IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA PUGLIA Lecce - Sezione Terza ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 386 del 2018, proposto da Candita Tommaso, rappresentato e difeso dall'avvocato Euprepio Curto, con domicilio digitale come da P.E.C. da registri di giustizia; contro Agenzia delle dogane e dei monopoli - Ufficio dei monopoli per la Puglia, la Basilicata e il Molise - Sezione operativa territoriale di Brindisi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata ex lege in Lecce, Piazza S. Oronzo; per l'annullamento: del provvedimento n. 24 del 7 febbraio 2018 dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli - Ufficio dei monopoli per la Puglia, la Basilicata e il Molise - Sezione operativa territoriale di Brindisi; di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli - Ufficio dei monopoli per la Puglia, la Basilicata e il Molise - Sezione operativa territoriale di Brindisi; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 luglio 2018 la dott.ssa Maria Luisa Rotondano e uditi per le parti l'avvocato E. Curto e l'Avvocato dello Stato G. Marzo. Fatto e diritto 1. - Con l'atto introduttivo del presente giudizio, ritualmente notificato il 28 marzo 2018 e depositato il 12 aprile 2018, il ricorrente - gia' titolare di patentino per la vendita di generi di monopolio, nell'esercizio bar ubicato in Francavilla Fontana alla via Oria, n. 99 - ha impugnato, domandandone l'annullamento: 1) il provvedimento n. 24 del 7 febbraio 2018, con cui l'Agenzia delle dogane e dei monopoli - Ufficio dei monopoli per la Puglia, la Basilicata e il Molise - Sezione operativa territoriale di Brindisi, in riscontro all'istanza del 1° dicembre 2017 per il rinnovo biennale del citato patentino: «Atteso che il Consiglio di Stato nella sentenza n. 2028/15 ha motivato: "Il rinnovo non e' altro, in relazione alla durata biennale del titolo, che un rinnovato rilascio, onde devono logicamente ritenersi necessari a tal fini anche i presupposti normativi richiesti per quest'ultimo alla data in cui il rinnovo e' richiesto"; Visto l'ormai consolidato orientamento della giustizia amministrativa e da ultimo il Tribunale amministrativo regionale Lecce, con sentenza n. 2466/15, secondo cui il rinnovo del patentino non e' ancorato al solo profilo della verifica del reddito, ma costituisce un nuovo momento di valutazione di tutti i requisiti di legittimita' ed opportunita' del punto vendita; Vista la documentazione allegata all'istanza e valutati i dati riportati nella dichiarazione sostitutiva di atto notorio resa dall'istante che dichiarava, tra l'altro, "di non avere pendenze fiscali e/o morosita' verso l'Erario o verso il Concessionario della riscossione definitivamente accertate o risultanti da sentenze non impugnabili"; Vista la nota P.E.C. prot. n. 88059 del 18 dicembre 2017 con la quale si chiedeva all'Agenzia delle entrate - Riscossione, se il sig. Candita Tommaso "..... avesse pendenze fiscali e/o morosita' verso l'Erario o verso il Concessionario della Riscossione definitivamente accertate o risultanti da sentenze non impugnabili...." come dichiarato dallo stesso ai sensi dell'art. 11 del decreto del Presidente della Repubblica 20 ottobre 1998, n. 403; Vista la nota P.E.C. pervenuta da Agenzia entrate - Riscossione in data 20 dicembre 2017, assunta al prot. n. 88865», con la quale la stessa comunicava l'esistenza, a carico del ricorrente, di talune cartelle di pagamento; «Viste le osservazioni pervenute in data 15 gennaio 2018» (da cui risulta, per talune cartelle l'avvenuta presentazione della domanda di definizione agevolata, per altra cartella la proposizione di ricorso, e per altre ancora l'intenzione di presentare - «sara' presentata» - domanda di definizione agevolata) e «.... Considerato che la succitata documentazione non ha fornito elementi nuovi, tali da consentire una rivalutazione della decisione presa; Considerato quanto emerso dal controllo della veridicita' presso l'Agente della riscossione in merito a quanto dichiarato nell'atto notorio presentato ovvero la presenza di pendenze verso il Concessionario; Considerato che nell'atto notorio la presenza di tali situazioni debitorie non regolarizzate non erano state segnalate al punto 7) dello stesso; Considerato, pertanto, che il Titolare dell'autorizzazione e' incorso in quanto previsto dall'art. 76 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000 in merito ad una dichiarazione risultata non veritiera"; ha determinato la reiezione dell'istanza di rinnovo del patentino (di cui in premessa) e la contestuale soppressione del patentino n. 200094/BR di che trattasi; 2) ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale. A sostegno dell'impugnazione interposta ha dedotto: 1) difetto e carenza di motivazione, violazione e falsa applicazione dell'art. 76 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000; 2) eccesso di potere sotto il profilo del travisamento dei fatti e illogicita' manifesta; 3) violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalita'. Si e' costituita in giudizio, per il tramite dell'Avvocatura distrettuale erariale, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli - Ufficio dei monopoli per la Puglia, la Basilicata e il Molise - Sezione operativa territoriale di Brindisi, contestando in toto le avverse pretese e chiedendo la reiezione del gravame. Con «memoria conclusionale» depositata agli atti del giudizio in data 29 maggio 2018, parte ricorrente ha prospettato dubbi di costituzionalita' in ordine all'art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000, chiedendo che l'adito Tribunale voglia, «in qualsiasi caso, in relazione alla natura e agli effetti dell'art. 76 decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000, e, piu' complessivamente, all'intera normativa applicata, dichiarare esistenti profili di dubbia costituzionalita'». Alla pubblica udienza del 3 luglio 2018, su richiesta di parte, la causa e' stata introitata per la decisione. 2. - Rileva, innanzitutto, il Collegio che l'impugnato diniego risulta motivato dalla pubblica amministrazione resistente sulla scorta dell'omessa dichiarazione, da parte dell'istante, di taluni debiti verso l'Erario (e cioe', la preesistenza di talune cartelle di pagamento, come risultante dalla nota P.E.C. pervenuta dall'Agenzia delle entrate - Riscossione in data 20 dicembre 2017 e viste le osservazioni ricevute in data 15 gennaio 2018, da cui risulta, per talune cartelle l'avvenuta presentazione della domanda di definizione agevolata, per altra cartella la proposizione di ricorso, e per altre ancora l'intenzione di presentare domanda di definizione agevolata, omettendo qualsiasi valutazione sull'entita' - minima o meno - dei relativi importi e, quindi, in maniera del tutto automatica), ai sensi, sostanzialmente (a ben vedere), dell'art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000 n. 445. E' opportuno rammentare che l'art. 75 («Decadenza dai benefici») del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 («Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa») dispone che: «1. Fermo restando quanto previsto dall'art. 76, qualora dal controllo di cui all'art. 71 emerga la non veridicita' del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera». La granitica giurisprudenza formatasi in «subiecta materia» (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sezione Quinta, 9 aprile 2013, n. 1933) ha osservato che il su riportato art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000 «si inserisce in un contesto in cui alla dichiarazione sullo status o sul possesso di determinati requisiti e' attribuita funzione probatoria, da cui il dovere del dichiarante di affermare il vero. Ne consegue che la dichiarazione "non veritiera" al di la' dei profili penali, ove ricorrano i presupposti del reato di falso, nell'ambito della disciplina dettata dalla legge n. 445 del 2000, preclude al dichiarante il raggiungimento dello scopo cui era indirizzata la dichiarazione o comporta la decadenza dall'utilitas conseguita per effetto del mendacio». Pertanto, «In tale contesto normativo, in cui la "dichiarazione falsa o non veritiera" opera come fatto, perde rilevanza l'elemento soggettivo ovvero il dolo o la colpa del dichiarante» (Consiglio di Stato, Sezione Quinta, cit., n. 1933/2013), «poiche', se cosi' fosse, verrebbe meno la ratio della disciplina che e' volta a semplificare l'azione amministrativa, facendo leva sul principio di autoresponsabilita' del dichiarante» (Consiglio di Stato, Sezione Quinta, 27 aprile 2012, n. 2447): sicche' ogni eventuale ulteriore circostanza, «senz'altro rilevante in sede penale, in quanto ostativa alla configurazione del falso ideologico, attesa la mancanza dell'elemento soggettivo, ovvero della volonta' cosciente e non coartata di compiere il fatto e della consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero, non assume rilievo nell'ambito della legge n. 445 del 2000, in cui il mendacio rileva quale inidoneita' della dichiarazione allo scopo cui e' diretto» (Consiglio di