CORTE DI APPELLO DI TRIESTE La Corte di appello di Trieste, Collegio lavoro, costituita come segue: dott. Mario Pellegrini, presidente; dott. Lucio Benvegnu', consigliere; avv. Andrea Doardo, giudice ausiliario, ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento in grado di appello iscritto al n. 160/2017 R.G. promosso con ricorso depositato il 14 luglio 2017 da Giovanni Bellarosa, Enzo Bevilacqua, Roberto Della Torre, Maria Ramponi, Giorgio Tessarolo e Vittorio Zollia tutti con gli avvocati Enzo Bevilacqua ed Alessandro Tudor contro Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in persona del presidente in carico con l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste. Con sei separati ricorsi depositati fra il 16 settembre 2015 ed il giorno 11 marzo 2016 Giovanni Bellarosa, Enzo Bevilacqua, Roberto Della Torre, Maria Ramponi, Giorgio Tessarolo e Vittorio Zollia si rivolgevano al Tribunale di Trieste, giudice del lavoro, esponendo di essere stati dagli anni settanta del 1900 dei dipendenti come dirigenti e direttori dell'amministrazione regionale cessati dal servizio fra il 2005 ed il 2010 e con diritto all'indennita' terminativa o di buonuscita; notavano pero' i ricorrenti che ottenuta detta prestazione avevano appurato che essa non aveva considerato tutti gli anni di servizio utili arrestandosi al novembre 2002 e che la stessa era stata liquidata con riguardo alle retribuzioni in essere in tale momento benche' il loro rapporto fosse continuato per anni in base a contratto individuale con incarico dirigenziale. Delineavano i ricorrenti le ragioni della loro pretesa e definivano il complesso quadro normativo di riferimento per concludere come riferito in atti. Si costituiva in giudizio l'ente locale Regione suddetto per resistere alle pretese degli attori e chiederne la reiezione. Disposta l'unione dei sei distinti procedimenti, la causa risultava non necessitare di istruttoria e veniva indi discussa e definita in I grado con la sentenza n. 47/2017 dd. 26 gennaio 2017 con cui il Tribunale di Trieste respingeva siccome infondate le domande degli interessati, a spese compensate. Seguiva atto di appello, tempestivo e rituale, proposto dai sei attori e sorretto da otto motivi, l'ultimo dei quali riferito alla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, commi 28, 29 e 30 della legge regionale n. 33/2015 intervenuta sul tema del contendere in riferimento agli articoli 3, 97, 111, e 117 della Costituzione nonche' all'art. 6 CEDU e gia' posta in I grado, nel quale si rassegnavano poi delle conclusioni volte a riconsiderare la materia ed a accogliere le domande dei ricorrenti. Anche in questa sede la Regione si costituiva e dopo avere replicato ai motivi di doglianza di controparte chiedeva la reiezione dell'appello. Le parti, autorizzate ad un tanto, redigevano note illustrative delle loro posizioni ed all'udienza del 10 maggio 2018 questo Collegio dava lettura della presente ordinanza. Va premesso il quadro normativo di riferimento che delinea la posizione degli interessati e la loro pretesa qui azionata; in primis, la legge regionale n. 53/1981 della Regione Friuli-Venezia Giulia, art. 141 «Per le cessazioni dal servizio che si verifichino a decorrere dall'entrata in vigore della presente legge, la Regione assicura ... a favore dei propri dipendenti di ruolo e non di ruolo ... il trattamento di previdenza erogato dall'INADEL ai dipendenti degli enti locali. Detto trattamento ... si realizza nelle prestazioni espressamente stabilite dalle disposizioni legislative e regolamentari che disciplinano l'ordinamento e l'attivita' del predetto Istituto (vale a dire l'allora INADEL)». Vanno poi rammentati gli articoli 143 della legge regionale n. 53/1981 citata per cui: «La misura dell'indennita' per ogni anno di servizio e' stabilita in 1/12 degli assegni fissi pensionabili, ai sensi del terzo comma dell'art. 136 della presente legge, goduti all'atto della cessazione dal servizio ...» ed appunto l'art. 136 della legge regionale n. 53 stessa per cui: «Ai dipendenti regionali che siano stati o vengano collocati a riposo con diritto alla pensione ... spetta dalla data di cessazione dal servizio