art. 243-bis del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000». Nella nuova formulazione, introdotta dall'art. 1, comma 434 della legge n. 232/2016, il comma 714, invariato il comma 714-bis, e' ora cosi' formulato: «714. Fermi restando i tempi di pagamento dei creditori, gli enti locali che hanno presentato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale o ne hanno conseguito l'approvazione ai sensi dell'art. 243-bis del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, prima dell'approvazione del rendiconto per l'esercizio 2014, se alla data della presentazione o dell'approvazione del medesimo piano di riequilibrio finanziario pluriennale non avevano ancora provveduto ad effettuare il riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi di cui all'art. 3, comma 7, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, possono rimodulare o riformulare il predetto piano, entro 31 maggio 2017, scorporando la quota di disavanzo risultante dalla revisione straordinaria dei residui di cui all'art. 243-bis, comma 8, lettera e), limitatamente ai residui antecedenti al 1° gennaio 2015, e ripianando tale quota secondo le modalita' previste dal decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 2 aprile 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 89 del 17 aprile 2015. La restituzione delle anticipazioni di liquidita' erogate agli enti di cui al periodo precedente, ai sensi degli articoli 243-ter e 243-quinquies del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, e' effettuato in un periodo massimo di trenta anni decorrente dell'anno successivo a quello in cui e' stata erogata l'anticipazione. A decorrere dalla data di rimodulazione o riformulazione del piano, gli enti di cui ai periodi precedenti presentano alla commissione di cui all'art. 155 del medesimo testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000 apposita attestazione del rispetto dei tempi di pagamento di cui alla direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011». 1.1. Sulla legittimazione della sezione regionale di controllo a sollevare la questione di costituzionalita' in via incidentale nell'ambito dei controlli sul piano di riequilibrio. La sezione ritiene di essere legittimata a sollevare questione incidentale di costituzionalita' ai sensi dell'art. 1 della legge costituzionale n. 1/1948 e dell'art. 23 della legge n. 87/1953, sussistendo la giurisdizione di un «giudice, nell'ambito di un "giudizio"». Come e' noto, alla giurisdizione della Corte dei conti sono intestate due diverse funzioni reciprocamente integrate, segnatamente il «controllo» (art. 100 Cost.) e quella «giurisdizionale» in senso stretto (art. 103 Cost.), nelle materie di contabilita' pubblica e nelle altre specificate dalla legge. Gia' in passato il giudice delle leggi ha in passato riconosciuto la legittimazione di questa magistratura a sollevare questioni di legittimita' costituzionale incidentale anche in sede di controllo, segnatamente, nell'ambito del controllo preventivo di legittimita' (sentenze n. 226/1976 e n. 384/1991) nonche' in quello di parificazione dei bilanci statali e regionali (sentenze n. 165/1963, n. 121/1966, n. 142/1968, n. 244/1995, n. 213/2008 e piu' di recente, per le parifiche dei bilanci regionali, le sentenze n. 181/2015 e n. 89/2017), quest'ultimo caratterizzato da «forme» giurisdizionali. Infatti, nei procedimenti «davanti alla sezione di controllo», «ai limitati fini dell'art. 1 della legge cost. n. 1 del 1948 e dell'art. 23 dello legge n. 87 del 1953, la funzione in quella sede svolta dalla Corte nei conti e', sotto molteplici aspetti, analoga allo funzione giurisdizionale» «[a]nche se [...] non [vi] e' un giudizio in senso tecnico-processuale» (Corte cost., sentenza n. 226/1976). Segnatamente, nella prefata sentenza il giudice delle leggi ha qualificato la decisione di controllo alla stregua di un «giudizio», a prescindere dalle forme processuali. Cio' per la concorrenza di due circostanze: da un lato, la sussistenza di sufficienti garanzie di contraddittorio, dall'altro, per la struttura logica della decisione che si risolve «[...], nel valutare la conformita' degli atti che ne formano oggetto alle norme del diritto oggettivo, ad esclusione di qualsiasi apprezzamento che non sia di ordine strettamente giuridico». Tale decisione, del resto, risultava coerente con la piu' risalente giurisprudenza della Consulta che, sin dagli esordi, per garantire la piena attuazione del principio di costituzionalita' delle leggi, ha affermato la necessita' di tutelare «il preminente interesse pubblico della certezza del diritto (che i dubbi di costituzionalita' insidierebbero) [il quale] vieta che dalla distinzione tra le varie categorie di giudizi e processi (categorie del resto dai confini sovente incerti e contrastanti), si traggano conseguenze cosi' gravi, quali l'esclusione della proponibilita' di questioni di legittimita' costituzionale» (Corte costituzionale, sentenza n. 129/1957). Ai fini dell'interpretazione estensiva dei requisiti di accesso al giudizio incidentale di costituzionalita', sia pure in un procedimento di controllo (all'epoca il controllo preventivo di legittimita' su atti) pur in assenza delle «formalita' della [...] giurisdizione contenziosa» (come per la parifica, art. 40 regio decreto n. 1214/1934), decisiva risultava l'esigenza di «ammettere al sindacato della Corte costituzionale leggi che, come nella fattispecie in esame, piu' difficilmente verrebbero, per altra via, ad essa sottoposte» (sentenza n. 226/1976). In sede di controllo, infatti, e' possibile sottoporre al sindacato di costituzionalita' atti normativi primari che per loro natura, altrimenti, difficilmente possono venire all'attenzione del giudice delle leggi attraverso un «processo» di tipo dispositivo (in cui ad essere tutelate sono situazioni giuridiche soggettive intestate a soggetti direttamente titolari dell'interesse, ai sensi degli articoli 24 e 113 Cost.). Il controllo preventivo di legittimita', infatti, avendo a parametro leggi ed atti aventi forza di legge che incidono in modo sensibile sul bilancio (attraverso atti che, direttamente o indirettamente, agiscono sugli aggregati di spesa o determinano l'assetto macro-organizzativo dello Stato) consente verificare la conformita' a costituzione di disposizioni normative altrimenti prive di soggetti direttamente interessati a veicolare la questione di costituzionalita' davanti alla Consulta. 1.2. La suddetta legittimazione della sezione regionale di controllo a sollevare la questione incidentale di costituzionalita', per contro, e' stata negata per taluni controlli che differiscono profondamente per parametro e natura quelli tradizionali assegnati alla Corte dei conti (controllo preventivo di legittimita' e parifica). Si tratta segnatamente di una genealogia di controlli introdotti nel nostro sistema durante una particolare fase dell'evoluzione istituzionale dello Stato (in generale negli anni '90 del secolo scorso, cfr. in particolare l'art. 3, commi 4-9, della legge n. 20/1994), improntata alla riduzione del sistema dei controlli di legalità-regolarita'. Da una parte, infatti, si ammetteva l'estensione del parametro di valutazione a criteri economico-gestionali, sconfinanti nel merito amministrativo (insindacabile nei controlli tradizionali), per altro verso, l'effettivita' di tali controlli veniva ridotta esclusivamente alla capacita' di promuovere comportamenti auto-correttivi da parte delle amministrazioni controllate, attraverso un obbligo giuridico di riesame (Corte costituzionale, sentenza n. 29/1995). A causa di tale differenza di parametro ed effetti (e in ultima analisi, di natura), nell'ambito di tali tipi di controllo, alla Corte dei conti e' stata negata la legittimazione a sollevare questioni pregiudiziali di costituzionalita' (Corte costituzionale, sentenza n. 37/2011) o comunitarie (Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza 29 novembre 1999, causa C-440/98, RAI, in Racc., p. I-8597, punto 13). In definitiva, nella consolidata giurisprudenza costituzionale, mentre e' pacifica la sussistenza della legittimazione a sollevare un incidente pregiudiziale di costituzionalita' in sede di controlli di legittimità-regolarita', e' escluso che tale legittimazione sussista nei c.d. controlli di gestione «collaborativi». 1.3. Cionondimeno, immutata e' rimasta l'esigenza costituzionale e sistemica di favorire il sindacato costituzionale attraverso la giurisdizione di diritto obiettivo della Corte dei conti, attraverso i vecchi e i nuovi controlli di legittimità-regolarita' che la Corte dei conti, in coerenza con l'originario disegno costituzionale, svolge sui bilanci degli enti pubblici. Del resto, la iurisdictio che la Corte dei conti esercita secondo la Costituzione, nelle forme del «controllo» di legalità-regolarita' e della giurisdizione in senso stretto, appare unitaria ed integrata, in quanto tramite le funzioni svolte da tale magistratura si assicura la legalita' ordinaria e costituzionale rispetto al «bene pubblico» bilancio (Corte costituzionale, sentenze n. 184/2016, n. 228/2017 e n. 247/2017), sede delle scelte fondamentali di allocazione delle risorse pubbliche. Infatti, tanto nell'originario disegno cavouriano che in quello costituzionale del 1948, la Corte dei conti viene identificata come «giudice» speciale della contabilita' pubblica (art. 103), ed in particolare del bilancio (art. 100). Nella contingenza storica che puo' determinare la maggiore o minore ampiezza delle «materie» della contabilita' pubblica ai sensi dell'art. 103, comma secondo, Cost. (Corte costituzionale, sentenze n. 46/2008, n. 371/1998, n. 24/1993, n. 773/1988, n. 641/1997, n. 241/1984, n. 189/1984, n. 185/1982, n. 129/1981, n. 102/1977, n. 68/1971), infatti, e' indubbio che il bilancio costituisca «la» materia che per la Costituzione giustifica l'esistenza ed afferma la necessita' di un magistrato speciale, giudice del diritto e perito del fatto contabile. Infatti, anche quando il controllo si svolge su singoli atti, la loro sottoposizione al sindacato del magistrato contabile e' giustificata proprio per la capacita' di questi di incidere in modo sensibile sul bilancio (art. 3, commi 1-3, legge n. 20/1994; art. 11, legge n. 123/2011; articoli 1, commi 53-57 della L.F. n. 244/2007 e dell'art. 1, comma 173, L.F. n. 266/2005). Il sindacato del magistrato contabile in tale materia, nelle «forme del controllo», del resto, risponde anche a precise esigenze pratiche e giuridiche, connesse al bene oggetto, per antonomasia, della sua giurisdizione (il bilancio). Quest'ultimo e' infatti retto da norme assai peculiari per struttura e fattispecie (norme finanziarie e contabili) e si inserisce in un'attivita' pubblica, per definizione caratterizzata da esigenze di celerita' di giudizio (la gestione della provvista finanziaria e del patrimonio). Pertanto, l'ideale cavouriano di un sindacato di legalita' sull'attivita' finanziaria e sulla gestione patrimoniale, effettuato da un giudice terzo e indipendente rispetto alla pubblica amministrazione, mantenuto in Costituzione (articoli 100 e 103 Cost.), si traduce in «forme» che non devono ingessare i tempi dell'amministrazione (cosa che accadrebbe senz'altro se si imponessero i tempi e le forme del processo, dove l'esigenza di celerita' cede il passo a quello della garanzia di interessi e situazioni giuridiche intestati a soggetti specifici). Le «forme del controllo», dunque, coniugano le due esigenze (legalita' e buon andamento della pubblica amministrazione), consentendo una completa cognizione del bilancio, attraverso la caratteristica bilateralita' della procedura (che prevede solo il giudice a fronte del controllato) e i poteri istruttori inquisitori. Peraltro, tali caratteristiche sono controbilanciate da adeguate garanzie di difesa (Corte costituzionale n. 226/1976), previste non solo da espresse norme di procedura (regio decreto n. 1214/1934), ma valorizzate anche dall'interpretazione adeguatrice delle stesse alla luce della riforma del c.d. «giusto processo» (art. 111 Cost., commi 1 e 2): infatti, ai soggetti controllati, in tutti i controlli di legittimità-regolarita' (pure quelli successivi al testo unico del 1934, in