IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA In sede giurisdizionale ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 372 del 2018, proposto dal Comune di Piazza Armerina, in persona del Sindaco e legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fabio Lo Presti, con domicilio eletto presso il suo studio in Giustizia, Pec Registri; contro Regione Siciliana e Assessorato regionale della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro, nelle persone dei rispettivi presidente ed assessore pro-tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, presso la cui sede distrettuale, in Palermo, via V. Villareale n. 6, sono ex lege domiciliati; nei confronti I.p.a.b. denominata «Istituto assistenziale S. Giuseppe e S. Giovanni Battista di Rodi», in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio; e con l'intervento di ad opponendum: sig.ri Maurizio Mario Rausa, Domenico Russo, Antonio Maurizio Campagna, Maria Concetta Lavuri, Angela Parisi, Silvana Samparese, Rosa Maria Santoro e Maria Giuseppa Manuella, rappresentati e difesi dall'avv. Cristina Gulisano, con domicilio digitale eletto presso il suo studio in Giustizia, Pec Registri; per la riforma della sentenza n. 648 del 27 marzo 2018, resa dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - Sezione staccata di Catania, Sez. I^; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione siciliana; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Nominato relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 novembre 2018 il cons. Carlo Modica de Mohac e uditi per le parti gli avv.ti Bonaventura Lo Duca, su delega dell'avv. Fabio Lo Presti, l'avvocato dello Stato Stefano Vivacqua, e l'avv. Pietro Maria Mela su delega dell'avv. Cristina Gulisano; 1. Con decreto n. 198 del 18 maggio 2016 il Presidente della Regione siciliana disponeva l'estinzione della «i.p.a.b.» (id est: istituzione pubblica di assistenza e beneficienza, d'ora innnazi «I.P.A.B.») denominata «Istituto assistenziale S. Giuseppe e S. Giovanni Battista di Rodi», trasferendone il personale e devolvendone il patrimonio - con ogni attivita' e passivita' - al Comune di Piazza Armerina (nel cui territorio aveva sede). 2. Con ricorso innanzi al Tribunale amministrativo regionale di Palermo, il comune impugnava il predetto decreto e gli atti e provvedimenti ad essi presupposti, consequenziali e comunque connessi, chiedendone l'annullamento per le conseguenti statuizioni reintegratorie e di condanna. Con il primo mezzo di gravame lamentava violazione e falsa applicazione dell'art. 34 della legge regionale n. 22 del 1986 e dell'art. 12 del codice civile, nonche' eccesso di potere per travisamento dei fatti ed incompetenza, deducendo che fra le cause che giustificano l'adozione del provvedimento di estinzione di una I.P.A.B. non figurano le ipotesi di «grave situazione debitoria» e di «impossibilita' di funzionamento»; e che la normativa in esame non prevede alcun obbligo o onere a carico dei comuni (ne', fra essi, quello di assorbire il personale del disciolto ente). Con il secondo mezzo di gravame, il comune ricorrente lamentava violazione e falsa applicazione, sotto differente profilo, dell'art. 34 della legge regionale n. 22 del 1986, nonche' dell'art. 62 della legge n. 6972 del 1890 e degli articoli 3 e seguenti della legge n. 241 del 1990, ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, deducendo che prima di avviare il procedimento di estinzione, la Regione avrebbe dovuto verificare la possibilita' di effettuare una fusione dell'I.P.A.B. con altro ente dello stesso genere. Con ordinanza n. 79 del 6 febbraio 2017 questo Consiglio di Giustizia Amministrativa accoglieva la domanda cautelare proposta dal comune ricorrente. 3. Infine con sentenza n. 648 del 27 marzo 2018, il Tribunale amministrativo regionale adito ha respinto il ricorso. 