un trattamento di quiescenza calcolato sulla base degli assegni fissi pensionabili ... l'amministrazione regionale provvede direttamente alle eventuali integrazioni fra quanto spettante ai sensi del precedente comma e quanto determinato dalla CPDEL nel provvedimento di concessione della pensione ...» ricordato che la CPDEL e' o meglio era la gestione che provvedeva in merito alla pensione ed a trattamento terminativo dei dipendenti degli enti locali e che essa e' poi confluita nell'INPDAP di cui si dira' poi. Nel 1994 con la legge regionale Friuli-Venezia Giulia n. 5/1994, art. 186, l'ente locale Regione e' stato autorizzato ad iscrivere il suo personale dal gennaio 1994 all'INPDAP (Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica) gestione autonoma ex INADEL ai fini del trattamento di previdenza prevista per detto Istituto (l'INADEL nelle more soppresso e cui era subentrato appunto l'INPDAP cui sono confluite pure le competenze CPDEL) ed in particolare si e' affermato e stabilito che (art. 186 citato, comma 4): «per far fronte agli oneri a carico dell'amministrazione regionale derivanti dalla corresponsione al personale regionale di quanto previsto dagli articoli 142, 143 e 145 della legge regionale n. 53/1981 ... e' costituito un fondo regionale disciplinato dalla legge 25 novembre 1971, n. 1041. Al fondo di cui al comma 4 affluiscono ... i contributi mensili a carico del personale stesso dell'amministrazione regionale previsti dall'art. 148, commi secondo, terzo e quarto della legge regionale n. 53/1981 nella misura stabilita dalla legislazione previdenziale dell'INPDAP ...». A completamento poi l'art. 148 della legge regionale n. 53 ora citato afferma che: «... Per le prestazioni previdenziali di cui agli articoli precedenti (ergo incluso il trattamento terminativo di cui e' causa) al personale vengono trattenuti dall'amministrazione ... contributi mensili pari a quelli previsti dalla legislazione dell'INADEL per il trattamento previdenziale ...». Vanno poi rammentate le norme di cui all'art. 19 del decreto legislativo n. 165/2001 statuisce al suo secondo comma che: «Resta fermo che per i dipendenti statali titolari di incarichi dirigenziali ai sensi del presente articolo, ai fini dell'applicazione dell'art. 43, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092/1973 (in tema di trattamento di buonuscita) e successive motivazioni l'ultimo stipendio va individuato nell'ultima retribuzione percepita in relazione all'incarico svolto», e quella di cui all'art. 1, comma 3 del decreto legislativo n. 165/2001 stesso per cui il decreto legislativo n. 165 medesimo costituisce anche per le regioni a statuto speciale (quale e' il Friuli-Venezia Giulia) uno dei principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione ed i principi di cui agli articoli 2 della legge n. 421/1992 e 11 della legge n. 59/1997 rappresentano norme fondamentali di riforma economico sociale. Da ultimo, va rammentato che lo stesso legislatore regionale ha statuito (vedi l'art. 12, comma 1 della legge regionale n. 4/2004) che: «Gli incarichi dirigenziali possono essere conferiti anche con contratto a tempo determinato di diritto privato; il conferimento ad un dipendente del ruolo unico regionale determina il collocamento in aspettativa senza assegni per tutta la durata dell'incarico ed il servizio prestato in forza di detto contratto e' utile ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza, nonche' dell'anzianita' di servizio». Nel caso in oggetto, come su sintetizzato invece, per tutti i ricorrenti e' accaduto che il servizio come dirigente e con contratto a tempo determinato non e' stato ritenuto computabile ed utile ai fini della quantificazione del trattamento terminativo e quindi dal 15 novembre 2002 in poi, dato questo pacifico in causa. Viene qui sollevata da questa Corte di appello questione di legittimita' riferita alle norme di cui all'art. 7, commi 28, 29 e 30 della legge regionale n. 33/2015 per i quali (comma 28): «In via di interpretazione autentica del I comma dell'art. 142 della legge regionale n. 53/1981 ... per la determinazione del servizio utile ai fini della liquidazione dell'indennita' di