particolare nei controlli previsti dal decreto-legge n. 174/2012, convertito in legge n. 213/2012, sulle regioni, sul sistema sanitario e sugli enti locali) e' assicurato il pieno contraddittorio, anche attraverso la garanzia della pubblica adunanza. Infine, il controllo e la sua effettivita' vivono di una stretta relazione con il momento successivo della giurisdizione in senso stretto. Tale ulteriore «forma» del sindacato delle fattispecie incidenti sul bilancio e sul patrimonio pubblico sussiste sia per esigenze di garanzia dei soggetti controllati, sia per presidiare le norme e le decisioni di controllo con dispositivi giuridici che ne assicurino l'effettivita', eventualmente anche con la responsabilita' individuale di coloro i quali hanno compromesso la legalita' del funzionamento della macchina pubblica (articoli 28, 100 e 103 Cost.). Tale integrazione si realizza attraverso l'importante funzione del pubblico ministero contabile che consente di separare e neutralizzare il naturale conflitto di interesse tra ente e comunita' amministrata da un lato, e gli amministratori dall'altro. Attraverso il pubblico ministero, infatti, le illegittimita' e le gestioni che violano la legge e la Costituzione da parte di amministratori, possono essere portati all'attenzione di un giudice, all'interno di un processo, con le forme tipiche della «giurisdizione». Si tratta dunque di una unitaria «iurisdictio», in primo luogo, in quanto l'oggetto della disciplina normativa che il giudice e' chiamato ad applicare, in entrambe le funzioni, e' quella afferente la gestione della provvista finanziaria, del bilancio e del patrimonio pubblico; in secondo luogo perche' le decisioni di controllo si inseriscono nel fluire dell'azione amministrativa verificando le fattispecie contabili a diretto contatto con le scritture e con l'amministrazione, presidiando la continuita' di bilancio, consentendo di fare emergere illegittimita' altrimenti difficilmente conoscibili attraverso le forme tipiche della giurisdizione, che comunque garantiscono, in un momento successivo, la piena garanzia del principio di legalita' ed il diritta di difesa. 1.4. Tale unitaria iurisdictio e' stata di recente nuovamente valorizzata, nell'ambito della riforma legislativa e costituzionale stimolata dagli impegni assunti dall'Italia a livello europeo (art. 117, comma 1 Cost.), in materia di politica economica e di bilancio, riforma culminata con la legge costituzionale n. 1/2012. Proprio la pressione del diritto dell'Unione europea ha portato alla introduzione del precetto dell'equilibrio di bilancio (art. 97, comma 1 Cost. e 81 Cost.) e all'espansione del sistema dei controlli di legittimità-regolarita' della Corte dei conti. Infatti, al termine di un lungo processo di riforma (legge 31 dicembre 2009, n. 196; legge 5 maggio 2009, n. 42; in attuazione di una delega di quest'ultima, il decreto legislativo n. 118/2011), con la legge costituzionale n. 1/2012 e la legge rinforzata n. 243/2012, alla Corte e' stato affidato un ruolo fondamentale nella tutela della legalita' di bilancio (art. 20, legge n. 243/2012). Da un lato, infatti, sono stati codificati e resi normativi a tutti gli effetti regole e principi contabili (per le regioni e gli enti locali, in particolare, il decreto legislativo n. 118/2011), per altro verso sono aumentati i controlli previsti dalla «legge», legati a parametri di stretta legalita': con il decreto-legge n. 174/2012 (convertito in legge n. 213/2012) e varie novelle del TUEL sono stati introdotti nuovi e numerosi controlli successivi sui bilanci delle regioni e degli enti locali. In terzo luogo - a differenza dei controlli «collaborativi» di cui alla sentenza Corte costituzionale n. 37/2011 - tali controlli non mirano ad ottenere meri effetti auto-correttivi, ma all'esito dell'accertamento di illegittimità-irregolarita', comportano ipso iure immediate conseguenze giuridiche sulle amministrazioni controllate (e non piu' un mero «obbligo di riesame»). Si pensi al c.d. «blocco della spesa» (art. 148-bis TUEL), all'avvio del c.d. «dissesto guidato» (art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 149/2011) al mutamento del regime di salvaguardia degli equilibri di bilancio (art. 243-quater, comma 7 TUEL in virtu' del quale il giudizio negativo della Corte sul PRFP comporta il passaggio dal regime del piano di riequilibrio finanziario pluriennale a quello del dissesto). Infatti, in piu' occasioni la Consulta ha qualificato tali ultimi controlli come appartenenti al genus di quelli legittimità-regolarita' (sentenze n. 60/2013, n. 39/2014 e n. 40/2014, n. 228/2017), non solo perche' il parametro e' strettamente normativo e la struttura del giudizio del magistrato contabile e' chiaramente «dicotomica», ma anche per la diversa effettivita' delle norme a presidio degli equilibri di bilancio, che mirano «a prevenire» in modo efficace il pregiudizio a tale precetto (Corte costituzionale, sentenze n. 60/2013 nonche' n. 39/2014 e n. 40/2014). In questo contesto - su stimolo della stessa Corte costituzionale (sentenza n. 39/2014, punto 6.3.4.3.3) e nel rispetto della riserva di giurisdizione per materia dell'art. 103, comma 2, Cost. - il legislatore ha aumentato lo standard di garanzia del diritto di difesa e del contraddittorio, prevedendo espressamente la facolta' di impugnazione delle decisioni di controllo, attraverso un ricorso alle sezioni riunite (sebbene gia' possibile in base al disposto dell'art. 103, comma 2, Cost., cfr. SS.RR. sentenze n. 2 e n. 6 del 2013.). Tale ricorso puo' essere presentato oltre che dal soggetto controllato, da chi vi abbia interesse in relazione alla lesione di situazioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela ai sensi dell'art. 24 Cost. (art. 11, comma 6, lettera e) del codice della giustizia contabile, decreto legislativo n. 174/2016). In questo modo, si e' realizzata un'ulteriore integrazione tra le «forme» del controllo e della giurisdizione, che ha aumentato il grado di prossimita' del primo con il «giudizio» ai sensi e per gli effetti dell'art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 e dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953. 1.5. Tanto premesso, in relazione all'odierno giudizio di controllo (verifica dell'attuazione dei piani di riequilibrio ai sensi e per gli effetti dell'art. 243-quater, comma 7 TUEL), la legittimazione di questa Corte a sollevare incidente di costituzionalita' dipende dalla verifica della natura del controllo esercitato, in particolare dalla qualificabilita' dello stesso alla stregua di un controllo «collaborativo» o di un controllo di legittimità-regolarita'. Piu' in generale, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 e dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953, occorre verificare la sussistenza di un «giudice» e di un «giudizio» (cfr. Corte costituzionale, sentenze n. 384/1991 e n. 89/2017). 1.6.1. Quanto al requisito soggettivo («giudice»), la Consulta ha evidenziato che le sezioni di controllo della Corte dei conti sono composte da magistrati «che, analogamente ai magistrati dell'ordine giudiziario, si distinguono tra loro "solo per diversita' di funzioni" (art. 10, legge 21 marzo 1953, n. 161)». Si tratta infatti di una magistratura «annoverata, accanto [a quella] ordinario ed al Consiglio di Stato, tra le "supreme magistrature" (art. 135 Cost.); istituzionalmente investita di funzioni giurisdizionali o norma dell'art. 103, secondo comma, Cost., la Corte dei conti e', infatti, l'unico organo di controllo che, nel nostro ordinamento, goda di una diretta garanzia in sede costituzionale» (Corte costituzionale, sentenza n. 226/1976). Tale requisito e' stato confermato anche con riguardo alle sezioni regionali di controllo (sentenze n. 181/2015 e n. 89/2017). La terzieta' e la neutralita' della Corte dei conti, infatti, e' stata riconosciuta anche rispetto al sistema delle autonomie: essa non esercita competenze di natura amministrativa, ma e' organo al servizio del principio di legalita' repubblicana e del suo sistema istituzionale multilivello (art. 114 Cost.): infatti, parallelamente alla riforma del titolo V, la Consulta ha evidenziato che la Corte dei conti non e' espressione organizzativa dello Stato, bensi' essa e' organo dello Stato-comunita' (sentenza n. 29/1995) e dello Stato-ordinamento (sentenze n. 267/2006; nonche' n. 179/2007, n. 37/2011, n. 198/2012). Del resto, la Corte dei conti, nel procedimento di controllo sui piani di riequilibrio e' «super partes», ossia e' doppiamente neutrale: lo e' rispetto allo Stato-ordinamento (art. 114 Cost.), nella sua plurale articolazione (Corte costituzionale, sentenze n. 29/1995, n. 470/1997 e n. 60/103); ma lo e' soprattutto rispetto alla «comunita'» di riferimento e agli interessi afferenti il bene della vita che tramite il controllo ricevono tutela obiettiva (il bilancio come bene pubblico). Si tratta, infatti e segnatamente, di interessi finanziari adespoti, afferenti i membri della collettivita' di riferimento, i quali entrano in una relazione (soltanto) «mediata» col bilancio: di conseguenza, gli «interessati» al bilancio non sono solo gli amministratori, ma anche i cittadini utenti nonche' il «mercato» che interagisce col bilancio, fornendo beni e servizi. La Corte, quindi, si interpone tra l'interesse degli amministratori pro tempore e quelli della comunita' di riferimento, la quale aspira ad uno strumento adeguato di riequilibrio del «bene pubblico» bilancio. L'interesse dei primi, infatti, si pone potenzialmente in conflitto con quelli della seconda, per le responsabilita' che potrebbero conseguire in caso di un giudizio negativo ai sensi dell'art. 243-quater, comma 7 TUEL sul piano di riequilibrio. Si rammenta che in tal caso e' previsto che scatti il c.d. dissesto «guidato» (art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 149/2011), non piu' evitabile con la presentazione di un nuovo piano di riequilibrio (SRC Campania n. 8/2018, SRC Umbria, n. 1/2018; SRC Sicilia n. 25/2018/PRSP) e che in tale ipotesi, a mezzo del pubblico ministero contabile, siano effettuati, presso le sezioni giurisdizionali di questa Corte, accertamenti per la verifica delle responsabilita' e per l'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 248, commi 5 e 5-bis TUEL (sanzioni pecuniarie ed incandidabilita'). Tale conflitto di interessi e' gia' stato evidenziato dalla Corte costituzionale quando ha sottolineato che «l'incuria del[lo] squilibrio strutturale [dei bilanci] interromp[e] - in virtu' di una presunzione assoluta - il legame fiduciario che caratterizza il mandato elettorale e la rappresentanza democratica degli eletti» (sentenza n. 228/2017). 