CONSIGLIO DI STATO 
                            Sezione Prima 
 
    Adunanza di Sezione dell'8 novembre 2017. 
    Numero affare 01480/2016. 
    Oggetto: Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. 
    Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dal
signor Nicandro Cavagliotti, nato a Treviso  il  2  dicembre  1943  e
residente a  Sondrio,  per  l'annullamento  della  deliberazione  del
consiglio comunale di Sondrio 28 novembre 2014 n. 81,  d'approvazione
di variante del piano di governo del territorio. 
    La Sezione, 
    Vista la relazione 9 giugno 2017 prot. n. 103, con  la  quale  il
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - Dipartimento per  le
infrastrutture, i sistemi informatici e statistici -  ha  chiesto  il
parere del Consiglio di Stato sul ricorso; 
    visto il ricorso, notificato al  Comune  di  Sondrio  l'8  maggio
2015; 
    viste le controdeduzioni del Comune di Sondrio; 
    visto il proprio parere  istruttorio  reso  nell'adunanza  del  7
dicembre 2016; 
    esaminati gli atti  e  udito  il  relatore,  consigliere  Saverio
Capolupo. 
    Premesso: 
        Il Comune di Sondrio, gia' dotato del piano  di  governo  del
territorio approvato  con  deliberazione  del  Consiglio  comunale  6
giugno 2011, n. 40, con deliberazione della giunta  comunale  del  29
settembre 2013 ha attivato un procedimento di variante  del  medesimo
piano, comunicandolo alla cittadinanza. In merito sono state avanzate
proposte da parte di alcuni cittadini. 
    L'ente territoriale ha introdotto, inoltre, modifiche alle  norme
tecniche   d'attuazione,   alcune   delle   quali   su   suggerimento
dell'ufficio tecnico comunale. 
    Fra le modifiche della normativa, in particolare, una riguarda la
disciplina  delle  distanze  tra  fabbricati  «Distanza  minima   tra
edifici», come  dettata  dall'art.  3  «Definizioni  urbanistiche  ed
edilizie», dell'elaborato «Definizioni e  disposizioni  generali  del
Piano di governo del territorio». 
    Nella formulazione originaria, essa  stabiliva  che  «Nelle  aree
comprese in ambiti di trasformazione e nelle aree comprese in  ambiti
del territorio consolidate (Piano delle Regole)  la  distanza  minima
tra edifici deve essere pari all'altezza dell'edificio  piu'  alto  e
comunque non inferiore a m 10, fatta eccezione per gli edifici  nelle
aree  comprese  in  ambiti  del  territorio  urbanizzato  di   antica
formazione per i quali la distanza minima tra edifici non puo' essere
inferiore a quella intercorrente tra i volumi edificati preesistenti,
computati senza  tener  conto  di  costruzioni  aggiuntive  di  epoca
recente e prive di valore storico, artistico o ambientale». 
    A seguito della variante approvata, il testo  della  disposizione
e'  stato  cosi  riformulato:  «Nelle  aree  comprese  in  ambiti  di
trasformazione e in ambiti del territorio  consolidate  (Piano  delle
Regole) la distanza minima tra edifici deve essere non inferiore a  m
10, fatta eccezione per gli edifici compresi nei tessuti edificati di
antica formazione (Taf) per i quali la distanza  minima  tra  edifici
non puo'  essere  inferiore  a  quella  intercorrente  tra  i  volumi
edificati preesistenti, computati senza tener  conto  di  costruzioni
aggiuntive di epoca recente e prive di valore  storico,  artistico  o
ambientale.  Limitatamente  alle   aree   comprese   in   ambiti   di
trasformazione,  la  distanza  minima  deve  inoltre  essere  pari  o
superiore all'altezza dell'edificio piu' alto». 
    Per effetto della variazione e' stata sottratta  all'applicazione
della disciplina piu' restrittiva (quella  che  impone  una  distanza
minima pari all'altezza dell'edificio piu' alto), le  aree  di  nuova
edificazione comprese all'interno  di  un  ambito  territoriale  che,
secondo la disciplina dettata dalla legge regionale  della  Lombardia
11 maggio 2005, n. 12 viene definito «il tessuto urbano consolidato». 
