Ricorso ex art. 127, comma 2, Cost. della  Regione  Piemonte,  in
persona del Presidente pro  tempore,  autorizzato  con  deliberazione
della giunta regionale del 18 gennaio 2019 n. 5-8301, rappresentata e
difesa, come da procura speciale in calce al presente atto, dall'avv.
Prof. Ugo Mattei e dall'avv. Giovanna Scollo con domicilio eletto  in
Roma presso lo studio dell'avv. Gabriele Pafundi, corso Giulio Cesare
n. 14; 
    Contro il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  pro  tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  presso
la quale e' domiciliato ex lege in Roma, alla via dei  Portoghesi  n.
12; 
    Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'intero
decreto-legge 4 ottobre 2018 n.  113,  convertito  con  modificazioni
dalla legge di conversione 1° dicembre 2018 n. 132 (di seguito  anche
il «Decreto») recante «Disposizioni urgenti in materia di  protezione
internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica nonche' misure  per
la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione  e  il
funzionamento  dell'Agenzia  Nazionale  per  l'Amministrazione  e  la
destinazione dei beni  sequestrati  e  confiscati  alla  criminalita'
organizzata»  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  n.  281  del  3
dicembre 2018 per violazione, tanto unitamente quanto disgiuntamente,
dell'art. 1 Cost.; dell'art. 2 Cost.; dell'art. 3 Cost.; dell'art.  5
Cost.; dell'art. 10 Cost.; dell'art. 13, comma 1 Cost.; dell'art. 14,
comma 1 Cost.; dell'art. 16,  comma  1  Cost.;  dell'art.  70  Cost.;
dell'art. 72 Cost.; dell'art. 77 Cost.; dell'art. 117, commi 1, 2, 3,
4 e 7 Cost.; dell'art. 118 Cost.; dell'art. 119, comma 5 Cost.; e, in
subordine, oltre alle  pregiudiziali  idonee  a  travolgere  l'intero
decreto, la Regione Piemonte chiede: 
        in riferimento al trattamento  di  stranieri  in  pregiudizio
delle  proprie  competenze,  la   dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale degli articoli 1, 9, 12, commi 5 e 6, 13  e  14  dello
stesso decreto, anche  nell'ipotesi  di  accoglimento  delle  censure
generali, con conseguente sua possibile riproposizione per violazione
dell'art. 2 Cost.; dell'art. 3 Cost.; dell'art. 10  Cost.;  dell'art.
32 Cost.; dell'art. 38  Cost.;  dell'art.  97  Cost.;  dell'art.  114
Cost.; dell'art. 117, comma 1 in relazione agli articoli 2, 3, 5,  6,
8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo
e delle liberta' fondamentali  (CEDU),  e  commi  3,  4  e  7  Cost.;
dell'art. 118 Cost.; dell'art. 119 Cost.; 
        in  riferimento  al  trattamento   di   soggetti   deboli   e
vulnerabili in pregiudizio delle proprie competenze, la dichiarazione
di illegittimita' costituzionale degli articoli 21 comma 1, lett. a),
30 commi 1 e 31-ter per violazione dell'art.  2  Cost.;  dell'art.  3
Cost.; dell'art. 10 Cost.; dell'art. 32 Cost.;  dell'art.  42  Cost.;
dell'art. 47, comma 2 Cost.; dell'art. 97 Cost.; dell'art. 117, comma
1 in relazione all'art. 8 CEDU, e commi 2, 3 e 4 Cost.; dell'art. 118
Cost.; dell'art. 119, comma 5 Cost.; nei modi  e  per  i  profili  di
seguito illustrati. 
 