1.6.2. Per quanto riguarda il requisito oggettivo («giudizio»), il controllo sui piani di riequilibrio e' gia' stato espressamente qualificato come un controllo di legittimità-regolarita', escludendo, in tal modo, ogni assimilazione ai controlli «collaborativi». Il giudice delle leggi ha infatti evidenziato - come gia' prima per i controlli monitori ai sensi del nuovo art. 148-bis TUEL (introdotto dal decreto-legge n. 174/2012, convertito in legge n. 213/2012; cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 40/2013) - che i recenti controlli introdotti a presidio della «salvaguardia di bilancio», costituiscono controlli di regolarità-legittimita' (sentenza n. 228/2017) e tra questi, in particolare, quelli attinenti alla valutazione dei piani di riequilibro e della loro attuazione (articoli 243-quater, comma 7 TUEL). Infatti in tale pronuncia si legge: «[...] appare evidente che i controlli [...] del titolo VIII del TUEL (art. 243-bis rubricato «Procedura di riequilibrio finanziario pluriennale»; 243-quater rubricato «Esame del piano di riequilibrio finanziario pluriennale e controllo sulla relativa attuazione»; 243-quinquies rubricato «Misure per garantire la stabilita' finanziaria degli enti locali sciolti per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso»; 243-sexies rubricato «Pagamento di debiti»; 246 «Deliberazione di dissesto»; 248 rubricato «Conseguenze della dichiarazione di dissesto») - consistono appunto in controlli di legittimità-regolarita' se non addirittura in attribuzioni di natura giurisdizionale. Appartengono alla prima categoria: a) la determinazione di misure correttive per gli enti in predissesto (art. 243-bis, comma 6, lettera a) del TUEL); b) l'approvazione o il diniego del piano di riequilibrio (art. 243-quater, comma 3 del TUEL); c) gli accertamenti propedeutici alla dichiarazione di dissesto (art. 243-quater, comma 7 del TUEL). Riguardano funzioni di natura giurisdizionale: a) la giurisdizione delle sezioni riunite della Corte dei conti in speciale composizione avverso le delibere della sezione regionale di controllo (art. 243-quater, comma 5 del TUEL); b) l'attivita' requirente della procura regionale sulle cause del dissesto (art. 246, comma 2 del TUEL); c) l'accertamento delle responsabilita' degli amministratori e dei revisori dei conti ai fini dell'applicazione delle ulteriori sanzioni amministrative (art. 248, commi 5 e 5-bis del TUEL)» (enfasi aggiunta). In buona sostanza, il controllo effettuato dalle sezioni regionali di controllo sui piani di riequilibrio «si risolve nel valutarne "la conformita' [...] alle norme del diritto oggettivo, ad esclusione di qualsiasi apprezzamento che non sia di ordine strettamente giuridico». Una funzione cioe' di garanzia dell'ordinamento, di «controllo esterno, rigorosamente neutrale e disinteressato [...] preordinato a tutela del diritto oggettivo». Infatti «il controllo effettuato dalla Corte dei conti e' un controllo esterno, rigorosamente neutrale e disinteressato, volto unicamente o garantire la legalita' degli atti ad essa sottoposti, [...] che si differenzia pertanto nettamente dai controlli c.d. amministrativi; svolgentisi nell'interno della pubblica amministrazione; ed e' altresi' diverso anche da altri controlli, che pur presentano le caratteristiche da ultimo rilevate, in ragione della natura e della posizione dell'organo cui e' affidato» (sentenze n. 226/1976 e n. 384/1991). Il carattere di «giudizio» e' confermato da altre due circostanze. In primis, dalla procedura caratterizzata da un alto tasso di contraddittorio. Come sopra evidenziato, oltre a fare applicazione analogica delle norme a suo tempo adottate dal legislatore per il controllo preventivo di legittimita' (e gia' ritenute sufficienti, al tempo, per superare il test di legittimazione per l'accesso alla Corte, cfr. sentenza n. 226/1976), la Corte dei conti valorizza la norma costituzionale sui «giusto processo» (art. 111 Cost., commi 1 e 2), assicurando il contraddittorio su tutte le risultanze istruttorie e la garanzia dell'adunanza pubblica (che consente di discutere oralmente le memorie scritte sulle contestazioni che vengono preliminarmente portate a conoscenza dell'ente controllato). In secundis, il requisito oggettivo del «giudizio» si ravvisa nella idoneita' della decisione di controllo a costituire uno stabile accertamento, alla stregua di un provvedimento emesso in sede giurisdizionale. Sebbene non siano suscettibile di passare in giudicato alla stregua delle sentenze, le decisioni di controllo, una volta trascorso il termine per la loro impugnazione o in mancanza di una sentenza di merito di riforma da parte delle sezioni riunite (art. 243-quater, comma 5 TUEL), definiscono il fatto ed il diritto coi crismi della certezza giuridica. Ossia esse assumono, «giuridica stabilita'» (Corte dei conti sezioni riunite, n. 64/2015/EL; SRC Campania n. 8/2018/QMIG), costituendo la base del giudizio contabile successivo nel caso in cui sussistano i presupposti di legge per l'attivazione di un ulteriore e successivo controllo. Tale stabilita' e' fondamentale per la tutela del bene della vita sottostante al giudizio di controllo (e all'eventuale sindacato giurisdizionale): il bilancio inteso come «bene pubblico» (Corte costituzionale, sentenze n. 184/2016, n. 228/2017 e n. 247/2017). Alla sede giurisdizionale, invece, compete verificare la plausibilita' logica e giuridica del ragionamento effettuato dalla sezione di controllo, quale premessa per la stabilizzazione degli effetti di legge o per l'avvio di ulteriore disamina del bilancio in sede di controllo. In questo modo, il legislatore ha assicurato la tutela di eventuali interessi che possono essere stati lesi da decisioni di controllo eventualmente viziate da errores in iudicando o in procedendo. 1.7. Giova infine, ancora una volta, sottolineare che la necessita' di assicurare la legittimazione diretta della sezione di controllo al giudizio incidentale di costituzionalita' - anche a fronte della possibilita' di un successivo sindacato giurisdizionale in senso stretto - deriva dalla duplice esigenza di «garantire il principio di costituzionalita'» ed «evitare che si venga a creare uno zona franca del sistema di giustizia costituzionale» (Corte costituzionale, sentenza n. 1/2014, punto 2 in diritto). Infatti, come gia' evidenziato in passato, il «preminente interesse pubblico della certezza del diritto (che i dubbi di costituzionalita' insidierebbero), insieme con l'altro della osservanza della Costituzione» vieta di ritenere esiziale la circostanza che il giudizio di controllo non si svolga con le formalita' tipiche della giurisdizione, in quanto dalla «distinzione tra le varie categorie di giudizi e processi (categorie del resto dai contorni sovente incerti e contestati)» potrebbe derivare la «grave conseguenza» della formazione nell'ordinamento di «zone franche» sottratte al sindacato di costituzionalita' (Corte costituzionale, sentenza n. 226/1976). Il rischio che la disciplina della salvaguardia di bilancio degli enti locali si traduca in una «zona franca» sottratta al sindacato di costituzionalita' e' particolarmente elevato in ragione di due fattori. In primo luogo, per la «natura particolare» (Corte costituzionale, sentenza n. 1/2014) delle norme applicate, che attengono ai limiti legislativi e costituzionali alla determinazione dei contenuti del «bene pubblico bilancio». Il contenuto del bilancio, come sede delle scelte fondamentali di allocazione delle risorse pubbliche, e' infatti rimesso al legislatore e all'amministrazione; solo in sede di sindacato di controllo (e in via mediata l'eventuale, successivo, sindacato giurisdizionale) e' possibile verificare, da parte di un giudice terzo, la legalita' ordinaria e costituzionale nella determinazione di quei contenuti. Del resto, nell'ambito delle regole normative, di cui la Corte dei conti deve verificare il rispetto, costituiscono norme fondamentali la «clausola generale» di equilibrio «in grado di operare pure in assenza di norme interposte» (Corte costituzionale, sentenza n. 192/2012), nonche' la disciplina di salvaguardia (con cio' intendendosi il sistema di prescrizioni in virtu' delle quali la disciplina statale, che regola il bilancio di regioni ed enti locali, stabilisce le modalita' di recupero effettivo e sostenibile dei suoi squilibri e detta le prescrizioni in caso di mancato riequilibrio; cfr., al riguardo, Corte costituzionale, sentenza n. 228/2017). Ora e' evidente che la disciplina sul bilancio, ed in particolare quella sulla sua «salvaguardia», non interferendo direttamente con situazioni giuridiche soggettive di diritto soggettivo e di interesse legittimo, difficilmente verrebbe alla cognizione del giudice delle leggi nell'ambito di un «processo» dispositivo. Si correrebbe cosi' il rischio di sottrarre al sindacato di costituzionalita' importanti norme statali e regionali che disciplinano la formazione dei contenuti del bene pubblico bilancio, con l'effetto di lasciare prive di presidio giudiziale aree importanti dell'ordinamento in cui sono regolati interessi di sicuro rilievo costituzionale: si deve rammentare, infatti, che il bilancio e' un «bene pubblico» attraverso cui si determinano le politiche fondamentali e la strumentale allocazione delle risorse; di conseguenza la disciplina ordinaria che lo governa e' essenziale per la realizzazione dei principi costituzionali «di solidarieta' sociale per il pieno sviluppo della persona umana attraverso la rimozione degli ostacoli alla liberta' e all'uguaglianza di ordine economico» (articoli 2 e 3 Cost.), gli stessi che impongono l'equilibrio di bilancio e la sostenibilita' del debito (art. 97, comma 1 Cost.) per assicurare, innanzi tutto, i livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, secondo comma, lettera m) Cost.). Inoltre, proprio per la naturale vocazione del bilancio a dispiegare effetti, in continuita', nel tempo, la pubblicita' e la solidarieta' evocata non e' solo quella tra i cittadini in un dato momento della vita della Repubblica, ma quella dinamica e intergenerazionale» che deve sussistere per garantire l'ordinato sviluppo della vita democratica dello Stato. Rispetto a tale bene, dunque, si dispiegano interessi, certamente costituzionalmente rilevanti, di natura finanziaria e adespota (in taluni casi collegati a generazioni e soggetti futuri) che per natura possono venire all'attenzione della Corte costituzionale solo per mezzo della iurisdictio di diritto oggettivo della Corte dei conti ed in particolare della sua funzione di controllo. Cio' «giustifica [...] l'esigenza di ammettere al sindacato costituzionale leggi che, come nella fattispecie in esame, piu' difficilmente verrebbero per altra via, ad esso sottoposte» (Corte costituzionale, sentenza n. 384/1991), attraverso un «giudice», pur in assenza delle forme del «processo»; si tratta cioe' di garantire che anche la disciplina ordinaria che presiede alla formazione ed alla tutela del bilancio possa essere giustiziata secondo Costituzione, quando tale disciplina entra in conflitto con i fondamenti della Carta fondamentale. In secondo luogo, la necessita' di riconoscere direttamente alla sezione regionale di controllo la legittimazione a sollevare questione incidentale di costituzionalita' deriva da un'attuale lacuna procedurale dei procedimenti di controllo. Per costante diritto vivente, nei procedimenti di controllo diversi da quelli della parifica, si fa applicazione analogica della disciplina procedurale prevista per il controllo preventivo di legittimita' (articoli 21 e seguenti, testo unico n. 1214 del 1934). L'interpretazione analogica di tali disposizioni, applicate evolutivamente ai sensi dell'art. 111 Cost., comporta: a) il contraddittorio durante tutta l'istruttoria; b) lo svolgimento della pubblica adunanza nel momento in cui il magistrato istruttore deferisce il controllato alla sezione nella sua collegialita' per la decisione finale. La fase finale, ed in particolare l'adunanza pubblica, consente anche oralmente contraddittorio, con la garanzia del pubblico svolgimento della discussione. Peraltro, non esiste nel procedimento di controllo un soggetto o una parte controinteressata all'approvazione o al giudizio positivo sul PRFP; pertanto se la sezione regionale di controllo non fosse ritenuta legittimata a sollevare d'ufficio questione incidentale di costituzionalita', non rivenendosi violazioni di legge, sarebbe tenuta ad approvare il piano o a non rilevare inadempimenti connessi al mancato riequilibrio secondo la disciplina vigente. In tale eventualita', inoltre, non vi sarebbero soggetti in grado di introdurre un giudizio dinanzi alle sezioni riunite in speciale composizione, nell'ambito del quale fare valere l'incostituzionalita' delle leggi applicate. Ne', peraltro, tale funzione puo' essere svolta dal pubblico ministero che, in base alla disciplina vigente, non partecipa al procedimento di controllo. Si determina, quindi, in assenza di riconoscimento della legittimazione della sezione regionale di controllo a sollevare questioni incidentali dinanzi alla Consulta, una situazione di insindacabilita' di vaste porzioni dell'ordinamento, in netto contrasto: con la stessa volonta' legislativa che, invece, prevede anche l'impugnazione di pronunce favorevoli all'ente locale (art. 243-quater, comma 5 TUEL, che fa espresso riferimento all'impugnazione anche delle «delibere di approvazione»), con una evidente irrazionalita' del sistema; con il principio di costituzionalita', che vieta che vi siano «zone franche del tutto impreviste dalla Costituzione, all'interno delle quali la legislazione ordinaria diverrebbe incontrollabile (sentenza n. 148 del 1983 e sul punto, sostanzialmente nello stesso senso, sentenza n. 394 del 2006) - (sentenza n. 28 del 2010)» (Corte costituzionale, sentenza n. 5/2014). 