    In particolare, la  riformulata  disposizione  e'  riferita  agli
ambiti territoriali previsti e disciplinati dagli articoli  18  e  19
delle norme di attuazione del  piano  delle  regole.  Con  l'art.  18
vengono definiti alcuni ambiti di espansione  edificatoria  che,  pur
compresi nel perimetro territoriale disegnato al  fine  d'individuare
il cosiddetto «tessuto urbano consolidato», e  definiti  «tessuti  di
completamento», costituiscono  vere  e  proprie  aree  di  espansione
edificatoria, dato che ai sensi del comma 1 del predetto art. 18 «Gli
ambiti cosi' classificati sono rappresentati da parti prevalentemente
non edificate, intercluse  all'interno  del  tessuto  consolidate  di
fondovalle o di versante o ai suoi margini.  La  loro  individuazione
sul territorio consente di affermare che si tratta di ambiti privi di
edificazione,  da  assoggettare  per  la  prima  volta   a   processo
urbanizzativo ed edificatorio. Tale risulta la condizione dell'ambito
n.  15,  adiacente  alla  proprieta'  del   ricorrente,   individuato
dall'art.  19,  quale   ambito   assoggettato   a   piano   attuativo
obbligatorio. Tale ambito conferma una previsione gia'  presente  nel
previgente  piano  regolatore  generale  approvato  negli  anni  '90,
laddove era individuata come zona «RT n. 17»,  assoggettata  a  piano
attuativo obbligatorio, coinvolgente il medesimo ambito territoriale,
assolutamente privo di edificazione e destinato a nuovi  insediamenti
residenziali,  ubicato  ai  margini  estremi  dell'aggregato   urbano
edificato,  lungo  la   strada   che   introduce   alla   Valmalenco,
caratterizzata da una elevata acclivita'. 
    Il citato ambito, individuato nel piano generale  del  territorio
come ambito n. 15  nell'art.  19,  conferma  la  delimitazione  dello
stesso  ambito  territoriale   individuato   nel   precedente   piano
regolatore generale come «RT n. 17», mai coinvolto in  precedenza  in
processi di urbanizzazione  di  edificazione,  atteso  che  e'  stata
assoggettata in entrambi gli strumenti urbanistici a piano attuativo,
com'e'  prescritto  per  tutte  le  zone  che,  secondo  il   decreto
ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, devono essere  qualificate  come
zone di espansione. 
    L'Amministrazione, nella scelta di denominazioni  e  sigle  delle
zone territoriali omogenee differenti da quelle dettate  nel  decreto
ministeriale n. 1444/1968 (prima RT ora ambito TAC),  ad  avviso  del
ricorrente  sarebbero  state  sottratte  alla  disciplina  che  detto
decreto ha fissato, specialmente per quanto riguarda il regime  delle
distanze tra fabbricati, che assumono valenza integrativa del  codice
civile,  asseritamente  non  derogabili  dalle   norme   locali   con
conseguente  richiesta  di  disapplicazione  delle  disposizioni   di
strumenti  urbanistici  che  fissino  una  distanza  tra   fabbricati
inferiore a quella prevista nel citato decreto ministeriale. 
    Tutti gli ambiti «Tc» individuati dall'art. 19 del piano generale
del territorio sono assoggettati o a piano urbanistico attuativo o  a
permesso di costruire convenzionato obbligatorio,  in  considerazione
proprio della circostanza che si tratta di ambiti non  edificati,  da
assoggettare per la prima volta ad un processo di urbanizzazione  che
richiede la preventiva pianificazione di dettaglio, o almeno, ove  si
tratti di un ambito di piu' limitata estensione, ad  un  permesso  di
costruire corredato da  una  convenzione  obbligatoria,  mediante  la
quale garantire gli stessi effetti del piano attuativo. 
