TRIBUNALE ORDINARIO DI VERCELLI sezione civile Il Tribunale di Vercelli, in composizione collegiale, nella persona dei magistrati: dott. Giovanni Campese Presidente; dr.ssa Simona Francese Giudice; dr.ssa Maria Elena Ballarini Giudice relatore; riunito in camera di consiglio all'esito dell'udienza svoltasi in data 14 febbraio 2019 ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al numero 2595-2018 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2015 promossa da: P T elettivamente domiciliato in Vercelli, Piazza Bichieri n. 8, presso lo studio dell'avv. Andrea Corsaro dal quale e' rappresentato e difeso unitamente agli avv.ti Katia Loro e Stefano Delsignore in virtu' di procura a margine del ricorso ricorrente; contro Prefettura - Ufficio territoriale del governo di Vercelli, in persona del Prefetto pro tempore rappresentata e difesa ex lege dall'avvocatura Distrettuale dello Stato di Torino presso i cui uffici e' domiciliata ope legis resistente; e con l'intervento obbligatorio del Pubblico Ministero intervenuto; Visti gli atti e la documentazione prodotta, sentite le parti' ed il PM Osserva Il ricorrente, onorevole P T , nell'ambito del procedimento rg. 2595/2018 in cui ha chiesto l'annullamento del decreto adottato dal Prefetto della Provincia di Vercelli n. 35129 del 20 dicembre 2018 che ha disposto la sospensione del medesimo dalla carica di Sindaco di Borgosesia in applicazione di quanto previsto dall'art. 11 del D.Lgs. n. 235/2012, ha proposto ricorso cautelare ai sensi dell'art. 700 cpc finalizzato ad ottenere la sospensione degli effetti dell'impugnato provvedimento. Sostiene in particolare il ricorrente che il provvedimento impugnato sarebbe: a. illegittimo perche' adottato sulla base del solo dispositivo della sentenza del 24 luglio 2018 della Corte d'Appello di Torino; b. illegittimo perche' adottato in violazione dell'art. 11 co. 5 D.lgs. n. 235 del 31 dicembre 2012 a seguito di comunicazione fatta da un soggetto normativamente non legittimato a compierla; c. illegittimo per assenza dei requisiti essenziali relativi alla decorrenza e alla durata della sospensione della carica di Sindaco di Borgosesia; d. illegittimo in quanto gli effetti della sospensione dalla carica di Sindaco di Borgosesia sarebbero cessati a seguito della pubblicazione della sentenza di assoluzione del Tribunale di Torino all'albo pretorio e della comunicazione al Consiglio Comunale di Borgosesia. Il ricorrente approfondendo, poi, il profilo di impugnazione indicato sub d. solleva: 1. questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 11 commi 1 e 6 D.Lgs. 235/2012 in relazione all'art. 3 Cost.; 2. questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 11 commi 1 lett. a) e 4 D.Lgs. 235/2012 per violazione degli artt. 3, 13, 27 co. 2, 51 Cost. laddove prevede l'applicazione automatica della sospensione dalla carica di Sindaco, per la durata fissa di 18 mesi, a seguito di condanna, ancorche' non definitiva, per uno qualunque dei delitti indicati dall'art. 10, comma 1 lettera a), b) e c). Quanto al periculum in mora il ricorrente - dopo aver sottolineato l'urgenza di ottenere il provvedimento di sospensione richiesto connessa alla ritenuta fondatezza dei prospettati motivi di illegittimita' costituzionale, atteso che in difetto di un provvedimento di sospensione si vanificherebbe l'utilita' di un'eventuale pronuncia favorevole della Corte Costituzionale - ha sottolineato l'esistenza di importanti adempimenti per la comunita' di Borgosesia da compiersi nei prossimi mesi puntualmente elencati nel ricorso introduttivo del presente giudizio, nonche' le difficolta' tecniche e personali dell'attuale vicesindaco, dr.ssa B , nel concreto adempimento degli incombenti richiesti dallo svolgimento della funzione di sindaco. Nel termine concesso si sono costituiti il Prefetto di Vercelli e l'Amministrazione dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, contestando puntualmente quanto dedotto da controparte e chiedendo il rigetto del ricorso cautelare. All'udienza del 17.1.2019 parte resistente ha depositato controdeduzioni del Ministero dell'interno - Dipartimento per gli affari interni e territoriali. Il ricorrente si e' opposto all'acquisizione di tali controdeduzioni. Le controdeduzioni in parola non possono essere acquisite atteso che parte resistente aveva gia' depositato memoria difensiva