1.8. Ed infatti, in questa prospettiva, proprio tenendo conto dell'esigenza di giustiziare, secondo Costituzione, importanti aree dell'ordinamento, e segnatamente le norme finanziarie e di bilancio tipicamente attratte dalla giurisdizione in sede di controllo della Corte dei conti, il giudice delle leggi ha «sintetizzato», nella piu' recente sentenza n. 89/2017, i contenuti e i requisiti di accesso al giudizio di costituzionalita' incidentale per i controlli sui bilanci delle regioni e degli enti locali. In proposito la Corte ha osservato quanto segue. «Tali condizioni possono essere cosi' sintetizzate: a) applicazione di parametri normativi. E' da sottolineare, in proposito, come nel procedimento di parifica il prevalente quadro normativo di riferimento sia quello del decreto legislativo n. 118 del 2011 e come l'esito del procedimento sia dicotomico nel senso di ammettere od escludere dalla parifica le singole partite di spesa e di entrata che compongano il bilancio (sull'esito dicotomico dei controlli di legittimità-regolarita' sui bilanci degli enti territoriali, sentenza n. 40 del 2014); b) giustiziabilita' del provvedimento in relazione a situazioni soggettive dell'ente territoriale eventualmente coinvolte. Infatti, l'art. 1, comma 12, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonche' ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, come modificato dall'art. 33, comma 2, lettera a), numero 3), del decreto-legge del 24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonche' per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea), convertito, con modificazioni, dallo legge 11 agosto 2014, n. 116, dispone che avverso le delibere della sezione regionale di controllo della Corte dei conti - tra le quali, appunto, quella afferente al giudizio di parificazione - «e' ammessa l'impugnazione alle sezioni riunite della Corte dei conti in speciale composizione, con le forme e i termini di cui all'art. 243-quater, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, numero 267»; c) pieno contraddittorio sia nell'ambito del giudizio di parifica esercitato dalla sezione di controllo della Corte dei conti sia nell'eventuale giudizio ad istanza di parte, qualora quest'ultimo venga avviato dall'ente territoriale cui si rivolge la parifica. In entrambe le ipotesi e' contemplato anche il coinvolgimento del pubblico ministero a tutela dell'interesse generale oggettivo della regolarita' della gestione finanziaria e patrimoniale dell'ente territoriale (art. 243-quater, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali»; articoli 53 e seguenti del regolamento di procedura di cui al regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, recante «Approvazione del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti», ora sostituiti dagli articoli 172 e seguenti dell'allegato 1 del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, recante «Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell'art. 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124». In definitiva, anche nel procedimento di parifica «e' garantita la possibilita' che gli interessi ed il punto di vista dell'amministrazione, nelle sue varie articolazioni, siano fatti valere nel corso del procedimento. [...] D'altronde, sul piano sostanziale, il riconoscimento di tale legittimazione [al giudizio costituzionale] si giustifica anche con l'esigenza di ammettere al sindacato della Corte costituzionale leggi che, come nella fattispecie in esame, piu' difficilmente verrebbero, per altra via, ad essa sottoposte» (sentenza n. 226 del 1976). Come e' evidente tutti i suelencati requisiti sono soddisfatti nel procedimento di controllo ai sensi dell'art. 243-quater, comma 7, TUEL. Infatti: a) come gia' evidenziato nella sentenza n. 228/2017, si tratta di un controllo di legalità-regolarita'; b) il provvedimento e' giustiziabile ai sensi e per gli effetti degli articoli 243-quater, comma 5 TUEL e dell'art. 11, comma 6, lettera e) del Codice della giustizia contabile (decreto legislativo n. 174/2016); c) e' assicurato ampio contraddittorio con il soggetto controllato, al quale si applica in via diretta, l'art. 111, commi 1 e 2 Cost. e, in via analogica, le norme sui procedimenti di controllo previsti dal vigente testo unico della Corte dei conti (testo unico n. 1214 del 1934). 2. Sulla rilevanza della questione. In merito alla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale che la sezione intende sollevare, nel caso di specie si osserva che il giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione costituzionale qui prospettata, per le ragioni di seguito indicate. Si deve preliminarmente ricordare che l'art. 1, comma 434, della legge n. 232/2016, norma di cui qui si fa questione, ha novellato il precedente art. 1, comma 714 della legge n. 208/2015 (legge di stabilita' 2016) e si applica nell'ambito di un procedimento di controllo volto a monitorare l'adempimento del piano e ad accertare l'eventuale «grave» e «reiterato» mancato raggiungimento degli obbiettivi intermedi. Tale disposizione, infatti, consente la «riformulazione» (estensione o riduzione quantitativa dell'obiettivo di riequilibrio) o la «rimodulazione» (diversa distribuzione temporale del ripiano) di un piano finanziario pluriennale pregresso, cioe' la modifica di un precedente piano valido ed efficace, con un atto amministrativo di secondo grado. Il presupposto oggettivo di tale rimodulazione/riformulazione non e' pero' l'emersione di nuovo disavanzo (ipotesi invece contemplata dall'art. 1, comma 714-bis della medesima legge), ma la redistribuzione di squilibri gia' noti, con un effetto di alleggerimento sugli obbiettivi intermedi annuali. Inoltre, poiche' la modifica al PRFP ai sensi del comma 714 non e' determinata dalla sopravvenienza di un nuovo «fatto» (un maggiore disavanzo), ma da quella di una nuova disciplina normativa contabile, non e' necessaria una renovatio dell'intero procedimento di controllo, ma solo una verifica in sede di «monitoraggio» del PRFP in precedenza approvato, ai sensi dell'art. 243-quater, comma 7. Come specificato dalla sezione delle autonomie di questa magistratura, con la pronuncia nomofilattica n. 13/2016/QMIG «Il sopravvenuto intervento normativo attuato con l'introduzione dei commi 714 e 715 riconosce la facolta' di riformulare o rimodulare il piano gia' approvato o presentato solo per consentire il ripiano del disavanzo scaturito dal riaccertamento straordinario dei residui nei termini e con le modalita' stabilite dall'art. 3 del decreto legislativo n. 118 del 2011 e dal decreto ministeriale 2 aprile 2015 ma lascia impregiudicati i vincoli normativi e gli impegni gia' assunti da ciascun ente al momento dell'approvazione del piano». Diversamente, la rimodulazione/riformulazione prevista dall'art. 1, comma 714-bis e' collegata ad un «fatto» nuovo (l'emersione di un ulteriore disavanzo) e per tale ragione comporta nuova approvazione del PRFP, a valle di nuova istruttoria della commissione per la stabilita' finanziaria (Sezione autonomie, deliberazione n. 9/SEZAUT/2017/QMIG). 2.1. Tanto premesso sulla tipologia di controllo esercitato, si rammenta che il PRFP di Pagani, in corso di attuazione, e' stato ritenuto conforme a legge ed approvato in precedenza da questa sezione con la pronuncia n. 53/2016/PRSP. Con la deliberazione n. 3/2017/PRSP, la sezione ha pero' accertato un primo «grave inadempimento» degli obbiettivi del piano, per l'annualita' 2015, ai sensi dell'art. 243-quater, comma 7 TUEL. Successivamente, con la citata deliberazione del consiglio comunale (n. 30 dei 31 maggio 2017), l'ente ha effettuato la riformulazione/rimodulazione del pregresso piano, ai sensi dell'art. 1, comma 714 legge n. 208/2015, come novellato dell'art. 1, comma 434, della legge n. 232/2016. Come risulta dagli atti, tale modifica del PRFP mira a redistribuire nel tempo le seguenti componenti: l'originario disavanzo da piano di riequilibrio per euro 5.074.673,99 (a scorporo del quale si sono detratte le quote recuperate nel triennio 2014-2015-2016 per euro 2.844.629,36); il nuovo e maggior disavanzo accertato dalla Corte dei conti per euro 4.407.423,87. La «novita'» di tale ultima quota di disavanzo e' determinata dal fatto che esso e' emerso successivamente e riguarda passivita' diverse, non afferenti, cioe', quelle oggetto del PRFP (debiti fuori bilancio non evidenziati per euro 4.275.874,88), con la conseguenza che si tratta di un disavanzo «sopravvenuto». Come e' noto, tali disavanzi sarebbero stati ripianabili alle condizioni nonche' entro i termini (30 settembre 2016) e l'orizzonte temporale (durata originaria del piano) concessi con la facolta' legislativa di cui al comma 714-bis dell'art. 1 della legge n. 208/2015. La medesima facolta' sarebbe stata quindi esercitabile entro e non oltre il 30 settembre 2016 (cfr. SRC Campania n. 240/2017/PRSP) e non il 30 maggio 2017 (com'e' invece avvenuto nel caso al vaglio della sezione). Ad avviso di questa sezione, allo stato degli atti, appare evidente che la rimodulazione/riformulazione, almeno parzialmente (ossia con riguardo alla seconda componente di euro 4.407.423,87), e' illegittima. Eppur tuttavia, anche a fronte di tale parziale illegittimita', la sezione deve comunque verificare «preliminarmente» se ed in che termini la riduzione degli obbiettivi intermedi si giustifica per la restante quota di euro 5.074.673,99, afferente l'originario squilibrio oggetto del PRFP e a suo tempo determinato proprio dalla revisione straordinaria dei residui ai sensi dell'art. 243-bis, comma 8, lettera e) TUEL (cfr. SRC Campania n. 53/2016/PRSP). Tale quota di disavanzo, stante la vigente formulazione dell'art. 1, comma 714, legge n. 208/2015, puo' essere ripianata in trent'anni dopo avere effettuato la corrispondente riformulazione/rimodulazione del PRFP. La verifica della legittimita' della ridetta modifica del PRFP e' logicamente preliminare in quanto la rimodulazione/riformulazione ai sensi dell'art. 1, comma 434, legge n. 232/2016 modifica il quantum degli «obbiettivi intermedi» e «finali», mediante una loro riduzione, obbiettivi che costituiscono, per la Corte, il canone concreto di controllo per tutta la durata del piano di riequilibrio e non soltanto nella contingenza dell'esercizio in corso. L'applicazione dell'art. 1, comma 434, legge n. 232/2016 e' dunque sempre rilevante nel procedimento di controllo sull'attuazione del PRFP, sia per l'esercizio in corso che per quelli successivi. Infatti: in caso di conferma della costituzionalita' della norma, la verifica dell'eventuale «grave e reiterato adempimento» dovra' tenere conto della parziale correttezza della riduzione degli obbiettivi intermedi intervenuta per effetto della ridetta rimodulazione/riformulazione; in caso di illegittimita' costituzionale della norma medesima, la rimodulazione/riformulazione sarebbe totalmente irregolare, aggravando il parametro per la valutazione della «gravita'» dell'inadempimento, nonche' della sua «reiterazione». Attiene invece al merito e a questioni logicamente successive la verifica della congruita' degli accantonamenti unilateralmente ridotti, a fine 2017, rispetto al maggiore squilibrio accertato dalla Corte con la decisione n. 3/2017/PRSP (decisione non impugnata) nonche' la valutazione dell'idoneita' delle manovre triennali di bilancio a coprire lo squilibrio in modo siffatto riquantificato (oltre alla questione incidentalmente emersa del non intervenuto riconoscimento dei debiti fuori bilancio, per la quale occorrera' verificare l'incidenza sul saldo di finanza pubblica). Si tratta cioe' di questioni di fatto e di diritto che presuppongono comunque la risoluzione della questione di costituzionalita' inerente all'art. 1, comma 434, della legge n. 232/2016, questione che influenza e condiziona l'esito del controllo effettuato da questa Corte; ragione per cui la questione medesima risulta «rilevante» ai sensi e per gli effetti degli articoli 23 e 24 della legge n. 87 del 1953. 