    A conferma, il ricorrente  richiama  la  circostanza  che  su  20
ambiti  «Tc»  individuati  e  disciplinati  dall'art.  19  del  piano
generale del territorio ben  11  sono  soggetti  al  piano  attuativo
obbligatorio. Fra essi  vi  e'  il  n.  15,  confinante  con  la  sua
proprieta',  sulla  quale  insiste   un   edificio   a   destinazione
residenziale (individuato in catasto al foglio  31  mappale  319  del
Comune di Sondrio), a fronte del quale e' in corso  di  realizzazione
un complesso residenziale avente altezza largamente superiore a m 10,
che non rispetterebbe la distanza pari all'altezza dell'edificio piu'
alto, come prescritto per le zone omogenee C  (parti  del  territorio
destinate a nuovi complessi insediativi che risultino  inedificate  o
nelle quali l'edificazione preesistente non  raggiunga  i  limiti  di
superficie e densita' delle zone, totalmente edificate) dall'art.  9,
1° comma, del decreto ministeriale n. 1444/1968. 
    Il  ricorrente  evidenzia,  poi,  che  nelle  stesse  «Norme   di
attuazione del Piano delle regole al Capo 2  (articoli  14,  15,  16,
17)» vengono  disciplinate  le  altre  porzioni  del  tessuto  urbano
consolidato che presentano gia' una condizione di parziale o compiuta
edificazione, per  i  quali  vengono  ammessi  interventi  diretti  o
perfino piani attuativi all'interno dei quali  viene  consentita  una
distanza  tra  gli  edifici  minore  di  quella  minima   di   legge,
evidentemente in applicazione di quanto  disposto  dall'ultimo  comma
dell'art. 9 del decreto ministeriale n. 1444/1968. 
    Tale circostanza fa emergere la presenza, all'interno del tessuto
urbano consolidato, di ambiti territoriali  molto  diversificati  fra
loro, alcuni dei  quali  aventi  le  caratteristiche  delle  zone  di
completamento, altri quelle delle zone di espansione. 
    2. Il ricorrente lamenta che la profonda diversita' di condizione
oggettiva renda ingiustificata e illegittima la sottrazione  al  piu'
incisivo regime delle distanze tra fabbricati fissato dall'art. 9 del
decreto ministeriale n.  1444/1968  proprio  per  le  zone  di  nuova
edificazione ed urbanizzazione. 
    Di conseguenza egli impugna la variante del  piano  generale  del
territorio di Sondrio, segnatamente la parte  mediante  la  quale  ha
modificato la disposizione dell'art. 3  relativa  alla  distanza  tra
fabbricati  riducendo  la  misura   della   distanza   tra   immobili
fronteggianti  alla  sola  misura  di   ml.   10,00   ed   escludendo
dall'applicazione   della   maggiore   distanza   pari    all'altezza
dell'edificio  piu'  alto  i  nuovi   insediamenti   previsti   nelle
cosiddette «zone TAC», e confermando tale  disposizione  solo  per  i
nuovi insediamenti in ambiti di trasformazione, senza tener conto del
fatto che, invece, per situazioni del genere doveva essere  mantenuta
la formulazione originaria conforme al dispositivo  dell'art.  9  del
decreto ministeriale n. 1444/1968,  data  l'identita'  di  condizioni
oggettive di ambiti non  edificati  da  assoggettare,  per  la  prima
volta, ad un processo di nuova urbanizzazione soggetto  a  preventiva
approvazione di piano attutivo. 
    A fondamento del ricorso il ricorrente deduce i  seguenti  motivi
di violazione di legge ed eccesso di potere. 
    1. Violazione dell'art. 9 del decreto ministeriale n.  1444/1968,
in  quanto  e'  stato  espunto  dall'ordinamento  urbanistico  locale
l'obbligo del rispetto della distanza minima pari  all'edificio  piu'
alto, in relazione ad interventi di nuova edificazione,  in  asserite
«Zone di espansione edificatoria aventi le condizioni oggettive delle
Zone C». 
    2.  Difetto  di   motivazione   e   contraddittorieta',   perche'
l'originaria formulazione del PGT in materia di distanze dettava  una
disposizione univoca, in conformita'  alla  disciplina  prevista  dal
richiamato art. 9  del  decreto  ministeriale  n.  1444/1968,  avente
valenza  vincolante  in  sede  di  pianificazione.  La  decisione  di
modificare la norma generale sarebbe  quindi  arbitraria,  oltre  che
carente di adeguata motivazione. 
