UFFICIO DI SORVEGLIANZA DI PISA Il Magistrato di sorveglianza di Pisa, dott. Rinaldo Merani; Visti gli atti del procedimento di sorveglianza per conversione di pena pecuniaria avviato nei confronti di T.F., nato in ... il ..., detenuto presso la Casa Circondariale di Pisa in esecuzione di provvedimento cumulo pene concorrenti n. SIEP 285/2017 Procura Repubblica di Genova: fine pena attuale 31 gennaio 2020; Ha emesso la seguente ordinanza. T. e' stato condannato con sentenza 21 maggio 2013 Giudice di pace di Asti, irrevocabile il 24 giugno 2013, alla pena di euro 5.000 di ammenda. La Procura Repubblica di Asti, avendo rilevato l'impossibilita' di esazione della somma, ha richiesto la conversione della pena pecuniaria in liberta' controllata al Magistrato di sorveglianza di Genova che ha trasmesso gli atti al Magistrato di sorveglianza di Pisa per competenza essendo T. detenuto presso la Casa Circondariale di Pisa. In data 22 maggio 2018 il Magistrato di sorveglianza di Pisa ha ritenuto la propria incompetenza per materia e trasmesso gli atti al Giudice di pace di Asti, ritenuto competente. In data 11 giugno 2018 il Giudice di pace di Asti ha sollevato conflitto negativo di competenza trasmettendo gli atti alla Corte di Cassazione. Con sentenza 15 novembre 2018 la Corte di Cassazione ha ritenuto la competenza del Magistrato di sorveglianza di Pisa trasmettendo gli atti per la decisione di merito. Ritiene il Magistrato di sorveglianza di Pisa che il regime normativo vigente in virtu' del quale e' stata riconosciuta la competenza del Magistrato di sorveglianza a decidere in ordine ad una richiesta di conversione per insolvibilita' di pena pecuniaria irrogata dal Giudice di pace, sia il frutto di un intervento del legislatore delegato affetto da eccesso di delega e dunque in violazione dell'art. 76 Cost. La Corte di Cassazione ha puntualmente ricostruito l'attuale stato normativo che regola l'attribuzione di competenza in materia di conversione di pene pecuniarie per insolvibilita', si che pare esaustivo riportare i passaggi essenziali della sentenza: «1. Il conflitto deve essere risolto nel senso indicato dal Giudice che l'ha sollevato. Osserva il Collegio che si verte, con certezza, in una ipotesi di conflitto negativo di competenza a norma dell'art. 28 codice di procedura penale poiche' due organi giurisdizionali hanno ritenuto che la competenza a provvedere spettasse all'altro. Giova richiamare la norme del decreto legislativo n. 274 del 2000 che vengono prese in considerazione dai due Giudici sopra indicati, e cioe': l'art. 55 («Per i reati di competenza del giudice di pace, la pena pecuniaria non eseguita per insolvibilita' del condannato si converte, a richiesta del condannato, in lavoro sostitutivo da svolgere per un periodo non inferiore ad un mese e non superiore a sei mesi con le modalita' indicate nell'articolo 54.»»), l'art. 62 («Le sanzioni sostitutive previste dagli articoli 53 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689, non si applicano ai reati di competenza del giudice di pace.» ), l'art. 42 («Le condanne a pena pecuniaria si eseguono a norma dell'articolo 660 del codice di procedura penale, ma l'accertamento della effettiva insolvibilita' del condannato e' svolto dal Giudice di pace competente per l'esecuzione che adotta altresi' i provvedimenti in ordine alla rateizzazione, ovvero alla conversione della pena pecuniaria») e l'art 40 («Salvo diversa disposizione di legge, competente a conoscere dell'esecuzione di un provvedimento e' il Giudice di pace che l'ha emesso»). Cio' va tenuto presente nella ricostruzione storica dell'evoluzione dell'istituto de quo: l'esecuzione delle pene pecuniarie inflitte dal Giudice di pace era disciplinata dall'art. 42 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il quale stabiliva che essa aveva luogo ai sensi dell'art. 660 codice di procedura penale tuttavia, per scelta legislativa di concentrazione delle competenze in executivis, si era previsto che l'accertamento della effettiva insolvibilita' del condannato fosse svolto dal Giudice di pace competente per l'esecuzione, il quale adottava anche i provvedimenti in ordine alla rateizzazione o alla conversione della pena pecuniaria; in ordine al meccanismo di conversione delle pene pecuniarie inflitte dal Giudice di pace, conseguente alla loro mancata esecuzione per insolvibilita' del condannato, l'art. 55 del citato decreto legislativo n. 274 del 2000 prevede in prima istanza il ricorso alla sanzione del lavoro sostitutivo per la durata e con le modalita' regolate dallo stesso articolo: qualora sia violato l'obbligo del lavoro sostitutivo (o se esso non sia stato chiesto dal condannato), la parte residua della pena