3. Della non manifesta infondatezza. Cio' detto, la sezione, nel controllo sull'adempimento degli obbiettivi intermedi e nella preliminare valutazione della modifica al PRFP, ritiene di non poter dare applicazione all'art. 1, comma 434 della legge n. 232/2016, in quanto, come e' noto, un giudice non puo' «ius dicere» in base a norme della cui costituzionalita' dubita: ove infatti ritenga non «manifestamente infondata» la questione di legittimita' costituzionale sorta (articoli 23 e 24 della legge n. 87/1953), egli deve rimettere alla Consulta la delibazione delle disposizioni normative rilevanti nel proprio giudizio. In quest'ottica, nell'ambito dei compiti e delle valutazioni che la legge e la Costituzione affidano al giudice a quo (Corte costituzionale, sentenze n. 221/2015, n. 262/2015, n. 45/2016, n. 95/2016, n. 240/2016), questa sezione ritiene altresi' che non sia possibile dare della disposizione contabile qui «rilevante» una applicazione «conforme» a Costituzione, attraverso una mera operazione esegetica (Corte costituzionale, ex plurimis, sentenza n. 356/1996; sentenze n. 219/2008 e n. 1/2013). Cio' in quanto la formulazione della legge e' chiara e tale per cui e' incompatibile con la stessa qualsiasi interpretazione diversa da quella imposta dalla sua lettera, salvo pervenire alla rottura del testo o soluzioni esegetiche «eccentriche» (Corte costituzionale, sentenza n. 36/2016). Infatti, la rimodulazione/riformulazione del PRFP, in base alla richiamata formulazione letterale, e' consentita nei limiti e alle seguenti condizioni: 1) che sia stata effettuata la «revisione straordinaria dei residui» (art. 243-bis, comma 8, lettera e) TUEL), condizione questa, come e' noto, necessaria per l'accesso al PRFP ed in relazione alla quale e' emersa una «quota di disavanzo» inglobata nel piano vigente; 2) che tale revisione sia stata effettuata «limitatamente ai residui antecedenti al 1° gennaio 2015»; 3) che tale revisione sia stata effettuata in epoca precedente al «riaccertamento straordinario» ai sensi dell'art. 3, comma 16, del decreto legislativo n. 118/2011. In presenza delle surrichiamate condizioni, la legge da' facolta' di rimodulare e riformulare il PRFP, procedendo al ripiano trentennale, expressis verbis, di «tale quota» (ossia quella riveniente dalla «revisione straordinaria dei residui» ai sensi dell'art. 243-bis, comma 8, lettera e) TUEL). Non appare dunque possibile dare un'interpretazione diversa ne' ricondurre il ripiano trentennale alla stessa logica contabile del «riaccertamento straordinario» (art. 3, comma 16, del decreto legislativo n. 118/2011), come era invece prima nella precedente formulazione dell'art. 1, comma 714, della legge n. 208/2015. Il ripiano trentennale del decreto ministeriale 2 aprile 2015, a suo tempo, appunto, previsto per il «riaccertamento straordinario» ed il connesso «extra-deficit», e' qui invece applicato per squilibri determinati dal difetto di copertura di spese a fronte di crediti gia' inesigibili secondo la vecchia contabilita', senza che, come accadeva nell'art. 3, comma 16 del decreto legislativo n. 118/2011, cio' sia associato ad altri eventi straordinari ed eccezionali. Nell'attuale formulazione della legge, la sezione regionale, in sede di controllo, puo' solo prendere atto di quanta parte dell'obiettivo di riequilibrio e' scaturito, a suo tempo, dal risultato negativo della gestione residui (cioe' quello determinato dalla «revisione straordinaria» ai sensi dell'art. 243-bis, comma 8, lettera e) TUEL, e correlativamente ritenere conforme a legge il ripiano di «tale quota» con le modalita' previste in origine per il «maggiore disavanzo», ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 2015, scaturito dal c.d. «riaccertamento straordinario» ai sensi dell'art. 3, comma 4, del decreto legislativo n. 118/2011. Al termine di tale operazione, si delineano per l'originario PRFP due diversi orizzonti temporali, quello originario, e quello trentennale (per la quota ascrivibile alla revisione straordinaria ai sensi dell'art. 243-bis, comma 8, lettera e) TUEL che, nella pratica, come nel caso di specie, costituisce la fonte principale di squilibrio nella finanza degli enti locali e l'«oggetto» del PRFP). Infatti, la rimodulazione/riformulazione in tal guisa effettuata determina l'attrazione, fuori dal perimetro del PRFP e dalla sua durata originaria, di una parte del suo obiettivo di riequilibrio, che viene ora ri planato con le stesse modalita' del c.d. extra-deficit (art. 3, comma 16, decreto legislativo n. 118/2011), in un arco temporale di trent'anni, senza che vi sia una esigenza sistemica che giustifichi una riduzione degli oneri dei ripiano. L'effetto finale e' solo la riduzione della quota di disavanzo complessivo a diverso titolo applicabile su ogni annualita' di bilancio, allargando la capacita' di spesa degli enti, senza questa abbia un'idonea copertura. Non e' quindi possibile dare della norma di cui si fa questione un'interpretazione diversa e comunque conforme all'«art. 81 Cost. e con gli altri precetti finanziarl di rango costituzionale» (sentenza. n. 274/2017, paragrafo 4.4) come gia' operato in altri casi da questa sezione (SRC Campania n. 1/2017/PRSP e sul comma 435 della stessa legge, SCR Campania n. 219/2017/PRSP). Gli enti locali, di tal guisa, accedono ad una disciplina di ripiano che vanifica la dimensione temporale del bilancio e la necessita' che entro tale orizzonte questo sia ripristinato in equilibrio. Tale norma deroga altresi' alla disciplina, gia' straordinaria, per il ripiano pluriennale, prevista dal TUEL (art. 243-bis e seguenti; articoli 244 e seguenti) in caso di crisi strutturale della finanza degli enti locali. Di conseguenza, la disciplina dell'art. 1, comma 434 della legge n. 232/2016 consente di rompere gli ordinari argini temporali del bilancio e quelli, gia' ampi, previsti per il suo riequilibrio in caso di crisi strutturale, senza che cio' corrisponda al perseguimento di finalita' costituzionali compatibili col precetto dell'equilibrio. A differenza del caso previsto dall'art. 3, comma 16, del decreto legislativo n. 118/2011, la modalita' di ripiano trentennale non e' infatti collegata al mutamento del paradigma contabile, bensi' a squilibri determinati dall'emersione di crediti considerabili «inesigibili» gia' in base alla vecchia disciplina contabile (disciplinata dal testo previgente del TUEL e dal soft law costituito dai principi elaborati dall'osservatorio ex art. 154 TUEL). Si rammenta che la valutazione di esigibilita' di una posta (rilevante per il FCDE e il riaccertamento ordinario), segnatamente di un credito, attiene non solo alla sussistenza o permanenza del titolo, ma anche alla capacita' del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni, grazie alla liquidita' del proprio patrimonio e la manifestata collaborazione all'adempimento dell'obbligazione. Va dunque distinta la nozione di esigibilita' «sostanziale» da quella «in senso giuridico», assunta a riferimento dai principi contabili applicati per definire la competenza finanziaria potenziata e l'imputabilita' a bilancio. L'esigibilita' giuridica, infatti, attiene ad un elemento accidentale del titolo dell'obbligazione finanziaria sottostante, in particolare, l'assenza di termini o condizioni, sia per lato attivo che passivo (cfr. decreto legislativo n. 118/2011, allegato 4/2, paragrafo 2, ultimo capoverso). Pertanto, secondo il collegio, si palesa una possibile violazione del precetto dell'equilibrio di bilancio, la cui garanzia e' assicurabile solo a mezzo di un'eventuale dichiarazione di illegittimita' costituzionale, ed eccede le potenzialita' dell'esegesi di questa sezione. Nel rinviare, per il dettaglio delle rimesse censure di costituzionalita', a quanto segue - in estrema sintesi si evidenzia che, ad avviso di questa sezione, la citata disposizione normativa viola: in primo luogo, gli articoli 81 e 97, comma 1 Cost., in combinato disposto con gli articoli 2, 3, 1 e 41 Cost. La norma in oggetto consente cioe' che uno squilibrio effettivo ed avente fondamento nella mancanza di risorse (ossia quello derivante dalla revisione straordinaria dell'art. 243-bis, comma 8, lettera e) TUEL), possa essere ripianato in un orizzonte temporale grandemente dilatato rispetto alla disciplina prevista per la crisi - ordinaria e straordinaria - della finanza locale (rispettivamente articoli 162, 188, 193 e 194 per la crisi ordinaria; per la crisi straordinaria cfr, l'art. 243-bis per il c.d. «predissesto» e l'art. 265 TUEL per il caso di dissesto), in deroga alla regola di legge normalmente applicabile, in assenza di qualsivoglia giustificazione costituzionale; in secondo luogo, gli articoli 24 e 117, comma 1 Cost., per violazione del parametro interposto dell'art. 1, protocollo 1, nonche' gli articoli 6 e 13 CEDU. Infatti, tale facolta' di modifica del PREP, inserita peraltro in un quadro di costante instabilita' legislativa della disciplina del ripiano pluriennale, determina una situazione di incertezza del diritto, in grado di compromettere la tutela del patrimonio dei creditori e delle loro ragioni di credito. 3.1. Violazione degli articoli 97 e 81 codificanti la «clausola generale» dell'equilibrio di bilancio, in combinato disposto con gli articoli 2, 3 e 1 Cost. Venendo ora alla trattazione in dettaglio dei ravvisati motivi di contrasto, la sezione ravvisa a carico della surrichiamata disposizione, in primo luogo, la violazione degli articoli 97 e 81 codificanti la «clausola generale» dell'equilibrio di bilancio, in combinato disposto con gli articoli 2, 3 e 1 Cost. Sul punto, va in primo luogo ricordato, in linea generale, che la Corte costituzionale, a seguito della legge costituzionale n. 1 del 2012, ha dato ricorrentemente forza al precetto dell'equilibrio (gia' declinato quale «equilibrio tendenziale»: cfr. ex plurimis sentenza n. 213/2008), arricchendo la sua fattispecie e trasformandolo in una «clausola generale», «in grado di operare pure in assenza di norme interposte» (Corte cost., sentenza n. 192/2012). Costituendo tale precetto una clausola generale (cioe' una norma la cui fattispecie rinvia, tramite concetti indeterminati, a regole anche esterne all'ordinamento giuridico, garantendo porosita' e circolarita' dello stesso con la realta' regolata) e non un semplice principio, invoca di per se' una «disciplina di salvaguardia» (un rimedio), con cio' intendendosi il sistema di prescrizioni in virtu' delle quali la disciplina statale che regola il bilancio di regioni ed enti locali stabilisce le modalita' di recupero effettivo e sostenibile dei suoi squilibri nonche' le prescrizioni in caso di mancato riequilibrio (sentenza n. 228/2017). La disciplina di salvaguardia, infatti, si pone come costituzionalmente necessaria e legittima anche interventi sostitutivi del legislatore regionale (Corte cost., sentenza n. 107/2016). Tale nuova prospettiva ha legittimato discipline di legge ordinaria implementanti tali sistemi nei confronti delle autonomie costituzionali (cfr. Corte cost., sentenze n. 40/2014 e n. 228/2017) ovvero ha esposto a incostituzionalita' leggi statali e regionali che contrastano con il precetto e con le altre finalita' costituzionali cui esso e' strumentale (sentenze n. 181/2015 e n. 247/2017). La Corte costituzionale, infatti, in proposito ha avvertito che «non potrebbe ritenersi consentito un abuso della «tecnicita' contabile» finalizzato a creare indiretti effetti novativi sulla disciplina specificativa dei principi costituzionali di natura finanziaria e di quelli ad essi legati da un rapporto di interdipendenza» (sentenza n. 247/2017, punto 10 in diritto). Invero, «nel sindacato di costituzionalita' copertura finanziaria ed equilibrio integrano una clausola generale in grado di operare pure in assenza di norme interposte quando l'antinomia [con le disposizioni impugnate] coinvolga direttamente il precetto costituzionale: infatti «la forza espansiva dell'art. 81, quarto [oggi terzo] comma, Cost., presidio degli equilibri di finanza pubblica, si sostanzia in una vera e propria clausola generale in grado di colpire tutti gli enunciati normativi causa di effetti perturbanti la sana gestione finanziaria e contabile (sentenza n. 192 del 2012)» (Corte costituzionale, sentenza n. 184/2016). Tanto premesso in punto di natura e struttura della norma, sul piano dei contenuti (fattispecie ed effetti