4. Con l'appello in esame il Comune di Piazza Armerina ha impugnato la sentenza in questione e ne chiede la riforma per le conseguenti statuizioni conformative e di condanna. Con il primo mezzo di gravame l'appellante comune lamenta l'ingiustizia dell'impugnata sentenza per violazione dell'art. 34 della legge regionale n. 22 del 1986 e dell'art. 12 del codice civile, nonche' per travisamento dei fatti, difetto di' istruttoria e di motivazione, deducendo che il Giudice di primo grado avrebbe errato: nel ritenere che fra le cause giustificatrici dell'estinzione di una I.P.A.B., e' contemplata anche l'ipotesi di mancato funzionamento o di grave situazione debitoria; nel non aver verificato se sia stata previamente tentata la soluzione alternativa della fusione con altra I.P.A.B.; e, in definitiva, nell'aver ritenuto che il provvedimento di estinzione sia stato basato su un'adeguata istruttoria, e sufficientemente motivato; Con il secondo mezzo di gravame il comune appellante lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 34, comma 2, della legge regionale 9 maggio 1986, n. 22 e dell'art. 97 della Costituzione, deducendo che il Giudice di primo grado avrebbe errato altresi': nel non aver ritenuto operanti - ed applicabili alla fattispecie - le limitazioni alle assunzioni di personale (rectius: i divieti di assunzione) al fine di contenere la spesa pubblica; e nell'aver ritenuto legittimo anche il trasferimento di personale gia' assunto dall'I.P.A.B. senza concorso. Con atto di intervento ad opponendum gli impiegati dell'I.P.A.B. si sono associati - avendo interesse all'assunzione presso l'Amministrazione comunale - alla richiesta di rigetto del ricorso in appello proposto dal Comune. Ritualmente costituitasi, anche l'Amministrazione regionale ha chiesto il rigetto dell'appello del Comune. Nel corso del giudizio le parti contendenti hanno insistito nelle rispettive domande ed eccezioni; ed all'udienza fissata per la discussione conclusiva sul merito dell'appello, la causa e' stata posta in decisione. 5. Come gia' accaduto per un precedente caso analogo, il Collegio non puo' che ribadire quanto affermato con l'ordinanza di rimessione emessa nel ricorso n. reg. gen. 915/2017, e cioe' che la causa non puo' essere decisa se non venga previamente risolta la questione di costituzionalita' dell'art. 34 della legge regionale 9 maggio 1986, n. 22 della Regione siciliana, nella parte in cui obbliga i comuni ad assorbire il patrimonio ed il personale delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza soppresse autoritativamente dall'Amministrazione regionale, e cio' anche in deroga alle norme sul contenimento della spesa pubblica (comprese quelle che introducono divieti di assunzioni o limitazioni alle assunzioni di personale) e sull'equilibrio dei bilanci pubblici (non ostante tali norme siano espressione del principio fondamentale del coordinamento della finanza pubblica). Va pertanto sollevato incidente di costituzionalita', nei termini che seguono. 5.1. L'art. 4, lettera 'm' dello Statuto della Regione siciliana attribuisce alla Regione potesta' legislativa esclusiva in materia di «pubblica beneficenza ed opere pie». L'art. 34 della legge regionale 9 maggio 1986, n. 22 - recante le disposizioni sul riordino dei servizi e delle attivita' socio-assistenziali in Sicilia - stabilisce: a) al primo comma, che «L'Assessore regionale per gli enti locali avvia il procedimento amministrativo per la fusione delle istituzioni pubbliche, proprietarie delle strutture non utilizzabili o non riconvertibili, con altre IPAB che dispongono di strutture giudicate utilizzabili o riconvertibili in esito alle procedure di cui ai precedenti articoli o con IPAB che, mediante l'integrazione delle strutture, su proposta del comune territorialmente competente, possono attivare servizi socio-assistenziali e socio-sanitari conformi alle previsioni degli articoli 31 e 32 della presente legge»; b) al secondo comma, che «In subordine l'istituzione e' estinta e i beni patrimoniali sono devoluti al comune, che assorbe anche il personale dipendente, facendone salvi i diritti acquisiti