    3. Difetto di motivazione, contraddittorieta',  deviazione  dalla
funzione. Il ricorrente sostiene che il 29  settembre  2013,  pur  in
presenza di un PGT approvato (deliberazione del consiglio comunale n.
40/2011), la giunta comunale ha assunto la determinazione di  avviare
il procedimento di revisione del PGT con l'esplicita affermazione  di
aggiornare  il  piano  senza  alterarne  l'impostazione   complessiva
originaria e al solo fine di correggere errori materiali  riscontrati
in fase applicativa. Quindi, la rilevante modifica sul  regime  delle
distanze  contestata  avrebbe  il  carattere  di  norma  elusiva   di
tassativi limiti di  legge  e  foriera  di  ulteriori  situazioni  di
contrasto con il vigente quadro giuridico di riferimento. 
    Considerato: 
        3. L'art. 2-bis del decreto del decreto del Presidente  della
Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 stabilisce che: «...le regioni e  le
Province autonome di Trento  e  di  Bolzano  possono  prevedere,  con
proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto  del
Ministro dei lavori pubblici  2  aprile  1968,  n.  1444,  e  possono
dettare disposizioni  sugli  spazi  da  destinare  agli  insediamenti
residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle  attivita'
collettive, al verde e ai parcheggi, nell'ambito della definizione  o
revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a  un  assetto
complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali». 
    La Regione Lombardia, con  le  modifiche  introdotte  alla  legge
urbanistica regionale 11 maggio 2005, n. 12 con la legge regionale 14
marzo 2008, n. 4, ha recepito tali indicazioni  stabilendo,  ai  fini
dell'adeguamento degli strumenti urbanistici, l'inapplicabilita'  del
citato decreto ministeriale n. 1444/1968 fatto  salvo,  limitatamente
agli interventi di nuova  costruzione,  il  rispetto  della  distanza
minima di dieci metri, derogabile all'interno dei piani attuativi. 
    L'art. 9 del decreto ministeriale 2 aprile n.  1444/1968  dispone
che  «Le  distanze  minime  tra  fabbricati  per  le   diverse   zone
territoriali omogenee sono stabilite come segue: 
        3) Zone C): e' altresi' prescritta, tra pareti finestrate  di
edifici  antistanti,  la  distanza  minima   pari   all'altezza   del
fabbricato piu' alto; la norma  si  applica  anche  quando  una  sola
parete sia finestrata, qualora gli edifici  si  fronteggino  per  uno
sviluppo superiore a m 12. 
    Le distanze minime tra fabbricati - tra i quali siano  interposte
strade destinate  al  traffico  dei  veicoli  (con  esclusione  della
viabilita' a  fondo  cieco  al  servizio  di  singoli  edifici  o  di
insediamenti) -  debbono  corrispondere  alla  larghezza  della  sede
stradale maggiorata di: 
        m 5 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7; 
        m 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra m 7 e m
15; 
        ml. 10 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15». 
    L'art. 1-bis della legge regione Lombardia 11 marzo 2005, n.  12,
aggiunto dall'art. 1, comma 1, lettera xxx), legge regionale 14 marzo
2008, n. 4, prevede che «Ai fini dell'adeguamento, ai sensi dell'art.
26, commi  2  e  3,  degli  strumenti  urbanistici  vigenti,  non  si
applicano le disposizioni del decreto ministeriale 2 aprile 1968,  n.
1444 (Limiti  inderogabili  di  densita'  edilizia,  di  altezza,  di
distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli
insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici  o  riservati
alle attivita'  collettive,  al  verde  pubblico  o  a  parcheggi  da
osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici  o
della revisione di quelli esistenti,  ai  sensi  dell'art.  17  della
legge  6  agosto  1967,  n.  765,  fatto  salvo,  limitatamente  agli
interventi di nuova costruzione, il rispetto  della  distanza  minima
tra fabbricati pari a dieci metri, derogabile  all'interno  di  piani
attuativi». 