buonuscita in quanto trattamento di fine servizio non e' valutato quello prestato con rapporto a tempo determinato di diritto privato» e l'art. 142 faceva cenno come servizio utile al servizio reso alle dipendenze dell'amministrazione regionale ed a quello riscattato a detti fini e poi (comma 29): «In via di interpretazione autentica del I comma dell'art. 143 della legge regionale n. 53/1981 per assegni fissi pensionabili cui fare riferimento si intendono quelli riconosciuti ai sensi della legislazione dell'ex INADEL» e l'art. 143, comma I citato fa cenno in tema di indennita' terminativa ad ogni anno di servizio utile ed agli assegni fissi pensionabili goduti all'atto di cessazione dal servizio, mentre infine (comma 30): «In via di interpretazione autentica del II comma dell'art. 143 della legge regionale n. 53/1981 nell'indennita' di buonuscita, in quanto trattamento di fine servizio, non sono valutati i periodi prestati con contratto di lavoro a tempo determinato di diritto privato» e l'art. 143, comma 2 citato afferma solo che la Regione assicura al dipendente l'indennita' di buonuscita anche nei casi in cui essa non spetterebbe secondo la legislazione INADEL. Va infine rammentato il dettato dell'art. 4 della legge n. 152/1968 in tema di indennita' di fine servizio a suo tempo erogata dall'INADEL e poi dall'INPDAP per cui: «per i casi di cessazione dal servizio ... l'indennita' premio di servizio ... sara' pari ad un quindicesimo della retribuzione contributiva degli ultimi dodici mesi considerata in ragione dell'80% ... per ogni anno di iscrizione all'Istituto ...», il dettato dell'art. 1 della legge n. 297/1982 di modifica dell'art. 2120 del codice civile in tema di T.F.R. e la previsione del successivo art. 4 della legge n. 297/1982 stessa per cui (comma 4): «... le norme di cui all'art. 2120 del codice civile ... si applicano a tutti i rapporti di lavoro subordinato per i quali siano previste forme di indennita' di anzianita', di fine lavoro, di buonuscita, comunque denominate ...» e da ultimo l'art. 26, comma 19 della legge n. 448/1998 seconda parte per cui, in materia di avvio del passaggio al sistema di T.F.R. anche nel settore del lavoro pubblico: «... con il medesimo decreto (D.P.R.) si provvedera' a definire, ferma restando l'invarianza della retribuzione complessiva netta, gli adeguamenti della struttura retributiva e contributiva conseguenti all'applicazione del trattamento di fine rapporto ...». La questione viene dunque sollevata con riferimento agli articoli 3, 35, 36, 38, 111, e 117, I comma della Costituzione nella parte in cui esse, in base all'interpretazione datane in I grado, vietano in sostanza di computare il servizio prestato con rapporto di lavoro a tempo determinato di diritto privato come dirigente e su incarico nell'indennita' di buonuscita in quanto trattamento di fine servizio e la relativa retribuzione ultima. Va posto in risalto in punto rilevanza della questione di legittimita' che le norme citate di cui alla legge regionale n. 33/2015, art. 7, commi 28 e seguenti assumono importanza ai fini del decidere come si evince in modo chiaro dal loro dettato, che impedisce di conteggiare il periodo di servizio per tutti i ricorrenti dall'11/2002 con contratto a tempo determinato e con incarico come dirigenti; dette norme quindi, emanate quando fra l'altro ben quattro dei ricorrenti gia' avevano depositato il loro ricorso giudiziale (dal 16 settembre 2015 al giorno 8 ottobre 2015 per i ricorrenti Tessarolo e Della Torre per la precisione la legge regionale n. 33/2015 e' la legge collegata alla manovra di bilancio e risale al 29 dicembre 2015 giorno fra l'altro in cui furono depositati i ricorsi degli attori Bellarosa e Ramponi venne pubblicata nel Bollettino regionale del 13 gennaio 2016 con entrata in vigore dal 13 gennaio 2016 stesso ex art. 8 della legge medesima) e quindi vi era contenzioso fra le parti sul tema, sono chiaramente da applicarsi al caso di specie e poi hanno e comunque mirano a possedere dichiaratamente valore interpretativo ergo anche per i pregressi rapporti di lavoro, come quelli ora esaminati chiusisi tutti negli anni dal 2005 al 2010 come e' pacifico in