in rapporto al maturato economico», c) ed al terzo comma che «La fusione e l'estinzione non hanno luogo qualora la struttura non utilizzabile o riconvertibile appartenga ad istituzione che disponga di altre strutture agibili e riconvertibili». Il menzionato secondo comma attribuisce - quindi - alla Regione il potere di accertare se le II.PP.AA.BB. non siano piu' in grado di funzionare autonomamente (nemmeno a seguito di processi di fusione o di riconversione), nonche' di decidere se debbano essere soppresse; decisione dalla quale consegue automaticamente sia la devoluzione dei beni patrimoniali che il trasferimento del personale della soppressa istituzione al comune territorialmente competente. Nel nostro Ordinamento vige il principio di autonomia finanziaria dei Comuni, espressamente declinato sia dall'art. 119 della Costituzione, che dai singoli Statuti delle Regioni speciali; e, con specifico riferimento alla Regione siciliana, dall'art. 15, comma 2, del suo Statuto. Corollario (logico, prim'ancora che giuridico) di tale principio e' quello secondo cui ad ogni trasferimento di funzioni deve corrispondere un adeguato trasferimento (o un'attribuzione) di risorse economico-finanziarie per farvi fronte, principio che vale, all'evidenza, anche per il caso di trasferimento di complessi patrimoniali che determinino oneri (quali spese di manutenzione, restauro etc.) forieri di perdite economiche, nonche' - ovviamente - per il caso di trasferimento di personale. Tale «principio di correlazione fra funzioni e risorse» (cosi' ormai correntemente definito in teoria generale) e' desumibile - oltre che dalla logica giuridica (e dunque dal «principio di ragionevolezza» al quale la Corte costituzionale attribuisce, da sempre, valore fondamentale) - dall'intero assetto del Titolo V della Carta costituzionale; e, in particolare, dai commi primo, quinto e sesto dell'art. 119 della Costituzione, disposizioni costituzionali che nella misura in cui (e nelle parti nelle quali) mirano a garantire uno standard minimo di tutela in favore degli Enti locali - e dunque un valore costituzionale di base - sono ad essi comunque applicabili (e da essi invocabili) a prescindere da ogni delimitazione territoriale (il che risponde al criterio metodologico secondo cui agli enti locali ubicati nelle Regioni a statuto speciale non puo' essere riconosciuta una autonomia finanziaria inferiore rispetto a quella devoluta agli enti ubicati nelle Regioni a statuto ordinario). Il primo comma dell'art. 119 della Costituzione stabilisce che «i comuni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa», e sembra che tale norma organizzativa di base sia stata disattesa dal legislatore siciliano, il quale con il quarto comma dell'art. 34 della legge regionale n. 22 del 1986 ha creato un meccanismo idoneo ad incidere «estemporaneamente» (id est: al di fuori da ogni programmazione finanziaria locale; consentendo, con semplici atti provvedimentali adottati dall'Amministrazione regionale, di determinare sostanziali modifiche ai bilanci comunali e deroghe alle leggi finanziarie statali e regionali; e finanche alla legislazione sul contenimento della spesa pubblica, non ostante quest'ultima abbia natura di «legislazione di principio») sull'autonomia finanziaria dei Comuni. Il quinto comma dell'art. 119 della Costituzione stabilisce che «Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai comuni (... omissis ...) di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite», e pure tale principio costituzionale - che ad avviso del Collegio non puo' non ritenersi applicabile anche ai comuni siciliani (salvo che, come gia' cennato, non si ritenga costituzionalmente legittimo tributare ad essi un'autonomia inferiore rispetto a quella riconosciuta agli Enti locali delle Regioni ordinarie) - sembra essere stato disatteso dal legislatore siciliano, il quale con il quarto comma dell'art. 34 della legge regionale n. 22 del 1986 ha creato un meccanismo idoneo a gravare i comuni