Stato, Sezione Quinta, cit., n. 1933/2013). Ai sensi della normativa generale di cui all'art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, quindi, «la non veridicita' di quanto autodichiarato rileva sotto un profilo oggettivo e conduce alla decadenza dei benefici ottenuti con l'autodichiarazione non veritiera»; cosi' la sentenza 13 settembre 2016, n. 9699) (T.A.R. Lazio, Roma, Sezione Terza ter, 24 maggio 2017, n. 6207), «senza che tale disposizione lasci margine di discrezionalita' alle Amministrazioni (cfr. ad es. CdS 1172\2017)» (T.A.R. Liguria, Genova, Sezione Prima, 14 giugno 2017, n. 534). In definitiva, per effetto della suddetta esegesi consolidata (tale da assurgere al rango di «diritto vivente», sicche' neppure e' possibile per il Tribunale operare una c.d. «interpretazione costituzionalmente conforme»): l'applicazione dell'art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000 comporta l'automatica decadenza dal beneficio eventualmente gia' conseguito, non residuando, nell'applicazione della predetta norma, alcun margine di discrezionalita' alle PP.AA. che, in sede di controllo (d'ufficio) ex art. 71 del medesimo Testo Unico, si avvedano della (oggettiva) non veridicita' delle autodichiarazioni, posto che tale norma prescinde, per la sua applicazione, dalla condizione soggettiva del dichiarante, attestandosi (unicamente) sul dato oggettivo della non veridicita', rispetto al quale risulta, peraltro, del tutto irrilevante il complesso delle giustificazioni addotte dal dichiarante medesimo; parimenti, tale disposizione, nel contemplare la decadenza dai benefici conseguenti al provvedimento emanato sulla base delle dichiarazioni non veritiere, impedisce (ovviamente e a fortiori, come nel caso di specie) anche l'emanazione del provvedimento (ampliativo) di accoglimento dell'istanza tendente ad ottenere i benefici dalla pubblica amministrazione. 3. - Tuttavia, la predetta norma (art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000), intesa alla stregua dell'illustrato «diritto vivente», nel suo meccanico automatismo legale (del tutto decontestualizzato dal caso specifico) e nella sua assoluta rigidita' applicativa (che non conosce eccezioni), sembra al Collegio incostituzionale, per violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalita' e uguaglianza sanciti dall'art. 3 della Costituzione. 4. - Ed invero, «il giudizio di ragionevolezza, lungi dal comportare il ricorso a criteri di valutazione assoluti e astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalita' rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalita' che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti. Sicche', ... l'impossibilita' di fissare in astratto un punto oltre il quale scelte di ordine quantitativo divengono manifestamente arbitrarie e, come tali, costituzionalmente illegittime, non puo' essere validamente assunta come elemento connotativo di un giudizio di merito, essendo un tratto che si riscontra ... anche nei giudizi di ragionevolezza. Del resto, ..., le censure di merito non comportano valutazioni strutturalmente diverse, sotto il profilo logico, dal procedimento argomentativo proprio dei giudizi valutativi implicati dal sindacato di legittimita', differenziandosene, piuttosto, per il fatto che in quest'ultimo le regole o gli interessi che debbono essere assunti come parametro del giudizio sono formalmente sanciti in norme di legge o della Costituzione» (Corte costituzionale, 22 dicembre 1988, n. 1130). In conclusione: per un verso, il giudizio di ragionevolezza della norma di legge deve essere necessariamente ancorato al criterio di proporzionalita', rappresentando quest'ultimo «diretta espressione del generale canone di ragionevolezza (ex art. 3 Cost.)» (Corte costituzionale, 1° giugno 1995, n. 220); per altro verso, la ragionevolezza va intesa come forma di razionalita' pratica (tenuto conto, appunto, «delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti» - Corte costituzionale, cit., n. 1130/1988), non riducibili alla mera (e sola) astratta razionalita' sillogistico - deduttiva e logico - formale, laddove (invece) la ragione (pratica e concreta) deve essere aperta all'impatto che su di essa esplica il caso, il fatto, il dato di realta' (che diventa esperienza giuridica), solo cosi' potendo (doverosamente) valutarsi l'adeguatezza del mezzo al fine, la ragionevolezza «intrinseca», in uno agli (eventuali) esiti ed effetti sproporzionati e/o paradossali che possono concretamente derivare da una regola generale apparentemente