UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI VENEZIA Il Giudice di pace nel procedimento RGNR n. 2367/2014, Rg.GdP 393/2015, premesso che si procede penalmente nei confronti di B. M. nato a ... il ... per i fatti di cui alla seguente imputazione: 1) del reato p. e p. dagli articoli 81 comma 1 e 594 C. P. perche', a seguito della medesima condotta illecita offendeva l'onore e il decoro di R. S. proferendo nei confronti del predetto le seguenti espressioni: in data 8 settembre 2014 «coprofago, parassita, cornuto, becco»; in data 9 settembre 2014 «sei un coprofago, parassita e tutta la vita ti sara' un parassita»; in data 13 ottobre 2014» sei un cacasotto, parassita, pidocchio, piattola»; nonche' in data 21 ottobre 2014 sputandogli contro; fatti commessi nelle date sopraindicate; 2) del reato p. e p. dall'art. 595 codice penale per avere offeso la reputazione di R. S., scrivendo l'espressione «parassita» a lui riferita nel corpo di una missiva inviata a mezzo fax all'avv. V. F.; in Venezia in data 22 settembre 2014. che la fattispecie di reato di cui al procedimento in oggetto riguarda il reato di ingiurie ex art. 594 codice penale (oltre al reato di diffamazione ex art. 595 c.p.), che e' stato abrogato dall'art. 1, lettera c), del decreo legislativo n. 7 del 15 gennaio 2016 quale norma attuativa della legge delega n. 67 del 28 aprile 2014, art. 2, comma 3°; Considerato che il giudice procedente dubita della legittimita' costituzionale delle norme che hanno abrogato il suddetto reato di ingiuria punito dall'art. 594 cp; tanto premesso il giudice remittente osserva quanto segue. 1 - Inquadramento normativo. L'oggetto del giudizio riguarda il reato di ingiuria previsto e punito dall'art. 594 c.p.. Tale reato e' stato abrogato dell'art. lettera c), del decreto legislativo n. 7 del 15 gennaio 2016 quale norma attuativa della legge delega n. 67 del 28 aprile 2014, art. 2, comma 3. Di tali norme abrogative il remittente dubita della legittimita' costituzionale. Il testo dell'art. 594 codice penale cosi' disponeva: «chiunque offende l'onore o il decoro di una persona presente e' punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. La pena e' della reclusione fino a un anno o della multa fino a euro 1.032 se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato. Le pene sono aumentate qualora l'offesa sia commessa in presenza di piu' persone». Nel procedimento avanti al Giudice di Pace il suddetto reato era punito con la multa da euro 258,00 fino ad euro 2.582,00 ed era inserito nel Capo II, Titolo XII del Libro II del codice penale riguardante i delitti contro l'onore. L'onore costituisce uno dei beni fondamentali della persona umana riconosciuto tra i diritti inviolabili dell'uomo di cui all'art. 2 della Costituzione, nei quali sono compresi il diritto alla vita, all'incolumita' fisica e alla liberta' personale. La stessa Corte costituzionale infatti lo annovera tra i beni e gli interessi inviolabili in quanto essenzialmente connessiicon la persona umana (Corte costituzionale n. 86/1972 e n. 38/1973). Si tratta quindi di un bene giuridico ascritto nel rango dei diritti essenziali, assoluti, personali, non patrimoniali, inalienabili, intrasmissibili, imprescrittibili, originari e innati, ed e' estrinsecazione, nelle societa' democratiche, del fondamentale principio di uguaglianza di tutti gli esseri umani che trova le sue profonde radici nel principio del rispetto per ogni persona, per ogni essere umano, senza alcuna distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. In tale contesto il legislatore e' intervenuto emanando le due richiamate leggi ordinarie che hanno abrogato la norma penale preposta alla tutela del suddetto bene giuridico tutelato dagli articoli 2 e 3 della Costituzione, quale diritto inviolabile della persona. Il remittente dubita quindi della legittimita' costituzionale delle suddette disposizioni normative rispetto agli articoli 2 e 3 della Carta Costituzionale. Ulteriore profilo di dubbio della legittimita' costituzionale delle leggi ordinarie abrogative dell'art. 594 c.p., va espresso sotto l'aspetto della violazione dei principi fondamentali dell'unione europea alla quale l'Italia aderisce. L'art. 1 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione europea statuisce che «La dignita' umana e' inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata». La dignita', che costituisce espressione ampia dei concetti di onore, decoro e rispetto, entra quindi nel tessuto della Carta Costituzionale attraverso gli articoli 10 e 117 come uno dei beni fondamentali da rispettare e tutelare. Sotto questo ulteriore profilo il remittente dubita della legittimita' delle disposizioni normative sottoposte a scrutinio per la violazione degli articoli 10 e 117 della Costituzione. 