pecuniaria non eseguita mediante tale sanzione si converte in permanenza domiciliare. Tuttavia, l'art. 299 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 (c.d. testo unico delle spese di giustizia) ha abrogato l'art. 42 sopra menzionato, stabilendo che le condanne a pena pecuniarie, a seguito della entrata in vigore della nuova normativa, dovevano eseguirsi a norma degli artt. 235, 237, 238 e 241 del testo unico: secondo tali disposizioni, le somme dovute erano recuperate dall'ufficio incaricato della gestione delle attivita' connesse alla riscossione (con la notifica dell'invito di pagamento si fissava il termine per l'adempimento, scaduto il quale si procedeva ad iscrizione a ruolo ed al recupero per il tramite del concessionario). Si trattava di una previsione inserita in piu' vasto ambito di attribuzione, in via generale, dei procedimenti di conversione delle pene pecuniarie al giudice dell'esecuzione: ed infatti, la norma prima indicata abrogava anche l'art. 660 codice di procedura penale, il quale stabiliva appunto la competenza del Magistrato di sorveglianza per la conversione delle sanzioni pecuniarie inflitte dagli altri Giudici. 2. Questa nuova disciplina, pero', non ha superato il vaglio della Corte Costituzionale, la quale, con sentenza 18 giugno 2003 n. 212, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale degli artt. 238 e 299 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, per eccesso di delega, nella parte in cui veniva abrogato l'art. 660 codice di procedura penale. Scriveva la Corte costituzionale nella citata sentenza che la delega conferita atteneva al procedimento di gestione e di alienazione dei beni sequestrati e confiscati, al procedimento relativo alle spese di giustizia ed ai procedimenti per l'iscrizione a ruolo e il rilascio di copie di atti in materia tributaria e in sede giurisdizionale, compresi i procedimenti in camera di consiglio, gli affari non contenziosi e le esecuzioni mobiliari ed immobiliari: in definitiva, era una delega che riguardava l'intera materia delle spese di giustizia; di conseguenza, notava che il Legislatore delegato aveva ritenuto esistesse una sostanziale comunanza della materia delle pene pecuniarie con quella delle spese di giustizia, poiche' aveva riformato anche la disciplina del procedimento giurisdizionale di conversione delle pene pecuniarie, con particolare riguardo alla nuova competenza, sottratta al Magistrato di sorveglianza per essere attribuita, in via generale, al giudice dell'esecuzione. Questa valutazione non veniva condivisa dalla Corte costituzionale appunto, in quanto l'esistenza di una delega in materia coperte da riserva assoluta di legge - quale appunto quella della competenza del Giudice, ex art. 25 Cost. - non poteva essere desunta da una mera connessione con l'oggetto della delega stessa: doveva quindi ritenersi che il Legislatore delegato fosse privo del potere di dettare una disciplina del procedimento di conversione delle pene pecuniarie che comportasse una radicale modifica delle regole di competenza. Pertanto, veniva dichiarata, fra l'altro, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 299 del citato testo unico nella parte in cui aveva abrogato l'art. 660 codice di procedura penale. Di conseguenza, l'intera materia della conversione delle pene pecuniarie confluiva nelle competenze del Magistrato di sorveglianza. Ed invero, avendo la Corte costituzionale abrogato il menzionato art. 299 soltanto parzialmente, restava salva l'efficacia abrogativa che tale norma operava dell'art. 42 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il quale aveva attribuito la conversione delle pene pecuniarie inflitte dal Giudice di pace a questo stesso giudice. A questa efficacia abrogativa va aggiunto un altro effetto della decisione menzionata: fa Corte costituzionale ha anche abrogato, e per intero, l'art. 238 del citato testo unico, il quale articolo attribuiva in via generale la competenza per la conversione al giudice dell'esecuzione competente. Questo principio generale, dunque, non trova piu' applicazione all'Istituto della conversione delle pene pecuniarie. Ulteriore conseguenza e' quella per cui, difettando una norma che attribuisca al Giudice di pace la competenza alla conversione delle pene pecuniarie (o specificamente o quale giudice dell'esecuzione), non sussiste piu' una norma di legge che attribuisca al Giudice di pace la materia della conversione delle pene pecuniarie inflitte con le sue sentenze. In questa materia, unica norma residuata, e con portata generale, e' l'art. 660 codice di procedura penale , che contempla una competenza specifica del Magistrato di sorveglianza. 