                               Indice 
 
    1. Introduzione 
    2.   Sull'ammissibilita'   delle   questioni   di    legittimita'
costituzionale qui sollevate 
    3. In via generale e pregiudiziale: sulla violazione dell'art. 77
Cost., e sulla conseguente illegittimita' dell'intero decreto e della
relativa legge di conversione 
    4. Sulle singole disposizioni del decreto n. 113/2018 che violano
le  competenze   regionali   e   che   introducono   un   trattamento
discriminatorio degli stranieri 
      (A) Sull'abolizione del permesso di  soggiorno  per  protezione
umanitaria 
      (B) Sugli interventi in materia di accoglienza 
      (C) Sul divieto di iscrizione all'anagrafe 
      (D) Sull'ottenimento e la revoca della cittadinanza italiana 
    5. Sulle singole disposizioni del decreto n. 113/2018 che violano
le  competenze   regionali   e   che   introducono   un   trattamento
discriminatorio  delle  persone  in  situazione  di  poverta'  e   di
marginalita' sociale 
      (A) Sull'estensione del DASPO urbano ai presidi sanitari 
      (B) Sulle misure relative ai  casi  di  occupazioni  per  scopo
abitativo 
1. Introduzione 
    2.  Si  sperava  di  non  dover  vedere  mai  piu',   nell'Italia
repubblicana nata dalla Resistenza antifascista,  scene  come  quelle
andate in onda, proprio intorno al Giorno della Memoria, al  CARA  di
Castelnuovo di Porto, dove  numerosi  migranti  di  colore,  donne  e
bambini inclusi, gia' integrati nel territorio, sono  stati  caricati
su autobus e deportati in localita' loro ignote. Si e'  trattato  del
primo esempio di applicazione pratica del c.d. Decreto Salvini, norme
che vanno cancellata dal nostro diritto positivo perche' mostrano  le
caratteristiche devastanti di un virus letale per  il  nostro  ordine
democratico. 
    3. Con il decreto-legge n. 113 del 4 ottobre 2018  -  convertito,
con modifiche, nella legge n.  132/2018,  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale, Serie generale, n. 281 del 3 dicembre 2018 - il Governo ha
introdotto, invocando un caso straordinario di necessita' e  urgenza,
dovuto  ad  asserite  ragioni  di  tutela  della  «sicurezza»   della
popolazione italiana, un numero rilevante di disposizioni incidenti -
in  misura,  come  si   vedra',   significativa   sulla   «protezione
internazionale e [l']immigrazione, [la]  sicurezza  pubblica  nonche'
... la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione  e
il funzionamento dell'Agenzia Nazionale per  l'Amministrazione  e  la
destinazione dei beni  sequestrati  e  confiscati  alla  criminalita'
organizzata». 
    4. Si tratta, invero, di una congerie eterogenea di norme  che  -
nel loro insieme - rispondono a un preciso indirizzo di politica  del
diritto,  determinando  una  riforma  organica  della  disciplina  in
materia di «protezione internazionale[,] immigrazione  [e]  sicurezza
pubblica» (cosi' l'intitolazione del  decreto-legge).  Tale  congerie
normativa, imposta al Paese attraverso la  decretazione  d'urgenza  e
l'imposizione  della  fiducia,  costituisce  la  concretizzazione  in
termini giuridici  di  una  precisa  strategia  politica  xenofoba  e
securitaria su cui una componente della maggioranza di governo  fonda
il proprio consenso elettorale. La concretizzazione normativa di tale
intento politico di parte fa strame di valori fondamentali del nostro
sistema costituzionale che codesta Corte costituzionale e' preposta a
garantire. La Regione Piemonte, che a codesta Corte ricorre,  ritiene
che tale riforma, oltre a essere ispirata  a  un  disegno  gravemente
incostituzionale di  limitazione  dei  diritti  delle  persone  e  di
marginalizzazione (per non dire vera e  propria  «criminalizzazione»)
dello straniero e di quanti, piu' in  generale,  si  trovino  in  una
condizione di vulnerabilita' sociale, incide in modo rilevante  sulle
prerogative costituzionali delle regioni e degli enti  locali  (cosi'
come definite dagli articoli 117-118 Cost.). Regioni ed  enti  locali
cui spetta tra l'altro - il compito costituzionale di «rimuovere  gli
squilibri economici e sociali [e] favorire l'effettivo esercizio  dei
diritti della persona» (art. 119, comma 5 Cost.) e che sono  elementi
costitutivi e parti integranti essenziali dell'ordinamento  giuridico
della Repubblica (articoli 114 e 117 Cost.),  intesa  non  solo  come
«Stato apparato», ma anche  e  soprattutto  come  «Stato  comunita'»,
scosso da questo decreto  nei  capisaldi  dell'ordinamento  giuridico
repubblicano. 
    5. La Regione, infatti,  come  parte  dello  Stato  comunita'  e'
chiamata  a  provvedere  (sia   in   virtu'   di   precisi   obblighi
costituzionali,  sia  in  quanto  leale  interprete   dello   spirito
solidaristico che informa tanto i principi generali quanto lo  stesso
Titolo V) alle esigenze sottese a un disegno costituzionale sociale e
inclusivo e non deve esser costretta a partecipare,  con  le  proprie
risorse e la propria organizzazione,  al  perseguimento  del  disegno
incostituzionale (in quanto xenofobo  ed  escludente)  di  una  parte
politica che pro tempore riesce a determinare, in modo abusivo,  come
si dimostrera'  piu'  avanti,  il  processo  di  normazione  statale.
Occorre osservare che la riforma del Titolo V, seppur redatta  in  un
momento storico e in  un  clima  politico  profondamente  diverso  da
quello del 1948, non ne ha  tradito  gli  ideali  di  inclusivita'  e
solidarieta' sociale di cui in particolare agli articoli 2 e 3  Cost.
In  effetti,  il  quinto  comma  dell'art.   119   mostra   come   il
perseguimento di  tali  obiettivi  sia  un  mandato  per  cosi'  dire
costituzionalmente rinforzato, anche nei termini materiali e fattuali
che, secondo l'art. 3, comma 2 Cost., incombe su tutta la  Repubblica
e quindi anche sulle regioni. Per favorire il perseguimento materiale
di tali scopi solidaristici, come  si  precisera'  di  seguito,  sono
infatti necessarie risorse economiche aggiuntive che lo Stato mette a
disposizione delle regioni «per promuovere la solidarieta'  sociale»,
«per rimuovere gli squilibri economici e sociali» e per «favorire gli
effettivi diritti della persona» (si noti, non  del  solo  cittadino:
anche dello straniero). 
    6. La riforma introdotta con il  decreto  non  e'  suffragata  da
alcuna ragione,  ne'  di  fatto  ne'  di  diritto,  coerente  con  il
programma  della  nostra  vigente  Costituzione  che  codesta   Corte
costituzionale ha il potere/dovere di difendere  come  fonte  suprema
del diritto (art. 134). Essa  intende  i  flussi  migratori  come  un
fenomeno  necessariamente  dannoso,  che   richiede   un   intervento
preventivo, diretto a impedire nuovi arrivi sulle  coste  del  nostro
Paese. I dati, tuttavia, descrivono uno scenario opposto a quello che
ha motivato l'azione legislativa, dal momento che gli sbarchi si sono
ridotti addirittura dell'80% nel 2018 rispetto al 2017 (1) . Inoltre,
la riforma, pur essendo stata adottata tramite decreto-legge, non  e'
suffragata da quelle  effettive  e  reali  ragioni  di  necessita'  e
urgenza che impone l'art. 77 Cost. e che codesta Corte ha specificato
nella sua giurisprudenza, ormai consolidata. Le  urgenti  ragioni  di
sicurezza pubblica, pertanto, sono prive di ogni fondamento, fattuale
e giuridico. 
    7. Per i suddetti motivi - che verranno sviluppati e approfonditi
nel prosieguo del presente  ricorso  -  la  Regione  Piemonte  si  e'
determinata a impugnare davanti a codesto Giudice  costituzionale  il
decreto-legge n. 113/2018 (ora convertito nella legge n. 132/2018)  -
nell'intero testo e, in subordine,  limitatamente  alle  disposizioni
indicate in epigrafe - facendo cosi' valere  le  proprie  prerogative
costituzionali di cui all'art. 117 Cost., nonche' quelle  degli  enti
locali presenti sul suo territorio di cui agli  articoli  114  e  118
Cost.; e, piu' in generale, esercitando  il  «dovere  di  resistenza»
presente in capo a tutti gli enti costitutivi della Repubblica (oltre
che ai singoli cittadini e alle formazioni sociali)  a  fronte  della
violazione di principi fondamentali dell'ordinamento  costituzionale,
a partire dal principio di solidarieta' di cui all'art. 2 Cost.,  che
- in base al disegno dei Costituenti - deve conformare la  Repubblica
italiana e la «comunita' nazionale» in tutte  le  sue  articolazioni,
sociali e territoriali. 
    8.   Sull'ammissibilita'   delle   questioni   di    legittimita'
costituzionale qui sollevate. 
    9. Prima di soffermarsi  sul  merito  delle  singole  censure  di
costituzionalita' del decreto, e' fondamentale evidenziare le ragioni
di ammissibilita'  delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale
sollevate con il presente ricorso. 
    10. In relazione al giudizio di  legittimita'  costituzionale  in
via principale ex art.  127  Cost.,  codesta  Corte  afferma  che  le
regioni possono far valere la violazione: 
        11.  diretta  delle  norme  costituzionali   riguardanti   le
competenze  proprie  delle  regioni  stesse  (censure  di  violazione
diretta, appunto, degli articoli 117 e ss. Cost.), nonche'; 
        12. delle norme costituzionali diverse da quelle  riguardanti
le competenze delle regioni, purche' tale violazione si riverberi - o
«ridondi», usando le stesse parole della  Corte  -  sulle  competenze
medesime (ledendole quindi in via indiretta: per quanto  precede,  ex
multis, sentenze nn. 33/2011, 46/2013,  220/2013,  22/2012,  80/2012,
199/2012). 
    13. Con riferimento al profilo indicato  sub  (a),  e'  d'obbligo
rilevare, peraltro, come la Carta costituzionale non limiti  al  solo
art. 117 Cost. la definizione delle competenze proprie delle  regioni
e degli enti locali, disegnando piuttosto un  ordinamento  nel  quale
tutte le articolazioni territoriali della Repubblica sono chiamate  a
tutelare i diritti  dei  singoli  e  delle  formazioni  sociali  e  a
promuovere lo  sviluppo  della  persona  umana.  In  tale  direzione,
codesta Corte ha nel tempo opportunamente messo in luce,  oltre  alla
tradizionale dimensione dello «Stato-apparato»,  l'esistenza  di  uno
«Stato-comunita'», inteso come «comunita' di  diritti  e  di  doveri»
(sentenza n. 172/1999, seguita di recente dalle sentenze n.  309/2013
e n. 119/2015, che hanno reinterpretato in chiave evolutiva l'art. 52
Cost.). Ma - preme qui evidenziare - e' nello stesso Titolo  V  della
Parte II della  Carta  costituzionale  (le  cui  norme  rappresentano
l'ordinario parametro di legittimita'  nell'ambito  del  giudizio  di
costituzionalita' in via principale davanti a codesta  Corte),  cosi'
come riformato dalla Cost. 3/2001  -  e  precisamente  nella  lettera
dell'art. 119, comma 5 - che si rinviene  l'esplicito  riconoscimento
della competenza delle regioni e degli enti locali a  «promuovere  lo
sviluppo  economico,  la  coesione  e  la  solidarieta'  sociale»,  a
"rimuovere  gli  squilibri  economici   sociali»,   e   a   «favorire
l'effettivo esercizio dei diritti della persona». Invero, se lo Stato
- in base alla disposizione costituzionale qui richiamata -  «destina
risorse aggiuntive ed  effettua  interventi  speciali  in  favore  di
determinati  Comuni,  Province,  Citta'  metropolitane   e   regioni»
indirizzati a tali specifici scopi, e' evidente che  «a  monte»  tali
scopi rientrano a pieno titolo nella competenza  istituzionale  degli
enti territoriali. Percio' (come si precisera'  appresso),  norme  di
legge statale che - come quelle del decreto impugnato - si pongano in
contrasto  con  questi   obiettivi   costituzionali   («generali»   e
«trasversali» alla Repubblica, si potrebbe dire) e ne impediscano  il
raggiungimento, sono senz'altro lesive delle competenze delle regioni
e degli enti locali. 
    14.  Con  riferimento  al  profilo  indicato  sub   (b)   (ovvero
l'ammissibilita'  di  censure  relative  alla  violazione  di   norme
costituzionali diverse da  quelle  riguardanti  le  competenze  delle
regioni), codesta Corte "ha ammesso, con giurisprudenza costante, che
«le  regioni  possono  evocare  parametri  di  legittimita'   diversi
rispetto a quelli che sovrintendono al riparto di  attribuzioni  solo
se  la  lamentata  violazione  determini  una  compromissione   delle
attribuzioni regionali costituzionalmente  garantite  o  ridondi  sul
riparto di competenze legislative tra Stato e regioni»  (sentenza  n.
33 del 2011; in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 46, n. 20  e
n. 8 del 2013; n. 311, n. 298, n. 200, n. 199, n.  198,  n.  187,  n.
178, n. 151, n. 80 e n. 22 del  2012)"  (cosi',  in  particolare,  la
sentenza n. 220/2013). Inoltre, la Corte ha precisato che «le regioni
possono evocare parametri  di  legittimita'  diversi  da  quelli  che
sovrintendono  al  riparto  di  attribuzioni  solo   allorquando   la
violazione denunciata sia «potenzialmente idonea  a  determinare  una
vulnerazione  delle  attribuzioni   costituzionali   delle   regioni»
(sentenza n. 303 del 2003; di recente, nello stesso  senso,  sentenze
n. 80 e n. 22 del 2012) e queste abbiano sufficientemente motivato in
ordine ai  profili  di  una  «possibile  ridondanza»  della  predetta
violazione sul riparto di competenze, assolvendo all'onere di operare
la necessaria indicazione della specifica competenza regionale che ne
risulterebbe offesa e delle ragioni di tale lesione (sentenza  n.  33
del 2011) (cosi' sempre, in particolare, la sentenza n. 199/2012). 
    15. Cio' premesso in termini generali, nel  presente  ricorso  la
Regione Piemonte - come si argomentera' specificamente nei  paragrafi
seguenti - denuncia la violazione, ad opera del decreto: 
        sia di norme costituzionali che  riguardano  direttamente  il
«riparto di competenze» tra lo Stato e (per  quanto  qui  rileva)  la
Regione stessa, nonche' (come si e' gia' accennato nella premessa  in
fatto) gli enti locali presenti nel territorio regionale: censure  di
violazione degli articoli 114, 117, 118  e  119  Cost.,  dedotte  nel
paragrafo 3 del presente ricorso; 
        sia di norme costituzionali diverse da quelle di  cui  sopra,
la cui violazione, ad avviso della  ricorrente,  si  traduce  in  una
lesione indiretta delle competenze proprie (per  quanto  qui  rileva)
della medesima Regione Piemonte, nonche' degli enti  locali  presenti
nel territorio regionale: censure di violazione degli articoli 2,  3,
10, 32, 38, 42, 47, 97 Cost.,  dedotte  nei  paragrafi  63  e  5  del
ricorso. 
    16. Per quanto riguarda  l'ammissibilita'  del  primo  gruppo  di
censure  (violazione  diretta  di  norme  relative  al   riparto   di
competenze Stato-Regioni),  se  da  un  lato,  con  riferimento  agli
articoli 117 e 118 Cost., essa puo' ritenersi in re ipsa  sulla  base
dell'art. 127 Cost. e della costante giurisprudenza di codesta  Corte
(richiamata supra), dall'altro lato,  con  riferimento  all'art.  119
comma 5 Cost., vale appena il caso di sottolineare che  la  normativa
impugnata,   nella   misura   in   cui    preclude    e    interrompe
ingiustificatamente un  percorso  di  integrazione  dello  straniero,
ostacola  lo  «sviluppo   economico»   del   territorio   (richiamato
esplicitamente come compito delle regioni e degli enti  locali  dalla
norma appena menzionata), il quale risulta dal complesso di attivita'
realizzate dai suoi  abitanti,  compreso  ogni  straniero  accolto  e
integrato, capace di alimentare, con il  proprio  contributo,  questo
virtuoso circuito. Come  si  vedra',  nell'esperienza  della  Regione
Piemonte, le politiche di accoglienza e integrazione attuabili  prima
dell'entrata  in  vigore  del  Decreto,  hanno  contribuito  in  modo
effettivo e significativo non solo allo sviluppo della persona  umana
e dei suoi diritti  ma  anche  a  quello  del  tessuto  economico,  a
vantaggio dell'intero territorio. 
    17. A cio' si aggiunge che l'ammissibilita' del primo  gruppo  di
censure e' anche sostenuta da ulteriori effetti  che  questo  decreto
produrra', nella misura in cui esso: 
        determina  il  vistoso   incremento   della   condizione   di
irregolarita' dello straniero, aumentando quel substrato sociale  che
alimenta (anziche'  diminuire)  fenomeni  di  criminalita',  mina  la
«coesione  sociale»  e,  aumentando  il  senso  di  insicurezza   del
cittadino, diminuisce la «solidarieta' sociale»; e 
        limitando significativamente  l'iscrizione  anagrafica  dello
straniero nel territorio - da cui dipende  la  fruizione  di  servizi
pubblici essenziali, come quelli sanitari  e  assistenziali  -  crea,
anziche' rimuovere, «squilibri economici e sociali», impedendo  -  in
definitiva - l'effettivo esercizio di diritti della persona.  Persona
che, come ha piu' volte sottolineato questa Corte, non  coincide  con
la nozione giuridica di cittadino, ma e' la persona umana  in  quanto
tale (come affermato, in particolare, nella sentenza n.  172/2012,  i
diritti inviolabili di cui all'art. 2 Cost. "spettano «ai singoli non
in quanto partecipi di una  determinata  comunita'  politica,  ma  in
quanto esseri umani»  (sentenza  n.  105  del  2001).  La  condizione
giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata -  per
quanto riguarda la tutela di tali diritti - come causa ammissibile di
trattamenti diversificati e peggiorativi"). 
    18. Per quanto riguarda il secondo insieme di censure (violazione
di norme diverse dagli articoli 114 e ss. Cost.) si rende  necessario
- in base alla giurisprudenza della Corte sopra richiamata -  esporre
le ragioni per le quali,  ad  avviso  della  Regione  ricorrente,  la
violazione delle norme  costituzionali  invocate  come  parametro  di
legittimita'  "sia   «potenzialmente   idonea   a   determinare   una
vulnerazione  delle  attribuzioni   costituzionali   delle   regioni»
(sentenza n. 303 del 2003; di recente, nello stesso  senso,  sentenze
n. 80  e  n.  22  del  2012)":  cioe',  in  sostanza,  la  "possibile
ridondanza"... sul riparto di competenze» (sentenze n. 33/2011  e  n.
199/2012, citt.). 
    19. Al riguardo, e' stata la stessa Corte (sentenza n.  299/2010,
seguita  poi  dalla  n.  61/2011)  a  evidenziare  che  «l'intervento
pubblico  concernente  gli  stranieri  non  puo'  ...  limitarsi   al
controllo dell'ingresso e del soggiorno degli stessi  sul  territorio
nazionale,  ma  deve  necessariamente  considerare  altri  ambiti   -
dall'assistenza sociale all'istruzione, dalla salute all'abitazione -
che coinvolgono molteplici competenze  normative,  alcune  attribuite
allo Stato, altre alle regioni (sentenze n. 156 del 2006, n. 300  del
2005)».  Sussiste  dunque,  addirittura  in  termini   generali,   un
interesse effettivo delle  Regioni  (e  quindi  anche  della  Regione
Piemonte) a impugnare disposizioni di legge statali che, come  quelle
contenute nel decreto-legge  n.  113/2018,  investano  la  disciplina
«concernente   gli   stranieri»,   con   necessarie   e   inevitabili
ripercussioni sulle competenze regionali, quali appunto l'«assistenza
sociale» l'«istruzione», la tutela della «salute» e  del  diritto  di
«abitazione». 
    20. Fermo cio', piu' specificamente, il decreto qui  impugnato  -
nella  sua  totalita',  e  comunque  nelle  specifiche   disposizioni
indicate nell'epigrafe del presente ricorso -  e'  si  dedicato  alla
«protezione internazionale»,  all'«immigrazione»  e  alla  «sicurezza
pubblica» (oltre che alle altre, invero eterogenee, materie di cui si
dira'  nel  paragrafo  seguente),  ma  si  ripercuote  proprio  sulle
suddette materie di competenza regionale. 
    21. L'art. 1 («Disposizioni in materia di permessi  di  soggiorno
per motivi umanitari e disciplina di casi  speciali  di  permessi  di
soggiorno temporanei per esigenze di  carattere  umanitario»),  nella
parte in cui e' prevista l'eliminazione del permesso di soggiorno per
protezione umanitaria, sostituito da permessi temporanei e limitati a
ipotesi speciali perlopiu' non convertibili, restringe le fattispecie
legittimamente ascrivibili a esigenze  tipizzate  rispetto  a  quelle
costituzionalmente   necessarie   in   adempimento   degli   obblighi
internazionali.  Inoltre,  elimina  la  possibilita'  di  rinnovo   a
condizioni  di  rilascio  invariate  del   permesso   di   protezione
umanitaria, riducendo i diritti  assistenziali,  sociali  e  sanitari
riconosciuti  agli  immigrati  e  violando   radicalmente   le   loro
possibilita' di esercizio del diritto al lavoro. Da ultimo, la stessa
norma impedisce alla Regione di  organizzare  in  modo  efficiente  e
ragionevole  la   sanita'   e   l'assistenza   sociale.   L'art.   12
(«Disposizioni in materia di  accoglienza  dei  richiedenti  asilo»),
commi 5 e 6, di fatto pone fine ai progetti di  accoglienza  previsti
dalla legislazione vigente - art. 1-sexies decreto-legge n.  416/1989
convertito  in  legge  n.  39/1989  -  e   invade   irragionevolmente
l'autonomia organizzativa della Regione (nonche' degli enti  locali).
L'art.  13  («Disposizioni  in  materia  di  iscrizione  anagrafica»)
stabilisce che il permesso  di  soggiorno  per  richiesta  asilo  non
consente   l'iscrizione   anagrafica:    la    previsione    comporta
irragionevoli  e  discriminatorie  complessita'  che  impattano   sia
legittime  aspettative  dello   straniero   rispetto   alla   propria
partecipazione alla vita pubblica, sociale ed economica della Regione
(cfr. art. 2, comma 4, decreto legislativo 25 luglio 1998,  n.  286),
sia le attribuzioni delle pubbliche amministrazioni regionale e degli
enti locali. 
    L'art. 14 («Disposizioni in  materia  di  acquisizione  e  revoca
della  cittadinanza»)  risulta  cosi'  discriminatorio  da  porsi  in
violazione di  fondamentali  principi  costituzionali.  Il  complesso
articolo, infatti: rende piu' gravoso l'acquisto della  cittadinanza;
prolunga il periodo di incertezza  dello  straniero  in  merito  alla
propria condizione giuridica; impedisce  alla  persona  straniera  di
esprimere le proprie capacita' adempiendo a obblighi di  solidarieta'
sociale  e  contribuendo  allo  sviluppo   dell'economia   regionale;
introduce per il solo cittadino  italiano  di  origine  straniera  la
revoca della cittadinanza. 
    22. Come gia' rilevato, le suddette previsioni costituiscono  nel
complesso un intervento di matrice irragionevolmente  discriminatoria
in materie  che,  quand'anche  formalmente  riservate  alla  potesta'
legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lettere a), b),
h) e i) Cost.), non possono che trovare  attuazione  in  una  maniera
trasversale,   ossia   con   l'essenziale   concorso   normativo    e
amministrativo della Repubblica tutta e delle regioni in primis.  Sul
punto,  e'  appena  il  caso  di  aggiungere  -  ferma  restando   la
giurisprudenza costituzionale richiamata poc'anzi - che  la  primaria
rilevanza dell'art. 117, commi 3 e 4 Cost.  e'  attestata  anche  dal
decreto  legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (c.d.  Testo  Unico
Immigrazione), le cui disposizioni  «[n]elle  materie  di  competenza
legislativa delle regioni (...) costituiscono  principi  fondamentali
ai sensi dell'art. 117 della Costituzione» (art. 1,  comma  4).  Piu'
nello specifico, il Testo  Unico  e'  inequivocabile  nello  statuire
(art. 3, comma 5) che «[n]ell'ambito delle rispettive attribuzioni  e
dotazioni di bilancio, le regioni, le province, i comuni e gli  altri
enti locali adottano i  provvedimenti  concorrenti  al  perseguimento
dell'obbiettivo di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono il
pieno riconoscimento dei diritti e degli interessi riconosciuti  agli
stranieri nel territorio dello  Stato,  con  particolare  riguardo  a
quelle inerenti all'alloggio, alla lingua, all'integrazione  sociale,
nel rispetto dei diritti fondamentali della persona umana». 
    23. E' evidente dunque che le regioni  (e  tra  esse  la  Regione
Piemonte, qui ricorrente) sono tenute -  tanto  ex  art.  117  e  ss.
Cost., quanto in forza di  principi  fondamentali  dettati  da  fonti
legislative statali- a esercitare le proprie potesta'  legislative  e
competenze amministrative in maniera costituzionalmente orientata. 
    24. Una simile conclusione, valida per la tutela e promozione dei
diritti  di  tutte  le  persone  straniere  presenti  sul  territorio
regionale,  e'  valida  a  fortiori  per  le  disposizioni  di  legge
censurate che - asseritamente intervenendo in  materia  di  sicurezza
pubblica - riguardano anche  i  cittadini  italiani.  In  tal  senso,
l'art. 21 («Estensione dell'ambito di  applicazione  del  divieto  di
accesso in specifiche aree urbane»), al comma 1 lett. a), estende  il
DASPO urbano ai presidi  sanitari,  con  cio'  restringendo  in  modo
irragionevole,  a  discapito  di  ogni  persona  in   condizione   di
fragilita' economica, la possibilita' di  soggiornare  e  raggiungere
aree deputate alla tutela anche emergenziale della salute,  funzione,
questa, rientrante negli obblighi assistenziali della Regione. L'art.
30 («Modifica dell'art. 633 del codice penale») al comma 1  introduce
la procedibilita' d'ufficio, a carico di  persone  in  condizioni  di
vulnerabilita' e di bisogno  abitativo,  per  ipotesi  di  dimora  in
immobili anche non utilizzati, e dunque in situazioni in cui in  capo
al  proprietario  e'  ragionevole  desumere  la  tolleranza  dell'uso
abitativo di famiglie in difficolta'. L'art. 31-ter («Disposizioni in
materia di occupazione arbitraria  di  immobili»),  prospettando  una
macchinosa e complessa procedura che prevede un  espresso  e  diretto
coinvolgimento delle  regioni,  stabilisce  che  l'esecuzione  di  un
provvedimento di rilascio avviene comunque entro un anno  dalla  data
della sua azione, senza nulla prevedere  in  merito  al  collocamento
abitativo delle persone destinatarie del provvedimento. Cio'  pone  a
carico della Regione - cosi' come degli enti locali, come rilevato in
seguito - irragionevoli  oneri  aggiuntivi  in  materia  di  gestione
dell'emergenza.  abitativa,  comportando   anche   violazioni   della
Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. Il medesimo  art.  31-ter,
infine, nel riconoscere un indennizzo al proprietario per il  mancato
godimento dell'immobile causato dal differimento dell'esecuzione  del
provvedimento di rilascio, viola la competenza regionale  in  materia
di politiche abitative. 
    25. Le disposizioni di legge censurate sono  dunque  suscettibili
di  pregiudicare  o  perfino  impedire   l'assolvimento   di   simili
attribuzioni di rango costituzionale, cio' che  determina  senz'altro
l'ammissibilita' delle censure proposte. I parametri complessivamente
invocati sono gli articoli 2, 3, commi 1 e 2, 10, 32, 38,  42,  comma
1, 2 e 3, 47, comma 2, 97, 114,  117,  comma  1  (in  relazione  agli
articoli 8 e 14 CEDU, all'art. 1 Primo Protocollo  addizionale  CEDU,
all'art. 2, commi 1 e 2 Protocollo n. 4 CEDU), 117, commi 3, 4  e  7,
118, 119 Cost. 
    26. La Regione Piemonte, inoltre, ricorre in questa sede anche  a
tutela delle attribuzioni costituzionali degli enti  locali  presenti
nel  proprio  territorio,  che   risultano   parimenti   lese   dalle
disposizioni impugnate. Al riguardo, codesta Corte ha  affermato  che
«le regioni sono legittimate a denunciare la legge statale anche  per
la  lesione  delle  attribuzioni  degli  enti  locali»,   addirittura
«indipendentemente  dalla  prospettazione  della   violazione   della
competenza legislativa regionale»  (sentenza  n.  220/2013,  relativa
all'illegittimita'  costituzionale  del  decreto-legge  n.   201/2011
concernente la riforma delle Province; nonche', ex plurimis, sentenze
n. 311/2012, n. 298/2009, n. 169 e  n.  95/2007,  n.  417/2005  e  n.
196/2004). E qualora la Regione agisca a  tutela  delle  attribuzioni
degli enti locali, la  possibile  «ridondanza  deve  essere  valutata
[...] anche con riguardo alle attribuzioni degli enti locali» (sempre
sentenza n. 220/2013). 
    27. Le attribuzioni e  gli  obblighi  costituzionali  degli  enti
locali sono senz'altro vulnerati dalle disposizioni legislative  oggi
censurate. Senza ripercorrere nuovamente il contenuto  delle  singole