di una nuova funzione (quella di gestione e manutenzione dei patrimoni in dissesto delle soppresse I.P.A.B.; e quella, di natura socio-assistenziale, di ricollocazione ed eventuale riqualificazione del personale da esse dipendente), senza dotarli (di un minimo) di risorse finanziarie (aggiuntive) necessarie per il raggiungimento dell'obiettivo. Il sesto comma del piu' volte menzionato art. 119 della Costituzione stabilisce che «... per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati comuni ... », principio (invero connesso al precedente) che sembra - anch'esso - violato dal legislatore siciliano, il quale con l'art. 34 della legge regionale n. 22 del 1986 ha creato un meccanismo idoneo a devolvere ai comuni coinvolti nel processo di 'acquisizione forzosa' in esame, una serie di compiti volti al perseguimento di "scopi diversi" da quelli corrispondenti al "normale esercizio delle loro funzioni"» (come cristallizzato in via ordinaria alla data dell'attribuzione e/o del trasferimento delle funzioni in capo ad essi, e della devoluzione delle correlata risorse), senza dotarli delle necessaria provvista finanziaria. Anche ove si prescinda dalla questione della (piena o parziale) applicabilita' ai comuni siciliani delle disposizioni contenute nell'art. 119 della Costituzione, il «principio della correlazione fra funzioni e risorse» costituisce - come si e' gia' accennato - un principio immanente e pervasivo del sistema costituzionale, desumibile - per quanto attiene alla Regione siciliana - anche dall'art. 15, comma 2, dello Statuto regionale siciliano (che afferma che nella Regione gli enti locali sono «dotati della piu' ampia autonomia amministrativa e finanziaria»); e pertanto l'art. 34 della legge regionale in esame si rivela comunque in contrasto con tale norma statutaria di rango costituzionale (come lo sono le norme dello Statuto regionale siciliano). Proprio occupandosi della questione del «trasferimento di funzioni senza risorse», la Corte costituzionale ha affermato (Corte cost., n. 145 del 2008; nonche' n. 29 del 2004; n. 138 del 1999 e n. 222 del 1994) che le norme di legge che consentono operazioni istituzionali di tal fatta sono da considerare costituzionalmente illegittime - in quanto lesive del «principio di correlazione fra funzioni e risorse», nonche' del «principio fondamentale del coordinamento della finanza pubblica» e del «principio dell'equilibrio dei bilanci pubblici» declinati dagli articoli 117, lettera 'e' e 119 primo, settimo ed ottavo comma della Costituzione (Corte cost., n. 52 del 2010, nn. 139 e 237 del 2009, e n. 417 del 2005; nonche' 217 del 2012 e nn. 82, 176, 238, 239, 263, 272 e 273 del 2015) - quando determinano i seguenti due effetti: a) un'alterazione del «rapporto tra complessivi bisogni regionali e insieme dei mezzi finanziari per farvi fronte»; b) ed una variazione del rapporto entrate/spese foriero di un «grave squilibrio» nel bilancio. Nella fattispecie disciplinata dall'art. 34 della legge regionale n. 22 del 1986 cio' si verifica (o comunque ben puo' verificarsi) ogniqualvolta il numero dei dipendenti in transito dalla soppressa I.P.A.B. verso il comune obbligato ad assumerli e/o le spese di manutenzione dei beni patrimoniali ceduti, determinino spese impreviste (non esistendo capitoli di bilancio sui quali farle gravare) e/o che non possano trovare adeguata copertura in bilancio (se non facendo ricorso ad indebitamenti o a strumenti straordinari). Infine, l'art. 34 cit. si pone in contrasto anche con la legislazione sul contenimento della spesa pubblica (nella specie: art. 3, comma 5, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 convertito in legge n. 114 del 2014; art. 1, comma 228, della legge n. 208 del 2015) gia' ritenuta dalla Corte costituzionale prevalente sulle leggi regionali e comunque applicabili in tutto il territorio nazionale (dunque anche nelle Regioni a statuto speciale) in quanto espressione del (gia' menzionato) «principio fondamentale» secondo