2. Sulla rilevanza della questione. 2.1 - La questione di legittimita' costituzionale appare rilevante ai fini della decisione del presente giudizio sussistendo un nesso di pregiudizialita' necessaria tra il giudizio a quo ed il giudizio di legittimita' costituzionale. Ed invero nel vigente quadro normativo il giudice di pace sarebbe tenuto a dichiarare di non doversi procedere ex art. 129 codice di procedura penale dal reato di ingiurie perche' il fatto non e' piu' previsto dalla legge come reato. Tuttavia il dubbio di legittimita' costituzionale della norma abrogativa comporterebbe, in caso di declaratoria di illegittimita' costituzionale, la riespansione della rilevanza penale del comportamento oggetto del reato di ingiurie con conseguente obbligo per il giudice di celebrare il processo e di verificare in dibattimento la sussistenza o meno della fattispecie delittuosa che potrebbe comportare la condanna dell'imputato. Ne consegue che la questione di costituzionalita' della norma abrogativa del reato di ingiuria possiede una incidenza attuale nel procedimento a quo perche' ha ad oggetto la norma abrogativa del comportamento delittuoso in base al quale e' stato instaurato il presente giudizio nei confronti dell'imputato. 2.2 - La rilevanza della questione appare sussistere anche sotto il profilo delle norme penali di favore e precisamente di norme abrogative di ipotesi delittuose. Il remittente e' a conoscenza dell'indirizzo contrario alla sindacabilita' delle norme penali di favore, tuttavia lo scrivente ritiene che l'applicazione di tale orientamento porterebbe a conseguenze contrarie alla tutela della Costituzione. Si deve considerare infatti che se fosse preclusa la sindacabilita' delle norme penali di favore, i dubbi di legittimita' costituzionale sulle norme sicuramente applicabili nel giudizio a quo e ritenute dal giudice non manifestamente infondate, non potrebbero essere posti al sindacato della Corte con l'aberrante conseguenza che le norme penali di favore sfuggirebbero al controllo di costituzionalita' precludendo lo strumento atto a garantire la preminenza della Costituzione sulla legislazione statale ordinaria. Sul punto si richiama l'orientamento della Corte costituzionale (espresso a partire dalla sentenza n. 148/1983) in base al quale e' possibile esperire il sindacato di costituzionalita' anche sulle norme abrogative o che escludano la rilevanza penale di certi comportamenti poiche' non e' possibile concedere l'immunita' a nessuna tipologia di norme della legislazione ordinaria rispetto alla Carta Costituzionale. In tal senso si e' espressa anche la successiva giurisprudenza della Corte costituzionale affermando la sindacabilita' delle c.d. norme penali di favore ovvero di norme che stabiliscano, per determinati soggetti od ipotesi, un trattamento penalistico piu' favorevole di quello che risulterebbe dall'applicazione di norme generali e comuni (cfr. Corte costituzionale n. 394/2006). In tale decisione si e' altresi' precisato che la Corte non puo' certo configurare nuove norme penali, ma non le sono precluse «le decisioni ablative di norme che sottraggono determinati gruppi di soggetti o di condotte alla sfera applicativa di una norma comune o comunque piu' generale» con la sola conseguenza «dell'automatica riespansione della norma generale o comme, dettata dallo stesso legislatore, al caso gia' oggetto di una incostituzionale disciplina derogatoria» (c.f.r. Corte costituzionale n. 394/2006). Sotto tale profilo si richiama infatti la recente decisione della Corte costituzionale nella quale venne dichiarata l'incostituzionalita' della legge abrogativa del reato di associazione paramilitare, facendo rivivere la fattispecie penale (cfr. Corte costituzionale n. 5/2014). Alla luce di tale inquadramento il remittente ritiene quindi che alla Corte costituzionale non possa essere precluso lo scrutinio di costituzionalita' di qualsivoglia norma costitutiva o abrogativa di fattispecie emanata dal legislatore con la forma di legge ordinaria. 3. Sulla non manifesta infondatezza. Il requisito della «non manifesta infindatezza» della questione si ravvisa nell'effettiva e concreta consistenza della questione di legittimita' che si esprime nei seguenti termini. 