disposizioni di legge, e' sufficiente rilevare  che  la  Costituzione
(articoli 114, commi 1 e 2, 118, commi l, 2 e  4,  119,  comma  5)  e
numerose fonti legislative (ci si limita a evocare nuovamente  l'art.
3, comma 5 decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286)  attribuiscono
agli enti locali, da un lato, precisi obblighi connotati dal punto di
vista teleologico e, dall'altro, un margine autonomo di apprezzamento
nell'esercizio delle funzioni amministrative detenute  o  attribuite.
Ebbene, come gia' si e' osservato e come meglio si  evidenziera'  nel
merito  delle  singole  censure,  l'operato  del  legislatore  -  nel
risultare  sostanzialmente  discriminatorio  e  viziato  sotto   piu'
profili da manifesta irragionevolezza - costringerebbe di  fatto  gli
enti locali  a  esercitare  le  proprie  fimzioni  amministrative  in
violazione di primarie direttive costituzionali. Le censure risultano
dunque  ammissibili,   appuntandosi   sui   seguenti   parametri   di
legittimita' costituzionale: articoli 2, 3, commi 1 e 2, 10, 32,  38,
42, comma 1, 2 e 3, 47, comma 2, 97, 114, 117, comma 1 (in  relazione
agli articoli 8 e 14 CEDU, all'art. 1  Primo  Protocollo  addizionale
CEDU, all'art. 2, commi 1 e 2 Protocollo n. 4 CEDU), 118, 119 Cost. 
    28. Per quanto le considerazioni di cui sopra siano  di  per  se'
sufficienti per argomentare la  piena  legittimazione  della  Regione
Piemonte  a  impugnare  le  disposizioni  in  epigrafe  -  e   dunque
l'ammissibilita' delle questioni di legittimita'  costituzionale  qui
sollevate, e' d'obbligo ricordare come codesta Corte  abbia  altresi'
progressivamente riconosciuto (v. le pronunce richiamate  supra)  una
forte connessione fra norme competenziali (relative cioe' al «riparto
di competenze»  tra  Stato  e  regioni)  e  norme  sostanziali  della
Costituzione.  Tale   connessione   trova   la   piu'   significativa
espressione nell'ambito della potesta'  legislativa  concorrente,  di
cui all'art. 117, comma 3 Cost., rispetto alla quale la riserva  allo
Stato della determinazione dei principi  fondamentali  circoscrive  e
definisce, al tempo stesso, anche le potenzialita' di esercizio della
potesta' legislativa regionale. 
    29. Al riguardo, se da un lato la potesta' legislativa  regionale
non puo' tradursi in atti in contrasto con  i  principi  fondamentali
stabiliti dal legislatore statale, allora dall'altro,  lo  Stato  non
puo' pretendere di circoscriverla dettando principi incostituzionali.
Il controllo di costituzionalita'  non  puo',  in  questi  casi,  non
spingersi a verificare il modo in  cui  lo  Stato  ha  esercitato  la
propria competenza, e a sindacarne anche il possibile  contrasto  con
parametri diversi da quelli direttamente attributivi della competenza
stessa. 
    30. Pur restando il ricorso  della  Regione  Piemonte  largamente
ammissibile  in  questa  sede  anche  alla  luce   della   concezione
tradizionale  del  giudizio  in  via  principale  come  giudizio  «su
conflitto di attribuzioni legislative» (o «regolamento di  competenze
legislative» tra lo Stato e le Regioni, ex art. 117 Cost.); quanto da
ultimo posto in luce legittima questa ricorrente anche secondo quella
concezione evolutiva di tale  giudizio,  fatta  propria  dalla  Corte
stessa  (sentenze  nn.  262/2016;  287  e  284/2016;  13/2017  127  e
244/2016),  come  giudizio  «sulla  legittimita'  sostanziale   delle
leggi», e quindi relativo alla conformita' delle  leggi  stesse  alla
Costituzione, a prescindere dalla spettanza del potere legislativo in
capo all'uno o all'altro Ente. 
    31. In questa prospettiva, la  Regione  Piemonte  sarebbe  dunque
ulteriormente legittimata a ricorrere a codesta Corte  per  lamentare
il  contrasto  oggettivo  tra  la  normativa  statale   impugnata   e
qualsivoglia parametro costituzionale, anche a prescindere  dalla  (e
quindi senza dover preliminarmente dimostrare la) violazione  di  una
propria specifica competenza legislativa, onere di dimostrazione  che
comunque puntualmente questa Regione si sobbarchera'  ad  abundantiam
in ogni passaggio argomentativo di questo ricorso. 
    32. In via generale e pregiudiziale: sulla  violazione  dell'art.
77 Cost., e sulla conseguente illegittimita'  dell'intero  decreto  e
della relativa legge di conversione. 
    33. Passando al merito delle singole  questioni  di  legittimita'
costituzionale qui sollevate, la Regione Piemonte denuncia  anzitutto
la violazione dell'art. 77 Cost. in tema di decretazione d'urgenza da
parte del Governo, sotto diversi profili (v. par. 36 e ss.). 
    34. Tale censura, nella misura  in  cui  riguarda  i  presupposti
stessi  di  adozione  dell'atto  normativo  qui   impugnato,   e   la
correlativa scelta del Governo (cui e' seguita la  conferma  in  sede
parlamentare) di  ricorrere  allo  strumento  del  decreto-legge  per
introdurre  nell'ordinamento  le  disposizioni  di  cui  trattasi  (e
quindi,  in  sostanza,  il   modo   di   esercizio   della   funzione
legislativa): 
        dal   punto   di   vista   dell'oggetto,   investe   l'intero
decreto-legge n. 113/2018 (e - in via consequenziale  -  la  relativa
intera legge di conversione, n. 132/2018, inidonea a «sanare» i  vizi
di formazione del decreto-legge per ormai pacifica giurisprudenza  di
codesta  Corte);  o  comunque,  in  rigoroso  subordine,  almeno   le
specifiche  disposizioni  del  decreto-legge  n.  113/2018   indicate
nell'epigrafe del presente ricorso  (e  censurate  singolarmente,  in
relazione ad altri parametri costituzionali, nei paragrafi 63 e 5 del
ricorso); 
        dal   punto   di   vista    del    presente    giudizio    di
costituzionalita', ha carattere pregiudiziale  rispetto  a  tutte  le
altre censure sollevate (di cui ai paragrafi 63  e  5  del  ricorso),
come  riconosciuto  da  codesta  Corte:  «La  censura  di  violazione
dell'art. 77 Cost., ancorche'  prospettata  [eventualmente:  aggiunta
nostra] ... solo in via residuale,  va  esaminata  con  carattere  di
priorita', per essere  logicamente  pregiudiziale  rispetto  ad  ogni
altra doglianza, configurandosi come potenzialmente assorbente  della
sua valutazione in  caso  di  eventuale  accoglimento»  (sentenza  n.
16/2017; v. anche, al riguardo, le sentenze  nn.  220/2013,  22/2012,
52/2010,  216/2008,  6/2004,   303/2003,   che   hanno   sottolineato
l'autonomia della  valutazione  della  censura  in  oggetto  rispetto
all'esame dell'incidenza della normativa  impugnata  sul  riparto  di
competenze tra Stato e regioni). 
    35. Circa la  piena  ammissibilita',  nel  presente  giudizio  di
legittimita' costituzionale, della censura relativa  alla  violazione
dell'art. 77 Cost., si richiama quanto esposto nel  paragrafo  2  (in
particolare sub 285-2.21). Si aggiunge qui - ad abundantiam,  perche'
trattasi di principio ormai pacifico - che secondo codesta  Corte  le
Regioni sono legittimate a  eccepire,  in  sede  di  ricorso  in  via
principale,  la  violazione  di   tale   norma   costituzionale   per
l'insussistenza  (in  particolare)  dei  requisiti  di  necessita'  e
urgenza del decreto-legge (per es., oltre  alle  pronunce  citate  al
punto  precedente,  sentenze  nn.  244  e  287/2016,  n.  6/2004,  n.
303/2003). 
    36. Venendo ai singoli profili  per  i  quali,  ad  avviso  della
Regione ricorrente,  sussiste  nel  caso  in  esame  la  -  chiara  -
violazione dell'art. 77 Cost.,  si  rileva  in  primo  luogo  che  il
decreto-legge impugnato difetta  dei  requisiti  di  «straordinari[a]
necessita' ed urgenza» prescritti, in modo inderogabile, dalla  norma
costituzionale. 
    37. Invero, il preambolo del decreto cosi'  recita  (nella  parte
rilevante): «Ritenuta la necessita' e  urgenza  di  prevedere  misure
volte a individuare i casi in cui sono rilasciati  speciali  permessi
di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario, nonche'
di garantire  l'effettivita'  dell'esecuzione  dei  provvedimenti  di
espulsione; 
    Ritenuta la necessita' e urgenza di adottare norme in materia  di
revoca dello  status  di  protezione  internazionale  in  conseguenza
dell'accertamento della commissione di gravi reati e di norme  idonee
a scongiurare il  ricorso  strumentale  alla  domanda  di  protezione
internazionale, a razionalizzare il ricorso al Sistema di  protezione
per i titolari di protezione internazionale e per i minori  stranieri
non  accompagnati,  nonche'  di  disposizioni  intese  ad  assicurare
l'adeguato   svolgimento   dei   procedimenti   di   concessione    e
riconoscimento della cittadinanza; 
    Considerata la straordinaria necessita' e urgenza  di  introdurre
norme  per  rafforzare  i  dispositivi  a  garanzia  della  sicurezza
pubblica, con particolare riferimento alla minaccia del terrorismo  e
della criminalita' organizzata di tipo mafioso, al miglioramento  del
circuito  informativo  tra  le  Forze  di   polizia   e   l'Autorita'
giudiziaria e alla prevenzione e  al  contrasto  delle  infiltrazioni
criminali  negli  enti  locali,  nonche'  mirate  ad  assicurare   la
funzionalita' del Ministero dell'interno; 
    Ritenuta, altresi', la  straordinaria  necessita'  e  urgenza  di
introdurre strumenti  finalizzati  a  migliorare  l'efficienza  e  la
funzionalita'  dell'Agenzia  nazionale  per  l'amministrazione  e  la
destinazione dei beni  sequestrati  e  confiscati  alla  criminalita'
organizzata, attraverso il rafforzamento  della  sua  organizzazione,
nell'intento  di  potenziare   le   attivita'   di   contrasto   alle
organizzazioni criminali ...». 
    38. Cio' posto, anzitutto si rileva che la (pretesa)  «necessita'
ed urgenza» di adottare la normativa impugnata e' solo affermata - in
maniera che si vorrebbe apodittica - nel preambolo  del  decreto,  ma
non risulta sorretta da  alcuna  motivazione,  cosi'  come  richiesto
invece  da  codesta  Corte  che,  in  materia  di   presupposti   del
decreto-legge, ha esplicitamente affermato che  «l'utilizzazione  del
decreto-legge...non    puo'    essere    sostenuta    dall'apodittica
enunciazione dell'esistenza delle ragioni di necessita' e di urgenza»
(sentenza n. 171/2007), ma e' necessario che  il  Governo  dia  conto
degli elementi specifici, da esso rilevati, su cui si  basano  queste
«ragioni». 
    39. Pare inoltre  opportuno  evidenziare  un  dato  testuale  che
rappresenta un chiaro elemento sintomatico  dell'assenza,  di  fatto,
nel caso che ci occupa,  dei  requisiti  di  cui  all'art.  77  Cost.
invocati - e non motivati - dall'Esecutivo. La «necessita' e urgenza»
di  adottare  le  disposizioni  di  cui   trattasi   viene   definita
«straordinaria» (ancorche' - si ripete - non motivata specificamente)
solo negli ultimi due capoversi del preambolo sopra riportati,  cioe'
in  quelli  relativi  alle  norme  in  materia  di  terrorismo  e  di
criminalita'   organizzata,   di   organizzazione    del    Ministero
dell'interno e dell'Agenzia  nazionale  per  l'amministrazione  e  la
destinazione dei beni sequestrati alla criminalita'  organizzata.  Al
contrario, nei capoversi precedenti, relativi alle norme  in  materia
di  immigrazione,  protezione  internazionale  e  concessione   della
cittadinanza, si fa riferimento semplicemente  a  una  «necessita'  e
urgenza» non meglio qualificata. 
    40. In secondo luogo,  i  requisiti  di  «necessita'  e  urgenza»
invocati (ma non motivati)  dal  Governo  non  risultano  sussistenti
nella realta'. 
    41.  Come  e'  stato  infatti  immediatamente  e   autorevolmente
riconosciuto   in   sede   esegetica   e   come   esaustivamente    e
documentatamente sottolineato  in  sede  di  esame  parlamentare  del
d.d.l. di conversione del decreto-legge n. 113  (2)   non  esiste  in
Italia alcuna situazione di «emergenza» (e quindi di  «necessita'  ed
urgenza del provvedere»,  usando  le  parole  di  codesta  Corte)  in
relazione ai  «numeri»  della  protezione  temporanea  umanitaria,  o
quanto alla presenza di rifugiati. Sono i dati  forniti  dall'Ufficio
statistico dell'Unione europea (Eurostat) nel rapporto del 19  aprile
2018 (Eu Member States granted protection to more than half a  milion
asylum seekers in 2017) a confermare  questa  affermazione:  infatti,
l'Italia ha accolto nel 2017, 35.100 riceventi protezione, un  numero
esiguo, poco piu' del 10%, se confrontato con  quello  dei  riceventi
accolti in  Germani,  pari  a  «325.400  unita',  oltre  il  60%  del
complessivo numero europeo». 
    42. E' appena il  caso  di  osservare,  al  riguardo,  che  -  al
contrario di quanto ha implicitamente affermato il Governo, invocando
i  suddetti  casi  di  «necessita'  e  urgenza  del   provvedere»   -
l'immigrazione  e,  in  particolare,  la  richiesta   di   protezione
umanitaria degli stranieri nel nostro Paese sono fenomeni  di  natura
strutturale,  non  certo  «straordinari»  e  «nuovi»  (al  di   fuori
dell'«ordinario»). E neppure puo'  essere  fatta  valere,  ad  avviso
della   Regione   ricorrente,   un'interpretazione   estensiva    dei
presupposti di cui all'art. 77 Cost.: anche a  voler  ammettere  -  a
tutto concedere - che in qualche periodo negli ultimi anni  si  siano
verificate delle  «emergenze»  nel  fenomeno-immigrazione,  sono  gli
stessi dati del Ministero dell'interno, gia' citati supra e  relativi
al calo dell'80% degli sbarchi  sulle  coste  italiane  a  dimostrare
oggettivamente la cessazione di tali (eventuali) «emergenze». 
    43. In  terzo  luogo  (ma  in  stretta  correlazione  con  quanto
argomentato al punto precedente, trattandosi parimenti di un  profilo
di insussistenza dei requisiti costituzionali del decreto-legge),  si
osserva che codesta Corte, nella nota sentenza n.  220/2013  relativa
alla riforma delle Province adottata con il decreto-legge 6  dicembre
2011, n. 201 convertito  in  legge  22  dicembre  2011,  n.  214,  ha
affermato  l'incompatibilita'  tra   lo   strumento   normativo   del
decreto-legge e una riforma organica e «di  sistema».  La  Corte,  in
tale occasione, ha negato che si possano introdurre con decreto-legge
«norme ordinamentali, che non possono essere interamente condizionate
dalla  contingenza,  sino  al  punto  da  costringere  il   dibattito
parlamentare sulle stesse nei ristretti limiti tracciati dal  secondo
e terzo comma dell'art. 77 Cost.»; e ha ricordato che questi "limiti"
sono stati «concepiti  dal  legislatore  costituente  per  interventi
specifici   e   puntuali,   resi   necessari   e    improcrastinabili
dall'insorgere di «casi straordinari di necessita' e d'urgenza». 
    44. Ora, il decreto-legge qui impugnato -  lungi  dall'effettuare
degli «interventi [normativi: aggiunta nostra] specifici e  puntuali,
... necessari e improcrastinabili" in relazione  alla  situazione  di
fatto esistente in Italia - modifica in modo  significativo  numerosi
istituti giuridici previsti da tempo nell'ordinamento  (dal  permesso
di soggiorno alla  protezione  internazionale,  dall'espulsione  alla
cittadinanza,  ed  altri  ancora),   determinando   proprio   -   pur
nell'eterogeneita' delle materie trattate (v. il paragrafo  seguente)
- quella riforma organica del sistema dell'accoglienza dei migranti e
della  disciplina  degli  stranieri  che  non   e',   anche   secondo
l'insegnamento di codesta Corte, costituzionalmente  compatibile  con
l'uso del decreto-legge stesso. 
    45. Sotto un altro profilo, la Regione ricorrente rileva  che  il
decreto-legge  impugnato   viola   l'art.   77   Cost.   in   ragione
dell'eterogeneita' dei suoi contenuti. 
    46. Codesta Corte  ha  affermato,  in  relazione  ai  presupposti
costituzionali del decreto-legge,  che  «il  presupposto  del  "caso"
straordinario di necessita' e urgenza inerisce sempre e  soltanto  al
provvedimento inteso come un tutto unitario, atto  normativo  fornito
di intrinseca coerenza anche se articolato  e  differenziato  al  suo
interno». Da cio' consegue che  «la  scomposizione  atomistica  della
condizione di validita' prescritta  dalla  Costituzione  si  pone  in
contrasto con il necessario legame tra il  provvedimento  legislativo
urgente ed il "caso" che  lo  ha  reso  necessario,  trasformando  il
decreto-legge in una congerie di norme assemblate  soltanto  da  mera
casualita' temporale» (sentenza n. 22/2012; in senso analogo, fra  le
tante, ordinanza n. 34/2013, sentenze n. 32/2014 e n. 154/2015). 
    47. Ancora, come e' stato sottolineato anche in sede di audizione
parlamentare durante  l'iter  di  conversione  del  decreto-legge  n.
113/2018  qui  impugnato,  «dalla  sent.  n.  22  del  2012  [ed   in
particolare dal passo appena citato: aggiunta  nostra],  si  potrebbe
ricavare  il  seguente  principio:  a  ogni  «caso  straordinario  di
necessita' e  di  urgenza»  deve  corrispondere  «un»  decreto-legge;
«omogeneita' finalistica» significa che il decreto-legge  puo'  avere
contenuto materiale disomogeneo purche' accomunato dalla finalita' di
reagire al «caso straordinario di necessita' e di urgenza»; se i casi
straordinari sono piu' d'uno, piu' d'uno devono essere i dd.ll." (3) 
    48. Cio' premesso, la Regione ricorrente osserva che,  esaminando
il titolo e poi il preambolo del decreto-legge qui  impugnato  (oltre
che  poi,  naturalmente,  le  singole  -  e  quantitativamente  assai
numerose - disposizioni del decreto-legge stesso), emerge che i «casi
straordinari» da esso previsti siano  piu'  di  uno.  Il  titolo  del
decreto, infatti, fa riferimento a disposizioni «in  materia  di  [1]
protezione internazionale e  immigrazione,  [2]  sicurezza  pubblica,
nonche'  [a]  misure  per  [3]   la   funzionalita'   del   Ministero
dell'interno e [4] l'organizzazione e il  funzionamento  dell'Agenzia
nazionale  per  l'amministrazione  e   la   destinazione   dei   beni
sequestrati  e  confiscati  alla  criminalita'  organizzata».  Ed  il
preambolo del provvedimento - gia' richiamato sopra - cosi recita: 
      «Ritenuta la necessita' e urgenza di prevedere misure  volte  a
individuare i casi  in  cui  sono  rilasciati  speciali  permessi  di
soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario, nonche' di
garantire  l'effettivita'  dell'esecuzione   dei   provvedimenti   di
espulsione; 
      Ritenuta la necessita' e urgenza di adottare norme  in  materia
di revoca dello status di protezione  internazionale  in  conseguenza
dell'accertamento della commissione di gravi reati e di norme  idonee
a scongiurare il  ricorso  strumentale  alla  domanda  di  protezione
internazionale, a razionalizzare il ricorso al Sistema di  protezione
per i titolari di protezione internazionale e per i minori  stranieri
non  accompagnati,  nonche'  di  disposizioni  intese  ad  assicurare
l'adeguato   svolgimento   dei   procedimenti   di   concessione    e
riconoscimento della cittadinanza; 
      Considerata la straordinaria necessita' e urgenza di introdurre
norme  per  rafforzare  i  dispositivi  a  garanzia  della  sicurezza
pubblica, con particolare riferimento alla minaccia del terrorismo  e
della criminalita' organizzata di tipo mafioso, al miglioramento  del
circuito  informativo  tra  le  Forze  di   polizia   e   l'Autorita'
giudiziaria e alla prevenzione e  al  contrasto  delle  infiltrazioni
criminali  negli  enti  locali,  nonche'  mirate  ad  assicurare   la
funzionalita' del Ministero dell'interno; 
      Ritenuta, altresi', la straordinaria necessita'  e  urgenza  di
introdurre strumenti  finalizzati  a  migliorare  l'efficienza  e  la
funzionalita'  dell'Agenzia  nazionale  per  l'amministrazione  e  la
destinazione dei beni  sequestrati  e  confiscati  alla  criminalita'
organizzata, attraverso il rafforzamento  della  sua  organizzazione,
nell'intento  di  potenziare   le   attivita'   di   contrasto   alle
organizzazioni criminali ...». 
    49. Ora, c'e' da chiedersi - e la risposta,  secondo  la  Regione
Piemonte, non puo' che essere negativa - quale pretesa  «omogeneita'»
(e quale «urgenza») possa rinvenirsi  nell'adozione  di  disposizioni
inserite in un decreto-legge che  accomuna,  fin  dall'intitolazione,
oggetti sicuramente diversi quali la destinazione di beni  confiscati
alla criminalita'  organizzata,  la  riorganizzazione  del  Ministero
dell'interno,  l'immigrazione  e  la  sicurezza  pubblica;  basandosi
peraltro,  in  quest'ultimo  caso,  su  equazioni  costituzionalmente
viziate,  come  quella  per  cui  la  tutela  della  «sicurezza»  dei
cittadini si possa fondare, per esempio, sulla riduzione degli  spazi
della c.d. protezione umanitaria. 
    50. Anche sotto questo profilo, il decreto-legge n.  113/2018  si
palesa   illegittimo,   perche'   in   contrasto   con   la   «ratio»
costituzionale propria del decreto-legge, ossia la necessita' di fare
fronte -  con  un  provvedimento  normativo  ad  efficacia  immediata
adottato  dal  Governo  al  posto  del  Parlamento  -  ad   un   caso
«straordinario» di necessita' ed urgenza, precisamente individuato. 
    51. In conclusione, la decretazione di urgenza  e'  senza  dubbio
strutturalmente inadatta a condurre  riforme  organiche,  considerato
che la potesta'  legislativa  nella  nostra  Costituzione  spetta  al
Parlamento. La scelta del  Governo  di  ricorrere  alla  decretazione
d'urgenza al  di  fuori  dei  confini  dell'art.  77  Cost.  lede  il
principio di sovranita' popolare, sia esautorando il Parlamento quale
sede  naturale  di  confronto  tra  le   forze   politiche   sia   (e
correlativamente)   ostacolando   lo   sviluppo   della   discussione
all'interno della societa' delle -  numerose  e  rilevanti  -  misure
adottate. 
    52. Per i motivi sopra esposti, il decreto-legge qui impugnato e'
costituzionalmente illegittimo - in toto o quantomeno, in  subordine,
nelle sue specifiche disposizioni indicate nell'epigrafe del presente
ricorso - per contrasto con l'art. 77  Cost.  E  tale  illegittimita'
«genetica» del decreto si estende naturalmente,  in  via  derivata  e
consequenziale, alla legge di conversione dello stesso (n. 132/2018);
legge che,  per  giurisprudenza  costituzionale  ormai  costante,  e'
inidonea a «sanare» i vizi di formazione del decreto-legge. 
    53. Un'ultima censura di carattere  generale  che  la  ricorrente
intende sollevare in limine e' idonea a travolgere l'intero  decreto,
ma certamente investe almeno il suo art. 1. Ci riferiamo  alla  forma
dell'atto, il quale estremizza  un  malcostume  legislativo  da  piu'
parte  lamentato  anche  in  dottrina  (4)   che  il  nostro   ordine
costituzionale non puo' piu' tollerare. Il solo art. 1, lunghissimo e
labirintico, nel testo compatto stampabile dal  sito  della  Gazzetta
Ufficiale si espande per ben 5 pagine, con 9 commi, molti  dei  quali
suddivisi in lettere (nel primo comma si arriva sino alla lettera q),
le quali a  loro  volta  in  alcuni  casi  contengono  degli  elenchi
numerici. Se anche si trova  la  strada,  comprendere  il  senso  del
percorso e' poi quasi impossibile: Recita l'art. 1, comma 1,  lettera
b), n. 1): «al comma 2-ter, al secondo periodo, le parole «per motivi
umanitari» sono sostituite dalle seguenti: «per cure mediche  nonche'
dei permessi di soggiorno di cui agli articoli  18,  18-bis,  20-bis,
22, comma 12-quater, e 42-bis, e del permesso di soggiorno rilasciato
ai sensi dell'art. 32, comma 3, del decreto  legislativo  28  gennaio
2008, n. 25». 
    Irragionevolmente problematico capire l'oggetto della norma e  il
senso della modifica.  
    54. Come si vede, il ricorso a continui rinvii rende il testo del
decreto quasi illeggibile con violazione dei principi di certezza del
diritto e di prevedibilita'. Esso richiede lungo studio  per  la  sua
comprensione non da parte del quivis de populo  (cui  comunque  nella
tradizione della democrazia liberale occidentale il diritto  dovrebbe
parlare) ma addirittura da parte di professionisti. 
    55. Questa Corte e' piu' volte intervenuta, per  raccomandare  in
generale che il legislatore disegni  «norme  concettualmente  precise
sotto il profilo semantico della  chiarezza  e  dell'intellegibilita'
dei  termini  impiegati»  (sentenza  n.  96/1981)  in  tal  guisa  da
rispettare in generale e non solo  in  materia  penale  -  dove  pure
«l'assoluta oscurita' del  testo  legislativo»  rende  oggettivamente
scusabile l'error iuris (sentenza n. 364/1988) - requisiti minimi  di
«riconoscibilita' ed intellegibilita'» del precetto che  sono  «anche
peraltro requisiti minimi di razionalita' dell'azione legislativa  in
difetto dei quali la liberta' e la sicurezza giuridica dei  cittadini
sarebbero pregiudicati» (sent. n. 13/1992). 
    56. Non si tratta quindi di rilievi formali e  astratti  desideri
di estetica nella redazione delle  leggi.  Questo  stile  redazionale
confligge con precisi principi costituzionali e impatta concretamente
la  ricorrente.  Esso  costituisce  innanzitutto   un   vulnus   alla
pubblicita' effettiva e non formale che e' alla base della democrazia
e  della  sovranita'  popolare  (sentenze  nn.   96/1981;   364/1988;
13/1992). 
    57. Il diritto deve essere agevolmente conoscibile.  In  concreto
inoltre, tale esercizio  sciatto,  frettoloso  e  oscuro  del  potere
legislativo statale rende irragionevolmente complessa la comprensione
e la definizione degli ambiti di competenza regionali di cui all'art.
117, norma di per se' gia' non poco  complessa.  Una  Regione  ha  la
possibilita' di funzionare agevolmente soltanto conoscendo  bene,  in
modo chiaro e preventivo, quali  ambiti  Io  Stato  apparato  intende
coprire attraverso il suo esercizio di competenze, soprattutto quelle
c.d. trasversali o  ibride.  E'  essenziale  per  il  buon  andamento
dell'amministrazione  regionale  (art.  97  Cost.)  non  trovarsi   a
scoprire ex post di aver ecceduto o invaso ambiti riservati anche per
evitare errori di diritto sanzionabili, con  conseguente  effetto  di
inibizione nel portare avanti competenze dubbie, e soprattutto,  come
meglio vedremo in seguito, evitare di operare investimenti  destinati
ad essere caduchi e dunque sprecati. Questa necessita'  di  chiarezza
nei confini competenziali e' essenziale in uno schema  di  pluralismo
normativo quale quello scelto dal titolo V sia in su (verso l'Europa)
che  in  giu'  (verso  gli  enti  locali)  cui  spinge  il  principio
costituzionale di sussidiarieta'. 
    In   subordine:   sull'illegittimita'   del    procedimento    di
approvazione della legge di conversione del decreto-legge n. 113/2018
(legge n. 132/2018), per violazione degli articoli 1 e  77  Cost.,  e
sulla  conseguente  illegittimita'  (quantomeno)   della   legge   di
conversione stessa. 
    58. In via logicamente subordinata alle censure svolte  ai  punti
precedenti - che investono la formazione del decreto-legge  impugnato
e hanno percio' carattere prioritario  ed  assorbente  -  la  Regione
Piemonte  denuncia   altresi'   l'illegittimita'   del   procedimento
parlamentare di approvazione della legge di conversione, n. 132/2018. 
    59. Invero, come si evince dall'esame dei resoconti parlamentari,
durante l'iter  di  conversione  del  decreto-legge  n.  113/2018  il
Governo (che aveva gia' adottato il decreto-legge) ha  presentato  al
Senato un  «maxiemendamento»  interamente  sostitutivo  dell'articolo
unico del d.d.l. di conversione (emendamento Gov. 1.900); e  su  tale
«maxiemendamento» ha posto la questione  di  fiducia  (votazione  del
Senato del 7 novembre 2018), bloccando la discussione parlamentare  e
costringendo di fatto i parlamentari della maggioranza  ad  approvare
il testo cosi' come modificato dal Governo stesso e, dall'altro lato,
impedendo ai parlamentari delle  opposizioni  di  interloquire  e  di
proporre modifiche a questo testo. La questione di fiducia sul  testo
riscritto dal Governo e' stata poi posta  -  si  noti  -  anche  alla
Camera dei deputati, che la ha approvata il 27 novembre 2018 (con 336
voti favorevoli e 249 contrari). 
    60.  Questo  modo   di   procedere   ha   aggiunto   un'ulteriore
illegittimita' al provvedimento qui censurato. E' appena il  caso  di
ricordare che la Carta costituzionale - e in particolare gli articoli