cui - in forza degli articoli 119, secondo comma, e 117 lettera 'e' della Carta costituzionale - spetta allo Stato il coordinamento della finanza pubblica (Corte cost., n. 52 del 2010, nn. 139 e 237 del 2009, e n. 417 del 2005; nonche' 217 del 2012 e nn. 82, 176, 238, 239, 263 e 273 del 2015). Esso pertanto e' da ritenere costituzionalmente illegittimo anche sotto questo profilo, perche' idoneo a «scompaginare» la politica di contenimento delle assunzioni come misura volta a perseguire il riequilibrio finanziario. In conclusione, l'art. 34 della legge regionale 9 maggio 1986, n. 22 della Regione siciliana si pone in contrasto con il principio fondamentale del coordinamento della finanza pubblica, nonche' con i principii di correlazione fra funzioni e risorse e con il principio di equilibrio dei bilanci pubblici desumibili dagli articoli 117 lettera 'e', 119, primo, secondo, quinto, sesto settimo ed ottavo della Costituzione, e 15, secondo comma dello Statuto regionale siciliano. Pertanto va posta la relativa questione di legittimita' costituzionale, sotto i vari profili individuati, innanzi alla Corte costituzionale. 5.2. A tal fine occorre chiarire le ragioni per le quali la predetta questione appare al Collegio rilevante e non manifestamente infondata. 5.2.1. La soluzione della indicata questione di legittimita' costituzionale si appalesa rilevante in quanto pregiudiziale ai fini della decisione della causa, posto che - come si passa ad illustrare - dai destini della norma regionale derivano i destini dell'impugnato provvedimento e dunque del giudizio pendente in appello innanzi al Giudice amministrativo. Va subito precisato che al Collegio non appare corretto procedere direttamente ed immediatamente ad una «interpretazione costituzionalmente orientata» dell'art. 34 della legge regionale n. 22 del 1986 che valorizzi la rilevanza ostativa del parere negativo espresso dal comune e che pertanto elimini ogni «rilevanza» della ventilata questione ai fini della decisione della causa. Che il Giudice amministrativo non possa operare in tal senso, lo si ricava dalla semplice lettura del testo in esame (art. 34 cit.), la cui chiarezza non consente - posto che in claris non fit interpretatio - alcuna interpretazione teleologica. Ed invero in nessun luogo del testo normativo e' specificato che il parere che il comune e' chiamato ad esprimere in ordine alla soppressione dell'IPAB (ed alle conseguenti operazioni di devoluzione ad esso del patrimonio e di transito del personale nei propri ruoli) debba essere considerato vincolante o parzialmente vincolante (oltre che obbligatorio) su determinati punti. Ne' cio' appare desumibile dalla comparazione della norma con altre norme connesse. E poiche' per procedere ad una «interpretazione costituzionalmente orientata» di una norma, deve comunque sussistere un certo spazio di indeterminatezza della pericope (oggetto dell'operazione ermeneutica), un minimo di intrinseca elasticita' del testo che consenta all'interprete di intenderlo in un senso anziche' in un altro (in modo che la portata del precetto normativo risulti infine estesa, ridotta o condizionata), non sembra - vista la rigidita' del testo in esame - che l'operazione ermeneutica in questione (volta a 'salvare' la norma da censure di illegittimita' costituzionale mediante un non previsto e non deducibile dilatamento della rilevanza del parere del Comune) fosse e sia possibile. Diversamente opinando, infatti, si giungerebbe alla conclusione che all'interprete puo' essere concesso di modificare le norme «rimodellandone» i testi. 5.2.2. La posizione logica in ordine alla necessita' di sollevare la questione di costituzionalita' dell'art. 34 della legge regionale n. 22 del 1986 non muta neanche ove l'attenzione si concentri esclusivamente sul contrasto della norma in questione con il c.d. «principio di coordinamento della finanza pubblica» (articoli 117 lett. 