TRIBUNALE DI MACERATA Il tribunale penale di Macerata, ufficio GIP-GUP, nella persona del dott. Giovanni M. Manzoni; Premesso che in data 30 agosto 2017 il pubblico ministero chiedeva emettersi decreto penale nei confronti di H. M. per il reato di cui all'art. 186 CdS, con pena di giorni quindici di arresto ed euro 1100 di ammenda, ridotta per il rito a giorni nove di arresto ed euro 750 di ammenda e conversione della pena in complessivi euro 1425 di ammenda, con conversione di ogni giorno di arresto in euro 75 di ammenda. Tanto premesso questo giudice Osserva L'art. 459 c.p.p. prevede che: in caso di emissione di decreto penale, ove venga irrogata una pena pecuniaria, anche in sostituzione di pena detentiva, il valore giornaliero di conversione della pena detentiva in pecuniaria vari tra la somma di euro 75 e il triplo di tale somma (tenuto conto delle condizioni economiche dell'imputato e del nucleo familiare); il pubblico ministero possa chiedere applicazione della pena diminuita sino alla meta' rispetto al minimo edittale. Ritiene questo giudice che tale previsione possa porsi in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione. Se, infatti, la Corte costituzionale ha ripetutamente evidenziato la ammissibilita' di sconti di pena premiali in relazione alla scelta da parte dell' imputato di riti alternativi (o, per quanto oggi occupa, per la sua non opposizione alla scelta effettuata dal pubblico ministero di procedere con decreto penale e alla emissione di decreto penale da parte del giudice), ritiene questo giudice che il quadro delineato dalla nuova normativa sia inammissibilmente eccentrico rispetto alle ordinarie dinamiche processuali. L'art. 459, infatti, non solo prevede la possibilita' di un elevato sconto di pena (la meta' rispetto al limite edittale) ma, altresi', un tasso di conversione della pena detentiva in pecuniaria del tutto anomala rispetto al criterio di cui all'art. 53 legge n. 689/1981 - 250 euro pro die, moltiplicabili sino a 10 volte in relazione alle condizioni economiche del reo. La conversione della pena detentiva in pecuniaria non viene, infatti, effettuata secondo un tasso fisso di un giorno = 250 euro come prevede art. 135 c.p. con quella di cui all'art. 53, legge n. 689/1981 (un giorno = 250-2500 euro), ma con conversione di un giorno di pena detentiva in somma non inferiore a 75 euro e non superiore a 225 euro con parametrazione all'interno di tale range determinata tenuto conto «della condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo familiare» (criterio che riecheggia quello previsto dall'art. 133-bis c.p. - in relazione pero' al differente caso della determinazione dell'ammontare della multa o dell'ammenda - e richiama chiaramente quello di cui all'art. 53, legge n. 689/1981» per determinare l'ammontare della pena pecuniaria il giudice individua il valore giornaliero al quale puo' essere assoggettato l'imputato e lo moltiplica per giorni di pena detentiva. Nella determinazione dell'ammontare di cui al precedente periodo il giudice tiene conto della condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo familiare. Il valore giornaliero non puo' essere inferiore alla somma indicata dall'art. 135 del codice penale e non puo' superare di dieci volte tale ammontare»). Alla luce di quanto sopra ritiene questo giudice che la attuale disciplina prevista dall'art. 459 c.p.p. sia sospetta di violare l'art. 3 della Costituzione in quanto, se appare pienamente condivisibile che la sanzione pecuniaria possa essere modulata in relazione alle condizioni economiche del reo, al fine di garantire analoga afflittivita' della stessa in relazione alla differente situazione patrimoniale dei singoli imputati, tale modulazione non puo' risentire della scelta del rito in modo da stravolgere totalmente il trattamento sanzionatorio in caso di emissione di decreto penale, con pena del tutto differente rispetto a quella che sarebbe applicabile in caso di rito ordinario. Si consideri infatti che: nel caso di emissione di decreto penale di condanna l'importo pecuniario varia entro un range edittale base con possibilita' di moltiplicarlo per tre (75-225), mentre in tutti i restanti casi di conversione di pena detentiva in pecuniaria l'importo pecuniario e' di importo