1, 70 e seguenti e soprattutto 72 Cost. - fa del Parlamento  la  sede
unica di esercizio della sovranita' popolare.  Pur  ammettendosi,  in
particolari casi, l'adozione di decreti con forza di legge  da  parte
del Governo, e' evidente che le Camere non possono essere «spogliate»
del tutto del loro potere di discutere le leggi, nella fisiologica (e
salutare) dialettica tra le diverse forze politiche, di maggioranza e
di opposizione. Cio' e' invece  precisamente  quanto  avvenuto  nella
vicenda  in  esame:  il  Parlamento  non  solo  e'   stato   chiamato
semplicemente a convertire un decreto adottato dal Governo avente  ad
oggetto materie, come si e' visto sopra, eterogenee e assai delicate,
incidenti  su  diritti  fondamentali  delle  persone   e   riformando
organicamente l'intero sistema dell'immigrazione; ma  durante  l'iter
di conversione, e' stato costretto dalla scelta del Governo stesso  a
votare la questione di fiducia su un testo - si ripete -  interamente
riscritto dall'Esecutivo, senza poterlo discutere in alcun modo. 
    61.  La  Regione  ricorrente  e'  consapevole  del   fatto   che,
tradizionalmente, codesta  Corte  non  si  e'  ritenuta  abilitata  a
sindacare le dinamiche interne del procedimento  parlamentare,  e  in
particolare la scelta del Governo di porre la fiducia (e delle Camere
di  votarla)  anche  sui  «maxiemendamenti»  (ritenendo  tutto   cio'
espressione di  scelte  squisitamente  politiche,  da  trattare  alla
stregua di  «interna  corporis»).  Tuttavia,  la  Regione  stessa  ha
registrato  con  favore  che,  nel  recente  caso  del  conflitto  di
attribuzioni sollevato da un gruppo di  senatori  di  opposizione  in
relazione alle modalita' di  approvazione  della  legge  di  bilancio
2018,  la  Corte  -  pur  non  accogliendo  il  ricorso  per  ragioni
particolari - ha censurato  in  modo  esplicito  un  procedimento  di
approvazione delle leggi che, come  appunto  quello  della  legge  di
bilancio, leda in misura rilevanti  il  diritto  («prerogativa»)  dei
parlamentari di discutere il testo e di proporre modifiche (cosi'  si
evince  dal  Comunicato  relativo  all'ordinanza  di  cui   trattasi,
pubblicato sul sito della Corte costituzionale). 
    62. Alla luce di questo piu' recente - e del tutto  condivisibile
- orientamento, poiche' anche nel  caso  qui  in  esame  sussiste  la
chiara  violazione  delle  norme  costituzionali   sul   procedimento
legislativo parlamentare e la correlativa  lesione  del  diritto  dei
parlamentari - e del Parlamento nel suo insieme  -  di  discutere  il
testo normativo e di proporre e votare emendamenti, si propone  anche
questa  censura,  auspicando  che  tale  orientamento  possa  trovare
conferma. 
    63. Sulle  singole  disposizioni  del  decreto  n.  113/2018  che
violano le competenze regionali  e  che  introducono  un  trattamento
discriminatorio degli stranieri. 
    Le considerazioni generali sopra esposte fungono da  contesto  di
riferimento per le seguenti censure specifiche: 
(A)  Sull'abolizione  del  permesso  di  soggiorno   per   protezione
umanitaria. 
    64. L'art. l del decreto impugnato, nella parte  in  cui  prevede
l'abrogazione del permesso di soggiorno per protezione umanitaria  in
favore di una complessa, e piu' restrittiva, tipologia di permessi di
soggiorno  di  natura  precaria  e  temporanea,  determina  un  grave
pregiudizio materiale per la Regione e  comporta  un'invasione  delle
sue competenze, imponendo a  quest'ultima  di  violare  a  sua  volta
precisi obblighi costituzionali. 
    65. Dal punto di vista delle competenze,  l'art.  117,  comma  1,
della Costituzione costituisce norma di interposizione  dei  principi
del diritto internazionale e dell'Unione europea (si vedano  le  note
«sentenze gemelle» nn. 348 e 349/2007). Le regioni,  infatti,  devono
esercitare la propria potesta' legislativa nel rispetto  dei  vincoli
derivanti  dal  diritto  dell'Unione   Europea   e   dagli   obblighi
internazionali. Tale articolo, da un  lato,  delimita  la  competenza
della Regione,  che  non  puo'  legiferare  in  modo  contrario  agli
obblighi internazionali ma,  dall'altro,  le  conferisce,  in  quanto
componente essenziale della Repubblica e dello  Stato  Comunita',  un
dovere  diretto,  seppur  condiviso  in  modo   almeno   parzialmente
reciproco con lo Stato apparato, di  verificare,  nei  modi  previsti
dall'art. 134 Cost., che  il  complesso  normativo  della  Repubblica
rimanga coerente con tali principi. 
    66.  Sebbene  la  materia  dell'immigrazione  sia  di  competenza
legislativa  esclusiva  dello  Stato,  la  sua  disciplina,  come  si
illustrera', e' in grado di incidere  direttamente  sulle  competenze
legislative e  amministrative  regionali.  Non  e'  un  caso,  a  tal
proposito, che l'immigrazione, insieme alla sicurezza pubblica, siano
le uniche due materie attribuite all'esclusiva competenza statale  in
rapporto  alla   quale,   tuttavia,   la   Costituzione   impone   un
coordinamento fra Stato e regioni (art. 118, comma 3, Cost.). 
    67. In tal modo,  la  Costituzione  riconosce  nella  Regione  un
soggetto  contro-interessato  (rectius  cointeressato)  al   corretto
rispetto, da parte dello Stato, dei limiti costituzionali che a  tale
materia direttamente afferiscono.  A  cio'  contribuisce  una  tipica
attitudine  delle  discipline  che   intervengono   in   materia   di
immigrazione,  le  quali  costituiscono  l'infrastruttura   giuridica
fondamentale per consentire il godimento di diritti fondamentali  che
il nostro ordinamento costituzionale riconosce a tutti, e non solo ai
cittadini, e alla tutela dei quali esso prepone non solo lo Stato, ma
anche le regioni, a partire dagli interventi  nelle  materie  di  sua
competenza. 
    68. E' dunque appena il caso di notare che ne' lo  Stato  ne'  le
Regioni possono violare le garanzie che l'ordinamento  costituzionale
(e  internazionale)  riconoscono  a  tutti,   a   prescindere   dalla
cittadinanza.  Tale  principio  trova  la  sua  massima  istanza   di
attuazione nell'art. 10, comma 3, della  Costituzione,  a  mente  del
quale «lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese  l'effettivo
esercizio delle liberta' democratiche  garantite  dalla  Costituzione
italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica». L'art.
10 Cost. ha quindi introdotto  nel  nostro  ordinamento  una  nozione
costituzionale di asilo (c.d. «asilo costituzionale»). 
    69. Prima dell'entrata in vigore del decreto  impugnato,  accanto
alle forme di asilo  che  recepiscono  convenzioni  internazionali  e
discipline europee (ci si riferisce, in particolare, allo  status  di
rifugiato,  nonche'  alla  disciplina  in   materia   di   protezione
sussidiaria), veniva prevista  la  protezione  umanitaria,  la  quale
configurava una forma di tutela atipica, che poteva essere  accordata
sulla base di gravi motivi  di  carattere  umanitario  risultanti  da
«obblighi costituzionali o internazionali» (5) 
    70.  Tale  assetto  dava   piena   attuazione   al   c.d.   asilo
costituzionale, proprio poiche'  permetteva,  attraverso  il  ricorso
alla protezione umanitaria, di accordare  tutela  pure  a  fronte  di
«condizioni di vulnerabilita' anche non coincidenti  con  le  ipotesi
normative delle misure tipiche» proprie dello status di  rifugiato  e
della protezione sussidiaria (Cass., sez. VI, sentenza n.  3347/2015;
Cassazione n. 4455/18 (6) ). Non a caso, la Corte  di  cassazione  ha
riconosciuto  nella  protezione  umanitaria  una  proiezione  diretta
dell'asilo costituzionale (Cass. 10686/2012;  Cassazione  16362/2016;
Cassazione, sez. VI, ordinanza n. 12270/2013;  Cassazione,  sez.  VI,
ordinanza n. 26887/2013), in ossequio, peraltro, alla migliore prassi
degli Stati e del Diritto dell'Unione europea, prassi che si  attesta
su forme  di  protezione  che  lasciano  aperta  la  possibilita'  di
garantire alle persone che accedono alla protezione internazionale il
diritto  a  permanere   sul   territorio   dello   Stato   «su   base
discrezionale, per motivi compassionevoli o umanitari» (si vedano,  a
tal proposito, il Considerando n. 15 della direttiva  2011/95/UE  del
Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 recante norme
sull'attribuzione, a  cittadini  di  paesi  terzi  o  apolidi,  della
qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status
uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare
della protezione sussidiaria nonche' sul contenuto  della  protezione
riconosciuta, oltre che l'art. 6, par. 4, della direttiva 2008/115/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante
norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al  rimpatrio
di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno e' irregolare) (7) 
    71. La previgente disciplina costituiva cosi' diretta conseguenza
degli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato, ai  quali
il legislatore non puo' sottrarsi; obblighi che,  invero,  mostra  di
riconoscere  (nella   relazione   di   accompagnamento   al   decreto
l'adempimento di tali obblighi e' invocato per ben  due  volte,  alle
pagine 4 e 6 (8) ), salvo poi violarli. 
    72.  Non  a  caso,  il  rispetto  di  tali  obblighi   e'   stato
espressamente richiamato dal Presidente della Repubblica in occasione
dell'emanazione  del  decreto  censurato  e,  in  particolare,  nella
lettera del 4 ottobre 2018 inviata al Presidente  del  Consiglio  dei
ministri (9) . 
    73.  Tali   obblighi   appaiono   invero   violati   dall'attuale
disciplina, la quale sostituisce alla clausola aperta che connotava i
presupposti della  precedente  protezione  umanitaria  una  serie  di
fattispecie tipiche, secondo una tecnica di formazione  incompatibile
con la legalita' costituzionale.  
    74.  La  presenza  di  una  fattispecie  atipica,  normativamente
costruita come clausola flessibile, e' infatti conseguenza diretta  e
necessaria della complessita' e dell'imprevedibilita' fattuale  delle
situazioni in  astratto  riconducibili  a  una  forma  di  protezione
complementare alle ipotesi (tipiche) di protezione internazionale. In
altre  parole,  prevedere  e  catalogare  le  esigenze  di  carattere
umanitario  e'  un'opzione  impercorribile:   queste   sono   infatti
dipendenti  da  condizioni  di  vulnerabilita'  della  persona  e  da
situazioni dei paesi di origine non tutte predeterminabili ex ante. 
    75. Sotto il profilo strettamente giuridico, cio' appare  diretta
conseguenza  della  stessa  dizione  dell'art.  10,  comma  3,  della
Costituzione. Le liberta' democratiche a cui la norma fa  riferimento
attengono, infatti, in via immediata e diretta alla soddisfazione dei
diritti   fondamentali   della   persona.   Sennonche',   i   diritti
fondamentali sono strutturalmente incompatibili con  costruzioni  che
ne imbriglino preventivamente il contenuto e le  possibili  forme  di
violazione. Cio' e',  peraltro,  confermato  dalla  lunga  evoluzione
interpretativa dell'art. 2 Cost., nel quale l'art. 10, comma 3, Cost.
deve individuare il proprio  principale  cardine  di  interpretazione
sistematica. 
    76. Si  pensi,  a  titolo  esemplificativo,  alle  vulnerabilita'
conseguenti  le  violenze  patite  in  Libia  (10)  Come  si   poteva
prevedere, prima del 2011, che il solo transito in tale Paese avrebbe
esposto  la  persona  a  crimini  quali,  a  titolo  esemplificativo,
sequestro di persona a scopo d'estorsione  aggravato  dalla  morte  e
violenza sessuale (11) ? O, ancora, come si possono  prevedere  gravi
epidemie, quali quelle che hanno recentemente colpito numerosi  paesi
(12) ? 
    77. Questi rilievi trovano, peraltro, conferma nel parere del  21
novembre 2018 emanato, ai sensi dell'art. 10 legge 24 marzo 1958,  n.
195, dal Consiglio Superiore della Magistratura il quale ha  espresso
riserve sull'abrogazione  della  protezione  umanitaria  operata  dal
decreto censurato, proprio sulla base del fatto che «la  tipizzazione
legislativa  delle  ipotesi   di   protezione   realizzata   con   il
decreto-legge in esame, in  astratto  pienamente  legittima,  e,  per
alcuni versi anche auspicabile in un'ottica di certezza del  diritto,
e' pero' certamente non esaustiva, essendo  ipotizzabili  mutevoli  e
varie situazioni di vulnerabilita', potenzialmente idonee  a  fondare
la richiesta di  protezione  dello  straniero  per  motivi  umanitari
[...].  L'abrogazione  dell'istituto  della  protezione  per   motivi
umanitari  potrebbe  condurre  ad  una  riespansione  dell'ambito  di
operativita' dell'art. 10, comma 3  Cost.  immediatamente  azionabile
innanzi al giudice ordinario. Parimenti analoga riespansione potrebbe
verificarsi  con   riferimento   a   diverse   posizioni   soggettive
costituzionalmente garantite, quali, ad esempio, quelle afferenti  il
diritto alla salute (art. 32 Cost.),  cio'  anche  in  considerazione
della tassativita' delle fattispecie previste  per  il  rilascio  dei
permessi c.d. speciali. Cio' potrebbe comportare  il  verificarsi  di
un'incertezza sullo status dello straniero al quale  e'  riconosciuta
la tutela dei diritti costituzionali, senza la mediazione della fonte
legislativa primaria, essendo rimesso  all'autorita'  giudiziaria  il
compito di definire il perimetro della condizione  del  titolare  del
diritto, con riferimento, ad esempio, al divieto di respingimento, al
diritto a soggiornare nel  territorio  dello  Stato,  all'accesso  al
lavoro, alle cure mediche,  ai  servizi,  all'iscrizione  anagrafica,
laddove, invece, il permesso  per  motivi  umanitari  determinava  (e
determina  nel  caso  dei  «neo»  permessi  per  casi  speciali)  una
condizione  ben  definita.  La  conseguenza  di  tale  condizione  di
incertezza, generata dalla novella legislativa,  potrebbe  essere  un
possibile incremento del contenzioso ed un ritardo nella  tutela  dei
diritti fondamentali degli stranieri vulnerabili» (13) . 
    78.  La  ristrettezza  dei  presupposti  che   sostituiscono   la
previgente protezione umanitaria e che  nell'attuale  assetto,  nelle
intenzioni del legislatore (o meglio del Governo, che a  esso  si  e'
illegittimamente surrogato), dovrebbero dare  sufficiente  attuazione
all'art. 10, comma  3,  della  Costituzione,  emerge  non  appena  si
vaglino le nuove forme di protezione complementare  introdotte  dalla
disciplina impugnata. 
    79. E' l'art. 1 del decreto-legge n. 113/2018, piu'  precisamente
ai commi 1, lettere a), b), c), d); comma 2,  lettera  a);  comma  6,
lettera a), d); comma 7, lettera  a);  comma  8;  comma  9,  ad  aver
espunto dall'ordinamento la forma atipica di protezione complementare
prevista espressamente dall'art. 5.6 decreto legislativo n. 286/1998.
Cio' e' avvenuto mediante una minuziosa e  precisa  eliminazione  dal
decreto legislativo n. 286/1998 (T.U. delle disposizioni  concernenti
la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme  sulla  condizione  dello
straniero), dal suo decreto del Presidente della Repubblica attuativo
(decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  394/1999)  e  dalla
disciplina  in  materia   di   protezione   internazionale   (decreto
legislativo n. 251/2007 e decreto legislativo  n.  25/2008)  di  ogni
riferimento non  solo  alla  protezione  umanitaria,  ma  anche  agli
obblighi costituzionali e internazionali che essa  contemplava  o  di
cui era attuazione. 
    80. Alla protezione umanitaria  e'  stata  sostituita,  in  primo
luogo, la c.d. «protezione speciale», introdotta dell'art.  1,  comma
2, lettera a) del decreto,  che  modifica  l'art.  32,  comma  3  del
decreto legislativo n. 25/2008.  L'accertamento  dei  presupposti  di
tale protezione «speciale» rimane  di  competenza  delle  Commissioni
territoriali,  per  la  valutazione  nel  merito  e  la   conseguente
trasmissione degli atti al Questore per il rilascio  di  un  permesso
annuale rinnovabile, non convertibile in permesso  di  soggiorno  per
motivi di lavoro. I presupposti per il  rilascio  del  permesso  sono
previsti dall'art. 19, commi 1 e 1.1 decreto legislativo n. 286/1998,
e attengono (i) al rischio che lo straniero venga espulso o  respinto
verso uno Stato in cui egli potrebbe «essere oggetto di  persecuzione
per motivi di  razza,  di  sesso,  di  lingua,  di  cittadinanza,  di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali  o  sociali
ovvero po[trebbe] rischiare di essere rinviato verso un  altro  Stato
nel quale non  sia  protetto  dalla  persecuzione»  nonche'  (ii)  al
divieto (introdotto dalla legge n. 110/2017) di respingimento «di una
persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi  di  ritenere
che essa rischi di essere sottoposta a tortura. Nella valutazione  di
tali motivi si tiene conto anche dell'esistenza, in  tale  Stato,  di
violazioni sistematiche  e  gravi  di  diritti  umani».  La  semplice
lettura  di  tali  articoli  rende  evidente  il   ristretto   ambito
applicativo  di  dette  previsioni  (ambito,   peraltro,   a   tratti
concorrente con le forme di protezione internazionale), le quali, per
le ragioni esposte di seguito, non sono in ogni caso  sufficienti  ad
assicurare il rispetto degli  obblighi  internazionali  collegati  al
divieto di respingimento (c.d. principio di non refoulement). A  cio'
occorre, altresi', aggiungere che  l'inconvertibilita'  del  permesso
costringe lo straniero a una irragionevole precarieta' del soggiorno,
in primo luogo poiche' essa determina la sua esclusione  dal  diritto
all'accoglienza  tanto  degli  SPRAR  (sistema  di   protezione   per
richiedenti asilo e rifugiati avviato nel  1989,  art.  1-sexies  del
decreto-legge n. 416/1989 convertito nella legge n.  39/1989)  quanto
nei CAS (Centri Accoglienza Straordinaria). 
    81.  Ulteriori  tipologie  di  permessi,   invece,   sono   stati
interamente demandati alla valutazione del Questore. 
    82. La prima e' quella del  permesso  per  cure  mediche  di  cui
all'art. 19, comma 2, lettera d)-bis decreto legislativo n. 286/1998,
introdotto mediante la  modifica  apportata  dall'art.  1,  comma  1,
lettera g) decreto-legge n. 113/2018,  che  viene  riconosciuto  allo
straniero qualora versi  «in  condizioni  di  salute  di  particolare
gravita', accertate mediante idonea documentazione rilasciata da  una
struttura sanitaria pubblica o da  un  medico  convenzionato  con  il
Servizio  sanitario  nazionale,  tali  da  determinare  un  rilevante
pregiudizio alla salute degli stessi, in caso di rientro nel Paese di
origine o di provenienza». La durata di tale  permesso  e'  vincolata
all'esigenza di cura e non e'  prevista  la  sua  convertibilita'  in
altro titolo. 
    83. La seconda e' quella prevista dall'art. 1, comma  1,  lettera
h) del decreto impugnato,  che  introduce,  all'art.  20-bis  decreto
legislativo n. 286/1998, il permesso per calamita' naturali, che puo'
essere accordato allo straniero per le ipotesi in cui «il Paese verso
il quale [egli] dovrebbe fare ritorno vers[i] in  una  situazione  di
contingente ed eccezionale calamita' che non consente il rientro e la
permanenza in condizioni di sicurezza». Si tratta, nuovamente, di  un
titolo di soggiorno  di  breve  durata  (sei  mesi,  rinnovabili  per
ulteriori sei), il quale non puo' essere convertito in  permesso  per
motivi di lavoro. 
    84. Infine, su proposta  del  Prefetto  competente,  il  Ministro
dell'interno puo' rilasciare, in favore dello straniero, un  permesso
qualora egli abbia compiuto  «atti  di  particolare  valore  civile»,
(nuovo  art.  42-bis  decreto  legislativo  n.  286/1998   introdotto
dall'art. 1, comma 1, lettera q) del decreto impugnato). E',  questa,
l'unica ipotesi di non breve durata (due  anni)  e  che  consente  la
conversione del titolo in permesso per motivi di lavoro. 
    85. Occorre porre in luce come la natura di  diritto  soggettivo,
riconosciuta da costante giurisprudenza  alla  protezione  umanitaria
(si veda, da ultimo, Cassazione, sez. un. , ordinanza n. 11535/2009),
si pone in netto contrasto con la procedura  prevista  per  le  nuove
ipotesi  di  protezione,  la  cui  competenza  viene  attribuita   al
Questore, posto che la nuova disciplina nulla prevede in merito  alle
modalita' di rilascio e alla posizione giuridica dello straniero  nel
periodo di pendenza della  propria  richiesta  innanzi  all'autorita'
amministrativa (14) 
    86. La  disciplina  descritta  determina  plurime  violazione  di
principi costituzionali e di obblighi  internazionali.  L'abrogazione
della protezione umanitaria  non  solo  priva  diverse  tipologie  di
persone, che non rientrano nelle nuove tipizzazioni, di aspettative e
diritti di cui sono titolari alla luce del diritto internazionale  (e
dunque anche della stessa Costituzione italiana). Come conseguenza di
cio',  essa  impedisce  alla   Regione   di   adempiere   ai   doveri
costituzionali che le sono propri in virtu' delle competenze ad  essa
attribuite. La disciplina impugnata, in  altre  parole,  impone  alla
Regione la violazione di obblighi costituzionali strettamente  legati
a proprie competenze costituzionale dirette. 
    87.  Per  poter  compiutamente  argomentare  il  secondo  profilo
(quello che direttamente attiene alla  violazione  delle  prerogative
regionali), occorre, preliminarmente, vagliare il  primo  (e,  cioe',
quello relativo  alla  violazione  dei  diritti  individuali  che  la
disciplina impugnata comporta). 
    88. A tal proposito, va innanzitutto  vagliata  la  posizione  di
quegli stranieri i quali,  presenti  sul  territorio  dello  Stato  e
richiedenti la protezione internazionale  o  forme  complementari  di
protezione, versano in situazioni di fatto che, rientranti nell'alveo
applicativo della precedente protezione umanitaria, non trovano  oggi
tutela all'interno delle nuove forme di protezione tipiche introdotte
dal decreto oggetto del presente ricorso. 
    89. Diverse sono le ipotesi in cui la  situazione  di  fatto  non
trova piu' tutela (15) , alcune  delle  quali  in  aperta  violazione
degli obblighi internazionali. Ci si riferisce, in  primo  luogo,  al
diritto alla  tutela  della  vita  privata  e  familiare,  assicurata
dall'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, che la nuova disciplina  non
permette di valutare ai fini di rilascio del permesso,  in  tal  modo
impedendo che i diritti che da tale norma discendono  possano  essere
oggetto di valutazione (e  conseguente  bilanciamento)  ai  fini  del
riconoscimento di un valido titolo di permanenza sul territorio dello
Stato. 
    90. E' infatti noto  come  la  giurisprudenza  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali faccia discendere, dall'art. 8, non soltanto una  tutela
di natura negativa (che comporta  un  corrispondente  dovere  di  non
interferenza da parte del  potere  pubblico)  ma  anche  obblighi  di
natura positiva, direttamente ascrivibili agli Stati contraenti  (16)
.  Cio'  avviene,  tipicamente,  in  materia  di  immigrazione,   ove
l'applicazione di una misura di allontanamento nei confronti  di  una
persona  che,  nello  Stato  di  accoglienza,  ha  costruito   legami
personali e familiari forti e stabili (e, dunque, rilevanti ex art. 8
CEDU) finisce necessariamente per  violare  il  richiamato  parametro
della Convenzione. 
    91. Occorre, a tal proposito, osservare come, proprio in forza di
cio', la protezione umanitaria veniva tradizionalmente accordata,  da
parte delle Commissioni territoriali, anche sulla base di valutazioni
afferenti alla vita privata e  familiare  dello  straniero.  Il  caso
tipico era quello dello straniero il quale aveva stabilito in  Italia
il centro dei propri interessi  o,  ancora,  di  colui  che,  sebbene
«straniero», era nato in Italia, ove risiedevano i propri famigliari.
Sulla base del medesimo presupposto giuridico (rispetto  dell'art.  8
CEDU), veniva riconosciuto il permesso al minore (e  ai  genitori  di
quest'ultimo)  il  quale,  nato  e  cresciuto  in   Italia,   parlava
principalmente la lingua italiana  e  in  Italia  aveva  condotto  il
proprio percorso  di  studi  (17)  .  Sempre  ai  sensi  dell'art.  8
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, la protezione umanitaria veniva  accordata  al
richiedente che aveva costituito una coppia, anche di fatto, con  una
persona straniera proveniente da un diverso paese. 
    92. Cio' era in linea con la giurisprudenza della  Corte  europea
dei diritti dell'uomo, la quale qualifica  il  rimpatrio  quale  atto
potenzialmente idoneo a cagionare una violazione diretta dell'art.  8
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta'  fondamentali,  ove  esso  sia  conseguenza  di  un   errato
bilanciamento di interessi (si veda, sul punto,  la  condanna  subita
dall'Italia in Hamidovic v. Italia, sentenza n. 31956/05, ma si  veda
anche,  sempre  nella  giurisprudenza  Convenzione  europea  per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
Uner  c.  Paesi  Bassi,   Grande   Chambre,   no.   46410/99).   Tali
considerazioni restano maggiormente valide nei casi  di  migranti  di
seconda generazione,  alla  luce  della  loro  lunga  permanenza  nel
territorio regionale. 
    93. Proprio da cio' nasce l'interesse della Regione a non  vedere
sprofondare nell'irregolarita', e  nella  conseguente  «cifra  oscura
dell'immigrazione», stranieri per i quali sono stati  messe  in  atto
dall'amministrazione  regionale,  in  adempimento  del  suo   mandato
costituzionale,  misure  e  investimenti  inerenti  l'istruzione,  la
formazione, l'accesso al mercato del lavoro e alla sanita' (si  veda,
per gli investimenti di Regione Piemonte, l'Allegato 2). 
    94. L'interesse della comunita' a una societa' coesa  infatti  si
accompagna e si proietta direttamente nel diritto del  richiedente  a
vedere garantito il rispetto della propria vita privata  e  familiare
(art. 8 CEDU). Il trascorrere di un lungo periodo di tempo nel  paese
ospitante, il quale ha promosso l'integrazione  dello  straniero  nel
proprio tessuto sociale, fa sorgere, infatti, in capo a  quest'ultimo
il diritto a continuare a godere della propria vita privata (alla cui
costituzione ha contribuito in primis l'amministrazione della Regione
e degli enti locali)  e  familiare  (si  pensi  ai  bambini  nati  in
Italia),   rispetto   che   e'   strutturalmente   dipendente   dalla
possibilita' di permanere nel territorio dello  Stato.  Tale  diritto
non ha piu', al  momento,  una  tutela  esigibile  (alla  luce  della
mancanza di una norma di tutela ad hoc e di un  conseguente  rilascio
di un permesso di soggiorno), cio' che e'  chiaramente  in  contrasto
con i parametri di cui agli articoli 2, 3 e 117  Cost.  (quest'ultimo
con riferimento all'art. 8 CEDU). 
    95. Le richiamate esigenze  di  tutela  appaiono  particolarmente
pressanti con riferimento a coloro che avevano presentato domanda  di
protezione  internazionale  prima  dell'entrata   in   vigore   della
disciplina impugnata,  con  la  (legittima)  aspettativa  di  vedersi
riconosciuta l'abrogata forma di  protezione  anche  (e  soprattutto)
sulla base di motivi non sussumibili nelle neo-introdotte fattispecie
tipiche. Per ragioni di natura procedurale,  nonche'  per  lungaggini
imputabili  all'amministrazione  pubblica,   (18)    tale   legittima
aspettativa e' oggi messa a rischio, e cio' con chiara violazione del
principio   di    ragionevolezza,    eguaglianza    e    di    tutela
dell'affidamento, i quali individuano negli articoli 3 e 97 Cost. gli
agganci costituzionali diretti. 
    96. Il principio per cui, in materia di immigrazione e asilo,  il
ritardo dell'amministrazione non puo' risolversi in un danno  per  il
richiedente  e'  stato,   peraltro,   affermato   chiaramente   dalla
giurisprudenza europea e, in particolare, dalla  Corte  di  giustizia
(C-550/16, 550/16, A and  S  v  Staatssecretaris  van  Veiligheid  en
Justitie, 12 aprile 2018 (19) ). D'altra parte,  detto  principio  e'
diretta conseguenza del necessario rispetto dell'eguaglianza di tutte
le persone davanti alla legge,  posto  che  trattare  differentemente