4 . In dottrina, non isolati commenti hanno auspicato un nuovo intervento del legislatore che torni ad assegnare formalmente tale attribuzione al Giudice di pace. Ma, allo stato, va preso atto della normativa vigente, cosi' come risultante dall'intervento della Corte costituzionale sopra indicato. Va tuttavia precisato che detto intervento ha determinato una situazione normativa che non puo' dirsi irragionevole o non equilibrata: esso ha fatto riprendere vigenza ad una norma (e cioe' l'art. 660 codice di procedura penale) la quale si prestava comunque a disciplinare, in via generale, l'intera materia della conversione delle pene pecuniarie, per cui risulta eliminata soltanto la competenza derogatoria del Giudice di pace. Ma il complesso normativo non e' rimasto privo di una disciplina organica, giacche' l'art. 660 codice di procedura penale, al suo comma l, prevede appunto in via generale che la conversione delle pene pecuniarie e' eseguita nei modi stabiliti dalle leggi e dai regolamenti: pertanto, e' pienamente rispondente a questo dettato normativo che sussista una competenza giurisdizionale alla conversione delle pene pecuniarie che sia distinta da quella del giudice dell'esecuzione; parimenti e' rispondente a questo dettato normativo che le pene pecuniarie inflitte dal Giudice di pace (per il quale sussiste un apposito corpus normativo che tiene conto delle sue peculiarita') siano convertite in sanzioni differenti da quelle che convertono le pene pecuniarie inflitte dagli altri Giudici (lavoro sostitutivo ex art. 55 del decreto legislativo n. 274 del 2000 o permanenza domiciliare, in luogo della liberta' controllata o del lavoro sostitutivo ex art. 102 della legge n. 689 del 1981); non viola questo dettato normativa il fatto che tali sanzioni siano applicate dal Magistrato di sorveglianza anziche' dal Giudice di pace, in applicazione del comma l dell'art. 660 codice di procedura penale, poiche' la mera collocazione dell'art. 55 citato nel testo citato quale indicazione delle sanzioni applicabili dal Giudice di pace non puo' significare che esse debbono essere applicate soltanto dal Giudice di pace, considerato il mutamento del quadro normativo complessivo. Va infine considerato che il Magistrato di sorveglianza gia' e' competente per la conversione delle pene pecuniarie inflitte da tutti gli altri Giudici, per cui l'attribuzione anche di tale competenza non viola principi generali o funzioni particolari.». Da tali complessive considerazioni la Corte di Cassazione ha tratto che nel caso in esame, e piu' in generale in tutti i casi in cui si ponga una questione di conversione per insolvibilita' di pena pecuniaria irrogata da un Giudice di pace, debba provvedere il Magistrato di sorveglianza territorialmente competente. A giudizio del Magistrato di sorveglianza di Pisa la lucida esposizione del dettato normativa vigente, posta a fronte delle considerazioni e conclusioni della sentenza costituzionale 18 giugno 2003, n. 212 avrebbe dovuto condurre ad un diverso approdo: ovvero a ritenere che l'art. 299 decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 (in questa sede si fara' riferimento al testo unico in materia di spese di giustizia, comprensivo delle disposizioni legislative, decreto legislativo n. 113/2002 che qui interessa, e di quelle regolamentari, decreto legislativo n. 114/2002) e' affetto da vizio di incostituzionalita' per eccesso di delega anche nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 norma che in virtu' di tale riconosciuta illegittimita' avrebbe dovuto (dovrebbe) essere restituita a piena vigenza (ex tune) esattamente come l'art. 660 c.p.p.. cosi' da ripristinare integralmente il regime regolatore delle competenza in materia di conversione per insolvibilita' di pene pecuniarie, quale disegnato dal legislatore al momento di introdurre il Giudice di pace nell'ordinamento giuridico nazionale e legittimamente in vigore antecedentemente all' introduzione del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002. Non sembra dubitabile in proposito che quando la Corte costituzionale ha lapidariamente sancito che «Il legislatore delegato - indipendentemente dall'ampiezza dei contorni che vogliano attribuirsi alla materia delle spese di giustizia - era, dunque, sicuramente privo del potere di dettare una disciplina del procedimento di conversione delle pene pecuniarie che comportasse - come quella impugnata - una radicale modifica delle regole di competenza.» ha inteso riferirsi all'intervento normativa nel suo complesso e dunque, ancorche' abbia poi limitato la portata demolitoria del suo dispositivo all'art. 299 nella parte in cui abroga l'art. 600 c.p.p .. anche all'art. 299 nella parte in cui abroga l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000; del