nel termine concesso e tali controdeduzioni costituiscono un'integrazione della memoria difensiva gia' depositata. A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 17.1.2019, e' stata fissata nuova udienza svoltasi in data 7.2.2019 davanti al Collegio, nel corso della quale sono state altresi' assunte le conclusioni del Pubblico Ministero che ha chiesto il rigetto del ricorso alla luce delle argomentazioni svolte dalle parti. Concesso breve termine alle parti per il deposito di brevi memorie, il Collegio ha riservato la decisione all'esito dell'udienza del 14.2.2019. Preliminarmente, occorre ribadire l'ammissibilita' del ricorso cautelare proposto ai sensi dell'art. 700 c.p.c. nell'ambito del presente procedimento che, a seguito della sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni unite n. 11131/2015, e' stato ritenuto di competenza dell'autorita' giudiziaria ordinaria e ricondotto tra le controversie previste e disciplinate dall'art. 22 D.Lgs. n. 150/2011, controversie regolate dal rito sommario di cognizione. Infatti, come sottolineato anche dal Tribunale di Napoli con l'ordinanza n. 323 del 22 luglio 2015, la tutela cautelare prevista dall'art. 700 c.p.c. e' compatibile con il rito sommario di cognizione di cui all'art. 702 bis c.p.c., atteso che esso e' un procedimento a cognizione piena, mentre la sommarieta' attiene solo alla deformalizzazione. Segnatamente nel procedimento sommario di cognizione la sommarieta' non riguarda il contenuto dell'accertamento posto a base della decisione, la quale deve tendere alla verifica della fondatezza delle allegazioni di parte in termini di verita' (processuale) e non gia' di mera verosimiglianza, attraverso un'attivita' istruttoria che, seppur deformalizzata, conduce ad una pronuncia idonea a divenire cosa giudicata ex art. 2909 del codice civile. La sommarieta' del procedimento cautelare e' invece connessa al diverso tipo di accertamento prodromico all'emanazione del provvedimento cautelare richiesto: la verifica della sussistenza del fumus bonis iuris e del periculum in mora. Inoltre nel rito sommario, a differenza del procedimento cautelare uniforme, non e' previsto un contradditorio anticipato e pertanto non sono previsti provvedimenti inaudita altera parte, ma deve essere fissata la comparizione delle parti. La Corte di Cassazione ha altresi' escluso che il rito sommario di cognizione abbia natura cautelare, nonostante la collocazione delle norme ad esso inerenti nella stessa sezione del codice, essendo esclusa per la sua instaurazione il periculum in mora ed essendo la natura cognitiva risultante esplicitamente dalla rubrica del capo III bis del codice di procedura civile introdotto dall'art. 51 della legge n. 69/9009 (cfr. Cass. Civ. a Sezione Unite n. 11512/12). Deve altresi' essere preliminarmente ribadita la necessita' che la presente pronuncia cautelare sia assunta dal Tribunale in composizione collegiale e con la partecipazione necessaria del Pubblico Ministero. Si richiama sul punto quanto gia' affermato dal Tribunale di Napoli con la richiamata ordinanza n. 323 del 22 luglio 2015, dove si specifica che il necessario intervento del Pubblico Ministero comporta la riserva di cognizione collegiale del rito sommario ex art. 702 bis c.p.c. e quindi anche del ricorso cautelare in corso di causa, attesa anche la mancanza della figura del giudice istruttore nel rito sommario di cognizione collegiale. Passando ai profili sostanziali, si osserva che in data 20.12.2018 la Prefettura di Vercelli ha notificato al Segretario Comunale di Borgosesia il provvedimento n. 35129, prot. n. 0035131, con il quale e' stato dichiarato l'accertamento della sussistenza di una causa di sospensione dalla carica di Sindaco nei confronti dell'odierno ricorrente ai sensi dell'art. 11 comma 1 lettera a) D.Lgs. 31.12.2012 n. 235. Nel caso di specie, in particolare, il ricorrente era stato assolto dall'imputazione di concorso in peculato, di cui agli arti. 110, 314 c.p.. dal Tribunale di Torino, Terza Sezione Penale, con sentenza n. 4978/2016 depositata in data 5.1.2017, "perche' il fatto non sussiste" ex art. 530 c.p.p. Successivamente la Corte d'Appello di Torino, IV Sezione, in data 24.7.2018, in riforma della predetta sentenza, ha condannato l'odierno ricorrente, ritenendo l'ipotesi accusatoria fondata solo in relazione a taluni dei fatti oggetto