casi analoghi, per il solo fatto che l'uno e' stato  esaminato  prima
dell'altro, ammonta a una  chiara  (e  quasi  scolastica)  violazione
dell'art. 3, primo comma, Cost. 
    97.  La  ristrettezza  delle  nuove  fattispecie  di   protezione
introdotte dal decreto concreta inoltre una diretta violazione  delle
norme internazionali, di origine sia  pattizia  sia  consuetudinaria,
che costituiscono parametri interposti e indiretti  nel  giudizio  di
legittimita' costituzionale. 
    98. Sul punto, si rileva in primo luogo come i presupposti a  cui
e' ancorato il rilascio della c.d. «protezione speciale»  siano,  nel
contesto normativo  che  scaturisce  dal  decreto,  insufficienti  ad
assicurare il pieno rispetto del divieto di respingimento  (principio
di  non-refoulement),  riconosciuto  a  livello  europeo   (CEDU)   e
internazionale (Art. 33 Convenzione di Ginevra)  e  parte  integrante
del  nostro  ordinamento  costituzionale.   Infatti,   limitando   la
possibilita' di concedere tale forma di permesso nei soli casi in cui
sussiste il rischio che  in  caso  di  espulsione  lo  straniero  sia
esposto  a  «persecuzione»  o  «tortura»,  l'attuale  disciplina  non
consente di tenere conto di altre circostanze, quali  il  rischio  di
subire «trattamenti inumani e degradanti» (ex art. 3  CEDU)  o  altre
severe violazioni dei diritti umani, che  secondo  la  giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell'uomo sono  ugualmente  idonee  a
far sorgere il divieto di  respingimento  sancito  dalla  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali. (20) 
    99.   Sotto   altro   profilo,   una   violazione    dell'obbligo
internazionale di non refoulement e' ravvisabile  anche  nella  nuova
causa di inammissibilita' della domanda di protezione  internazionale
introdotta dall'art. 9,  comma  1,  lettera  d),  del  decreto.  Tale
disposizione sancisce, infatti, che la domanda reiterata  durante  la
fase  di  esecuzione  di  un  provvedimento  di  allontanamento   sia
dichiarata   automaticamente   inammissibile,   senza   alcun   esame
preliminare, sulla base della presunzione assoluta che  tale  domanda
sia  stata  presentata  «al  solo  scopo  di  ritardare  o   impedire
l'esecuzione  del  provvedimento  stesso»,  e  sia  quindi  puramente
abusiva e dilatoria. Indipendentemente dalla ragionevolezza  di  tale
presunzione, e' evidente che l'automatismo  introdotto  dal  decreto,
nella misura in cui impedisce qualsiasi forma di  valutazione,  anche
solo preliminare, da parte delle autorita' competenti, puo'  condurre
all'espulsione del richiedente in uno Stato in  cui,  a  seguito  del
mutamento delle circostanze fattuali, si e' concretizzato un  rischio
di persecuzione, tortura o di qualunque  altro  abuso  idoneo  a  far
sorgere il divieto di refoulement, determinando cosi' una  violazione
del divieto di espulsione a cui l'Italia e' sottoposta ai  sensi  del
diritto internazionale ed europeo. Significativamente, anche le fonti
comunitarie, e segnatamente la direttiva 2013/32/UE,  nel  consentire
agli Stati membri di regolare le procedure applicabili  alle  domande
reiterate, prescrivono  inderogabilmente  uno  scrutinio  preliminare
sulla presenza di  circostanze  nuove,  affinche'  «la  decisione  di
rimpatrio non comporti  il  "refoulement"  diretto  o  indiretto,  in
violazione degli obblighi incombenti  allo  Stato  membro  a  livello
internazionale  e  dell'Unione»  (ex  art.  41,  comma  1,  direttiva
2013/32/UE). 
    100.  Piu'  in  generale,  e'  l'intero  impianto   della   nuova
disciplina che, perseguendo  un  drastico  arretramento  dei  diritti
fondamentali degli immigrati e creando un  quadro  normativo  a  loro
ostile, si pone in contrasto con il principio internazionale  di  non
refoulement. E' ormai ampiamente riconosciuto, infatti,  che  secondo
il diritto internazionale vivente tale  principio  non  si  limita  a
porre un divieto di espulsioni dirette e formali ma che esso preclude
anche l'adozione di provvedimenti che piu' in generale sono  volti  a
creare le circostanze affinche' l'individuo  protetto  dal  principio
del non refoulement sia di fatto costretto a fare ritorno nel proprio
Stato  d'origine.  (21)   Ebbene,  questa  fattispecie  e'  integrata
proprio dal decreto, il quale, come si vedra' anche in seguito, oltre
a eliminare l'istituto  della  protezione  umanitaria,  impedisce  il
pieno accesso, anche per chi beneficia di una delle  nuove  forme  di
protezione, a diritti minimi e fondamentali, quali  il  diritto  alla
salute. 
    101.  Occorre,  inoltre,  evidenziare  come,  in  pendenza  della
domanda, i richiedenti protezione internazionale abbiano  beneficiato
dell'accoglienza (anche finanziata con risorse regionali)  e  abbiano
partecipato ad attivita' formative (corsi di formazione professionale
finanziati dalla Regione) e di accesso al lavoro (tirocini formativi,
borse lavoro e scolastiche, corsi di  italiano  ecc).  Tali  soggetti
sono stati inoltre oggetto di screening medico-sanitario, iscritti al
SSN  e  inseriti  in  termini  di  programmazione  tra   i   soggetti
beneficiari  dei  servizi  socio-sanitari  regionali.  La  situazione
giuridica  in  cui  versano  con  l'adozione  del  decreto  impugnato
comporta,  a  tacere  delle  sofferenze   individuali   e   familiari
crudelmente inflitte per (riteniamo) pura  propaganda  politica,  una
mancanza di ritorno dell'investimento sostenuto dalla  collettivita',
con conseguente violazione dell'art. 117 Cost., causando un danno  in
cui   e'   possibile   ravvisare   un   lucro   cessante   in    capo
all'amministrazione regionale. 
    102.  Cio'  appare  evidente  se  si  pensa  a  quanto  la  nuova
disciplina prevede con  riferimento  a  coloro  che,  gia'  titolari,
magari da diversi anni, di protezione umanitaria, ai sensi  dell'art.
1.8 del decreto impugnato, non potranno averla rinnovata poiche'  non
rientranti  nei  piu'  stringenti  parametri  delle  nuove  forme  di
protezione o non riusciranno nella conversione del permesso in motivi
di lavoro/familiari. 
    103. D'altra parte, il decreto de quo prevede una  disciplina  di
diritto intertemporale particolarmente lacunosa e confusa. 
    104. All'art. 1.9 e' previsto che  «Nei  procedimenti  in  corso,
alla data di entrata in vigore del presente decreto, per i  quali  la
Commissione territoriale non ha  accolto  la  domanda  di  protezione
internazionale e ha ritenuto sussistenti gravi  motivi  di  carattere
umanitario allo straniero e'  rilasciato  un  permesso  di  soggiorno
recante la dicitura "casi speciali"  ai  sensi  del  presente  comma,
della durata di due anni, convertibile in permesso di  soggiorno  per
motivi di lavoro autonomo o subordinato. Alla scadenza  del  permesso
di soggiorno di cui al presente comma, si applicano  le  disposizioni
di cui al comma 8». La disposizione in analisi,  come  evidente,  non
risolve la maggior parte delle questioni  di  diritto  intertemporale
conseguenti  all'approvazione  della  nuova  disciplina.   Le   norme
suddette, a ben leggerle,  riguardano  (comma  8)  la  procedura  del
rinnovo del permesso umanitario gia' rilasciato  secondo  le  vecchie
norme (ove si tratti di dare corso al procedimento  con  il  rilascio
del permesso di soggiorno, apparendo la norma indirizzata ai Questori
e  volta  a  precisare  talune  modalita'  di  tipo  attuativo  nella
peculiare ipotesi delineata)  ed  i  casi  (comma  9)  nei  quali  la
commissione territoriale si sia gia' pronunciata e non abbia  accolto
la domanda  di  protezione  internazionale,  riconoscendo  invece  la
sussistenza dei gravi motivi di carattere umanitario. 
    105. In questo ultimo caso, la commissione rilascia una sorta  di
permesso di soggiorno speciale. 
    106. Per contro, non vi sono disposizioni specifiche per  i  casi
in cui la commissione  non  si  sia  ancora  pronunciata,  o  si  sia
pronunciata  negativamente,  con  la  conseguenza   che   il   regime
intertemporale non  riguarda  la  fase  amministrativa  in  corso  di
svolgimento davanti alla commissione. Del pari, il regime transitorio
non riguarda nemmeno la successiva fase giurisdizionale  (fase  nella
quale il diritto e' ancora nello stadio giuridico dell'accertamento). 
    107. Le norme transitorie riguardano dunque solo i casi nei quali
il diritto sia gia' stato accertato sin  dalla  fase  amministrativa.
Esempi paradigmatici sono dunque il caso in cui l'istruttoria per  la
domanda  di  protezione  sia  da  ritenersi   pendente   poiche'   il
richiedente ha gia' sostenuto l'audizione  innanzi  alla  Commissione
territoriale ovvero quello di coloro  che  non  potrebbero  ritenersi
tutelati ai sensi della modificata normativa. 
    108. Cio' appare contrario a quanto  piu'  volte  espresso  dalla
Corte di cassazione, la  quale  ha  sostenuto  che  il  principio  di
irretroattivita' della legge (art. 11 preleggi) puo' essere  derogato
solo  qualora  cio'  sia  espressamente   previsto   da   un'apposita
disposizione  di  diritto  transitorio  (sul  punto  si  puo'  vedere
Cassazione, Sez. Lav., 9462/2015). 
    109. Con riferimento a coloro i quali sono invece  gia'  titolari
di protezione umanitaria, l'art. 1.8.  prevede  che  «e'  rilasciato,
alla scadenza, un permesso di soggiorno ai sensi dell'art. 32,  comma
3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n.  25,  come  modificato
dal presente decreto, previa valutazione della competente Commissione
territoriale sulla sussistenza dei presupposti di  cui  all'art.  19,
commi 1 e 1.1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».  Come
gia' rilevato, tali presupposti non corrispondono a quelli del  primo
rilascio e anche qualora la domanda di rinnovo avesse quale esito  il
riconoscimento  della  protezione  speciale  essa  non  comporta   la
medesima titolarita' di diritti e stabilita'. 
    110. La disciplina intertemporale  risulta  pertanto  parziale  e
determina una confusione interpretativa che puo' causare applicazioni
irragionevoli,  discriminatorie  e  pregiudizievoli   a   danno   dei
richiedenti (in particolare di coloro che hanno fatto  domanda  della
vigenza della precedente  disciplina  e  non  hanno  ancora  ricevuto
risposta). Le disposizioni introdotte dal decreto che qui  censuriamo
necessitano pertanto di approfondito esame da parte di codesta  Corte
costituzionale essendo del tutto plausibile, soprattutto dal punto di
vista dell'impatto (di  natura  inter-temporale)  con  le  situazioni
giuridiche pendenti, nelle quali il diritto puo' dirsi gia' entrato a
far  parte  delle  situazioni  soggettive,   che   emergano   profili
sostanziali di rilevanza costituzionale  invocabili  dallo  straniero
entrato nel territorio nazionale. Le  norme  richiamate  si  pongono,
secondo questo ricorrente, in contrasto con l'art. 3 Cost. sia  sotto
il  profilo  dell'eguaglianza  formale   sia   sotto   quello   della
ragionevolezza. 
    111. La lacunosita' della  disciplina  intertemporale  approntata
dal decreto censurato e' stata, peraltro, gia' posta  in  luce  dalla
giurisprudenza di merito, la quale ha affermato come, di fatto, nella
disciplina impugnata manchi una vera e propria regolamentazione delle
ipotesi di diritto intertemporale, al punto che, in taluni  casi,  si
sono ritenute applicabili le preleggi (22) . 
    112. La disciplina in parola e' stata  peraltro  censurata  anche
dalla Procura generale presso la Corte di cassazione la quale,  nella
requisitoria del 15 gennaio 2019, ha posto in luce come il  principio
di irretroattivita' assurga a parametro costituzionale attraverso  il
medio dei canoni della ragionevolezza e dell'eguaglianza sostanziale,
entrambi violati nella disciplina impugnata. 
    113. Essa  risulta  cosi'  contrastante  con  i  piu'  elementari
criteri di ragionevolezza e uguaglianza, cosi  come  tradizionalmente
interpretati,   con   specifico   riferimento   al    principio    di
irretroattivita', dalla giurisprudenza costituzionale (ex multis,  C.
cost., n. 78 del 2012 e n. 209 del  2010),  sovranazionale  (pronunce
della Corte europea dei diritti dell'uomo 11 dicembre 2012,  De  Rosa
contro Italia; 14 febbraio 2012, Arras contro Italia; 7 giugno  2011,
Agrati contro Italia; 31 maggio 2011, Maggio contro Italia; 10 giugno
2008, Bortesi contro Italia; Grande Camera, 29 marzo  2006,  Scordino
contro Italia) e di legittimita' (cfr. Cassazione  civ.,  sez.  I,  3
luglio 2013 n. 16620; Sezioni Unite nn. 2926/67, 2433/00 e 14073/02). 
    114. Venendo,  ora,  all'ultima  categoria  di  soggetti,  appare
opportuno rilevare come, anche qualora riconosciute, le  nuove  forme
di  protezione  (protezione  speciale,  cure  mediche  e   calamita')
determinano una violazione dei diritti fondamentali della persona, in
grado  di  riverberarsi  (ridondare)  sulle   prerogative   e   sulle
competenze regionali. Esse comportano,  infatti,  permessi  di  breve
periodo, non convertibili  in  titoli  di  soggiorno  per  motivi  di
lavoro,  e,  dunque,  in  titoli  piu'  stabili  che  consentono   il
radicamento del soggetto sul territorio. 
    115. In tal modo, lo sforzo, economico e sociale, sostenuto dalla
Regione nell'erogazione di servizi a tali soggetti non  si  trasforma
in un risultato collettivo di efficace inclusione nel tessuto sociale
ed economico:  una  inclusione  che,  stante  l'invecchiamento  della
popolazione piemontese e il conseguente  bisogno  di  inserimento  di
energie nuove a supporto della intera collettivita' (per  «pagare  le
pensioni», come talvolta  si  dice!)  costituisce  una  politica  non
soltanto ragionevole ma anche necessaria (23) . Al contrario, a  cio'
vengono opposti irragionevoli ostacoli, il cui  unico  fondamento  e'
riscontrabile nella nazionalita' dei soggetti coinvolti,  con  palese
violazione  degli  articoli  2  e  3  Cost.  da   parte   di   questa
irragionevole impronta xenofoba del decreto. 
    116.  A  cio'  occorre  altresi'  aggiungere  che  la  disciplina
censurata ha l'effetto di aumentare la platea dei soggetti irregolari
sul territorio regionale. In tal modo, essa impedisce alla Regione di
adempiere (e di  farlo  in  modo  efficiente)  a  obblighi  che  sono
costituzionalmente di propria  competenza,  primi  tra  tutti  quelli
relativi alla tutela della salute (pubblica e individuale). 
    117. Occorre premettere che i diritti inviolabili di cui all'art.
2 Cost., secondo la giurisprudenza di  codesta  Corte  (Corte  cost.,
sentenza n. 249  del  2010),  spettano  ai  singoli  «non  in  quanto
partecipi di una determinata comunita' politica, ma in quanto  esseri
umani»; pertanto, «la condizione giuridica dello straniero  non  deve
essere... considerata - per quanto riguarda la tutela di tali diritti
-   come   causa   ammissibile   di   trattamenti   diversificati   e
peggiorativi». A tal riguardo, e' sufficiente richiamare, ex  multis,
Corte costituzionale  n.  172/2012;  n.  329/2011;  n.  249/2010;  n.
306/2008;    n.    287/2010;    e,    con    specifico    riferimento
all'applicabilita' del principio  universale  di  uguaglianza,  Corte
costituzionale n. 432/2005. Infine, si  richiama  la  sentenza  della
Corte  costituzionale  n.  299/2010,  secondo  cui:  «la   disciplina
relativa alla condizione giuridica degli stranieri - pur se connotata
da una discrezionalita' piu' ampia rispetto a quella che  riguarda  i
cittadini,  ancorata  a  parametri  costituzionali  di  regola   piu'
stringenti e puntuali - "non puo' limitarsi al  (doveroso)  controllo
dell'ingresso e soggiorno degli stranieri sul  territorio  nazionale,
ma   riguarda   necessariamente   altri    ambiti,    dall'assistenza
all'istruzione,  dalla  salute  all'abitazione,  che  coinvolgono   -
oltretutto - molteplici competenze normative, alcune attribuite  allo
Stato altre alle regioni"». 
    118. Tra questi diritti rientra senz'altro la tutela  di  quello,
inviolabile, alla salute (Corte cost.  sentenza  n.  148  del  2008).
Tuttavia il godimento di tale diritto,  richiamato  con  la  generale
previsione di cui all'art. 2, comma 1 decreto legislativo  n.  286/98
per  quanto  attiene  la  tutela  delle  esigenze  essenziali   della
condizione umana, e' modulato, come chiarito dal comma 2  del  citato
articolo (24) , dal soggiorno legale sul territorio dello  stato.  Ne
consegue che se da un lato si garantisce in ogni caso allo  straniero
l'accesso  alle  cure   salvavita,   dall'altro   la   caduta   nella
irregolarita' di persone che avevano diritto al riconoscimento a  una
protezione umanitaria  o,  ancor  peggio,  titolari  di  permesso  di
soggiorno  per  motivi  umanitari  non   rinnovato,   determina   una
significativa modifica dei loro diritti di accesso  alle  prestazioni
socio-sanitarie di carattere preventivo. Tale assetto  generera',  in
altre parole, un abuso dell'accesso a misure  emergenziali.  Cio'  e'
qui di indubbio interesse per la Regione: tanto in via  generale,  in
quanto l'attuazione della normativa in esame  aumenterebbe  l'impatto
quantitativo sui servizi d'emergenza e tanto,  nello  specifico,  dal
momento che, stanti  le  presenze  ormai  stabili  da  diversi  anni,
l'amministrazione ha incluso nella sua  attivita'  di  programmazione
dei servizi socio-sanitari i  quasi  20.000  titolari  di  protezione
umanitaria abitanti nel proprio territorio (25) . Improvvisamente  si
troverebbe, invece, a gestire un numero  piu'  alto  di  persone  che
pesano sui servizi emergenziali, rendendo vani gli investimenti fatti
sui  «servizi  ordinari»  e  frustrando  anche   gli   obiettivi   di
prevenzione della salute che la Regione ha fatto propri da tempo, con
conseguente  violazione  articoli  32,   97   e   117   primo   comma
Costituzione. Infatti, vale la pena di ricordare a  codesta  illustre
Corte che la ricorrente ha istituito, gia' a partire dagli anni  '90,
in occasione dei primi flussi migratori, i Centri informazione salute
immigrati presso le Aziende sanitarie locali individuate  (D.G.R.  n.
56.10571 del 15 luglio 1996: legge regionale  12  dicembre  1997,  n.
61). Il progetto oggi rappresenta un  servizio  capillare  che  copre
l'intero territorio regionale, dal momento che  a  partire  dal  2004
(con la delibera n. 43-14393 del 20  dicembre  2004)  esso  e'  stato
esteso a tutte le Aziende sanitarie locali:  i  Centri  non  soltanto
coordinano l'erogazione delle prestazioni sanitarie in attuazione  di
quanto disposto a livello nazionale, ma si  occupano  altresi'  degli
interventi di medicina preventiva, anche nella  forma  di  educazione
sanitaria e formazione permanente. Ogni Centro, inoltre, si occupa di
prestare  cure  ambulatoriali  e  ospedalieri  urgenti   o   comunque
essenziali, seguendo donne in gravidanza, assistendo i  minori  anche
attraverso un servizio di vaccinazione  ed  eseguendo  interventi  di
profilassi internazionali. 
    119. Il decreto impugnato e' idoneo a compromettere le  attivita'
di questi Centri, dal  momento  che,  occupandosi  di  interventi  di
urgenza  o  comunque  di  prestazioni  sanitarie  che  richiedono  un
processo  di  cura  e  attenzione  del  migrante,   garantite   anche
attraverso l'istituzione  di  servizi  di  mediazione  culturale,  si
troverebbero  a  ricevere  un  numero  piu'  alto  di  richieste   di
assistenza di carattere emergenziale, compromettendo la qualita'  del
servizio erogato e, con  essa,  l'investimento  della  Regione  nella
costruzione di un programma  che  ha  sempre  puntato  all'efficienza
dell'organizzazione e, quindi, della pubblica  amministrazione  (art.
97 Cost.). 
(B) Sugli interventi in materia di accoglienza. 
    120.  Con  argomenti  simili  a  quelli  in  ultimo  esposti,  la
ricorrente    Regione    Piemonte    intende    altresi'    lamentare
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  12   del   decreto   ivi
impugnato,  su  presupposto  della  sua  irragionevolezza  e  portata
discriminatoria che,  ancora  una  volta,  obbliga  all'irregolarita'
tanti stranieri, condannandoli alla «cifra oscura  dell'immigrazione»
e costringe la Regione, in pregiudizio alle sue competenze e in danno
alla  sua  economia,  a  interrompere   programmi   consolidati   che
prevedevano la partecipazione  di  queste  persone,  con  conseguente
spreco di risorse cospicue  investite  negli  anni  in  istruzione  e
formazione. Tutto cio' a detrimento dell'autonomia della Regione  nel
tracciare le linee dei propri investimenti e  in  danno  all'economia
regionale. 
    121. La disposizione impugnata  e'  l'art.  12  del  decreto  che
ridisegna l'intero sistema di accoglienza dei rifugiati, titolari  di
protezione internazionale e umanitaria,  nonche'  richiedenti  asilo,
intervenendo sulla platea dei beneficiari del sistema  di  protezione
per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR). Lo SPRAR, avviato nel 1989
(art. 1-sexies del decreto-legge n. 416/1989 convertito  nella  legge
n. 39/1989) e' il sistema di  accoglienza  territoriale,  pubblico  e
diffuso su tutto il territorio nazionale, che vede il  coinvolgimento
tanto delle istituzioni centrali che di  quelle  locali  secondo  una
logica di cooperazione  e  di  condivisione  di  responsabilita'.  La
recente riforma del sistema di accoglienza (d.lgs.  n.  142/2015)  di
derivazione sovrannazionale ha  confermato  la  configurazione  dello
SPRAR come sistema di  seconda  accoglienza  volto  a  superare  ogni
logica  emergenziale.  Proprio  il  «Piano  operativo  nazionale  per
fronteggiare il flusso straordinario di  cittadini  extracomunitari»,
(26)   risultato  della  Intesa  raggiunta  in  sede  di   Conferenza
unificata il 10 luglio 2014 tra Stato,  regioni  ed  enti  locali  ha
sancito  l'ordinarieta'  e  la  strutturalita'  della   presenza   di
richiedenti asilo, titolari di protezione internazionale e umanitaria
sul territorio della Repubblica. 
    122.  I  profili  specifici  qui  di  interesse  attengono   alle
disposizioni transitorie contenute nei commi 5 e 6 dell'art.  12  del
decreto censurato. Tali  disposizioni  prevedono  che  i  richiedenti
asilo e i titolari di protezione umanitaria presenti nei centri SPRAR
potranno rimanere all'interno del sistema di  accoglienza  fino  alla
scadenza del progetto in corso gia' finanziato. Scaduto il  progetto,
i richiedenti  asilo  dovranno  essere  collocati  in  un  Centro  di
accoglienza  straordinaria.  I  titolari  di  protezione   umanitaria
saranno,  invece,   espulsi   dal   sistema   dall'accoglienza,   pur
trattandosi di persone regolarmente soggiornanti sul territorio dello
Stato. 
    123. Giova qui ricordare che a gennaio 2018 la  Regione  Piemonte
ospitava all'interno dei centri CAS e SPRAR  13.523  persone  (27)  .
Sono  348  (28)   i  comuni  del  Piemonte  che  ospitano  centri  di
accoglienza. Un dato che rappresenta ben il  10%  dei  comuni  che  a
livello nazionale ospitano richiedenti asilo e titolari di protezione
internazionale e umanitaria. Il modello piemontese, in ossequio  alle
migliori pratiche in  materia,  si  basa  soprattutto  sul  principio
dell'accoglienza diffusa, il quale trova applicazione non solo  negli
SPRAR ma anche nei centri di  accoglienza  speciali  (CAS).  Cio'  e'
confermato dai dati: il numero medio degli ospiti dei CAS  piemontesi
e' pari a 12,7 unita'  per  centro  (29)  ;  ciascuna  provincia,  in
Piemonte, consta di una  presenza  uniforme  di  stranieri,  con  una
presenza piuttosto uniforme e pari a circa lo 0.34% della popolazione
in eta' lavorativa. 
    124. Si tratta di un'accoglienza diffusa, non emergenziale e  che
ha  fatto  dell'integrazione  il   suo   carattere   distintivo.   Ai
finanziamenti nazionali previsti  per  l'accoglienza,  gestiti  dalla
Prefettura, la Regione ha affiancato, nel rispetto delle sue precipue
competenze,  risorse  ingenti   per   favorire   l'integrazione   dei
richiedenti asilo, titolari di protezione internazionale e umanitaria
presenti sul suo territorio. Gli interventi  regionali  per  favorire
l'integrazione delle persone di origine  straniera  sono  numerosi  e
riguardano, per quanto  qui  di  maggiore  interesse,  la  formazione
civico-linguistica dei soggetti ospiti nelle strutture,  l'inclusione
lavorativa  e  il  rafforzamento  della  capacita'  dei  servizi   di
rispondere in maniera adeguata ai bisogni dei nuovi soggetti presenti
sul suo territorio.  Lo  sforzo  di  programmazione  e  progettazione
compiuto anche con gli enti locali ha portato la Regione a  destinare
fondi di sviluppo regionale, oltre ad altre  risorse  regionali,  per
interventi di inclusione e di  informazione  pubblica.  Inoltre,  nel
biennio 2016-2018, la Regione ha investito circa 7 milioni  di  euro,
ottenuti  mediante  la  partecipazione   a   bandi   competitivi   di
finanziamenti europei (fondi FAMI). 
    125.  Per  chiarire  la   portata   non   solo   finanziaria   ma
organizzativa degli sforzi  realizzati  basti  rilevare  che  tra  il
2016-2018 sono stati realizzati 384 corsi di formazione linguistica e
sono stati formati oltre 1500 operatori. Al 15 gennaio 2019 risultano
iscritti al centro per l'impiego 6.803  persone  (richiedenti  asilo,
titolari di protezione internazionale e umanitaria) e 6.955 risultano
occupati o in tirocinio formativo. 
    126. Gli ingenti investimenti rischiano oggi di venire vanificati
causando un danno economico e sociale alla  Regione.  I  titolari  di
protezione   umanitaria   espulsi   dall'accoglienza   rischiano   di
ritrovarsi in una situazione di completa marginalita' sociale qualora
non siano in grado di accedere a una diversa soluzione abitativa,  in
proprio o in forza di altre risorse offerte dal  territorio,  con  un
aggravio  dell'impegno   economico   della   Regione,   costretta   a
intervenire con nuove risorse. Allo  stesso  modo,  gli  investimenti
sostenuti per la  formazione  e  l'inclusione  lavorativa  di  queste
persone rischiano di essere vanificati dalla  improvvisa  precarieta'
in cui esse  sprofonderanno.  L'ottenimento  di  nuovi  finanziamenti
europei per  programmi  di  inclusione  sociale  diviene  assai  piu'
difficile. 
    127. A  tale  profilo  vanno  aggiunte  le  ricadute  in  termini
occupazionali sul territorio, non soltanto per i  migranti  ma  anche
per i cittadini italiani addetti  a  tali  programmi.  Parallelamente
alle modifiche del decreto impugnato, il  Ministero  dell'interno  ha
approvato il nuovo capitolato di appalto per la gestione  dei  Centri
di accoglienza che le  Prefetture  dovranno  utilizzare  nelle  nuove
procedure  di  evidenza  pubblica.  Il  nuovo  capitolato  opera   un
significativo taglio dei finanziamenti, riducendo il cd.  pro  capite
pro die da 35 euro a una forbice compresa tra 19 e  26  curo.  Questi
tagli,  come  individuato  dai  primi  studi  economici   realizzati,
tenderanno a favorire strutture di grandi dimensioni in grado di fare
economie di scala a detrimento dell'accoglienza diffusa,  individuata
come best practice dalla Intesa Stato-regioni  e  da  questa  Regione
attuata. Le stime realizzate a livello nazionale individuano i  tagli
occupazionali per i territori che non si  riconvertiranno  ai  grandi
centri di accoglienza pari al 50% degli attuali occupati. Inoltre,  i
tagli dei servizi investono in particolare i servizi  sanitari  e  la
tutela dei soggetti vulnerabili che cosi' ricadranno  pesantemente  e
senza nessuna programmazione sul bilancio regionale. 
    128. In altre parole,  l'art.  12  (commi  5  e  6)  del  decreto
impugnato, nel porre fine ai progetti di accoglienza di cui  all'art.
1-sexies del decreto-legge n.  416/1989  convertito  nella  legge  n.
39/1989, di fatto costringe le regioni  a  sprecare  ingenti  risorse
(stranded costs) spese negli anni per l'integrazione, la formazione e
l'accoglienza, materie  di  sua  indiscussa  competenza.  Oltre  alle
risorse spese negli  anni  per  la  formazione  di  persone  che  mai
potranno restituire all'economia formale ma che rischiano  di  andare
ad arricchire il settore del mercato nero e della  criminalita',  (in
violazione  dell'autonomia  economica  e  del  buon  andamento  della
pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost.), l'interruzione di
programmi  di  integrazione  virtuosa  delle   popolazioni   migranti
producono un evidente fenomeno di lucro  cessante,  sotto  forma  dei
programmi europei ed internazionali i cui flussi economici cesseranno
di irrogare il tessuto economico della Regione. 
(C) Sul divieto di iscrizione all'anagrafe. 
    129.  Sono  molti  i  sindaci  che,  nella  propria  qualita'  di
ufficiali  dell'anagrafe,  hanno  dichiarato  di  voler  disapplicare
l'art. 13 del decreto impugnato, nella parte in  cui  prevede  che  i
richiedenti  asilo,  in  attesa  di  una  decisione  da  parte  della
Commissione  territoriale,  non  possano   iscriversi   ai   registri
anagrafici.  La  disposizione  e'  dettata  da  un   palese   intento
discriminatorio   nei   confronti    dei    richiedenti    protezione
internazionale, i quali (lungi dall'essere considerati  esseri  umani
dotati di diritti fondamentali protetti  dall'ordinamento  interno  e
internazionale) vengono di  fatto  presentati  all'opinione  pubblica
come una crescente e incontenibile  ondata  di  potenziali  criminali
pronti a ogni tipo di raggiro pur di entrare abusivamente a far parte
della comunita' nazionale  italiana.  Come  acutamente  osservato  da
recente dottrina  costituzionalistica  (30)  ,  lo  stereotipo  dello
straniero criminogeno  costituisce  uno  dei  capisaldi  della  parte
politica che si e' intestata il «merito» del decreto c.d. Sicurezza e
innerva pure l'abominio giuridico di una  cittadinanza  precaria  che
mai consentira' agli stranieri di  essere  effettivamente  equiparata
agli italiani. 
    130.  Nello  specifico,  l'art.  13  del  decreto,   cosi'   come
modificato in  sede  di  conversione,  prevede  che  il  permesso  di
soggiorno  per  richiesta  di  asilo  «non  costituisce  titolo   per
l'iscrizione anagrafica ai sensi del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 30 maggio 1989, n.  223,  e  dell'art.  6,  comma  7,  del
decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286»  (nuovo  art.  4,  comma
1-bis, decreto legislativo n. 142/2015). 
    131. Sebbene la disciplina in  esame  preveda  che  l'accesso  ai
servizi erogati sul territorio venga comunque assicurata nel luogo di
domicilio indicato al momento della  presentazione  della  domanda  o
comunque nel luogo dove e' ubicato il centro, ex articoli 6, 9 e  11,
in cui il richiedente e'  accolto  o  trattenuto,  il  mutato  quadro
normativo pone ostacoli a un effettivo accesso non solo  ai  servizi,
ma al godimento dei diritti che ne conseguono. Sono, questi, ostacoli
destinati a protrarsi anche per lungo tempo, posto che l'esame  della
domanda, nella sua fase  amministrativa  e  giudiziale,  puo'  durare
anche diversi anni. 
    132. Sotto questo profilo occorre anzitutto porre in luce come la
residenza  anagrafica  costituisca  presupposto  necessario  ai  fini
dell'iscrizione presso il servizio sanitario nazionale e, dunque, per
poter beneficiare dei  suoi  meccanismi  ordinari  di  funzionamento,
primo tra tutti l'assegnazione del medico di base. L'attribuzione del
medico  di  base,  come  noto,  viene  effettuata  sulla  base  della
residenza del soggetto sul territorio nazionale. 
    133. Il decreto impugnato impedisce, cosi', al richiedente  asilo
di poter essere inserito all'interno degli  ordinari  meccanismi  del
servizio sanitario, imperniati  sul  principio  della  prevenzione  e
della sussidiarieta'. In forza della norma censurata, il  richiedente
viene cosi' escluso dall'accesso  alle  cure,  salvo  che  da  quelle
emergenziali offerte,  prevalentemente,  dalle  strutture  di  pronto
soccorso. In altre parole, il decreto in parola estromette un  numero
significativo  di  componenti  della  popolazione   regionale   dalla
possibilita' di accedere ai meccanismi di cura che, sotto il  profilo
dei principi  di  politica  pubblica,  risultano  piu'  coerenti  non
soltanto con la  tutela  del  paziente  ma  pure  con  la  protezione
dell'interesse generale e della salute pubblica. 
    134. Come  noto,  le  migliori  pratiche  di  organizzazione  del
servizio sanitario impongono di fondare sulla prevenzione - e  dunque
su una figura filtro  quale  quella  del  medico  di  base  -  e  non
sull'emergenza, l'intero impianto del servizio  sanitario.  In  primo
luogo, i costi connessi alla prevenzione sono di gran lunga inferiori
a quelli richiesti per curare patologie che, se prevenute, potrebbero
essere immediatamente guarite. In secondo luogo,  estromettere  dalle
cure e dal monitoraggio del medico  di  base  larghe  porzioni  della
popolazione pone in serio pericolo la tutela  della  salute  pubblica
posto che espone la popolazione generale a rischi di  contagio  e  di
epidemie, che potrebbero essere invece evitati e prevenuti. 
    135.  L'impossibilita'  di  effettuare  l'iscrizione   anagrafica
impedisce, inoltre, al richiedente di poter fare ingresso nel mercato
del lavoro e, dunque, di integrarsi e  contribuire,  con  la  propria
opera, al progresso economico e sociale della Regione con  pregiudizi
collettivi analoghi a quelli discussi nelle sezioni che precedono. 
    136. Invero, la residenza  costituisce  requisito  necessario  ai
fini dell'iscrizione presso i centri per l'impiego. Tale  iscrizione,
a  mente  del  decreto  legislativo  n.  150/2015,   e'   presupposto
indefettibile per l'ottenimento  dello  stato  di  disoccupazione  il
quale, a sua volta, si pone quale condizione  per  poter  accedere  a
corsi di formazione professionale.  In  tal  modo  si  estromette  la
Regione dalla possibilita' di ricorrere, secondo le  migliori  prassi
internazionali, allo strumento tipico  per  integrare  i  richiedenti
asilo nel  mercato  del  lavoro:  tirocini  e  corsi  di  formazione,
vanificando, peraltro, lo sforzo economico che la Regione  ha  a  tal
fine gia' profuso. (v. Allegato 2). Il tutto costituisce di fatto una
misura indiretta di refoulement vietata dal diritto internazionale (e
dunque dalla Costituzione). 
    137.  Va,  infine,  rilevata  l'irragionevolezza  e  la   portata
discriminatoria della norma in esame, quando  considerata  alla  luce
della disciplina in materia di conferimento della cittadinanza. 
    138. La legge n. 91/1992, come noto,  ai  fini  del  conferimento
della cittadinanza per  naturalizzazione  prevede  che  lo  straniero
possa dimostrare la residenza  sul  territorio  dello  Stato  per  un
termine ininterrotto, previsto, a seconda dei differenti casi,  dalla
medesima disciplina. Poiche' la condizione di richiedente  asilo  non
consente l'iscrizione anagrafica, colui il quale si  veda  alla  fine
accordato lo status di rifugiato o  altre  forme  di  protezione  non
potra' computare il periodo legittimamente trascorso  sul  territorio
dello stato nell'attesa dell'esame della propria domanda ai fini  del
computo   dei   termini   per   ottenere    la    cittadinanza    per
naturalizzazione.   E',   questa,   una    disciplina    estremamente
discriminatoria e che  irragionevolmente  fa  gravare  sulla  persona
eventuali inefficienze e lungaggini della procedura (due soggetti che
hanno trascorso, legittimamente,  lo  stesso  periodo  di  tempo  sul
territorio dello Stato possono  essere  trattati  differentemente  ai
fini della cittadinanza, per  il  solo  fatto  che  la  richiesta  di
protezione del primo e' stata vagliata piu' rapidamente di quella del
secondo). Essa, inoltre, risulta del tutto incoerente con  la  natura
della pronuncia che riconosce il titolo di protezione,  la  quale  ha
sempre efficacia dichiarativa. (Cass SU 19393/2009;  Cass  4455/2018)
(31) . 
    139. Dal punto di vista  di  questa  Regione  ricorrente,  questo
intento discriminatorio (neppure troppo convintamente celato sotto la
retorica della  sicurezza  pubblica)  irragionevolmente  trascura  il
fatto che il richiedente asilo e' una  persona  dotata  di  legittime
aspettative   internazionalmente   (e   dunque    costituzionalmente)
protette, destinata a trascorrere in ogni caso un  periodo  di  tempo
significativo in Regione.  Tra  tali  legittime  aspettative  rientra
anche quella dell'iscrizione anagrafica, che costituisce  un  diritto
soggettivo (in tal senso: Corte di cassazione 14 marzo 1986 n. 1738).
Cio' fa si' che l'irragionevole complessita' imposta dal  legislatore
statale viola tanto la legittima aspettativa dello straniero rispetto
alla  sua  piena  partecipazione   alla   comunita'   regionale,   in
particolare ma  non  solo  con  riferimento  all'accesso  ai  servizi
sociosanitari, quanto la competenza regionale  (e  a  fortiori  degli
enti locali) nell'erogare razionalmente detti servizi. La parita'  di
trattamento tra stranieri regolarmente  soggiornanti  (quali  sono  i
richiedenti asilo) e cittadini e' ritenuta  fondamentale  da  codesta
Corte, la quale ha affermato (sent. n. 306/2008) che «una  volta  che
il diritto a soggiornare non  sia  in  discussione,  non  si  possono
discriminare gli stranieri, stabilendo nei loro confronti particolari
limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della  persona,
riconosciuti invece ai cittadini». 
    140. La norma impugnata si pone dunque in contrasto con l'art.  3
Cost. perche' discrimina in modo irragionevole  i  richiedenti  asilo
sia rispetto ai cittadini,  sia  rispetto  alle  altre  categorie  di
stranieri regolarmente  presenti  sul  territorio,  cui  l'iscrizione
anagrafica non e' preclusa  (violando  il  principio  di  parita'  di
trattamento coi  cittadini  italiani  prevista  dall'art.  6  decreto
legislativo  n.  286/1998  per  gli  altri   stranieri   regolarmente
soggiornanti) nonche' con l'art. 97  Cost.,  poiche'  impedisce  alla
Regione  di  organizzare  i  propri  servizi   secondo   criteri   di
efficienza, efficacia e imparzialita'. 
    141. Come nell'ipotesi di cui all'art. 1, la Regione Piemonte non
solo subisce un vulnus nelle sue competenze ma anche  un  pregiudizio
materiale concreto nel non poter  pienamente  integrare  nel  proprio
tessuto economico e sociale soggetti per lo piu' giovani  e  in  eta'
lavorativa.  Il  parametro  costituzionale  e'  da  rinvenirsi  negli
articoli 2, 3 e 117 (competenza concorrente  in  materia  di  salute)
poiche' esclude dal diritto fondamentale  alla  residenza  anagrafica
una  specifica  categoria  di  persone,  in  difetto  di  ragionevole
motivazione che giustifichi il differente trattamento, con violazione
dell'art. 3 Cost. Tale discriminazione  non  solo  nega  ad  essi  il
diritto di essere parte a pieno titolo di una  comunita'  locale,  ma
anche rende per loro estremamente difficile l'accesso a quei rapporti
privati (si pensi alla assunzione  presso  un  datore  di  lavoro  in
assenza  del  tradizionale  documento  di  riconoscimento  sul  quale
normalmente un datore di lavoro fa affidamento,  cioe'  la  carta  di
identita', o di conto corrente bancario) e a  quei  servizi  pubblici
che sino ad oggi sono stati erogati sulla base della  residenza  come
accertata dalla iscrizione anagrafica. 
    142.  Chiarita   la   prospettiva   di   violazione   di   natura
costituzionale appare  opportuno  sottolineare  l'evidente  contrasto
della disciplina in  esame  con  le  fonti  sovraordinate.  Cosi'  ad
esempio, e senza pretesa di  esaustivita',  la  previsione  in  esame
contrasta con l'art. 2 del Protocollo n. 4 allegato alla  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, ratificato e reso esecutivo in Italia con  decreto  del
Presidente della Repubblica 14 aprile 1982, n. 217 sulla Liberta'  di
circolazione, che  sancisce:  «Chiunque  si  trovi  regolarmente  sul
territorio di uno Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e  di
fissarvi liberamente la sua residenza», e con  l'art.  12  del  Patto
internazionale sui diritti civili e politici: «Ogni individuo che  si
trovi legalmente nel territorio di uno Stato ha diritto alla liberta'
di movimento e alla  liberta'  di  scelta  della  residenza  in  quel
territorio», adottato dall'Assemblea generale il 16 dicembre 1966,  e
reso esecutivo in Italia con legge. n. 881 del 25 ottobre 1977. 
(D) Sull'ottenimento e la revoca della cittadinanza italiana. 
    143.  La  Regione  intende  altresi'  lamentare  l'illegittimita'
costituzionale  dell'art.  14  del   decreto   ivi   impugnato,   che
irragionevolmente e in maniera discriminatoria interviene,  in  senso
peggiorativo,  sull'iter  per  il  conseguimento  della  cittadinanza
italiana,  allungandolo  e,  di  fatto,   introducendo   nel   nostro
ordinamento  due  differenti  modelli  di  cittadinanza  di  cui  una
precaria. Anche questo intervento, dettato da sentimenti  persecutori
nei confronti degli stranieri, colpisce in  modo  pregiudizievole  le
competenze regionali e danneggia il tessuto economico della Regione. 
    144. A ben vedere, infatti,  l'art.  14  del  decreto  interviene
sull'iter di  acquisto  della  cittadinanza  con  modifiche  che,  in
maniera esplicita, discriminano  le  persone  in  virtu'  della  loro
provenienza nazionale e dunque di razza, lingua e religione, con  una
palese violazione dell'art. 3 Costituzione. 
    145. Venendo alle competenze regionali intaccate dalla  norma  di
cui si discute e, piu' in generale, ai pregiudizi  che  tali  lesioni
arrecano alla comunita' tutta, occorre preliminarmente precisare che,
sul piano delle competenze, la lesione di  legittime  aspettative  al
completamento di un iter di acquisto della  cittadinanza  determinato
da  ragioni  di  discriminazione  per  razza,  lingua  e   religione,
costituisce  una  violazione  profonda  dell'art.   117,   comma   l,
Costituzione tanto alla luce di norme interposte Convenzione  europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali    quanto    degli    stessi    principi    fondamentali
dell'ordinamento  costituzionale.  In  particolare,  l'art.  14   del
decreto-legge censurato,  come  integrato  in  sede  di  conversione,
introduce modifiche alla normativa in materia di cittadinanza  (legge
n.  91  del  1992)  che,  da  un  lato,  rendono   l'acquisto   della
cittadinanza piu' incerto e, dall'altro, prevedono per la prima volta
delle  ipotesi  di  revoca  non   assolutamente   eccezionali   della
cittadinanza. 
    146. Gia' la coeva esistenza di queste due linee di politica  del
diritto solleva dubbi di legittimita' costituzionale dal momento  che
«nell'attuale  quadro  normativa  il  decreto  di  concessione  della
cittadinanza  -  in  quanto  attributivo  di  uno  status  -  risulta
irrevocabile»  (Cons.  Stato,   sez.   VI,   n.   5103/2007)   e   la
discrezionalita' molto ampia  di  cui  gode  l'amministrazione  nella
concessione  della  cittadinanza  appariva,  nel  sistema   normativo
antecedente alle modifiche di cui all'art.  14  del  decreto  oggetto
della  presente  censura,  ragionevole   in   quanto   «il   relativo
provvedimento, una volta emesso, non sia suscettibile di  revoca  per
effetto di una rinnovata valutazione discrezionale (cfr. anche l'art.
22 della Costituzione, per il quale nessuno puo' essere privato,  per
motivi politici, della  cittadinanza)»  (Cons.  Stato,  sez.  III  n.
1084/2015). 
    147. Nello specifico, con il comma 1 dell'art. 14 alla lettera a)
si abroga il comma 2 dell'art. 8 della legge n. 91 del 1992, che,  in
relazione  alla  istanza  di  acquisizione  della  cittadinanza   per
matrimonio, precludeva il rigetto dell'istanza  ove  fossero  decorsi
due anni dalla data di presentazione dell'istanza medesima, corredata
dalla  documentazione  prevista  dalla  legge.  Cio'  significa   che
l'inerzia della  pubblica  amministrazione  viene  ad  avere  effetti
negativi sullo straniero che non puo'  piu'  fare  affidamento  sulla
previsione che decorsi i  due  anni  dalla  domanda  non  fosse  piu'
passibile   per   l'amministrazione   rigettare   la    domanda    di
riconoscimento della cittadinanza iure matrimonii. 
    148. A cio' va aggiunto che l'art.  14  al  comma  1  lettera  o)
estende  da  ventiquattro  a  quarantotto  mesi  il  termine  per  la
conclusione dei procedimenti di riconoscimento della cittadinanza per
matrimonio (art. 5) e di concessione per c.d. naturalizzazione  (art.
9), ampliando quindi il  tempo  a  disposizione  della  pubblicazione
amministrazione, in un quadro in cui il  termine  per  completare  il
percorso istruttorio della domanda iure matrimonii era per costante e
consolidata giurisprudenza ritenuto perentorio, mentre il termine per
le ipotesi di concessione era considerato ordinatorio.  Si  prefigura
quindi una procedura di concessione della cittadinanza potenzialmente
sine die, in attesa di chiarimenti da parte della  giurisprudenza  di
merito e di legittimita'. Si devono inoltre riprodurre qui le censure
alla violazione  di  aspettative  legittime  gia'  discusse  supra  a
proposito   dei   problemi   di    diritto    transitorio    generati
dall'abrogazione dei permessi  umanitari.  Intere  persone  e  nuclei
famigliari che  stavano  per  raggiungere  l'agognato  traguardo  del
conseguimento della cittadinanza italiana, si vedono beffate dal  suo
allontanamento che non e' giustificato da alcuna regione, se  non  un
atteggiamento  politico  emulativo  (se   non   autolesionista)   nei
confronti di nazionalita', razze, etnie o religioni umane diverse  da
quella dominante in Italia. 
    149. Il protrarsi di prolungati periodi di  incertezza  circa  lo
status  di  cittadinanza  di  immigrati   di   lungo   corso,   rende
particolarmente complesso il loro  ingresso  stabile  nel  mondo  del
lavoro, ne accentua la precarieta' e la  vulnerabilita'  economica  e
sociale  e  vanifica  gli  investimenti  regionali  in  istruzione  e
formazione al lavoro. Inoltre,  prendendo  in  esame  l'accesso  alle
posizioni lavorative all'interno della pubblica amministrazione, tali
individui, pur se dotati di  alti  livelli  di  scolarizzazione,  per
effetto  del  decreto  non  possono  partecipare  al  alcun  concorso
pubblico e, in particolare, a quelli che dovessero essere banditi  da
questa amministrazione regionale, riducendo, dunque,  la  platea  dei
candidati e di quanti possono essere adatti  a  svolgere  i  pubblici
uffici. E' dunque palese il contrasto con il principio  della  tutela
dell'affidamento, ex art. 97 Cost. 
    150.  Come  anticipato,  il  decreto-legge   n.   113/2018   come
modificato in sede di  conversione,  introduce  per  la  prima  volta
ipotesi di revoca della cittadinanza che valgono solo per i cittadini
italiani di origine straniera, ben diverse dalle  ipotesi  previgenti
tutte riconducibili a situazioni eccezionali di «intelligenza con  il
nemico in tempo di guerra». 
    151. Infatti, la revoca  della  cittadinanza  avviene  a  seguito
della condanna  definitiva  per  reati  di:  terrorismo  o  eversione
dell'ordine costituzionale, ricostituzione di associazioni sovversive
di cui era stato ordinato lo  scioglimento,  partecipazione  a  banda
armata, assistenza agli appartenenti  ad  associazioni  sovversive  o
associazioni  con  finalita'  di  terrorismo,  anche  internazionale,
sottrazione di beni o denaro sottoposto a sequestro per prevenire  il
finanziamento del terrorismo (nuovo art. 10-bis, legge n. 91/1992). 
    152. La norma, risulta in evidente contrasto con l'art. 3  ed  e'
irragionevole almeno sotto due profili: 
        le previsioni in essa  contenute  si  applicano  all'acquisto
della cittadinanza per matrimonio, per naturalizzazione e all'ipotesi
di acquisto da  parte  dello  straniero  nato  in  Italia  che  abbia
risieduto  in  Italia  fino  alla  maggiore  eta':  tutti  casi   che
riguardano esclusivamente le persone di origine straniera; 
        i reati previsti possono essere  compiuti  sia  da  cittadini
italiani iure  sanguinis  che  da  cittadini  stranieri  che  abbiano
acquistato la cittadinanza italiana eppure soltanto i secondi possono
essere  destinatari  della  revoca.  Tale  scelta   del   legislatore
introduce, di fatto una sorta di cittadinanza  precaria,  capace  non
soltanto di generare discriminazioni ma anche di produrre dei veri  e
propri   cortocircuiti.   Infatti,   sul   piano    degli    obblighi
internazionali (in primis, nello  specifico  quelli  derivanti  dalla
sottoscrizione della Convenzione delle Nazioni Unite sulla  riduzione
dei casi di apolidia) tale scelta  del  legislatore  statale  risulta
censurabile  anche  perche'  qualora  la  persona   intenzionata   ad
acquisire la  cittadinanza  italiana  abbia  dovuto  rinunciare  alla
propria, essa si troverebbe, in caso di condanna  in  via  definitiva
per uno  dei  reati  indicati  dalla  norma,  in  una  situazione  di
apolidia.  La   condotta   irresponsabile   dello   Stato,   insomma,
travolgerebbe  anche  la  Regione,  rendendola  corresponsabile   nei
confronti della comunita' internazionale  delle  violazioni  compiute
dallo Stato. 
    153. Piu' in  generale,  il  solo  elenco  di  questi  gravissimi
crimini, accostato  alla  condizione  di  straniero,  ha  un  impatto
performativo molto evidente nella costruzione dello stereotipo  dello
straniero  pericoloso  criminale:  sono  gli   stranieri,   bisbiglia
insinuante il legislatore (rectius il Governo  pro  tempore  abusando
dei poteri di decretazione, vedi supra) all'orecchio  spaventato  dei
suoi potenziali elettori, a porre normalmente in essere tali efferati
comportamenti!  Egli   tuttavia   li   rassicura:   «Noi   tratteremo
diversamente i cittadini stranieri  da  quelli  italiani,  perche'  i
primi non smettono di  essere  pericolosi  neppure  quando,  dopo  le
infinite peripezie cui li costringiamo, sono riusciti  a  raggiungere
il traguardo della cittadinanza!» 
    154. Non ci puo' esser miglior prova di questa offerta  dall'art.
14,  del  conflitto  irrisolvibile  fra  un  atteggiamento   politico
xenofobo e persecutorio da parte di una maggioranza  di  governo  nei
confronti di un segmento della cittadinanza, e i piu' profondi valori
e principii del nostro ordine costituzionale, riassunti nel principio
di uguaglianza fra i  cittadini:  «  Tutti  i  cittadini  hanno  pari
dignita' sociale e sono eguali davanti alla legge  senza  distinzione
di sesso, di razza, di lingua, di religione, di  opinioni  politiche,
di condizioni personali e sociali» (art. 3, comma  1,  Costituzione).
Con il pensiero al recente  ottantenario  delle  leggi  razziali,  la
Regione Piemonte, che tanto  sangue  ha  versato  nella  Liberazione,
chiede a codesta Corte  costituzionale  di  porre  rimedio  a  questo
conflitto prima che sia troppo tardi. 
    155. Sulle  singole  disposizioni  del  decreto  che  violano  le
competenze regionali e che introducono un trattamento discriminatorio
delle persone in situazione di poverta' e di marginalita' sociale. 
    156. Non sono soltanto gli stranieri, il  bersaglio  del  decreto
che qui Regione Piemonte impugna. Come precisato  in  apertura,  esso
introduce  una  riforma  organica  della  disciplina   che   riguarda
l'immigrazione ma anche di quella prevista in  materia  di  sicurezza
pubblica. In entrambi casi, il disegno di politica del diritto che ha
ispirato il legislatore appare orientato alla limitazione dei diritti
e alla marginalizzazione di  persone  che  vivono  in  situazione  di
poverta' e marginalita' sociale. Tale scelta  non  riguarda  soltanto
gli  «stranieri»  che  si  trovino  nelle  condizioni  descritte  nei
precedenti paragrafi, ma anche tutti quei nativi italiani,  purtroppo
sempre  piu'  numerosi,  che  debbano  ricorrere  a  espedienti  o  a
soluzioni di piccola e indecorosa illegalita' per tutelare il proprio
diritto alla vita. Le disposizioni da censurare  sarebbero  numerose,
ma questa ricorrente deve limitarsi a  quelle  che  tocchino  le  sue
competenze. 
(A) Sull'estensione del DASPO urbano ai presidi sanitari. 
    157. L'art. 21, primo comma, lettera  a)  del  decreto  impugnato
estende la possibilita', per i  regolamenti  di  polizia  urbana,  di
introdurre il c.d. DASPO urbano  anche  per  aree  in  cui  insistono
presidi sanitari nonche' aree destinate allo  svolgimento  di  fiere,
mercati, pubblici spettacoli, ovvero adibite a verde  pubblico.  Come
noto,  il  divieto  di  accedere  alle  manifestazioni  sportive   fu
introdotto nel nostro ordinamento con la legge 13 dicembre  1989,  n.
401 allo scopo  di  garantire  la  sicurezza  degli  spettatori  alle
manifestazioni sportive dando al Questore un ampio potere di impedire
ai tifosi piu' pericolosi e facinorosi  di  parteciparvi.  Successivi
allargamenti della fattispecie furono previsti per allontanare  tanto
potenziali manifestanti politici quanto persone senza tetto da alcuni
luoghi,  come  ad  esempio  le  stazioni  ferroviarie,  al  fine   di
garantirne la piena agibilita' pubblica ed il c.d. decoro urbano.  Il
modello del DASPO, si e' dunque progressivamente trasformato  in  una
misura  di  prevenzione  non  solo  di  comportamenti  pericolosi  in
determinati luoghi ma anche di repressione  di  stili  di  vita,  non
necessariamente violenti, ritenuti devianti o indecorosi. 
    158.  La  disciplina  successiva  all'introduzione  dell'art.  21
decreto n. 113/2018 prevede, che  a  fronte  di  una  delle  condotte
presupposto della misura (stato di ubriachezza,  compimento  di  atti
contrari alla pubblica decenza, esercizio  di  commercio  abusivo  di
spazi pubblici e attivita' di parcheggiatore  abusivo),  il  soggetto
possa essere colpito dal provvedimento  di  allontanamento  anche  da
aree urbane in cui insistono presidi sanitari.  Chi  e'  senza  fissa
dimora, costretto al freddo  e  alle  intemperie,  sovente  abusa  di
sostanze alcoliche anche al fine di riscaldarsi.  Molto  spesso  egli
non ha accesso a servizi igienici ne' a luoghi di privacy  sicche'  i
suoi  comportamenti  sono   necessariamente   indecorosi.   Egli   di
conseguenza non solo e' ma appare povero, proprio come  lo  straniero
oggetto della discriminazione per motivi di razza, appare tale (sulla
rilevanza di tale apparire vedi infra). E' noto che i  dati  numerici
attendibili sulla condizione di poverta' estrema (homelessness) siano
scarsi e proverbialmente difficili da raccogliere. Fra i piu' di 2000
senza casa piemontesi, un po' meno della meta' sono gli  italiani,  e
sebbene i maschi adulti siano maggioranza, non sono per nulla assenti
donne, bambini e perfino nuclei famigliari (32) . Le persone homeless
sono del tutto consce della  propria  vulnerabilita'  tanto  rispetto
alla violenza criminale (di quando in guado  la  cronaca  riporta  di
persone senza casa pestate o perfino arse  vive)  quanto  rispetto  a
malattie spesso croniche a rischio  di  acutizzazione.  Essi  percio'
spesso scelgono di stare in gruppo e provano a riposare in luoghi  di
passaggio (come le  stazioni)  o,  specie  qualora  infermi  cronici,
presso gli ospedali.  Questo  esercizio  del  tutto  ragionevole  del
proprio diritto costituzionalmente garantito alla mobilita' (art.  16
Cost.) al fine di reperire un domicilio (art. 14 Cost.; art. 8  CEDU)
sicuro ancorche' precario, prossimo a  luoghi  in  cui  possa  essere
esercitato il  diritto  fondamentale  alla  salute  (art.  32  Cost.)
proprio e della propria famiglia,  e'  il  comportamento  tipico  dei
cittadini piu' socialmente e vulnerabili che l'estensione  del  DASPO
urbano ai presidi sanitari viene a colpire. 
    159. Cio' determina una grave e  irragionevole  compressione  del
diritto alla salute, idoneo  a  impattare  negativamente  su  precise
competenze regionali. Qualsiasi  persona  homeless  non  potra'  piu'
cercare ricovero in zone ospedaliere, se non correndo il rischio  per
questo sol fatto di esser colpito dal DASPO. Alla persona  sottoposta
a DASPO sara' poi preclusa, magari fisicamente in una fase  di  crisi
non esternamente manifesta, la possibilita' di accedere al  luogo  al
quale il DASPO e' stato disposto, ossia l'ospedale dove sta  cercando
cure emergenziali o specialistiche per una crisi della cronicita'  di
cui egli solo (e non il poliziotto che dovesse fermarlo a  causa  del