del precetto), il giudice delle leggi ha fornito numerose indicazioni, onde evitare che il legittimo intervento bilanciativo del legislatore ordinario possa, di fatto, svuotare e rendere ineffettivo il precetto costituzionale in parola. Quest'ultimo, per effetto di tali indicazioni, risulta articolarsi su due principali coordinate, l'una quantitativa, afferente la proporzione della spesa con le risorse economiche, finanziarie e patrimoniali disponibili, e l'altra temporale, coincidente con l'orizzonte cronologico del bilancio, entro il quale devono essere corretti gli eventuali squilibri emersi. Tali coordinate (quantitativa e temporale) devono sussistere anche sul piano della disciplina «rimediale» per «salvaguardia» del bilancio e dei suoi equilibri. Piu' specificamente, sul piano quantitativo il precetto dell'equilibrio costituisce lo svolgimento dell'obbligo di copertura finanziaria al tempo gia' previsto dalla vecchia formulazione dell'art. 81 (al comma terzo). Infatti, «copertura economica delle spese ed equilibrio del bilancio sono due facce della stessa medaglia, dal momento che l'equilibrio presuppone che ogni intervento programmato sia sorretto dalla previa individuazione delle pertinenti risorse» (Corte cost., sentenza n. 274/2017, punto 4 in diritto). A differenza dell'obbligo di copertura, pero', nel sistema della legge costituzionale n. 1/2012, l'equilibrio non opera marginalmente, a fronte dell'aumento o diminuzione delle risorse (cioe' sugli incrementi di spesa e sulle riduzioni di entrate), bensi' a livello complessivo, sull'intero bilancio attraverso i saldi tra entrate e spese, tra costi e ricavi. Ed in particolare, esso opera sul principale saldo della contabilita' finanziaria, ovvero sul risultato di amministrazione. In ragione di cio', l'equilibrio prescrive che le risorse economiche, finanziare e patrimoniali siano sufficienti e proporzionate in modo da potere sostenere integralmente le spese e i costi di gestione. Sul piano temporale, la Corte costituzionale ha qualificato il precetto de quo in termini dinamici o tendenziali, ossia come «ricerca di un armonico e simmetrico bilanciamento tra risorse disponibili e spese necessarie per il perseguimento delle finalita' pubbliche» (sentenza n. 250/2013), tale da imporre «all'amministrazione un impegno non circoscritto al solo momento dell'approvazione del bilancio, ma esteso o tutte le situazioni in cui tale equilibrio venga a mancare per eventi sopravvenuti o per difetto genetico conseguente all'impostazione della stessa legge di bilancio» (ibidem). L'orizzonte temporale della salvaguardia e' naturalmente quello del medesimo bilancio, in corso o immediatamente successivo; conseguentemente, nella disciplina vigente degli enti territoriali, l'orizzonte e' quello triennale (articoli 162, 188, 193 e 194 TUEL). La Corte costituzionale ha infatti ricordato che per porre rimedio a situazioni di conflitto tra gestione ed equilibrio di bilancio, lo strumento e' quello «dell'adozione di appropriate variazioni del bilancio di previsione» (sentenza n. 250/2013) ovvero del recupero dello squilibrio (il quale deve essere certificato in sede consuntiva tramite il risultato di amministrazione) attraverso i bilanci di previsione immediatamente successivi; cio' in considerazione del principio della continuita' di bilancio e degli esercizi finanziari (sentenza n. 274/2017). Il principio della continuita', infatti, e' «essenziale per garantire nel tempo l'equilibrio economico, finanziario e patrimoniale» (cfr. sul punto Corte costituzionale, sentenza n. 155/2015). Quanto sin qui rilevato risponde ad una precisa logica di sistema in cui il bilancio si configura come un bene giuridico «pubblico» (Corte cost., sentenze n. 184/2016, n. 228/2017 e n. 247/2017), costituzionalmente tutelato (articoli 81 e 97 Cost.), di cui occorre preservare effettivita' e funzionalita' tramite il suo equilibrio. Il precetto dell'equilibrio, infatti, presidia fondamentali valori costituzionali, espressi dagli articoli 3, 2 e 1 Cost., che del medesimo precetto costituiscono la ratio. Se da un lato, rispettare l'equilibrio di bilancio significa supportare con risorse effettive le politiche pubbliche democraticamente determinate, parallelamente, questo significa realizzare le condizioni affinche' la Repubblica possa rimuovere «gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana», realizzando l'uguaglianza sostanziale dei cittadini (art. 3, comma 2, Cost.: cfr. sentenze Corte cost. n. 10/2016 e n. 70/2015). Tale uguaglianza, tra l'altro, proprio grazie allo strutturale carattere temporale del bilancio, deve realizzarsi anche in chiave trans-generazionale. Poiche' l'equilibrio «economico, finanziario e patrimoniale» deve essere realizzato «nel tempo» - attesa la gia' richiamata continuita' degli esercizi finanziari e del bilancio (cfr. Corte cost., sentenza n. 155/2015 cit.) - esso costituisce un dovere di «solidarieta' politica, economica e sociale» delle generazioni presenti con quelle future (art. 2 Cost.). Inoltre, il precetto di equilibrio, riguardato sotto il profilo della «salvaguardia di bilancio», costituisce uno strumento di verifica e misurazione della responsabilita' dei soggetti investiti di cariche pubbliche: la violazione dell'equilibrio, infatti, attiva un sistema di responsabilita' giuridiche e politiche, attraverso cui il principio della legittimazione democratica delle istituzioni si rende effettivo (art. 1 Cost.). Come evidenziato dal giudice delle leggi nella sentenza n. 228/2017, gia' precedentemente citata, la disciplina di salvaguardia si pone come «strumentale all'effettivita' di adempimenti primari del mandato elettorale [e] indissolubilmente legat[a] alla cura dei sottesi interessi finanziari. [Tale disciplina] si ricollega [...] a un'esigenza sistemica unitaria dell'ordinamento, secondo cui sia la mancata approvazione dei bilanci, sia l'incuria del loro squilibrio strutturale interrompono - in virtu' di una presunzione assoluta - il legame fiduciario che caratterizza il mandato elettorale e la rappresentanza democratica degli eletti». Per tale intrinseca razionalita', la disciplina della contabilita' pubblica, laddove richieda anche complessi elaborati e allegati, deve trovare nel risultato di amministrazione un veicolo trasparente e univoco di rappresentazione degli equilibri nel tempo (Corte cost., sentenza n. 274/2017, punto 4 in diritto). 3.1.1. La strumentalita' dell'equilibrio ad altri precetti e valori costituzionali, da un lato, riempie di contenuto assiologico il principio del «buon andamento» (art. 97, comma 1 Cost.), dall'altro gli conferisce una flessibilita' applicativa che non consente di assimilare equilibrio e pareggio aritmetico. Occorre infatti assicurare, in ogni caso, effettivita' ed efficacia dell'azione amministrativa, nella considerazione che gli enti pubblici e la continuita' di servizi e funzioni sono necessari e non e' possibile l'espulsione dal sistema dagli stessi alla stregua delle imprese dal mercato. Cosicche' l'equilibrio di bilancio, famulativo e allo stesso tempo qualificativo del buon andamento, costituisce lo strumento per assicurare: la continuita' dell'amministrazione e della Repubblica (cfr. Corte cost., sentenze n. 49/1976 e n. 104/2017 per la continuita' degli uffici, nonche' sentenze n. 188/2015, n. 10/2016 e n. 107/2016 per la continuita' dei servizi essenziali); l'efficacia delle politiche pubbliche, anche con riguardo a specifiche finalita' di legge (sentenza n. 70/2012); l'effettivita' dei LEP. Esso e' essenziale per l'uguaglianza dei cittadini nel godimento dei livelli essenziali delle prestazioni (art. 3, comma 2 Cost.). La Repubblica, infatti, nelle sue varie articolazioni (art. 114 Cost.) non puo' sottrarsi per ragioni finanziarie all'erogazione di prestazioni che sono costituzionalmente necessarie (le funzioni fondamentali dell'ordinamento, tra cui quelle di sicurezza e governo del territorio, e i «livelli essenziali delle prestazioni» concernenti i diritti civili e sociali ai sensi degli articoli 117, secondo comma, lettera m) e 120, secondo comma Cost.). E', infatti, «la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione» (Corte costituzionale, sentenza n. 275/2016). In virtu' della sopra evidenziata ratio, infatti, in caso di crisi della finanza territoriale, ove «i disavanzi emersi non possano essere riassorbiti in un solo ciclo di bilancio», la Corte costituzionale ha ritenuto «inevitabili», «misure di piu' ampio respiro temporale. Cio' anche al fine di assicurare lo svolgimento delle funzioni della regione in ossequio al "principio di continuita' dei servizi di rilevanza sociale [affidati all'ente territoriale, che deve essere] salvaguardato" (sentenza n. 10 del 2016)» (sentenza n. 107/2016). A questa logica rispondono le norme del Piano di riequilibrio pluriennale (articoli 243-bis e seguenti) e del dissesto (articoli 244 e seguenti TUEL) che, in caso di crisi «strutturale» della finanza dell'ente locale, gia' definiscono piu' ampi orizzonti per il rientro da situazioni di squilibrio. Per altro verso, non si nega che il «buon andamento» possa giustificare la disciplina del ripiano trentennale prevista dal decreto legislativo, n. 118/2011, in connessione al passaggio alla nuova disciplina contabile e al c.d. «riaccertamento straordinario» («disavanzo tecnico» ai sensi dell'art. 3, comma 13 del decreto legislativo n. 118/2011 «maggiore disavanzo», ai sensi dell'art. 3, comma 16, del decreto legislativo n. 118/2011): cfr. Corte cost. sentenza n. 107/2016. Infatti, il principio di prudenza di cui il Fondo crediti di dubbia esigibilita' (FCDE) ed il Fondo rischi (FR) sono espressione potrebbe portare a svalutare alla stregua di crediti di dubbia esigibilita' (FCDE) crediti che in concreto, invece, sono dotati di un «nomen bonum» (si pensi a crediti per cui sono stati effettuati regolari atti interruttivi concernenti aziende debitrici in bonis e con cui e' stato raggiunto un accordo transattivo regolarmente evaso alle scadenze stabilite o ad un consistente credito tributario verso una multinazionale altamente solvibile che si e' insediata improvvisamente in un territorio storicamente depresso e con una bassa riscossione volontaria e coattiva) oppure a considerare come attuali, sia pure in percentuale, passivita' che invece hanno caratteristiche solo potenziali e pertanto potrebbero non realizzarsi (FR). Nella stessa ottica, deve essere assicurato lo svolgimento effettivo di funzioni attribuite (Corte cost., sentenze n. 115/2015, n. 10/2016, nonche' n. 280/2016), pertanto la politica dei trasferimenti o dei tagli deve rispondere a proporzionalita' e ragionevolezza, onde evitare che gli enti siano costretti a continuare ad erogare servizi e a svolgere funzioni in assenza di risorse. In definitiva, in virtu' del combinato disposto di parametri costituzionali degli articoli 97, 81, 3, 2, 1, ogni politica non puo' che essere «bilanciata» secondo un principio di diretta proporzione con le risorse disponibili, perche' solo in questo modo e' possibile l'effettivita' delle scelte allocative, tanto per quelle discrezionali, che per quelle obbligatorie concernenti diritti incomprimibili (Corte cost., sentenza n. 275/2016) e le funzioni effettivamente esercitate ed attribuite (Corte cost., sentenze n. 115/2015, n. 10/2016, nonche' n. 280/2016). Per converso, ogni scelta allocativa, ove risultasse non sorretta da una risorsa, finanziaria, economica, patrimoniale, a monte, in grado di renderla effettiva e reale, impone misure di salvaguardia che devono realizzarsi entro l'orizzonte temporale del bilancio medesimo, orizzonte che il legislatore puo' estendere, secondo ragionevolezza, effettuando un bilanciamento con la sopra evidenziata ratio del precetto dell'equilibrio e con i principi costituzionali cui questo e' strumentale. 