di contestazione. Ora, sostiene il ricorrente che l'art. 11 comma 6 del D.Lgs. n. 235/2012 sia incostituzionale nella parte in cui prevede un'identica disciplina della sospensione dalla carica di sindaco per due situazioni diverse: sia per il caso in cui la sentenza di condanna venga pronunciata dal giudice penale all'esito del primo grado di giudizio, sia per il caso in cui la condanna sopravvenga, all'esito del giudizio di appello, in riforma di una precedente pronuncia assolutoria. Secondo il ricorrente si tratterebbe di due situazioni significativamente diverse, ma trattate dal legislatore in modo identico cosi' violando il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione. Ritiene questo Collegio che non sia manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata dal ricorrente anche se per motivazioni parzialmente differenti rispetto a quelle indicate nel ricorso introduttivo del presente giudizio e nella memoria autorizzata. Il Collegio ritiene, infatti, che sia non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11, commi 1 lett. a) e 4, D.Lgs. 235/2012 in relazione all'art. 3 Cost., nella parte in cui prevede la sospensione dalle cariche indicate al comma 1 dell'art. 10 per la durata di diciotto mesi anche a carico di coloro che, essendo stati assolti con sentenza di primo grado, abbiano riportato in appello una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati dall'art. 10, comma 1, lett. a), b) e c) del D.Lgs. 235/2012. Si tratta di una questione nuova rispetto a quelle sino ad oggi esaminate dalla Corte Costituzionale. Tale questione deve essere valutata nell'ambito di un procedimento cautelare promosso in corso di causa: sull'ammissibilita' della proposizione di una questione di legittimita' costituzionale nell'ambito di un procedimento cautelare si veda quanto chiarito dalla Corte Costituzionale con la sentenza 20 maggio 2008 n. 161. Quanto alla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale. Va premesso che, nell'ambito del giudizio preliminare di filtro affidato al giudice a quo per l'accesso alla giurisdizione della Corte Costituzionale ai sensi dell'art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87, il requisito della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale sollevata esprime l'indissolubile suo legame con l'esercizio della funzione giurisdizionale, potendo il giudice delle leggi essere investito soltanto di questioni relative a norme legislative di cui il giudice a quo debba necessariamente fare applicazione ai fini della definizione del giudizio dinanzi a lui pendente. La questione e' certamente rilevante nel presente giudizio. Ed invero il provvedimento prefettizio impugnato dal ricorrente non ha indicato la durata del periodo di sospensione dalla carica di sindaco. Cio' non rende illegittimo il provvedimento, in quanto esso rimane integrato dal disposto del comma 4 dell'art. 11, il quale, tuttavia, applicato al caso di specie, comporta una irragionevole disparita' di trattamento per le motivazioni di seguito indicate. Quanto alla non manifesta infondatezza. Affermata la sussistenza del requisito preliminare della rilevanza della questione prospettata, occorre accertare l'ulteriore requisito previsto dall'art. 23 della legge n. 87/1953, ossia la non manifesta infondatezza del motivo stesso, intesa quale delibazione (non della probabile incostituzionalita', ma) della mera esistenza del dubbio di costituzionalita' della norma impugnata, senza la possibilita' di una risoluzione della questione sul piano interpretativo. Non puo' sottacersi in proposito che il giudice a quo non ha il compito di sindacare le norme censurate, ma solo di verificare che i rilievi sollevati non siano del tutto pretestuosi o del tutto privi di fondamento. Cio' premesso, si osserva che il provvedimento prefettizio impugnato dal ricorrente non ha indicato la durata del periodo di sospensione dalla carica di sindaco. Tale circostanza non rende illegittimo il provvedimento, in quanto esso rimane integrato dal disposto del comma 4 dell'art. 11, il quale prevede speeificatamente e in misura fissa la durata della sospensione. Ai sensi di detto comma, infatti, "la sospensione cessa di diritto di produrre effetti decorsi diciotto mesi". Peraltro il medesimo comma 4 prosegue stabilendo che "nel caso in cui l'appello proposto dall'interessato avverso la