comunque superiore e con possibilita' di moltiplicarlo per 10 (250 - 2500 euro), con differenza che non trova origine nella diversa natura dei fatti oggetto di giudizio. Il pubblico ministero, pertanto, ha la possibilita', con la scelta del rito (rimessa alla sua discrezionalita' la scelta se chiedere decreto penale o procedere diversamente), di determinare il tasso di conversione della pena sostanziale finale irroganda, quantomeno sotto il profilo di precludere all'imputato di fruire del particolare favore di cui all'art. 459 c.p.p. non chiedendo la emissione di decreto penale. nel caso di opposizione a decreto penale la pena pecuniaria che fosse irrogata in caso di condanna in sostituzione di quella detentiva avrebbe tasso di conversione da 250 a 25000 euro pro die, con pena che potrebbe essere moltissime volte quella portata dal decreto penale. Per un soggetto non abbiente che abbia commesso un reato con minimo edittale di trenta giorni, se si ipotizza emissione di decreto penale con pena dimezzata rispetto al minimo edittale e con conversione di 75 euro al giorno la pena sara' pari ad euro 1125 (15 gg × 75 euro); nel caso di condanna a pena convertita a seguito di dibattimento la pena minima sarebbe di 7500 euro (30gg × 250 euro). Per un soggetto molto abbiente la differenza e' ancora piu' macroscopica. Con un reato con minimo edittale di trenta giorni se si ipotizza emissione di decreto penale con pena dimezzata rispetto al minimo edittale e con conversione di 225 euro al giorno la pena minima con decreto penale sarebbe di euro 3.375 (15gg × 225 euro); nel caso di condanna a pena convertita a seguito di dibattimento la pena sarebbe di 75.000 euro (30×250×10). Nel caso di specie la pena irroganda con conversione ai minimi edittali e' pari ad euro 1425 (9 ×75 + 750) mentre in caso di opposizione condanna dibattimentale con conversione in pena pecuniaria la stessa sarebbe pari a non meno di euro 5600 (18 × 250 + 1100). Conseguenze che appaiono a questo giudice del tutto incompatibile con il criterio di eguaglianza e ragionevolezza, atteso che se ben la scelta di rito premiale o la acquiescenza allo stesso ben possono comportare una significativa riduzione della pena, una tanto macroscopica differenza appare non appare razionalmente correlabile alla mera non opposizione dell'imputato alla pronunzia emessa nei suoi confronti. Da notare poi che un simile effetto premiale non e' previsto per nessun altro rito alternativo, nemmeno per il patteggiamento ove pure l'imputato di fatto rinunzia a difendersi, solo concordando la pena con il pubblico ministero (peraltro con riduzione massima di 1/3, a fronte della possibilita' di riduzione fino a 1/2 prevista in caso di decreto penale). Non dirimente appare poi la considerazione che il giudice e' sempre chiamato ad effettuare un giudizio di congruita' della pena emessa in relazione al fatto oggetto del suo decidere. Il giudice, infatti, dovra' valutare la congruita' della pena originaria determinata dal pubblico ministero e la compatibilita' della conversione della pena detentiva in pecuniaria con le finalita' deterrenti e rieducative della pena ma, effettuate positivamente tali valutazioni, il tasso di conversione e' prefissato per legge ed appare parametrato alle condizioni economiche del reo, con le conseguenze di cui sopra. Quanto, poi, alla applicazione delle circostanze attenuanti generiche o alla parametrazione della pena all'interno del range edittale, si tratta di profili che valgono sia in relazione alla emissione di decreto penale che in relazione al giudizio dibattimentale, talche' non mutano il quadro di totale eterogeneita' delle pene possibili in relazione alle due possibilita' per come sopra evidenziato. Appare, poi, del tutto evidente, ad avviso di questo giudice, come non possa ritenersi compatibile con il fine rieducativo previsto dall'art. 27 della Costituzione la irrogazione di una pena pari anche a meno di 1/20 di quella irroganda all'esito di giudizio ordinario (v. esempio sopra 3.375 - 75.000 euro). La questione appare poi rilevante nel presente giudizio, inerendo la pena irroganda all'imputato ed evidenziato che dagli atti non emergono i presupposti per rigettare la richiesta del pubblico ministero sotto diverso profilo.