    Il successivo comma 1-ter dispone che «Ferme restando le distanze
minime di cui agli articoli 873 e 907 del codice  civile,  fuori  dai
centri storici e dai nuclei di antica formazione la  distanza  minima
tra pareti finestrate, di cui al comma 1-bis, e'  derogabile  per  lo
stretto  necessario  alla  realizzazione  di  sistemi   elevatori   a
pertinenza di fabbricati esistenti che non assolvano al requisito  di
accessibilita' ai vari livelli di piano». 
    4.  In  materia  di  distanza  tra   fabbricati,   per   costante
giurisprudenza (da ultimo Consiglio di  Stato,  sez.  IV,  23  giugno
2017, n. 3093; 8 maggio 2017, n. 2086;  29  febbraio  2016,  n.  856;
Corte cassazione civ., sez. II,  14  novembre  2016,  n.  23136),  la
disposizione contenuta nell'art. 9 del decreto ministeriale  n.  1444
del  1968,  che  prescrive  la  distanza  di  dieci  metri  che  deve
sussistere tra edifici antistanti, ha carattere inderogabile  poiche'
si tratta di norma imperativa la quale predetermina, in via  generale
ed astratta, le distanze tra le costruzioni, in considerazione  delle
esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza. 
    Tali distanze sono coerenti con il  perseguimento  dell'interesse
pubblico e  non  gia'  con  la  tutela  del  diritto  dominicale  dei
proprietari degli immobili finitimi alla  nuova  costruzione,  tutela
che e' invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in  tema
di distanze, dal codice civile. 
    Occorre osservare, poi, che la disposizione dell'art. 9, n. 2 del
decreto ministeriale n. 1444 riguarda «nuovi  edifici»,  intendendosi
per tali gli edifici (o parti o sopraelevazioni di essi: Consiglio di
Stato, sez. IV, 4 agosto 2016,  n.  3522)  «costruiti  per  la  prima
volta» e non gia' edifici preesistenti,  per  i  quali,  in  sede  di
ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere distanze  diverse.  Tale
affermazione trova riscontro in una pluralita' di considerazioni. 
    Occorre, infatti, ricordare che, ai sensi dell'art.  41-quinquies
legge 17 agosto 1942, n.  1150,  -  avente  per  oggetto  «Disciplina
dell'attivita' urbanistica e suoi scopi» nella formulazione in vigore
dal 30 giugno 2003, i limiti inderogabili di  densita'  edilizia,  di
altezza, di distanza tra i fabbricati nonche' i rapporti massimi  tra
spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi  e  spazi
pubblici o riservati alle attivita' collettive, a verde pubblico o  a
parcheggi», sono imposti ai fini della formazione di nuovi  strumenti
urbanistici o della revisione di quelli esistenti. 
    Cio' significa che essi sono previsti dalla norma primaria per la
«nuova»  pianificazione  urbanistica  e  non  gia'  per   intervenire
sull'esistente, tanto meno se rappresentato da un singolo edificio (a
meno che «l'esistente» non sia esso stesso  complessivamente  oggetto
di pianificazione urbanistica). 
    Ed infatti, in coerenza con quanto ora affermato, lo stesso  art.
9 del  decreto  ministeriale  n.  1444/1968  per  le  zone  «A»,  nel
contemplare le distanze tra edifici gia'  esistenti  prevede  che  le
distanze «non possono essere inferiori a quelle intercorrenti  tra  i
volumi edificati preesistenti». 
    Difatti, il discrimine in tema di  distanze  (con  l'introduzione
del limite inderogabile di 10 m), nella ratio dell'indicato  art.  9,
non e' dato dalla differenza tra zona A ed  altre  zone,  quanto  tra
costruzione del tutto nuova (ordinariamente non ipotizzabile in  zona
A) e ricostruzione di un immobile preesistente. 
    Se cosi non fosse, risalterebbe l'illogicita' della disposizione,
non potendosi evidenziare alcuna differenza, sotto il profilo che qui
interessa, tra zona A e  zona  B  totalmente  edificata  (ex  art.  2
decreto ministeriale n. 1444/1968). 