ed astrattamente logica. In tal senso, il giudizio di ragionevolezza, lungi dal limitarsi alla (sola) valutazione della singola situazione oggetto della specifica controversia da cui sorge il giudizio incidentale di legittimita' costituzionale, si appalesa idoneo (traendo spunto da quest'ultima) a vagliare gli effetti della legge sull'intera realta' sociale che la legge medesima e' chiamata a regolare, anche in funzione dell'«"esigenza di conformita' dell'ordinamento a valori di giustizia e di equita'" ... ed a criteri di coerenza logica, teleologica .... , che costituisce un presidio contro l'eventuale manifesta irrazionalita' o iniquita' delle conseguenze della stessa» (sentenza n. 87 del 2012)» (Corte costituzionale, sentenza 10 giugno 2014, n. 162). E tanto anche confrontando i benefici che derivano dall'adozione, per dir cosi', «neutra» del provvedimento con i suoi «costi», e valutando l'eventuale inadeguata penalizzazione degli altri diritti e interessi di rango costituzionale contestualmente in gioco (bilanciamento). 5. - Orbene, l'illustrata fattispecie di «automatismo legislativo» di cui all'art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000, intesa alla stregua del «diritto vivente», non sfugge, ad avviso meditato del Collegio, a forti dubbi di incostituzionalita' per violazione dei principi di proporzionalita', ragionevolezza e uguaglianza, di cui all'art. 3 della Costituzione. 5.1 - Ed invero, le conseguenze decadenziali (definitive) dal beneficio (peraltro, latu sensu sanzionatorie), legate alla non veridicita' obiettiva della dichiarazione, e, a fortiori, l'impedimento a conseguire il beneficio medesimo, ai sensi del citato art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000, appaiono al Tribunale irragionevoli e incostituzionali, contrastando con il principio di proporzione, che e' alla base della razionalita' che, a sua volta, informa il principio di uguaglianza sostanziale, ex art. 3 della Costituzione. E tanto ove si considerino (innanzitutto e in via dirimente) il meccanico automatismo legale (del tutto «slegato» dalla fattispecie concreta) e l'assoluta rigidita' applicativa della norma in questione, che (da un lato) impone tout court (senza alcun distinguo, ne' gradazione) la decadenza dal beneficio (o l'impedimento al conseguimento dello stesso), a prescindere dall'effettiva gravita' del fatto contestato (sia per le fattispecie in cui la dichiarazione non veritiera riveste un'incidenza del tutto marginale rispetto all'interesse pubblico perseguito dalla pubblica amministrazione, sia per quelle nelle quali tale dichiarazione risulta in netto contrasto con tale interesse, riservando, quindi, il medesimo trattamento a situazioni di oggettiva diversa gravita'), e (dall'altro) non consente di escludere nemmeno le ipotesi di non veridicita' delle autodichiarazioni su aspetti di minima rilevanza concreta, con ogni possibile (e finanche prevedibile) abnormita' e sproporzione delle relative conseguenze, rispetto al reale disvalore del fatto commesso. 5.2 - Sotto altro profilo, inoltre, l'assoluta rigidita' applicativa dell'art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000 appare eccessiva, in quanto non consente (parimenti irragionevolmente e inadeguatamente) di valutare l'elemento soggettivo (dolo - la c.d. coscienza e volonta' di immutare il vero - ovvero colpa, grave o meno - nell'ipotesi di fatto dovuto a mera leggerezza o negligenza dell'agente) della dichiarazione (oggettivamente) non veritiera, nella naturale (e contestuale) sede del procedimento amministrativo (o anche, laddove la pubblica amministrazione lo ritenga, nell'ambito del pertinente giudizio penale). 5.3 - Ne' puo' ritenersi che i suddetti dubbi di costituzionalita' possano essere superati facendo leva sulla ratio sottesa alla disposizione di che trattasi, rinvenibile, secondo il diritto «vivente» (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, Sezione Quinta, cit., n. 2447/2012), nel principio generale di semplificazione amministrativa (cui si accompagna l'affermazione dell'autoresponsabilita' - «oggettiva» - del dichiarante). E' ben vero, infatti, che l'art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000 debba qualificarsi quale norma generale di semplificazione amministrativa. Tuttavia, proprio in quanto tale, la suddetta norma, se, da un lato, e' sicuramente volta a rendere piu' efficiente ed efficace l'azione dell'Amministrazione pubblica (buon andamento, ai sensi dell'art. 97 della Costituzione), dall'altro e' (altrettanto