3.1 - Un primo aspetto di non manifesta infondatezza va ricondotto al fatto che le disposizioni abrogative del reato per cui e' processo hanno determinato la fuoriuscita del bene dell'onore e del decoro dal sistema di tutela pubblicistica dei diritti fondamentali. Si osserva infatti che non ci sono diritti inviolabili di cui all'art. 2 della Costituzione che non siano protetti anche dalle norme penali, proprio in virtu' della massima tutela che ad essi viene garantita. La stessa Corte costituzionale ha infatti ritenuto che gli articoli 2, 3 e l'art. 13, primo comma, della Costituzione riconoscano e garantiscano i diritti inviolabili dell'uomo, fra i quali rientrano quelli del proprio decoro, del proprio onore, della propria rispettabilita', riservatezza, intimita' e reputazione, sanciti espressamente negli articoli 8 e 10 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo (cfr. Corte costituzionale n. 38/1973). Inoltre i concetti di onore e di decoro, uniti al concetto di reputazione, costituiscono tre fondamentali concetti che la giurisprudenza, la dottrina e anche le dottrine filosofiche, hanno ricondotto all'essenza concettuale del valore uomo identificato con il termine: dignita'. Il rispetto che ho per gli altri - scriveva Immanuel Kant - e' il riconoscimento della dignita' che e' negli altri. Ed e' proprio per dare un senso al «riconoscimento della dignita' che e' negli altri» che e' sorta la necessita' di tutelare normativamente la dignita' di ogni essere umano. Dignita' che e' tutelata come diritto fondamentale nella Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione europea di Nizza (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunita' europee del 18 dicembre 2000), che proclama nell'art. 1 che: «La dignita' umana e' inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata.» Proprio tale fonte norrnativa, recepita nella nostra Costituzione in forza degli articoli 10 e 117, riconduce il concetto di dignita' nel tessuto costituzionale rendendolo un diritto primo ed irrinunciabile della persona. Non solo, ma la dignita' come valore trova la propria implicita affermazione nel principio contenuto nell'art. 2 della Carta Costituzionale dove si stabilisce che: «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo.». In tale contesto si deve ritenere che la tutela dei diritti fondamentali ed inviolabili dell'essere umano, dei quali e' parte fondamentale il concetto di dignita' che comprende i concetti di onore e di decoro, possa essere garantita «sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita'» soltanto attraverso le norme penali, poiche' sono proprio le norme penali che sono poste, ontologicamente, a difesa dei diritti inviolabili dell'essere umano. Diritti inviolabili dell'essere umano che debbono essere tutelati dalle norme penali, sia per l'efficacia deterrente della sanzione penale, che per l'inadeguatezza delle sanzioni amministrative o civili che appaiono inconciliabili a prevenire, ricomporre o reprimere le condotte lesive dei diritti fondamentali. Nel caso di specie il legislatore ha approvato con legge ordinaria la contestuale abrogazione della fattispecie delittuosa dal codice penale ed ha introdotto una tutela privatistica del bene costituzionalmente protetto, utilizzando il medesimo testo del primo comma dell'art. 594 c.p., andando cosi' a degradare il reato che tutela un bene di rilevanza costituzionale ad un illecito civile sottoposto unicamente al nuovo istituto della sanzione pecuniaria civile (art. 4 del decreto legislativo n. 7/2016) e ledendo, ad avviso del remittente, gli articoli 2 e 3 della Costituzione posti a tutela dei diritti fondamentali della persona, universalmente riconosciuti. Inoltre tale normativa abrogativa, che ha cancellato la rilevanza penale di un diritto fondamentale della persona, appare incompatibile con i principi costituzionali espressi nell'art. 10 e nell'art. 117 della Carta Costituzionale poiche' la potesta' legislativa e' stata esercitata dallo Stato con legge ordinaria senza rispettare i vincoli e i principi derivanti dagli obblighi internazionali e dalle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, tanto da violare apertamente il principio fondamentale della dignita' umana espresso nell'art. 1 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione europea e gli artt. 8 e 10 della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo. 3.2 Un secondo aspetto