'e' ed art. 119, secondo comma, della Costituzione), contrasto scaturente dalla violazione dei cc.dd. «limiti assunzionali» introdotti dalla (gia' precedentemente menzionata) normativa sul contenimento della spesa e sul blocco delle assunzioni. Anche in tal caso appare evidente che non e' possibile «salvare» la norma regionale in esame affermando che - secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata - essa si applica (rectius: dev'essere applicata) «riduttivamente» e cioe' nel rispetto dei predetti limiti e divieti; e che se cosi' applicata non puo' essere considerata costituzionalmente illegittima. Tale ragionamento non regge e non fa venir meno la rilevanza della questione. Se per un verso, infatti, la rilevanza della questione di costituzionalita' permane comunque per la parte della norma che impone ai comuni l'acquisizione forzosa del patrimonio (ancorche' passivo) della soppressa I.P.A.B.; per altro verso non puo' essere ignorato che secondo il consolidato orientamento della Corte dei conti - Sezione delle Autonomie, «nei casi di trasferimento di personale ad altro ente pubblico, derivante dalla soppressione di un ente obbligatoriamente disposta, non si ritiene applicabile il limite assunzionale previsto dalla normativa vigente in materia di spese di personale ai fini del coordinamento della finanza pubblica», e che in tal caso «la deroga al detto vincolo comporta (... omissis ...) il necessario riassorbimento della spesa eccedente negli esercizi finanziari successivi a quello del superamento del limite» (Corte dei conti, sezione delle Autonomie, del. n. 4/2016). Chiarita, pertanto, la «giusta interpretazione» dell'art. 34 del legge regionale n. 22 del 1986 e stabilito che dalla sua applicazione deriva l'obbligo del Comune di procedere all'assunzione del personale proveniente dalla I.P.A.B con accollo degli oneri finanziari che ne conseguono, anche se cio' possa finire con il produrre dissesti o indebitamenti straordinari (non decisi autonomamente), non v'e' chi non veda come anche sotto questo profilo, la rilevanza della questione riaffiori con tutto il suo peso. Ed invero se, come appare indubitabile, la norma va applicata nel senso indicato dal Giudice contabile, ancora una voltagli esiti del giudizio in corso non possono che dipendere dalla sua «tenuta», che non puo' che essere disposta dall'unico Giudice a questo punto competente ad orientare la decisione: il Giudice delle leggi. 5.3. Passando al secondo requisito necessario perche' la questione possa essere sollevata, va sottolineato che essa si appalesa altresi' non manifestamente infondata in quanto - come del resto gia' illustrato nei primi Capi della presente ordinanza - non appare revocabile in dubbio che l'introduzione mediante legge regionale di un congegno atto ad incidere sui principii sopra richiamati costituisca una evidente «rottura» dell'ordinario assetto (id est: del regime di riparto) delle competenze legislative stabilito dalla Costituzione (e, nella specie, dalle norme costituzionali citate), e che determini una eccessiva compressione dell'autonomia finanziaria degli enti locali. 6. In conclusione, dev'essere sollevata la questione di legittimita' costituzionale, per contrasto con gli articoli 97, secondo e quarto comma, 117 lettera 'e', e 119, primo, secondo, quinto, sesto, settimo ed ottavo della Costituzione, nonche' con l'art. 15, secondo comma dello Statuto regionale siciliano, unitamente o separatamente considerati, dell'art. 34 della legge regionale 9 maggio 1986, n. 22 della Regione siciliana, nella parte in cui obbliga i comuni ad assorbire il patrimonio ed il personale delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza soppresse autoritativamente dall'Amministrazione regionale, e cio' anche in deroga alle norme sul contenimento della spesa pubblica (comprese quelle che introducono divieti di assunzioni o limitazioni alle assunzioni di personale) e sull'equilibrio dei bilanci pubblici (non ostante tali norme siano espressione del principio fondamentale del coordinamento della finanza pubblica).