    D'altra parte,  a  voler  applicare  il  limite  inderogabile  di
distanza ad  un  immobile  prodotto  da  ricostruzione  di  un  altro
preesistente si otterrebbe che, da un  lato,  l'immobile  considerato
non potrebbe essere  demolito  e  ricostruito,  se  non  «arretrando»
rispetto all'allineamento  preesistente  (con  conseguente  possibile
perdita di volume e  realizzandosi,  quindi,  un  improprio  «effetto
espropriativo» del decreto  ministeriale  n.  1444/1968);  dall'altro
lato, esso non potrebbe in ogni caso beneficiare della deroga di  cui
all'ultimo comma dell'art. 9 del decreto ministeriale  n.  1444/1968,
allorquando la demolizione e ricostruzione  (ancorche'  per  un  solo
fabbricato)  non  fosse  prevista  nell'ambito   di   uno   strumento
urbanistico attuativo  con  dettaglio  piano  volumetrico.  Anzi,  la
stessa circostanza che  la  deroga  di  cui  all'art.  9,  u.c.,  sia
prevista per il tramite di strumenti urbanistici  attuativi  conferma
quanto innanzi affermato e cioe' che le norme sulle distanze  di  cui
al decreto  ministeriale  n.  1444/1968  si  riferiscono  alla  nuova
pianificazione del territorio e  non  gia'  ad  interventi  specifici
sull'esistente. 
    In conclusione, in tema di distanze fra  costruzioni,  l'art.  9,
comma 2, decreto  ministeriale  2  aprile  1968,  n.  1444,  «poiche'
emanato su specifica delega contenuta  nell'art.  41-quinquies  della
legge urbanistica fondamentale 17 agosto 1942, n. 1150, ha  efficacia
di legge dello Stato sicche' le sue disposizioni in  tema  di  limiti
inderogabili  di  densita',  altezza  e  distanza  tra  i  fabbricati
prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti edilizi,  ai
quali si sostituiscono per inserzione automatica»  (Cass.  civ.  sez.
II, 12 febbraio 2016, n. 2848). 
    5. Le disposizioni legislative riguardanti i  titoli  abilitativi
per gli interventi edilizi sono state,  da  tempo,  ricondotte  dalla
Corte costituzionale nell'ambito  della  normativa  di  principio  in
materia di governo del territorio (Corte costituzionale, sentenza  23
novembre 2011, n. 309; 1° ottobre 2003, n. 303). 
    In merito e' stato chiarito che «sono principi fondamentali della
materia le disposizioni che definiscono le categorie  di  interventi,
perche' e' in conformita' a queste  ultime  che  e'  disciplinato  il
regime dei titoli abilitativi, con riguardo al  procedimento  e  agli
oneri, nonche' agli abusi e alle  relative  sanzioni,  anche  penali.
L'intero corpus normativo statale in  ambito  edilizio  e'  costruito
sulla definizione degli interventi, con particolare riferimento  alla
distinzione tra le ipotesi di ristrutturazione urbanistica, di  nuova
costruzione e di ristrutturazione edilizia cosiddetta pesante, da  un
lato, e le ipotesi di ristrutturazione edilizia cosiddetta leggera  e
degli  altri  interventi  (restauro   e   risanamento   conservativo,
manutenzione straordinaria e manutenzione ordinaria), dall'altro. 
    La definizione delle  diverse  categorie  di  interventi  edilizi
spetta, dunque, allo Stato». 
    Con specifico riferimento al riparto di  competenze  in  tema  di
distanze legali, la medesima Corte ha affermato  che  «la  disciplina
delle  distanze  minime  tra  costruzioni   rientra   nella   materia
dell'ordinamento  civile   e,   quindi,   attiene   alla   competenza
legislativa statale; alle Regioni e'  consentito  fissare  limiti  in
deroga alle distanze minime stabilite nelle normative statali, solo a
condizione che la deroga sia giustificata dall'esigenza di soddisfare
interessi pubblici legati al governo del territorio. 