di non manifesta infondatezza e' quello relativo all'instaurazione di una difforme tutela sostanziale di fattispecie inerenti il medesimo diritto fondamentale costituzionalmente tutelato, generando la violazione dell'art. 3 della Costituzione. Le norme oggetto di scrutinio di costituzionalita' hanno determinato, con l'avvenuta abrogazione dell'art. 594 c.p., una disparita' di trattamento con fattispecie criminose inerenti il medesimo diritto fondamentale costituzionalmente protetto come appare di incontestabile evidenza nel caso di specie. Ed invero l'art. 594 codice penale e l'art. 595 codice penale sono riconducibili alla stessa medesima ratio e allo stesso diritto fondamentale della dignita' della persona composta dall'onore, decoro, reputazione e rispettabilita', che trovano identica tutela codificata in due articoli differenti del codice penale in relazione alla presenza dell'offeso (nell'ipotesi di' ingiuria) o all'assenza dell'offeso (nell'ipotesi della diffamazione). Con l'abrogazione del reato di ingiuria la tutela del diritto inviolabile della dignita' nella sua declinazione dell'onore, decoro, rispettabilita' e' lasciata unicamente alla fattispecie di cui all'art. 595 codice penale e cioe' al medesimo fatto commesso in assenza dell'offeso, con evidente lesione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. Le norme abrogative hanno infatti reso penalmente irrilevante la stessa medesima condotta punita dall'art. 595 codice penale qualora questa si sia verificata in presenza dell'offeso. In altri termini se l'offeso non e' presente c'e' il reato (di diffamazione), mentre se l'offeso e' presente il reato non c'e'. La lesione del principio di uguaglianza espresso dall'art. 3 della Costituzione appare, ad avviso del remittente, fondata, poiche' nel caso di specie l'imputato deve rispondere del medesimo fatto avvenuto sia in presenza dell'offeso che in sua assenza. Ed invero per le frasi pronunciate dall'imputato e precisamente: «coprofago, parassita, cornuto, becco.. sei un coprofago, parassita e tutta la vita ti sara' un parassita.. sei un cacasotto, parassita, pidocchio, piattola», successivamente sputandogli addosso, la condotta e' penalmente lecita (perche' posta in essere in presenza dell'offeso); mentre per l'utilizzo della parola «parassita» (riportata nella lettera in assenza dell'offeso), la condotta e' penalmente illecita. Appare dunque contrastante con l'art. 3 della Costituzione il ritenere contemporaneamente una medesima condotta come penalmente lecita (quella punita dall'art. 594 codice penale) e come illecita (quella punita dall'art. 595 codice penale). 3.3 - Un terzo aspetto inerente la non manifesta infondatezza si riscontra sotto un ulteriore profilo. Esaminando l'ipotesi aggravata di cui al comma 4 dell'art. 594 codice penale che disponeva: «Le pene sono aumentate qualora l'offesa sia commessa in presenza di piu' persone», si comprende la disparita' di trattamento voluta dal legislatore ordinario attraverso l'abrogazione integrale del reato di ingiurie e mantenendo pero' il reato di diffamazione. La scelta di perseguire un fatto «comunicando con piu' persone» in assenza dell'offeso (diffamazione) e di non punire il medesimo fatto «Commesso in presenza di piu' persone» quindi in presenza dell'offeso (ingiuria), appare inugionevole, discriminante e in violazione dell'art. 3 della Costituzione. Basti pensare che rimane reato una lettera di lamentele inviata a Tizio e Caio sulle qualita' di Sempronio, mentre non e' piu' ipotesi di reato la lesione dell'onore e della dignita' di una persona che viene offesa e ingiuriata pubblicamente, in un convegno o in una trasmissione televisiva, perche' le piu' turpi, offensive e lesive frasi ingiuriose in presenza della persona offesa sono divenute penalmente lecite. Anche sotto quest'ultimo profilo il remittente dubita della legittimita' costituzionale delle norme abrogative del reato di ingiuria in quanto vi e' una intrinseca irragionevolezza nella norma oggetto di scrutinio di costituzionalita' perche' tratta in modo difforme fattispecie che hanno ad oggetto l'identico diritto fondamentale costituzionalmente tutelato, andando cosi' a ledere il principio di uguaglianza espresso dall'art. 3 della Costituzione. Alla luce delle ragioni sopra esposte il giudice rimettente ritiene di non poter prescindere dall'applicazione al caso di specie delle norme abrogative in oggetto che si ritiene debbano essere sottoposte al vaglio di costituzionalita'.