resto avendo dato ulteriore conferma del proprio chiaro intendimento procedendo a dichiarare incostituzionali anche gli artt. 237 e 238 decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002. Alla luce dunque del significato della sentenza costituzionale richiamata, tanto limpido quanto riferito esplicitamente all'intera modifica normativa dettata dal legislatore delegato del 2002 in tema di competenza a decidere in merito alle conversioni per insolvibilita' di pene pecuniarie, risulta non manifestamente infondata (rectius: ampiamente fondata) la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 299 decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000, per come affetto da eccesso di delega in violazione dell'art. 76 Cost. Parallelamente tale questione risulta rilevante, e nei fatti decisiva. nel procedimento di sorveglianza in corso atteso che il suo accoglimento comportera' un elemento nuovo e risolutivo per affermare che - diversamente da quanto sancito a risoluzione del conflitto venutosi a creare - competente a valutare la richiesta di conversione per insolvibilita' della pena pecuniaria irrogata a T. F. il Giudice di pace di Asti. In tal senso e per completezza espositiva puo' osservarsi che quale effetto - evidentemente non voluto della sentenza costituzionale n. 212/2003 e' stata travolta anche la legittima volonta' del legislatore che nel 2000 aveva deciso di affidare al Giudice di pace, in veste di Giudice dell'esecuzione, le questioni afferenti la conversione per insolvibilita' di pene pecuniarie da lui stesso irrogate. L'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 era stato infatti introdotto del tutto legittimamente nel contesto unitario del sistema normativa che regola il funzionamento del Giudice di pace nell'ordinamento, ed in attuazione di una logica coerente tenendo in primo luogo conto dei ruoli radicalmente diversi che rivestono tale Giudice onorario e il Magistrato di sorveglianza il quale ultimo vede i suoi compiti collegati esclusivamente alle vicende esecutive delle decisioni della Magistratura penale ordinaria, al cui interno si colloca quale naturale articolazione. L'art. 42 citato introduceva quindi in tema di conversione per insolvibilita' di pene pecuniarie. un'idea di competenza diversa da quella sottesa al codice di rito, fondata sull'attribuzione di tale specifica funzione al Giudice dell'esecuzione trattandosi di un intervento sul titolo esecutivo allorche' se ne fosse constatata l'ineseguibilita' nelle forme originariamente stabilite nella sentenza di condanna. Il legislatore del 2002 ha quindi evidentemente inteso estendere tale opzione funzionale - in verita' assai piu' coerente con la sistematica processuale - anche al la Magistratura ordinaria, e volendo attribuire al Tribunale o alla Corte di appello in veste di Giudice dell'esecuzione la procedura di conversione di pena pecuniaria inesigibile per insolvibilita', ha simultane, mente abrogato l'art. 660 codice di procedura penale e introdotto l'art. 237 decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 secondo cui «L'ufficio investe il pubblico ministero, perche' attivi la conversione presso il giudice dell'esecuzione competente, entro venti giorni dalla ricezione della prima comunicazione, da parte del concessionario, relativa all'infruttuoso esperimento del primo pignoramento su tutti i beni». Norma quest'ultima riferibile - e riferita - ad ogni Giudice dell'ordinamento giuridico penale, ordinario o onorario, e regolatrice della competenza funzionale tanto del Tribunale e della Corte di appello quanto del Giudice di pace, per il quale ultimo confermava la scelta gia' adottata a suo tempo nel 2000, cosi' che nessuna variazione sostanziale determinava per tale parte atteso che i l Giudice di pace rimaneva competente. come in precedenza, per vagliare le richieste di conversione per insolvibilita' di pene pecuniarie che aveva comminato. Con il venir meno dell'art. 237 decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 per effetto della sentenza costituzionale che andava ad affiancare la gia' occorsa abrogazione dell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000, ad opera dell'art. 299 decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 nella parte qui oggi impugnata dinanzi al Giudice delle leggi, si e' dunque cassata senza motivo la volonta' del legislatore del 2000 che era stata espressa in modo assolutamente conforme a Costituzione, e che la legge delega n. 50/1999 non aveva autorizzato a modificare. L'odierna questione di costituzionalita', allorche' accolta, consentira' dunque di ripristinare quella disposizione che e' stata posta nell'ordinamento in modo pienamente legittimo.