    Dunque, se da un lato non  puo'  essere  del  tutto  esclusa  una
competenza legislativa  regionale  relativa  alle  distanze  tra  gli
edifici, dall'altro essa, interferendo con l'ordinamento  civile,  e'
rigorosamente circoscritta dal suo scopo - il governo del  territorio
-  che  ne  detta   anche   le   modalita'   di   esercizio»   (Corte
costituzionale, sentenze 3 novembre 2016 n. 231; 23 gennaio  2013  n.
6; 21 maggio 2014 n. 134; ordinanza 19 maggio 2011 n. 173). 
    Si e' affermato  di  conseguenza  che  «nella  delimitazione  dei
rispettivi ambiti di competenza - statale in materia di  "ordinamento
civile" e concorrente in materia di "governo del  territorio"  -,  il
punto di equilibrio e' stato rinvenuto nell'ultimo comma dell'art.  9
del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, ritenuto piu' volte dotato
di "efficacia  precettiva  e  inderogabile"»  (Corte  costituzionale,
sentenza 10 maggio 2012, n. 114; ordinanza 19 maggio 2011, n. 173). 
    Con rifermento ad eventuali deroghe, la  Corte  ha  ritenuto  che
tale disposto ammette distanze inferiori  a  quelle  stabilite  dalla
normativa statale «nel caso di gruppi di edifici che formino  oggetto
di  piani  particolareggiati  o   lottizzazioni   convenzionate   con
previsioni planovolumetriche». 
    In definitiva, le deroghe all'ordinamento civile  delle  distanze
tra edifici sono consentite se  inserite  in  strumenti  urbanistici,
funzionali  a  conformare  un  assetto  complessivo  e  unitario   di
determinate zone del territorio. 
    Le richiamate conclusioni sono state  ribadite  anche  a  seguito
dell'emanazione dell'art. 30, comma  1,  0a),  del  decreto-legge  21
giugno  2013,  n.  69   (Disposizioni   urgenti   per   il   rilancio
dell'economia), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma  1,
della legge 9 agosto 2013, n. 98 - e dell'art. 2-bis del decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380 del 2001. 
    Ad avviso del giudice costituzionale, invero, la disposizione  ha
recepito  l'orientamento  della  Corte  «inserendo  nel  testo  unico
sull'edilizia i principi fondamentali della vincolativita', anche per
le regioni e le province autonome, delle  distanze  legali  stabilite
dal  decreto  ministeriale  n.  1444/1968  e  dell'ammissibilita'  di
deroghe solo a  condizione  che  esse  siano  inserite  in  strumenti
urbanistici,  funzionali  a  conformare  un  assetto  complessivo   e
unitario di determinate zone  del  territorio»  (sentenze  20  luglio
2016, n. 175 e 21 settembre 2016, n. 178). 
    6. L'art. 103, comma 1-bis, della legge della  Regione  Lombardia
n.  12/2005,  non  affidando  l'operativita'  dei  suoi  precetti   a
«strumenti urbanistici» e  non  essendo  funzionale  ad  un  «assetto
complessivo  ed  unitario  di  determinate  zone   del   territorio»,
riferisce  la  possibilita'  di  deroga  a   qualsiasi   ipotesi   di
intervento, quindi anche su singoli edifici, con la  conseguenza  che
essa  risulta  assunta  al  di  fuori  dell'ambito  della  competenza
regionale concorrente in materia  di  «governo  del  territorio»,  in
violazione  del  limite  «dell'ordinamento  civile»  assegnato   alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato. 
    Sotto i delineati  profili  la  Sezione  e'  dell'avviso  che  la
questione di  legittimita'  costituzionale  di  cui  al  comma  1-bis
dell'art. 103 della legge regionale  della  Lombardia  2005,  n.  12,
(comma aggiunto dall'art. 1,  comma  1,  lettera  xxx),  della  legge
regionale Lombardia 14 marzo 2008,  n.  4),  non  sia  manifestamente
infondata. Non puo' dubitarsi, poi, della sua rilevanza  atteso  che,
come emerge dall'esposizione fin qui svolta, la sua  applicazione  e'
decisiva ai fini della decisione della controversia in esame. 
    Dev'essere disposta, conseguentemente, la rimessione  degli  atti
alla Corte costituzionale per la decisione della  predetta  questione
di legittimita' costituzionale.