inequivocabilmente) finalizzata a garantire i diritti dei singoli costituzionalmente tutelati e di volta in volta coinvolti nel procedimento amministrativo attivato (e nell'ambito del quale sono state rese le autodichiarazioni medesime): si pensi, ad esempio, al diritto allo studio (art. 34), al diritto alla salute (art. 32), al diritto al lavoro (articoli 4 e 35), al diritto all'assistenza sociale (art. 38), al diritto di iniziativa economica privata (art. 41, come nel caso di specie). Sicche', anche nella prospettiva del necessario bilanciamento degli interessi costituzionali coinvolti (nonche' della massima espansione possibile delle relative tutele), il rigido automatismo applicativo (in uno ai correlati e definitivi effetti preclusivi e/o decadenziali) si rivela, in concreto, lesivo del doveroso equilibrio fra le diverse esigenze in gioco, e persino tale da pregiudicare definitivamente proprio quei diritti costituzionali del singolo alla cui migliore e piu' rapida realizzazione la norma di semplificazione de qua e', in definitiva, finalizzata. E tanto vieppiu' allorche' si consideri che l'art. 40 («Certificati») del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 («Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa»), come modificato dall'art. 15, comma 1, lettera a), legge 12 novembre 2011, n. 183, ha disposto che «01. Le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione in ordine a stati, qualita' personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati. Nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorieta' sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47» e che «02. Sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati e' apposta, a pena di nullita', la dicitura: "Il presente certificato non puo' essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi"»: sicche', in definitiva, essendo il privato obbligato, e non piu' (meramente) facultato, a presentare alle PP.AA. le «dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47», la semplificazione de qua si risolve, in ultima analisi, per un verso, nella (sicura) diminuzione degli adempimenti a carico dell'amministrazione pubblica (a fronte dei controlli d'ufficio, «anche a campione», ai sensi dell'art. 71 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000), e, per altro verso, nell'eccessiva (considerate le conseguenze automatiche derivanti dall'eventuale dichiarazione non veritiera, ex art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000) autoresponsabilita' («oggettiva») del privato medesimo. 6. - Pertanto, rispetto ad una disposizione - l'art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000 -, nel significato in cui essa «vive» nella (costante) applicazione giudiziale, il Collegio non puo' che sollevare la questione di legittimita' costituzionale, tenuto conto, per quanto innanzi esposto, che la stessa appare non superabile in via interpretativa (in ragione, appunto, del «diritto vivente») e non manifestamente infondata. 7. - Inoltre, l'intervento del Giudice delle leggi appare assolutamente necessario nella presente controversia, non potendosi prescindere dalla definizione (necessariamente e logicamente pregiudiziale) di tale questione ai fini della decisione del presente giudizio (in cui viene all'esame, per l'appunto, una fattispecie nella quale la pubblica amministrazione ha fatto pedissequa ed automatica applicazione della norma in questione, a prescindere da qualsivoglia valutazione in ordine all'entita' - minima o meno - dei debiti erariali emersi nel caso concreto), in quanto, nell'ipotesi in cui il citato art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000 dovesse essere dichiarato incostituzionale, verrebbe meno l'unico presupposto normativo posto, sostanzialmente (a ben vedere), a fondamento del gravato diniego, nel mentre, in caso contrario, il gravame sarebbe infondato alla stregua delle censure formulate dalla parte ricorrente. 8. - Il Collegio, in conclusione, ritiene che la questione di legittimita' costituzionale, per contrasto con i principi di ragionevolezza, proporzionalita' e uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, sia rilevante (sussistendo, appunto, il nesso di assoluta pregiudizialita' tra la soluzione della prospettata questione di legittimita' costituzionale e la decisione del presente giudizio) e non manifestamente infondata, e debba, conseguentemente, essere rimessa all'esame della Corte costituzionale, mentre il giudizio in corso deve essere sospeso fino alla decisione della Consulta.