suo apparire) e' al corrente. 
    160. In caso di problemi di salute, la persona sottoposta a DASPO
non  potra'  quindi  disporre  dei  servizi  sanitari  erogati  dalla
struttura collocata nel territorio oggetto della misura e cio'  senza
alcuna valutazione concreta del possibile  impatto  che  la  medesima
misura e' idonea di determinare sul diritto alla salute del  soggetto
colpito dal provvedimento. Si pensi, ancora,  al  caso  di  strutture
sanitarie altamente specializzate su specifiche patologie. Esse, alla
luce degli alti costi e dell'alta  specializzazione  richiesta,  sono
solitamente in numero esiguo. La disciplina in  esame  potrebbe  cosi
estromettere  il  paziente  affetto  da  una  malattia   cronica   da
prestazioni  erogate  dall'unico  presidio  sanitario   specializzato
proprio per quella particolare malattia (che egli ben conosce e  dove
si sta recando sentendo  che  la  crisi  incombe)  poiche'  collocato
all'interno della porzione di territorio urbano in rapporto al  quale
vige il divieto di accesso. Cio' non solo viola soltanto  il  diritto
alla salute del soggetto, ma anche le competenze regionali. 
    161. La Regione deve adempiere al suo obbligo  costituzionale  di
approntare un servizio sanitario efficiente e capace di soddisfare il
diritto alla salute dei propri cittadini. Cio' e' impossibile  se  si
estromettono  alcune  categorie  di  cittadini  da  talune  strutture
sanitarie sulla base del solo luogo entro il quale esse sono  ubicate
posto che la Regione non e'  in  grado  di  garantire  che  tutte  le
strutture sanitarie su tutto il proprio territorio possano  garantire
la medesima varieta' di cure. 
    162.   La   disciplina   impugnata    deve    dunque    ritenersi
costituzionalmente illegittima per violazione degli articoli  3,  14,
16, 38 e 117 Cost. perche' minaccia  e  rende  applicabile  il  DASPO
urbano per aree in cui insistono presidi sanitari dove soggetti  piu'
vulnerabili devono poter soggiornare  o  accedere  senza  impedimenti
esercitati in modo discriminatorio (profiling) per  ragioni  di  cura
proprie o dei propri congiunti (si pensi  anche,  sotto  quest'ultimo
profilo, al caso di ricovero presso  la  struttura  sanitaria  di  un
parente, di un convivente o di un  prossimo  congiunto  del  soggetto
destinatario della misura). Insomma, il decreto fa prevalere in  modo
del tutto arbitrario  e  irragionevole  un  bene  giuridico  come  il
«decoro  urbano»,  che   e'   privo   di   qualsiasi   riconoscimento
costituzionale,  su  diritti   fondamentali   della   persona   quali
mobilita', domicilio e specialmente rilevante per questa  ricorrente,
salute.  L'incostituzionalita'  (e  forse  disumanita')   di   questo
dispositivo si riverbera (ridonda) su specifiche competenze regionali
che Regione Piemonte ha il dovere da tutelare  di  fronte  a  codesta
Corte. 
(B) Sulle misure relative ai casi di occupazioni per scopo abitativo. 
    163. La Regione intende lamentare l'illegittimita' costituzionale
degli articoli 30, comma 1, e 31-ter e, in particolare, le  modifiche
introdotte  all'art.  633  codice  penale   e   la   disciplina   del
procedimento previsto per l'esecuzione del provvedimento di  rilascio
di un  immobile  abusivamente  abitato.  Occorre  premettere  che  le
censure lamentate  dalla  ricorrente  non  intendono  incidere  sulla
competenza  dello  Stato,  piena  ed  esclusiva,   nel   disciplinare
l'ordinamento  penale.  Al  contrario,  e'  il  tema  dell'abitare  a
chiamare in causa la Regione. 
    164. Vale la pena  di  ricordare  che  la  materia  dell'edilizia
pubblica, dopo la riforma del Titolo  V  della  Costituzione,  e'  di
competenza  regionale  e,  pertanto,  anche  le  politiche  abitative
presentano il medesimo inquadramento: al legislatore  statale  spetta
soltanto il compito di determinare e garantire i livelli minimi delle
prestazioni, secondo quanto stabilito dall'art. 117,  secondo  comma,
lettera  m)  della  Costituzione.  A  tale  previsione  di  carattere
generale, occorre aggiungere  la  competenza  degli  enti  locali  al
contrasto dell'emergenza  abitativa,  attribuzione  che,  del  resto,
costituisce  titolo  preferenziale  nell'assegnazione  di  contributi
pubblici statali per qualsiasi tipo di edilizia economica e popolare.
In questo scenario, vanno  collocati  gli  interventi  della  Regione
Piemonte diretti a sostenere gli  enti  locali  nelle  situazioni  di
emergenza abitativa e a prevedere strumenti speciali per il  sostegno
di persone che si trovino in situazioni di particolare disagio e  non
siano in grado di sostenere il  prezzo  delle  locazioni  sul  libero
mercato. In questo senso, sono numerosi gli interventi della  regioni
diretti alla costruzione di un welfare abitativo regionale, basato su
una  razionalizzazione  delle  Agenzie  territoriali  della  casa   e
sull'investimento di  circa  15  milioni  per  il  finanziamento  del
Programma Casa. A cio' si aggiungano i fondi istituiti dalla  Regione
per il sostegno alla locazione, pubblica e privata, di  famiglie  che
vivono una condizione di fragilita': si tratta di  strumenti  gestiti
dagli enti locali i quali ricevono risorse  regionali  per  sostenere
quanti abbiano bisogno di stipulare un  contratto  di  locazione  che
preveda un canone calmierato  o  si  trovino  in  una  situazione  di
«morosita' incolpevole», al fine di evitare lo sfratto esecutivo e la
perdita della casa in casi in cui il canone di  locazione  non  possa
essere pagato a causa, per esempio, di un licenziamento. Si tratta di
misure  importanti,  che  la  ricorrente  ha  fortemente  voluto  per
introdurre  vere   e   proprie   politiche   dell'abitare   ma   che,
evidentemente, si basano  su  risorse  finite  e  che  richiedono  il
sostegno e la collaborazione anche dei privati. 
    165. Cio' detto, e con rammarico, nonostante gli impegni  profusi
dalla ricorrente, il diritto alla casa pare condannato a restare  tra
le righe dell'art. 47 della Costituzione: sono  numerose  le  persone
che restano escluse dai programmi previsti dalla Regione e dagli enti
locali, che vivono per strada e cercano ogni rifugio possibile. 
    166.  L'occupazione  abusiva   a   scopo   abitativo,   pertanto,
costituisce  sovente  un'azione  resa  necessaria  dalla  difesa  del
diritto alla vita e del diritto alla salute di  intere  famiglie  che
vivano in condizione di disagio e poverta'. L'art. 633 codice  penale
sanziona l'invasione di terreni ed edifici: di questa  norma  occorre
sottolineare da una  parte,  l'elemento  costitutivo  del  reato,  di
natura normativa, il «bene altrui» e quindi il  concetto  civilistico
di  proprieta'  a  esso  sotteso  e,  dall'altra,  il  principio   di
offensivita' della condotta. Sottolineiamo questi elementi, si  torna
a dire, non per censurare la novella normativa introdotta dal decreto
impugnato da un punto di vista dell'ordinamento  penale,  ma  perche'
l'atto avente forza di  legge  oggetto  di  questo  ricorso  confonde
diversi piani normativi e  procedimentali  e,  nel  farlo,  coinvolge
direttamente  la  Regione.  Questo   esplicito   riconoscimento   del
legislatore nazionale di un interesse regionale  in  materia  abilita
codesta  regione  a   riflettere   sulle   implicazioni   in   chiave
costituzionale dell'impianto piu' generale con  cui  il  decreto  ivi
impugnato affronta la questione delle occupazioni abitative. 
    167. L'art. 30 del decreto  modifica  l'art.  633  codice  penale
(invasione di terreni o edifici) e  introduce  al  secondo  comma  la
procedibilita' di ufficio del reato qualora la fattispecie sia  posta
in essere da piu' di cinque persone. L'art. 31-ter  nel  disciplinare
l'utilizzo della forza  pubblica  nel  contrastare  tale  occupazione
arbitraria di immobili coinvolge direttamente  ed  esplicitamente  la
Regione  prevedendo  la  presenza  di  due  suoi  rappresentanti  nel
Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, deputato a
governare i processi di sgombero. Lo stesso  articolo  al  comma  3.1
prevede che il Prefetto, «qualora ravvisi la necessita'  di  definire
un piano delle misure  emergenziali  necessarie  per  la  tutela  dei
soggetti in situazione  di  fragilita'  che  non  sono  in  grado  di
reperire autonomamente una  sistemazione  alloggiativa  alternativa»,
sentito il suddetto Comitato, la cui composizione di per se' dimostra
senza dubbio l'interesse di questa Regione ricorrente  alla  tematica
dell'occupazione di spazi, «istituisca una cabina di regia incaricata
di provvedere nel  termine  di  novanta  giorni».  Nuovamente,  della
cabina di regia fanno parte «anche  rappresentanti  della  Regione  e
degli enti locali interessati». Questa procedura  e'  necessaria  per
procedere all'esecuzione del provvedimento di rilascio  dell'immobile
che, in ogni caso deve avvenire «entro un anno dalla data di adozione
del relativo provvedimento» (art.  31-ter  3.3.).  Questo  complicato
schema e' completato dall'art. 31, commi 3.2 e 3.4 il  quale  prevede
che nel caso in cui al termine dei novanta giorni la Cabina di  regia
dovesse ritenere di prorogare lo sgombero fino al termine massimo  di
un anno gia' menzionato, «al proprietario  o  al  titolare  di  altro
diritto reale di godimento sull'immobile e' liquidata una  indennita'
onnicomprensiva per il mancato godimento del bene». 
    168. Il combinato di queste  farraginose  norme  evidenzia  tanto
l'interesse diretto di questa ricorrente (resa  protagonista  sia  in
Comitato provinciale sicurezza che in cabina  di  regia),  quanto  il
carattere incostituzionale del dispositivo messo in opera dal decreto
sicurezza ancora  una  volta  ai  danni  di  segmenti  fragili  della
popolazione siano essi stranieri o italiani.  E'  in  particolare  la
procedibilita' d'ufficio di cui all'art.  30,  in  combinato  con  la
procedura    esecutiva    a    evidenziare    gravi    profili     di
incostituzionalita' che riverberano direttamente sulle competenze  di
questa ricorrente. Per evidenziare  questo  animus  aemulationis  del
decreto, condito  dei  soliti  problemi  di  autolesionismo,  perche'
certamente lo Stato  non  trae  alcun  beneficio  diverso  da  quello
elettoralistico e simbolico per il Ministero degli interni, che  anzi
deve sborsare due milioni di curo annui solo per indennizzi a partire
dal 2018 (art. 31-ter 3.4), si consenta di descrivere un'ipotesi  del
tutto plausibile. 
    169. Qualora il reato  sia  perseguito  d'ufficio,  sono  due  le
principali situazioni che possono essersi verificate dal  lato  della
proprieta' del bene occupato. La prima: un proprietario assente,  che
non gode direttamente e indirettamente del  suo  immobile,  nulla  sa
dell'occupazione e a questa sua inerzia si sostituisce lo  Stato;  la
seconda: il proprietario, che anche in questa  ipotesi  non  gode  in
alcun  modo  direttamente  o  indirettamente  dell'immobile,  tollera
attraverso il non esercizio del suo potere di escludere e di querela,
l'occupazione di cui pure  e'  a  conoscenza,  per  le  ragioni  piu'
disparate, tra le quali  si  puo'  comprendere  la  solidarieta'  nei
confronti di un nucleo famigliare che nei suoi locali (non abitabili)
avesse trovato un riparo. 
    170.  Occorre  dunque   chiedersi   quale   siano   la   condotta
concretamente  lesiva  del   bene   tutelato   nonche'   la   lesione
dell'interesse  proprietario,   soprattutto   laddove   la   concreta
occupazione (forse meglio descrittibile in  lingua  italiana  con  la
locuzione rifugio) si  dovesse  manifestare  come  priva  di  allarme
sociale: la  riforma  proposta  dal  decreto  impugnato  contribuisce
percio' a esasperare l'assenza di un criterio ordinante  il  rapporto
tra l'art. 633 codice penale e l'art. 1168 del codice civile (spoglio
civile), due norme evidentemente contigue dal momento che  chi  cerca
rifugio per se'  e  per  la  propria  famiglia  ricorre  di  fatto  a
fattispecie di acquisto  del  possesso  immobiliare  civilisticamente
assimilabili allo spoglio (laddove la violenza e la clandestinita' di
cui all'art. 1168 sono interpretate in maniera particolarmente  ampia
dalla giurisprudenza della Corte di  cassazione:  si  v.  ex  multis,
Cassazione 2 dicembre 2013, n. 26985; Cassazione ordinanza 4 novembre
2013 n. 24673) dando dunque ampi spazi  di  azione  al  titolare  del
diritto reale di godimento concretamente leso. E'  ben  evidente  che
tale coordinamento va cercato nei principii  costituzionali,  proprio
quelli che il decreto stravolge in questo che non si andrebbe  troppo
lontani dal vero a definire ambiti di diritto  privato  regionale  in
cui la sussidiarieta' vorrebbe che le questioni piu' vicine  ai  beni
fossero lasciate al diritto civile e non avocate alla  extrema  ratio
penalistica di esclusiva competenza statale. 
    171.  Il  legame  introdotto  dal  decreto   tra   procedibilita'
d'ufficio e  rilascio  dell'immobile  da  eseguirsi  solamente  avuto
riguardo della condizione dell'occupante, a prescindere - quindi - da
ogni valutazione che riguardi l'interesse del proprietario che non si
e' attivato per la difesa  del  bene  immobile  che  gli  appartiene,
scarica irragionevolmente i  costi  di  tale  scelta  politica  sulla
Regione (e sugli enti locali), costretti a farsi carico di  un  nuovo
significativo numero di italiani e stranieri poveri e senza tetto. Il
decreto cioe' produce irragionevolmente una emergenza  di  competenza
regionale sia dal punto di vista abitativo sia da  quello  sanitario,
date le ovvie conseguenze di rimanere homeless gia' discusse supra. 
    172. Infatti, coloro  i  quali  fossero  costretti  a  rilasciare
l'immobile che occupano (perfino nel disinteresse del proprietario  o
con la sua tolleranza solidaristica)  si  candidano  a  essere  nuovi
utenti dei servizi abitativi di Regione ed enti locali. E dal momento
che «il reato» (rectius lo spoglio tollerato) era stato commesso,  in
grave  stato  di  bisogno  abitativo,  proprio   per   la   obiettiva
difficolta' in capo alle politiche pubbliche di perseguire  la  piena
abitazione, il cortocircuito emerge in  tutta  la  sua  complessita',
contribuendo ad aggravare,  in  violazione  di  diritti  fondamentali
della persona, spesso purtroppo del fanciullo,  situazioni  personali
gia' molto precarie. 
    173. L'approccio del decreto, in  questo  senso,  e'  ideologico,
nella misura in cui non assume e analizza  gli  elementi  civilistici
che  innervano  la  disposizione  penale,  dalla  cui  qualificazione
dipende anche il costo scaricato sulla Regione. La procedibilita'  di
ufficio travolge infatti anche i casi di abbandono di un immobile  da
parte  di  un  proprietario  assenteista  che  pero',  continuando  a
manifestare forme anche labili di interesse sul bene, forse in  vista
di un  uso  futuro,  potrebbe  tollerare  la  situazione  di  bisogno
umanitario contribuendo cosi', allo sforzo collettivo  di  soccorrere
questi bisognosi  in  nome  della  solidarieta'  sociale.  La  norma,
dunque, nella parte  modificata  dal  decreto  qui  impugnato,  viola
diverse disposizioni costituzionali e, in particolare, l'art. 2 Cost.
che riconosce i diritti inviolabili dell'uomo e impone «l'adempimento
dei  doveri  inderogabili  di  solidarieta'  politica,  economica   e
sociale». L'art. 3 Cost., nel sancire  il  principio  di  uguaglianza
anche sostanziale, che da se' solo fonda la forma  di  Stato  sociale
propria del nostro ordinamento, impone un concreto intervento statale
al fine di consentire un accesso di tutti alle  risorse  materiali  e
immateriali, al fine di garantire lo sviluppo della persona umana. 
    174. Purtroppo non solo uno schema come quella  introdotto  dagli
articoli 30 e seguenti  che  qui  censuriamo,  rende  impossibile  la
solidarieta' del proprietario che tollera,  ma  esso  giunge  fino  a
tutelare in astratto, addirittura con lo strumento  penale,  un  mero
diritto di speculazione su un  immobile  (difficile  credere  che  la
norma avvantaggi  soggetti  diversi  dalle  societa'  immobiliari)  e
dunque confligge  con  il  principio  solidaristico  immanente  della
Costituzione e tradotto in  materia  proprietaria  all'art.  42.  (ex
multis, Corte costituzionale, sentenza n. 55/1968 secondo cui  «senza
dubbio la garanzia  della  proprieta'  privata  e'  condizionata  nel
sistema  della  Costituzione,  dagli  articoli   41   al   44,   alla
subordinazione a fini, dichiarati ora di  utilita'  sociale,  ora  di
funzione sociale, ora di equi rapporti sociali, ora di  interesse  ed
utilita' generale [...] Secondo i concetti, sempre piu' progredienti,
di solidarieta' sociale, resta escluso che il diritto  di  proprieta'
possa venire inteso come dominio  assoluto  ed  illimitato  sui  beni
propri»). Il decreto, al posto di stanziare risorse affinche' regioni
ed enti locali possano prevedere misure attive di tutela dei  bisogni
fondamentali, cosi' come previsto dall'art.  119,  comma  5,  stanzia
fondi (due milioni annui, art.  31-ter,  comma  3.4)  per  compensare
proprietari anche estrattivi e assenteisti che attendono solamente il
momento  piu'  propizio  per  accaparrarsi  la   rendita   fondiaria.
L'indennizzo, infatti, compensa il «mancato godimento» di un immobile
in stato di abbandono che mai il proprietario avrebbe  goduto.  Tutto
cio'  ovviamente  costituisce  una  violazione,  a   tacer   d'altro,
dell'art. 3 Costituzione che al minimo deve  prevedere  l'eguaglianza
formale fra proprietari e non proprietari  in  un  bilanciamento  fra
diritti contrapposti costituzionalmente  protetti.  Nello  specifico,
l'art. 42, nel descrivere  compiutamente  lo  statuto  costituzionale
della  proprieta',   dando   particolare   attuazione   ai   principi
costituzionali fondamentali sopra richiamati,  introduce  limitazioni
alle facolta' del proprietario che possono anche consistere con forme
di utilizzo di un bene con finalita' anche sociali e  che  certamente
stridono con la messa a sua disposizione delle forza pubblica in modo
automatico (in ogni caso dopo  un  anno)  e  noncurante  dei  bisogni
fondamentali di altri consociati non proprietari. 
    175.  Ne'  in  verita'   un   atteggiamento   solidaristico   del
proprietario si puo' considerare dettato  solamente  da  sensibilita'
etica: infatti, il  soccorso  al  bisogno  primario,  soprattutto  di
minori, e' costituzionalmente protetto sia al livello nazionale (art.
47) che al livello della Convenzione europea per la salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e costituisce uno  di
quei  «doveri  inderogabili  di  solidarieta'  politica  economica  e
sociale»  che  sono  richiesti  a  tutti  i  cittadini  dall'art.   2
Costituzione. 
    176. Per dar maggior  concretezza  a  quanto  si  nasconde  nella
farraginosa e oscura forma dell'art. 31-ter (solo il primo  comma  e'
lungo due pagine e diviso in nove  punti  enumerati  con  una  logica
incomprensibile) gia' censurata supra per tutto il  decreto,  occorre
descrivere  l'ipotesi   procedurale   che   il   decreto   organizza:
l'ipotetica famiglia (italiana  o  straniera)  in  stato  di  bisogno
abitativo qualora  composta  di  un  numero  di  adulti  superiori  a
quattro, integrerebbe la fattispecie  di  cui  all'art.  633  che  il
decreto rende perseguibile di ufficio. L'integrazione del  reato  da'
luogo percio',  indipendentemente  dalla  volonta'  del  proprietario
tollerante leso, allo sgombero coatto dell'immobile che puo'  essere,
tuttavia, sospeso per ragioni legate alla particolare fragilita'  del
nucleo ma soltanto per un termine massimo di un anno. Decorso l'anno,
dunque, un nuovo nucleo familiare si  troverebbe  accampato  sotto  i
portici di Via Sacchi, cosa evitabile soltanto con  un  programma  di
accoglienza temporanea costoso tanto per la Regione  quanto  per  gli
enti locali. Questo schema, dunque,  non  solo  risulta  invasivo  di
razionali competenze programmatorie della Regione che  indirettamente
beneficerebbe della tolleranza umanitaria  del  proprietario,  ma  e'
contrario palesemente al parametro di cui agli articoli 42 e 47 della
Costituzione il cui impianto solidaristico e' peraltro confermato nel
titolo V dal summenzionato art. 119, comma 5, Cost. 
    177.   L'impostazione   della   norma    segue    un'antropologia
proprietaria triste e persino allarmante: il legislatore, infatti, ha
previsto un sistema  di  incentivi  introdotti  surrettiziamente  per
promuovere  da  parte  del  proprietario,  anche  assente  e   magari
speculativo, una reazione escludente e non solidale. Infatti, qualora
con il contributo dei  responsabili  della  Regione,  la  commissione
dovesse  ritenere  di  non  eseguire  il  provvedimento  di  rilascio
dell'immobile, addivenendo alla proroga di un anno  nel  mantenimento
della famiglia nei locali abitati, lo Stato dovrebbe dedicare risorse
indennizzare il proprietario (art. 31-ter comma 3.2) piuttosto che  a
stanziare i fondi aggiuntivi di cui al 119 comma  5.  Cio'  e'  fuori
discussione se il proprietario non solidale  dovesse  aver  querelato
gli abitanti del suo immobile: egli infatti, salvo l'ipotesi  estrema
in cui prima  dovesse  aver  negligentemente  o  financo  dolosamente
consentito l'ingresso nell'immobile,  otterra'  l'indennizzo  pari  a
quello che e' l'effettivo prezzo di mercato per il mancato  godimento
dell'immobile che, pero', non si puo' presumere  come  invece  fa  il
decreto. Al contrario, il proprietario che non querela, gia' potrebbe
dimostrare  quell'atteggiamento  di  solidarieta'  che   il   decreto
incostituzionalmente censura fino al  punto  da  essere  privato  del
medesimo indennizzo  qualora  successivamente  alla  proroga  annuale
ritenesse di chiederlo. E' chiaro percio'  che  questa  profferta  di
denaro  ha  lo  scopo,  da  un  lato,  di  incentivare  comportamenti
individualistici ed egoistici contrari alla Costituzione;  dall'altro
costituisce un surrettizio modo da parte  del  legislatore  di  farsi
carico di esigenze  di  emergenza  abitativa  che  comunque  sono  di
competenza di codesta Regione. 
    178. La Regione Piemonte dunque chiede che questa  corresponsione
di denaro pubblico, che allontana il cittadino dai doveri sociali  di
solidarieta'   di   cui   all'art.   2    Cost.,    sia    dichiarata
costituzionalmente   illegittima,   cosi'   come   costituzionalmente
illegittimo andrebbe dichiarato tutto  l'impianto  che  introduce  le
rigidita' della procedura d'ufficio e della penalizzazione forzata di
relazioni sociali che assai spesso conviene  lasciare  governare  dal
diritto informale o dal diritto civile piuttosto che da  un'ideologia
securitaria e legalistica le cui conseguenze sono sotto gli occhi  di
chiunque transiti sotto i portici del capoluogo della nostra regione. 
    179. A quanto  sino  a  ora  argomentato  occorre  aggiungere  un
rilievo conclusivo ma non meno  dirimente.  La  complicata  normativa
risultante  dalle  innovazioni  legislative  censurate  deve   essere
criticata  anche  con  riguardo  a  cio':  che  l'esecuzione  di   un
provvedimento di rilascio, decorso l'anno  attualmente  previsto  dai
commi 3.2 e 3.3 del novellato art. 11 del decreto-legge  20  febbraio
2017, n. 14, non e' accompagnata da indicazione alcuna in merito alla
collocazione della famiglia indigente sgomberata. 
    180. All'evidenza, il quadro normativo cosi'  delineato  presenta
profili  doppiamente  contraddittori  e  incostituzionali.  In  primo
luogo, e' agevole ipotizzare che l'applicazione  delle  summenzionate
disposizioni  cagionera'  situazioni  che  obbligheranno   gli   enti
pubblici - a partire dalle regioni e dagli  enti  locali,  competenti
per materia - a sopportare plurime conseguenze negative: l'esborso di
risorse pubbliche per indennizzare le proprieta' si risolvera' in una
«mancia» quantificata secondo criteri  assai  opinabili,  circostanza
questa che verosimilmente frustrera' perfino la discutibile  intentio
di scongiurare contenziosi; la procedura burocratica  immaginata  dal
legislatore risultera' tanto macchinosa quanto  poco  utile,  poiche'
non consentira' in alcun  modo  di  tutelare  -  tramite  ragionevoli
meccanismi di bilanciamento con  le  ragioni  della  proprieta'  -  i
diritti fondamentali (alla  vita,  all'abitazione,  alla  salute)  di
soggetti e famiglie piu' poveri e vulnerabili. 
    181. Sotto altro e  connesso  profilo,  quel  che  si  e'  appena
rilevato consente di evidenziare che le disposizioni  censurate  sono
incostituzionali ai sensi dell'art. 117, comma 1 Cost., per contrasto
con la norma interposta rappresentata dall'art. 8 Convenzione europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali («Diritto al rispetto della vita privata e  familiare»).
Come si e' gia' sottolineato,  infatti,  il  meccanismo  di  rilascio
dell'immobile previsto dal legislatore non contempla  in  alcun  modo
l'obbligo dei pubblici poteri di proporre o  di  predisporre,  per  i
soggetti  in  condizione  di  vulnerabilita'  e  bisogno  che   siano
interessati dalle procedure di rilascio coattivo, adeguate  soluzioni
abitative alternative  alla  strada.  In  tal  senso,  la  violazione
dell'art. 8 Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, anche e non solo per assenza
di un fair balance tra le  posizioni  giuridiche  rilevanti,  risulta
tanto palese da poter spingere la ricorrente a ipotizzare -  mutuando
le categorie adottate dalla Corte di  Strasburgo  -  una  «violazione
strutturale» del sistema convenzionale. Sul punto  la  giurisprudenza
e' copiosa e non puo' certo essere equivocata: ex multis, solo  negli
ultimi anni, Yordanova e altri c. Bulgaria nel  2012,  Winterstein  e
altri c. Francia nel 2013, e Ivanova  e  Cherkezov  c.  Bulgaria  nel
2016; ma l'orientamento della Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo
risale sino ai c.d. gipsy cases, quali Connors  c.  Regno  Unito  del
2004 e Buckley c. Regno Unito del 1996, aventi a oggetto la tutela ex
art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti  dell'uomo
e delle liberta' fondamentali della popolazione rom. Dalla lettura di
tali numerose sentenze puo' dunque desumersi il principio secondo cui
i soggetti che rischiano di subire uno sgombero hanno  diritto  a  un
esame della  proporzionalita'  dell'interferenza  in  accordo  con  i
requisiti  previsti  dall'art.   8   Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali.
Inoltre,  una  violazione   della   disposizione   convenzionale   e'
ravvisabile anche con riguardo a soggetti che abbiano  richiesto  una
nuova  collocazione  abitativa  in  alloggi  familiari,  laddove   le
pubbliche autorita' difettino nel dare sufficiente considerazione  ai
loro bisogni (sentenza Winterstein, par. 167).  In  altri  termini  -
lungi da quanto avvenuto con le  disposizioni  oggi  censurate  -  e'
necessario riconoscere che la Repubblica e' tenuta, tanto in forza di
disposizioni costituzionali nazionali come gli articoli 2, 3, 42 e 47
Cost., quanto ai  sensi  degli  articoli  117,  comma  1  Cost.  e  8
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, a dispiegare le  proprie  scelte  politiche  e
normative esercitando un margine  di  apprezzamento  assai  ristretto
«quando il diritto in causa e' importante per garantire all'individuo
il godimento effettivo dei diritti fondamentali o di ordine  "intimo"
che gli sono riconosciuti. Tale e'  il  caso  dei  diritti  garantiti
dall'art. 8, che sono diritti di importanza cruciale per  l'identita'
della persona, la sua autodeterminazione, la sua integrita' fisica  e
morale, il mantenimento delle relazioni sociali nonche' la stabilita'
e sicurezza della sua posizione  in  seno  alla  societa'»  (sentenza
Winterstein, par. 148). 
    182. Sulle condizioni materiali per  rispettare  questi  obblighi
costituzionali e di civilta' giuridica internazionale, questa Regione
Piemonte  ricorrente  incentra  le  proprie   priorita'   e   intende
continuare a farlo senza invasioni  di  competenza  da  parte  di  un
legislatore emulativo nei confronti dei  settori  piu'  deboli  della
popolazione regionale. 