causa. La miglior prova di un tanto e' fornita dalla decisione resa in I grado la quale alle pagine 7/9 si e' interessata (ed ha dovuto evidentemente farlo) della portata di esse norme e ne ha, in somma sintesi, affermato la ragionevole funzione di fugare i dubbi interpretativi allora esistenti. I riferimenti in punto legittimita' costituzionale ed i relativi parametri di riferimento costituzionale ed in tema di non manifesta infondatezza vanno rammentati gli articoli 3, 35, 36, 38, 111 e 117 della Costituzione assunti come norme di riferimento ai fini del sindacato di legittimita'. Nel dettaglio, l'art. 3, I e II comma, rilevano poiche', come detto, ex art. 19 del decreto legislativo n. 165/2001 ed a mente dell'art. 12, comma 1 della legge regionale Friuli-Venezia Giulia n. 4/2004 gli incarichi dirigenziali rilevano ai fini del computo del trattamento previdenziale e dell'anzianita' di servizio e afferma ivi un canone di parita' di trattamento che non puo' che rilevare anche tenuto conto dei canoni di cui all'art. 1, comma 3 del decreto legislativo n. 165/2001 in materia di principi fondamentali in materia di impiego pubblico privatizzato. Noto e' il canone di ragionevolezza affermato dall'art. 3 della Costituzione e l'importanza di evitare di vulnerare detto canone o altri valori costituzionali, ove si pensi alla possibile irragionevole diversita' di trattamento di un periodo, fra l'altro pregresso da anni, di lavoro del tutto uguale. Con riguardo poi all'art. 35 della Costituzione, I comma, la tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni ha riguardo, e non puo' non averlo, sia al lavoro in ruolo che a quello con incarico dirigenziale e gli articoli 19 del decreto legislativo n. 165/2001 e 12 della legge regionale n. 4/2004 citati ne sono l'evidente riprova; vi e' senza tema di smentita e come pacifico in causa un operato del tutto simile prima e dopo l'incarico (tutti e sei i ricorrenti erano pacificamente gia' prima del novembre 2002 dirigenti regionali, salvo vedersi affidare l'incarico a tempo per effetto delle nuove norme del decreto legislativo n. 165/2001) e dunque non vi e' quindi chi non veda in fatto la medesimezza della situazione, la nuova veste giuridica non muta infatti la realta' del lavoro degli attori (e l'art. 2095 del codice civile come novellato con la legge n. 190/1985) ricomprende i dirigenti nelle categorie dei prestatori di lavoro e costituisce, come noto, una delle norme cardine in tema di lavoro privato oramai valide per gli addetti del settore pubblico vista la «privatizzazione» del rapporto di lavoro con soggetti pubblici avutasi dal 1993 in poi. Ancora, l'art. 36, I comma della Costituzione tutela ed afferma il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata a qualita' e quantita' del lavoro e quindi, se come si asserisce che il T.F.R. e' un accantonamento retributivo a favore dei prestatori, non si vede poi come mai il T.F.R. o T.F.S. degli attori debba soffrirne ed essere decurtato in ragione di un qualche nuovo e non ben delineato motivo. Il raffronto con il trattamento spettante pacificamente agli altri dipendenti della Regione in tema di trattamento terminativo risulta contraddittorio atteso che nel momento, oramai remoto, in cui gli interessati attinsero ai ruoli piu' elevati dell'organigramma dell'ente si videro, solo su detto aspetto, trattati in modo diverso e verosimilmente riduttivo. Ne' va trascurato il dato normativo di cui all'art. 38 della Costituzione, II e IV comma, in tema di previdenza ed assistenza per la vecchiaia le quali vengono erogate proprio da istituti predisposti ed integrati dallo Stato fra il novero dei quali vi erano per certo l'INADEL e l'INPDAP il cui compito istituzionale era l'assistenza e la previdenza dei lavoratori ad essi assicurati e si e' prima posto in risalto il fatto che per anni non a caso furono detti istituti pubblici ad erogare la prestazione terminativa e di fine servizio per cui e' giudizio qui, a nulla rileva il passaggio delle competenze ad altro soggetto, metodo di contribuzione e funzione erano e restano quelli della previdenza pubblica. Non va trascurato inoltre il dato normativo di cui all'art. 111 della