3.1.2. Ed infatti il giudice delle leggi ha evidenziato la problematicita' di soluzioni normative continuamente mutevoli che prescrivono il riassorbimento dei disavanzi in archi temporali molto vasti, oltre l'orizzonte del bilancio (cfr. sentenze n. 279/2016, n. 6/2017 e n. 107/2016 e da ultimo la sentenza n. 274/2017), sebbene non abbia escluso la possibilita' di un «eccezionale misura legislativa [per far fronte al]l'esigenza dello Stato di fronteggiare un problema non circoscritto [al singolo ente]. L'indirizzo della subentrata legislazione [...] prende in sostanza le mosse dal presupposto che in una fase di complesse operazioni di riaccertamento dei residui finalizzate a far emergere la reale situazione finanziaria [degli enti], i disavanzi emersi non possano essere riassorbiti in un solo ciclo di bilancio ma richiedano inevitabilmente misure di piu' ampio respiro temporale» (sentenza n. 107/2016). Pertanto, al di fuori di un contesto giustificativo compatibile con i precetti costituzionali sopra richiamati, la copertura di disavanzi con regole straordinarie quanto ai tempi di rientro «diventerebbe un veicolo per un indebito allargamento - in contrasto con l'art. 81 Cost. - della spesa di enti gia' gravati dal ripiano pluriennale di disavanzi di amministrazione pregressi (in tal senso, sentenza n. 279/2016). In quanto eccezione al principio generale dell'equilibrio del bilancio»; infatti, la disciplina straordinaria per il ripiano di tali disavanzi «e' comunque di stretta interpretazione e deve essere circoscritta alla sola irripetibile ipotesi normativa del riaccertamento straordinario dei residui nell'ambito della prima applicazione del principio della competenza finanziaria potenziata, in ragione delle particolari contingenze che hanno caratterizzato la situazione di alcuni enti territoriali» (sentenza n. 6/2017). La costituzionalita' di siffatte norme eccezionali, dunque, dipende dalla ragionevolezza del bilanciamento tra l'esigenza di assicurare il riequilibrio entro l'orizzonte temporale del bilancio e la ratio del precetto dell'equilibrio medesimo, in connessione con i precetti costituzionali cui e' strumentale. Tale ragionevolezza non sussiste, ad avviso della sezione, con riguardo al ripiano trentennale previsto per la rimodulazione/riformulazione di cui all'art. 1, comma 434, della legge n. 232/2016 (novellante l'art. 1, comma 714 della legge n. 208/2015). Cio' in quanto l'attuale formulazione dell'art. 1 del comma 714 della legge n. 208/2015 (legge di stabilita' 2016), come novellato dall'art. 1, comma 434, della legge n. 232 del 2016, per un verso, ha lasciato immutato il presupposto (ovvero, l'adozione e approvazione del PRFP in data anteriore al riaccertamento straordinario); per altro verso ha individuato la quota ripianabile con quella derivante dallo stralcio dei residui ineffettivi (revisione al sensi dell'art. 243-bis, comma 8, lettera e) TUEL) in data anteriore allo stesso, senza alcuna connessione con la logica sottostante al riaccertamento straordinario. Segnatamente, oggetto del ripiano trentennale dell'art. 1, comma 434, della legge n. 232 del 2016: a) non e' piu' il «maggiore disavanzo» prodotto dal passaggio alla nuova contabilita' armonizzata, a fronte di istituti innovativi quale la competenza finanziaria rinforzata, il FCDE o il FR (art. 3, comma 16 del decreto legislativo n. 118/2011 e correlato decreto ministeriale 2 aprile 2015). Si rammenta, che proprio nell'ottica di evitare abusi del riaccertamento straordinario, la giurisprudenza contabile ha dato dell'art. 3, comma 16 del decreto legislativo n. 118/2011, nonche' del connesso decreto ministeriale 2 aprile 2015, una interpretazione costituzionalmente conforme, sancendo la non assorbibilita' nel ripiano trentennale di disavanzi anteriori e non aventi causa nel mutamento del paradigma contabile (cfr. SRC Campania n. 196/2015/PRSP, n. 250/2015/PRSP, n. 228/2015/PRSP, n. 217/2015/PRSP, n. 196/2015/PRSP, n. 162/2015/PRSP; SRC Marche n. 100/2016/PRSP; sezione autonomie n. 31/2016/FRG). Si pone in rilevo come di tale interpretazione il legislatore prenda indirettamente atto con un recente intervento legislativo (art. 1, comma 848, della legge n. 205/2017). Per altro verso, il ripiano trentennale si giustifica costituzionalmente proprio (e solo) in ragione del mutamento del paradigma contabile avvenuto con il decreto legislativo n. 118/2011: la crescita esponenziale dei disavanzi, collegati a tale piu' trasparente e prudenziale contabilita', ha condotto infatti il legislatore ad ammettere un eccezionale sistema di ripiano su un largo lasso temporale (trenta anni, art. 3, comma 16, del decreto legislativo n. 118/2011), per evitare che il nuovo standard di prudenza, corollario del principio dell'equilibrio di bilancio, sia, da un lato eccessivamente rigoroso rispetto allo scopo costituzionale del legislatore (art. 81 Cost.), per altro verso, sia di ostacolo all'erogazione di prestazioni costituzionalmente necessarie (art. 117, comma secondo, lettera m) a causa del repentino mutamento di standard contabile; b) non e' nemmeno la parte dell'obiettivo di riequilibrio quantificato con l'originario PRFP, il quale e' stato assorbito negli stessi nuovi istituti contabili dell'armonizzazione sopra citati (FCDE e/o FR) come era nella logica dell'art. 1, comma 714, della legge n. 208/2015, nella sua originaria formulazione. Con tale norma, come e' stato evidenziato (SRC Campania n. 240/2017/PRSP), il legislatore aveva inteso superare una discriminazione occorsa tra gli enti che avevano adottato il piano di riequilibrio prima e quelli che avevano effettuato tale scelta dopo il riaccertamento straordinario, sotto l'egida del decreto legislativo n. 126/2014 (decreto che ha introdotto il ripiano trentennale del «maggiore disavanzo» di cui sopra, disavanzo generato con il riaccertamento straordinario di cui di cui all'art. 3, comma 16 del decreto legislativo n. 118/2011). La precedente formulazione dell'art. 1, comma 714 della legge n. 208/2015, quindi, consentiva agli enti locali che non si erano avvantaggiati del ripiano trentennale prima di quantificare l'obiettivo di ripiano del PRFP, di ridurre gli obbiettivi intermedi e finali di quest'ultimo nella misura in cui fosse dimostrabile che una parte delle passivita' che ne erano state fatte oggetto fossero state «assorbite» dentro i nuovi istituti prudenziali generanti il c.d. «maggiore disavanzo» (art. 3, comma 16, decreto legislativo n. 118/2011 e art. 1 del decreto ministeriale 2 aprile 2015). La riduzione doveva essere dunque contabilmente giustificata ed essere sottoposta al vaglio in sede di controllo da parte della Corte dei conti (art. 243-quater, comma 7 TUEL); c) nella vigente formulazione dell'art. 1, comma 714, della legge n. 208/2015 (oggetto del ripiano) e' invece la quota di disavanzo che deriva dall'accertata inesigibilita' di residui attivi emersa in sede di revisione straordinaria ai sensi dell'art. 243-bis, comma 8, lettera e) TUEL. Si tratta cioe' di squilibri e disavanzi gia' tali secondo la vecchia disciplina contabile. L'art. 1, comma 434 della legge n. 232/2016, dunque, sebbene preveda che la prefata «revisione straordinaria» debba risalire a data anteriore al «riaccertamento straordinario» (art. 3, comma 16, del decreto legislativo n. 118/2011) e che le modalita' di ripiano siano proprio quelle previste per quest'ultimo (decreto ministeriale 2 aprile 2015), spezza il rapporto causale tra ripiano trentennale e mutamento del paradigma contabile (che invece era ancora presente nella precedente versione dell'art. 1, comma 714, legge n. 208/2015). Pertanto, con la nuova formulazione, il riaccertamento straordinario non e' piu' causa, ma solo «occasione» del ripiano trentennale; infatti, la Corte dei conti non deve piu' verificare che tutto o parte del «maggiore disavanzo» ai sensi dell'art. 3, comma 16 del decreto legislativo n. 118/2011, sia generato dagli stessi fenomeni di squilibrio gia' fatti oggetto dei PRFP, ma deve prendere atto della semplice ascrivibilita' del disavanzo rimodulato alla revisione straordinaria effettuata ai sensi dell'art. 243-bis, comma 8, lettera e), che, come si e' visto, attiene a squilibri gia' sussistenti secondo il precedente paradigma contabile. Non si puo' infatti sostenere che tutti i crediti in questione sono stati comunque iscritti nel Fondo crediti di dubbia esigibilita' (FCDE), proprio perche' stralciati prima del riaccertamento straordinario. Ne', tantomeno, si puo' presumere, virtualmente, che se le valutazioni sui residui, effettuate con la revisione di cui all'art. 243-bis, comma 8, lettera e) TUEL, fossero state fatte nell'ambito del riaccertamento straordinario, questo avrebbe portato alla formazione di un corrispondente FCDE (generante un disavanzo ripianabile in trent'anni). Infatti, questo presupporrebbe che il legislatore avesse lasciato intatto il potere della sezione di controllo di verificare in concreto la causa dello stralcio (credito ormai inesigibile o solo di dubbia esigibilita', per i quali la nuova contabilita' prevede solo un accantonamento a FCDE e non lo stralcio). Invece, la legge, con una sorta di presunzione assoluta, fornisce un mero criterio quantitativo per l'accesso al ripiano trentennale a suo tempo prevista dall'art. 3, comma 16, del decreto legislativo n. 118/2011, lo si sottolinea ancora una volta, in relazione alla novita' straordinaria degli istituti prudenziali del FCDE e FR. Il ripiano viene qui invece associato all'integralita' degli stralci effettuati con la revisione ex art. 243-bis, comma 8, lettera e) TUEL, quindi anche per crediti ineffettivi ed inesigibili, ossia privi del titolo per il mantenimento in bilancio sia nella nuova che nella vecchia contabilita'. La formulazione letterale della legge non lascia spazio al sindacato al giudice del bilancio, che avrebbe potuto effettuare tale discernimento a tutela degli equilibri di bilancio. L'evidenziata frattura della relazione diretta causale tra presupposto (riaccertamento straordinario e nuova definizione degli equilibri in base ad un nuovo paradigma contabile) e accesso al ripiano trentennale, rende pertanto la norma in parola costituzionalmente irragionevole alla stregua dei parametri evocati. Il riaccertamento straordinario, per gli enti che fanno ricorso alla rimodulazione/riformulazione in parola, diventa, dunque, solo un mezzo per ampliare la capacita' di spesa, la cui espansione non puo' essere ammessa in condizioni di disavanzo. Cio' pur trattandosi di enti in condizione di conclamato squilibrio strutturale, a prescindere da ogni valutazione sulla necessita' di tale dilatazione per garantire la continuita' amministrativa dell'ente, come invece avviene nella piu' recente formulazione dell'art. 243-bis, comma 5 TUEL, novellato dall'art. 1, comma 888, legge n. 205 del 2017 (legge di bilancio 2018, dove la durata del PRFP, oggi espandibile fino a venti anni, e' agganciata ad un criterio oggettivo di sostenibilita' dato dal rapporto tra passivita' ed impegni). Una dilatazione non giustificata dell'orizzonte temporale del ripiano rende l'equilibrio di bilancio e il precetto dell'equilibrio un mero flatus vocis, volto a porre rimedio a forme episodiche di disavanzo, connesse ad inefficienze di gestioni concrete (Corte cost., sentenza n. 6/2017), e non, invece, ad esigenze del sistema della finanza pubblica allargata. In proposito si rammenta che la Corte costituzionale (sentenza n. 107/2016), ha affermato che l'ampliamento dell'orizzonte temporale per il ripiano puo' ammettersi In ragione di eventi contabili che facciano emergere un disavanzo che puo' essere ritenuto «straordinario» nelle sue cause e nelle sue dimensioni e che deve, quindi, essere fronteggiato normativamente in modo da consentire agli enti di recuperare le coperture in un arco di tempo che sia ragionevole e compatibile con la capacita' di reperire le risorse mancanti e necessarie ad erogare le su richiamate prestazioni costituzionalmente imprescindibili. Per contro, la facolta' dell'art. 1, comma 434, legge n. 232/2016 non appare rispondere a nessuna esigenza sistemica della finanza pubblica, quanto piuttosto a quelle contingenti di taluni enti di accedere ad un minore rigore finanziario. Ne' si puo' ritenere che tale ampliamento sia giustificato o giustificabile per l'esigenza di evitare il dissesto, che non e' una misura penalizzante per l'ente, ma solo una diversa procedura di riequilibrio. Il dissesto, infatti, ha, nel sistema vigente, una funzione sua propria ed essenziale, non realizzabile col PRFP. In caso di sua attivazione il riequilibrio interviene in