(1) Si                                                           veda
    http://www.interno.gov.it/sites/default/files/cruscotto_giornalie
    ro_18-01-2019.pdf 

(2) Audizione presso la Commissione affari costituzionali del  Senato
    in relazione all'esame in sede referente del disegno di legge  n.
    840 (decreto-legge 113/2018 - sicurezza pubblica)  del  prof.  M.
    Ruotalo, la cui trascrizione e' disponibile al seguente indirizzo
    on-line
    https://www.osservatorioaicit/images/rivista/pdf/13-Marco_Ruotolo
    _definitivo.pdf  (Brevi  note  sui  possibili  vizi   formali   e
    sostanziali del decreto-legge  n.  113  del  2018  (c.d.  decreto
    «sicurezza e immigrazione»).  

(3) M. Ruotolo, Brevi note sui possibili vizi formali  e  sostanziali
    del decreto-legge n. 113 del  2018  (c.d.  decreto  «sicurezza  e
    immigrazione»), cit., p. 175. 

(4) Ex multis, R. Bin,  II  diritto  alla  sicurezza  giuridica  come
    diritto fondamentale, in Forum di Quaderni costituzionali, 2018.  

(5) Si v. a tal riguardo,  la  requisitoria  15  gennaio  2019  della
    Procura Generale presso la Corte di cassazione. 

(6) Secondo quest'ultima sentenza, in tutti i casi in cui,  all'esito
    di un giudizio comparativo tra le prospettive di vita in Italia e
    nel  paese  di  origine,  «risulti  un'effettiva  ed  incolmabile
    sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti
    fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di  una
    vita dignitosa (art. 2 Cost.)» sara'  possibile  individuare  una
    condizione di vulnerabilita', con conseguente individuazione  dei
    seri motivi di carattere umanitario di cui all'art. 5,  comma  6,
    T.U. Imm. 

(7) Sul punto si  veda,  peraltro,  la  Nota  tecnica  dell'UNHCR  al
    decreto-legge 4  ottobre  2018,  n.  113,  reperibile  online  al
    seguente                                                    link:
    https://www.unhcr.it/wp-content/uploads/2018/10/Nota-tecnica-su-D
    ecreto-legge-FINAL_REV_DRAFT1_V2.pdf, spec. pp. 2 ss. 

(8) Si veda anche, tra gli  atti  del  Senato  della  Repubblica,  il
    Comunicato alla Presidenza del 4 ottobre 2018, reperibile  online
    al                         seguente                         link:
    http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/340143.pdf 

(9) Recita la  missiva  «sento  l'obbligo  di  sottolineare  che,  in
    materia  [...],  restano  fermi  gli  obblighi  costituzionali  e
    internazionali dello Stato, pur se non  espressamente  richiamati
    nel testo  normativo,  e,  in  particolare,  quanto  direttamente
    disposto dall'art. 10 della Costituzione e quanto discende  dagli
    impegni internazionali assunti dall'Italia». 

(10) Sulle  violenze  sofferte  in  Libia   quale   motivo   per   il
     riconoscimento della protezione umanitaria si  veda,  ex  multis
     tribunale Genova, decreto del 29 gennaio 2018. 

(11) Alcuni dei reati per cui e' stato condannato  l'imputato.  Corte
     d'assise di Milano, sentenza 10 ottobre 2017. 

(12) Si  pensi,  ad  esempio,   all'epidemia   dell'Ebola,   che   ha
     recentemente colpito, tra gli altri,  la  Liberia  e  la  Sierra
     Leone. D'altra parte la sussunzione all'interno dei  presupposti
     di protezione umanitaria di categorie  di  natura  oggettiva  e'
     stata riconosciuta dalla  nostra  giurisprudenza  di  merito  in
     relazione alla protezione umanitaria  per  motivi  ambientali  e
     correlati  alla  conseguente   condizione   di   indigenza   del
     ricorrente, cittadino bengalese, si veda Tribunale di  L'Aquila,
     ordinanza del 18 febbraio 2018. 

(13) Delibera del CSM del 21 novembre 2018,  pp.  6-7.  Nel  discorso
     inaugurale di questo nuovo anno giudiziario, il Primo Presidente
     della Corte di cassazione Giovanni Mammone ha messo in  evidenza
     come il primo effetto del  decreto  ivi  impugnato  sul  sistema
     giustizia abbia determinato un aumento  dei  ricorsi  civili  in
     materia di protezione internazionale del 512,4%. 

(14) Questo profilo e' stato, peraltro, espressamente censurato dalla
     Nazioni Unite, si veda Nota tecnica dell'UNHCR al  decreto-legge
     4 ottobre 2018, n. 113, reperibile on  line  al  seguente  link:
     https://www.unhcr.it/wp-content/uploads/2018/10/Nota-tecnica-su-
     Deereto-legge-FINAL_REV_DRAFT1_V2.pdf; p. 3. 

(15) Si pensi alla  condizione  giuridica  dei  minori  che,  con  la
     legittima aspettativa  di  vedersi  riconosciuta  la  protezione
     umanitaria, non hanno intrapreso il percorso  del  permesso  per
     minore eta' o, ancora, agli apolidi che,  per  l'ottenimento  in
     via amministrativa dello status di  apolide  necessitano  di  un
     titolo di soggiorno. 

(16) In tal senso si veda ECHR, Guide on Article 8  of  the  European
     Convention on Human Rights p. 8 e  ss.  (v.  la  sentenza  della
     Corte europea dei diritti dell'uomo, III sez., 24  luglio  2018,
     caso Lozovyye v. Russia; Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo
     Grand Chamber, 16 luglio 2014, caso Hämäläinen v. Finland). 

(17) Tale riconoscimento non andava a sovrapporsi con quanto previsto
     dall'art.  31  decreto  legislativo  n.  286/98  in  quanto   la
     valutazione che competente al Tribunale per i minorenni riguarda
     «gravi motivi connessi con  lo  sviluppo  psicofisico  e  tenuto
     conto dell'eta' e delle condizioni di salute del minore  che  si
     trova nel territorio italiano». 

(18) I termini di cui all'art. 27 decreto legislativo n. 25/2008  non
     vengono, di fatto, rispettati. 

(19) Sebbene la  questione  possa  apparire  diversa  da  quella  ivi
     dedotta, il principio  di  diritto  introdotto  dalla  Corte  e'
     indubbiamente valido per il caso che qui ci occupa: infatti,  la
     Corte ha affermato che i rifugiati gia' minori non accompagnati,
     i quali siano diventati adulti in costanza di procedura di asilo
     e facciano domanda di ricongiungimento familiare  entro  termini
     ragionevoli dalla sua conclusione,  devono  continuare  a  poter
     essere  considerati   minorenni   ai   fini   del   diritto   al
     ricongiungimento familiare. 

(20) «Di fatto, l'obbligo di non respingimento puo' essere  innescato
     da una violazione o da un rischio di violazione dell'essenza  di
     qualsiasi diritto garantito dalla Convenzione europea,  come  il
     diritto alla vita, il diritto all'integrita'  fisica  o  al  suo
     corollario, il divieto della tortura  e  dei  maltrattamenti,  o
     dalla flagrante violazione» del diritto ad un processo equo, del
     diritto alla liberta',  del  diritto  alla  vita  privata  o  di
     qualsiasi altro  diritto  garantito  dalla  Convenzione»,  cosi'
     Corte europea dei diritti dell'uomo,  Hirsi  Jamaa  e  altri  c.
     Italia, decisione del 23 febbraio 2012, ric. 27765/09,  Opinione
     concordante del Giudice Pinto De Albuquerque  -enfasi  aggiunta.
     Si veda anche Corte europea dei diritti  dell'uomo,  Soering  c.
     Regno Unito, decisione del 7 luglio 1989,  ric.  14038/88,  par.
     88; Corte europea dei diritti dell'uomo, Vilvarajah e  altri  c.
     Regno Unito, decisione  del  30  ottobre  1991,  ric.  13163/87,
     13164/87, 13165/87, 13447/87, 13448/87, par. 103; Corte  europea
     dei diritti dell'uomo, Einhorn  c.  Francia,  decisione  del  16
     ottobre 2001, ric. 71555/01, par. 32; Corte europea dei  diritti
     dell'uomo, Al-Saadoon e Mufdhi c. Regno Unito, decisione  del  4
     ottobre 2010, ric. 61498/08, par. 149; Corte europea dei diritti
     dell'uomo, Othman (Abu Qatada) c. Regno Unito, decisione  del  9
     maggio 2012, ric. 8139/09, par. 233; Corte europea  dei  diritti
     dell'uomo, Bensaid c. Regno Unito, decisione del 6 maggio  2001,
     ric. 44599/98, par. 46; Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,
     Boultif c. Svizzera, decisione del 2 agosto 2001, ric. 54273/00,
     par. 39; Corte europea dei diritti dell'uomo,  Mawaka  c.  Paesi
     Bassi, decisione del 1° giugno 2010, ric. 29031/04, par. 58. 

(21) L'esistenza di  questa  articolazione  della  norma  di  diritto
     internazionale consuetudinario relativa al divieto di espulsione
     e' stata riconosciuta e codificata nel  2014  dalla  Commissione
     dei  diritto  internazionale  all'art.   10   (»Prohibition   of
     disguised expulsion») dei Draft Articles  on  the  Expulsion  of
     Aliens, with Commentaries, UN  Doc  A/69/10,  2014.  Essa  trova
     supporto  anche  nella  giurisprudenza  del  Tribunale  Iran-USA
     (Iran-USA  Claims  Tribunal):  Short  c.   Repubblica   Islamica
     dell'Iran, Lodo del 14 luglio 1987,  Iran-United  States  Claims
     Tribunal Reports, vol. 16 (1987-III), pp.  85-86;  International
     Technical Products Corporation c. Repubblica Islamica dell'Iran,
     Lodo del 19 agosto  1985,  Iran-United  States  Claims  Tribunal
     Reports, vol.  9  (1985-II),  p.  18;  e  Rankin  c.  Repubblica
     Islamica dell'Iran, Lodo del 3 novembre 1987, Iran-United States
     Claims Tribunal Reports, vol. 17 (1987-IV), pp.  147-148.  Nella
     giurisprudenza internazionale, si veda anche la decisione  della
     Commissione tra  Eritrea  ed  Etiopia  (Eritrea-Ethiopia  Claims
     Commission), Partial Award, Civilians Claims,  Ethiopia's  Claim
     5, UN Reports of International Arbitral Awards,  vol.  XXVI.  In
     dottrina, si veda  ad  esempio  A.  Zimmermann,  F.  Machts,  J.
     Dörschner,  The  1951  Convention  Relating  to  the  Status  of
     Refugees and its 1967 Protocol: A Commentary, Oxford,  2011,  p.
     1369  e  ICRC,  Note  on  migration   and   the   principle   of
     non-refoulement, International Review of the  Red  Cross  (2018)
     secondo cui «... States may not create circumstances which leave
     an  individual  who   is   protected   by   the   principle   of
     non-refoulement with no real alternative other  than  returning»
     (traduzione  di  cortesia:  gli  Stati  non  possono  creare  le
     circostanze che lasciano un individuo protetto dal principio  di
     non-refoulement con nessuna reale alternativa se non  quella  di
     far ritorno). 

(22) Tribunale Firenze, nona sez., RG 866/2016. 

(23) Le  statistiche  mostrano  il  progressivo   ed   apparentemente
     inarrestabile invecchiamento medio della popolazione piemontese.
     L'eta' media ha superato oggi i 46.3 anni  con  oltre  1.106.000
     persone di eta' superiore ai 65  anni  (circa  un  quarto  della
     popolazione)
     https://www.tuttitalia.it/piemonte/statistiche/indici-demografic
     istruttura-popolazione/ 

(24) Il testo unico immigrazione precisa infatti  che  «Lo  straniero
     regolarmente soggiornante nel territorio dello  Stato  gode  dei
     diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano». 

(25) Si vedano i dati dell'Osservatorio regionale sull'immigrazione e
     sul                       diritto                        d'asilo
     http://www.piemonteimmigrazione.it/temi/rifugiati. 

(26) Si                                                         veda:
     http://www.interno.gov.it/sites/default/files/sub-allegato_n._25
     _-_intesa conferenza_stato_regioni_del_10_luglio_2014.pdf. 

(27) Regione Piemonte, «Governare l'immigrazione. Le politiche e  gli
     interventi regionali in materia di immigrazione e  accoglienza»,
     Dicembre 2018. 

(28) Rapporto sulla protezione internazionale 2017, p. 124. 

(29) V.  i  dati  elaborati  dalla   Fondazione   Rodolfo   Benedetti
     «Richiedenti asilo e rifugiati nei CAS del Piemonte», 18 gennaio
     2019. 

(30) Si v.  A.  Algostino,  Il  decreto  «sicurezza  e  immigrazione»
     (decreto-legge n. 113  del  2018):  estinzione  del  diritto  di
     asilo,   repressione   del   dissenso   e   diseguaglianza,   in
     Costituzionalismo.it,  30  novembre  2018  dove  si   articolano
     diversi condivisibili profili di incostituzionalita'. 

(31) La direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e  del  Consiglio
     del  13  dicembre  2011  recante  «norme  sull'attribuzione,   a
     cittadini  di  paesi  terzi  o  apolidi,  della   qualifica   di
     beneficiario  di  protezione  internazionale,  su   uno   status
     uniforme per i rifugiati  o  per  le  persone  aventi  titolo  a
     beneficare della protezione sussidiaria, nonche'  sul  contenuto
     della protezione riconosciuta» al considerando 21 evidenzia  che
     «Il  riconoscimento  dello  status  di  rifugiato  e'  un   atto
     ricognitivo». 

(32) Si veda per dati recenti ed autorevoli sul capoluogo  di  questa
     regione: Diocesi di Torino, Fragilita' e disagio nella  societa'
     torinese: Analisi di alcuni indicatori (a cura di Mario Zangola,
     Maggio 2018).