Costituzione, II comma ed in riferimento all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, CEDU, sul diritto ad un processo equo con riguardo all'intervento interpretativo effettuato a lite in parte gia' radicata da tempo (ed a diritti acquisiti da anni, si noti bene, trattandosi di accantonamenti per anni di lavoro dal 2002 al 2010 come pacifico) e su norme emanate da anni ed anni come quello della legge regionale n. 33/2015, art. 7, commi 28/30. Il principio di irretroattivita' delle leggi non e' tutelato che dall'art. 25 della Costituzione in sede di salvaguardia di rango costituzionale e privilegiato ed il legislatore puo' emanare norme retroattive di interpretazione autentica purche' detta retroattivita' trovi adeguata giustificazione nell'esigenza di tutelare principi diritti e beni di rilievo costituzionale che costituiscono motivi imperativi di interesse generale ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) e quindi «nulla quaestio» se la norma si limiti ad assegnare alla norma interpretata un significato gia' in essa contenuto a chiudere cioe' un dibattito irrisolto a tutela della certezza del diritto e dell'eguaglianza dei cittadini ristabilendo una volonta' piu' aderente a quella originaria del legislatore (vedi Corte costituzionale sentenza n. 78/2012). Qui invece si nota che si e' di fatto intervenuti su norme in essere da anni ed anni e in senso contrario a quanto dettato da precise previsioni che (vedi gli articoli 19 del decreto legislativo n. 165/2001 e 12 della legge regionale n. 4/2004 sul tema e di cui si e' detto sino ad ora) creando un caso differenziato e particolarmente critico atteso che la platea di destinatari dell'intervento (pochi ex dirigenti regionali) era limitata ed i soggetti ben individuabili. Ne' va trascurato il dato che le norme interpretate asseritamente risalivano a oltre trenta anni prima (legge regionale n. 53/1981) e, a quanto pare, non presentavano profili critici in precedenza sul tema. Nota e' la preminenza del diritto e la nozione di processo equo sancita dall'art. 6 della Convenzione CEDU e di cui la stessa Corte costituzionale ha fatto menzione diverse volte (vedi Corte costituzionale sentenze n. 191/2014 e n. 170/2013) ed in riferimento ad interventi del potere legislativo, come qui occorso, nell'amministrazione della giustizia al fine di influire l'esito di un giudizio. Utile pure il richiamo all'arresto costituito dalla sentenza n. 12/2018 della Corte costituzionale per una ragionata disamina della materia, indubbiamente movimentata, dei rapporti fra giurisdizione e legislatore e non trascurabile risulta il dato per cui l'impatto dell'intervento di cui discorriamo qui e' ed era, visto il numero spicciolo degli interessati, di scarso peso economico. Da ultimo, il dettato dell'art. 117 della Costituzione rileva poiche' come visto il decreto legislativo n. 165/2001, art. 1, comma 3 e l'art. 19 del decreto legislativo n. 165 stesso ne integrano il contenuto e affermano il canone dell'ultimo stipendio del periodo di incarico dirigenziale utile come parametro ai fini del conteggio del trattamento di fine servizio. Non va poi trascurato il dato per cui, riprendendo quanto esposto prima nella parte di premessa normativa in merito al passaggio anche nel settore del lavoro pubblico al sistema del T.F.R. e/o T.F.S., anche il dettato dell'art. 26, comma 19, legge n. 448/1998 con il suo canone di invarianza affermato in tema di retribuzione evidentemente anche differita rafforza ed integra la tutela concessa dall'art. 117 della Costituzione in tali casi. Sovviene al riguardo lo stesso avviso della Consulta di cui alla sentenza n. 223/2012 secondo cui la normativa che ha esteso il sistema del T.F.R. al settore del lavoro pubblico non contiene affatto una disciplina organica sulle prestazioni previdenziali in favore dei dipendenti dello Stato in grado di sostituirsi in modo novativo al decreto del Presidente della Repubblica n. 1032/1973 (in tema di buonuscita). Va quindi sospeso il giudizio con rimessione degli atti alla Consulta per definire la presente questione di legittimita' costituzionale previa cura degli adempimenti di rito e di cui in calce.