un tempo piu' breve (cinque anni, ai sensi dell'art. 265, comma 1 TUEL), mentre si provvede al ripiano tramite una gestione separata, facendo leva, da un lato, sulla riduzione concorsuale e consensuale delle passivita' nei confronti dei creditori (articoli 256-258 TUEL) e, dall'altro, sulla valorizzazione della massa attiva (art. 255 TUEL). Dunque, esso costituisce uno strumento di cui il legislatore prevede la necessaria attivazione quando le vicende del singolo ente (l'accertata incapacita' di adottare tempestivamente un PRFP congruo) e la gravita' dello squilibrio rendono necessario addivenire al risanamento sacrificando - parzialmente - il principio di universalita' di bilancio. Solo in questo l'ordinamento «preferisce» la procedura di «predissesto», ai sensi degli articoli 243-bis TUEL e seguenti, al dissesto ai sensi degli articoli 244 e seguenti TUEL, in quanto la procedura pluriennale consente il riequilibrio «consolidato» delle finanze dell'ente, senza il rischio di occultamento di scompensi in gestioni separate di bilancio. In definitiva, la disciplina introdotta dall'art. 1, comma 434, della legge n. 232 del 2016 non ha altra finalita' e giustificazione se non quella di consentire di spalmare disavanzi effettivi, gia' presenti in epoca precedente al riaccertamento straordinario e al di fuori di una disamina delle ragioni della eliminazione delle partite dei vari residui, in un orizzonte temporale di trenta anni. Ad avviso della sezione cio' risulta incompatibile con una gestione di bilancio equilibrata, in quanto ha l'esclusivo scopo di spostare su generazioni successive il peso finanziario di una gestione priva di coperture, in danno del principio di cui agli articoli 97, 81, 3 e 2 Cost., sottraendo gli amministratori al vaglio della loro responsabilita' politica e amministrativa (art. 1 Cost.). 3.2. Violazione del precetto dell'equilibrio ai sensi del combinato disposto degli articoli 97, 81 e 41 Cost. La sezione ravvisa altresi', a carico della surrichiamata disposizione (art. 1, comma 434, legge n. 232/2016), la violazione del precetto dell'equilibrio ai sensi del combinato disposto degli articoli 97, 81, 41 Cost. Si rammenta, infatti, che il carattere «pubblico» del bene giuridico bilancio fa si' che, rispetto allo stesso, si dipanino una serie di interessi finanziari adespoti, costituzionalmente rilevanti, anche diversi da quelli degli utenti. Esso coinvolge l'interesse di tutti coloro che, a vario titolo, entrano in potenziale contatto col bilancio, in particolare coloro i quali che con la pubblica amministrazione hanno relazioni di mercato. Invero, l'eccessivo protrarsi dei tempi di perfezionamento e di definitivo assetto del piano di riequilibrio, favorito da continui interventi normativi di dubbia razionalita' e coerenza, possono innescare ulteriori ritardi nei pagamenti e la crisi delle imprese che hanno fornito alla pubblica amministrazione beni e servizi. A tal proposito, anche il prevedere come condizione per l'esercizio della facolta' di rimodulazione/riformulazione il rispetto dei «tempi medi di pagamento» previsti per legge, non esclude che per effetto della rimodulazione stessa si pongano le condizioni per un loro deterioramento. Infatti, l'allargamento della capacita' di spesa che si determina per l'accesso ad una modalita' di ripiano addirittura trentennale di un disavanzo effettivo, da un lato, consente di aggirare l'obbligo di copertura di debiti gia' esigibili, per altro verso, getta le premesse di una inevitabile crisi di cassa che nel tempo e' destinata a scaricarsi, in termini di costi, sulla collettivita' degli utenti dei servizi e sulle imprese. Per tal motivo occorre che la disciplina della crisi sia effettivamente in grado di consentire il recupero del debito accumulato, sebbene in un lasso temporale piu' ampio di quello ordinario triennale; il legislatore, per contro, non puo' trasformare la stessa in un'occasione per consentire l'allargamento, medio tempore, della capacita' di spesa, quando cio' non sia necessario per garantire l'effettuazione di quella costituzionalmente necessaria. In tal guisa, infatti, si pregiudica o si deteriora la capacita' dell'ente di rispondere alle ragioni dei creditori, che dallo squilibrio strutturale dell'ente sono direttamente danneggiati. 3.3. Violazione dell'art. 24 e dell'art. 117, comma 1 Cost. La sezione rileva, infine, la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' dell'art. 1, comma 434, della legge n. 232/2016 rispetto all'art. 24 e all'art. 117, comma 1 Cost. Segnatamente, la disposizione di legge oggetto della rimessione, inserendosi in una produzione legislativa di continua concessione di facolta' di rimodulazione/riformulazione (art. 1, comma 15, del decreto-legge n. 35/2013 convertito nella legge n. 64/2013; art. 1, commi 714 e 715 della legge n. 208/2015; art. 1, commi 434 e 435 della legge n. 232/2016; da ultimo, l'art. 1, commi 848, 849, 888 e 889 della legge n. 205/2017), ad avviso della sezione viola l'art. 24 Cost. nonche' l'art. 117, comma 1 Cost. (in relazione al parametro interposto costituito dall'art. 1 del Protocollo 1 sul diritto di proprieta' della CEDU e dagli articoli 6 e 13 della stessa Carta internazionale). La violazione dei citati parametri interposti si ravvisa in base alle seguenti due considerazioni. Da un lato, le continue modifiche ai PRFP (rimodulazioni e/o formulazioni), non soltanto innescano notevoli ritardi nella loro valutazione in termini di sostenibilita' e congruita', ma possono altresi' condurre a sospensioni delle azioni esecutive dei creditori, per decisione giudiziale (art. 295 c.p.c.) o per espressa previsione di legge (cfr. l'art. 1, comma 714-bis della legge n. 208/2015) ovvero per la situazione di incertezza che deriva della pendenza di una questione pregiudiziale contabile circa il titolo legale della rimodulazione/riformulazione, come e' avvenuto con la legge n. 208/2015, che all'art. 1, commi 714 e del comma 714-bis, prevede due distinte facolta' di rimodulazione/riformulazione, prevedendo espressamente l'ennesima sospensione delle azioni esecutive per quelle ex comma 714-bis. Infatti, la normativa caotica e di non sempre chiara lettura, in relazione alla quale non e' spesso facile determinare quale sia il titolo legislativo della rimodulazione/riformulazione (cfr. SRC Campania n. 240/2017/PRSP), determina in sede di ottemperanza presso il giudice amministrativo le condizioni per un'eventuale accoglimento della istanza ai sensi dell'art. 295 c.p.c., secondo cui «Il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa», attesa l'assorbente giurisdizione della Corte dei conti in materia di piani di riequilibrio e di bilancio. Per altro verso, il costante ius superveniens determina incertezza sulla misura del disavanzo annuale del ripiano (l'obbiettivo intermedio) e sulla disciplina giuridica applicabile (sussistenza delle condizioni di legge per l'accertamento di un «grave e reiterato inadempimento», con il conseguente avvio irrevocabile del «dissesto guidato», cfr. SRC Campania n. 8/2018/QMIG, ovvero permanenza del regime di riequilibrio ai sensi degli articoli 243-bis e seguenti TUEL, per effetto del legittimo accesso a rimodulazioni/riformulazioni che costringono ad una nuova valutazione integrale del piano e/o del percorso della sua attuazione). Questa incertezza e' esiziale nei casi limite di evidente difficolta' a risanare i conti dell'ente locale e puo', specie in tali casi, costituire una violazione dei principi generali della certezza del diritto, del legittimo affidamento e della giustizia effettiva (per i creditori) con conseguente prevaricazione di diritti fondamentali in nome di asserite esigenze di bilancio, non in via transitoria, ma costanti e prevalenti, che scaricano sulle future generazioni responsabilita' civili gia' emerse. Di conseguenza, la soddisfazione delle pretese di tali terzi viene esposta ad un sacrificio temporalmente indeterminato, a causa del continuo dubbio e dell'incertezza sul regime di riequilibrio applicabile (dissesto o piano di riequilibrio rimodulato) e dall'allungamento dei tempi di valutazione amministrativa (Ministero dell'interno) e giudiziaria (Corte dei conti) della fattispecie concreta. Tale situazione e' certamente aggravata dal «diritto vivente» che interpreta il frequente ius superveniens (ed in particolare quello oggetto della rimessione) nel senso di privare di stabilita' le decisioni delle sezioni regionali di controllo rimuovendo gli effetti ad esse ricollegati (sezioni riunite in speciale composizione, sentenze n. 3 e n. 17 del 2017 e similiter, su norma analoga, sentenza n. 6 del 2018). Segnatamente si ammette che tale legge consenta la rimodulazione/riformulazione anche nel caso in cui la sezione regionale di controllo abbia emesso una pronuncia negativa ai sensi dell'art. 243-quater, comma 7 TUEL, con l'avvio automatico, non piu' sospendibile, del dissesto guidato (cfr. SRC Campania n. 8/2018/QMIG). Cio' determina una continua ed assoluta incertezza sul regime di riequilibrio applicabile, ledendo il diritto dell'ente locale e della «comunita' amministrata» ad un ricorso «effettivo» dinanzi ad un «giudice imparziale» che definisca e accerti la sussistenza o meno delle condizioni di riequilibrabilita' effettiva del «bene pubblico» bilancio, ampliando i tempi di tale valutazione e, per intanto, la facolta' di spesa autorizzabile. La stessa violazione di diritti fondamentali della persona, tra l'altro, si configura per analoghe disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CFDUE), segnatamente l'art. 47, che sancisce il «Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale». Trattandosi di norma senza effetto diretto, in relazione a «principi e i diritti enunciati [che] intersecano in larga misura i principi e i diritti garantiti dalla Costituzione italiana [...], le violazioni dei diritti della persona postulano la necessita' di un intervento erga omnes [della Corte costituzionale], anche in virtu' del principio che situa il sindacato accentrato di costituzionalita' delle leggi a fondamento dell'architettura costituzionale (art. 134 Cost)» (Corte costituzionale n. 269/2017). In modo siffatto, dunque, il legislatore priva continuamente di stabilita' la legge (che disciplina il riequilibrio) nonche' il dictum di controllo e i correlati effetti, impedendo che si costituisca il presupposto per la soddisfazione effettiva delle ragioni di terzi (in particolare dei creditori), vale a dire un bilancio riequilibrato. Ne deriva che un simile intervento normativo allunga in modo indeterminato i tempi di valutazione della congruita' del riequilibrio e della sua attuazione. In proposito la Corte EDU ha gia' posto in rilievo che come l'indeterminatezza dei tempi di conclusione delle procedure di risanamento finanziario violi l'art. 1 del Protocollo 1 (Diritto al rispetto della proprieta'), e l'art. 6, paragrafo 1 (Diritto ad un giusto processo), e l'art. 13 (Diritto ad un ricorso effettivo) della Convenzione europea del diritti dell'uomo (cfr. De Luca e/Italia, ricorso n. 43870/04 e Pennino e/Italia, ricorso n. 43892/04). Anche la Corte costituzionale, in proposito, «ha piu' volte affermato che un intervento legislativo - che di fatto svuoti di contenuto i titoli esecutivi giudiziali conseguiti nei confronti di un soggetto debitore - puo' ritenersi giustificato da particolari esigenze transitorie qualora, per un verso, siffatto svuotamento sia limitato ad un ristretto periodo temporale (sentenze n. 155 del 2004 e n. 310 del 2003) e, per altro verso [...] siano controbilanciate da disposizioni di carattere sostanziale che, a loro volta, garantiscano, anche per altra via che non sia quella della esecuzione giudiziale, la sostanziale realizzazione dei diritti oggetto delle procedure estinte (sentenze n. 277 del 2012 e n. 364 dei 2007)» (sentenza n. 186/2013). Sempre nello stesso senso, si rammenta che persino la disciplina del dissesto e' stata ritenuta non in contrasto con la Costituzione (ed in particolare con gli articoli 2, 3, 23, 24, 41 e 53 della Costituzione) solo e nella misura in cui non pregiudica le ragioni dei creditori che hanno intrapreso una relazione economica con l'ente dissestato (sentenza n. 269/1998).