sentenza di condanna sia rigettato anche con sentenza non definitiva, decorre un ulteriore periodo di sospensione che cessa di produrre effetti trascorso il termine di dodici mesi dalla sentenza di rigetto", Viene cosi' delineato un assetto normativo nel quale la condanna in grado di appello per uno dei delitti richiamati dal comma 1 lett. a) dell'art. 11 (tra cui, appunto, il peculato) comporta una sospensione dalla carica di durata differente, secondo che l'amministratore pubblico in primo grado sia gia' stato condannato per lo stesso reato ovvero sia stato assolto. In caso di precedente condanna la sospensione e' di soli dodici mesi, mentre in caso di precedente assoluzione e' di diciotto mesi. Una siffatta diversita' evidenzia una irragionevole disparita' di trattamento, che appare confliggere con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza sanciti dall'art. 3 Cost. Come piu' volte ribadito dalla Corte Costituzionale, il legislatore ben puo' dettare disposizioni particolari e differenziate, ma queste devono essere giustificate in base alle condizioni soggettive e oggettive alle quali le norme giuridiche si riferiscono. Ne consegue che il principio di uguaglianza risulta violato non solo allorche' vengono regolate in modo differenziato situazioni analoghe, ma anche quando il legislatore assoggetta a una disciplina indifferenziata situazioni che egli stesso considera e dichiara diverse. Al principio di uguaglianza e' coessenziale il principio di ragionevolezza della legge, in virtu' del quale le disposizioni normative contenute in atti aventi valore di legge devono essere adeguate e congruenti rispetto alla finalita' perseguita dal legislatore. In quanto tale il principio di ragionevolezza costituisce un limite alla discrezionalita' del legislatore. Esso e' violato quando emerga che la disposizione legislativa e' contraddittoria rispetto all'interesse pubblico perseguito. Orbene, come reso evidente anche dai lavori preparatori, la finalita' perseguita dal legislatore con l'introduzione delle norme contenute nel D.Lgs. 235/2012 e' stata quella di allontanare dall'amministrazione della cosa pubblica - anche in via cautelare mediante la sospensione dalla carica, in attesa della definitivita' della condanna - chi per effetto della commissione di determinati reati (tra cui, in particolare, i delitti contro la pubblica amministrazione) si sia reso moralmente indegno o comunque inidoneo ad assicurare una corretta e onorevole gestione della cosa pubblica. Questa esigenza di tutela della pubblica amministrazione va, tuttavia, contemperata con un altro diritto di rango costituzionale, garantito dall'art. 51 Cost., ossia il diritto di accesso alle cariche elettive e di esercizio delle funzioni connesse alla carica conseguita in virtu' di libere elezioni. In relazione agli scopi perseguiti dal legislatore con D.Lgs. 235/2012, si deve rilevare che la posizione di chi sia stato assolto in primo grado e condannato in appello per la commissione di un reato quale peculato non e' certamente piu' censurabile, ne' piu' pericolosa per la pubblica amministrazione, rispetto a quella di chi sia stato condannato per lo stesso reato tanto in primo quanto in secondo grado. Appare dunque irragionevole prevedere che, per effetto della pronuncia della sentenza di condanna in appello, l'allontanamento dalla carica pubblica sia di dodici mesi per chi ha gia' riportato una precedente condanna e di diciotto mesi per chi sia stato assolto in primo grado. In tal modo, a seguito della condanna in appello, all'amministratore con la posizione processuale piu' lieve viene consentito di rientrare nell'esercizio della carica sei mesi dopo l'amministratore con la posizione processuale piu' gravosa. Cio' appare contraddittorio e confligge con la finalita' di tutela della cosa pubblica perseguita dal D.Lgs. 235/2012. In tal modo, inoltre, l'amministratore pubblico che ha riportato un'assoluzione e una condanna viene sottoposto a un'ingiustificatamente eccessiva compressione del diritto all'elettorato passivo garantito dall'art. 51 Cost. La costituzionalita' della disciplina in esame non puo' neppure essere giustificata considerando l'esigenza di evitare a chi abbia gia' riportato una sospensione dalla carica per diciotto mesi a seguito della condanna in primo grado l'infiizione di una nuova sospensione di pari durata. Se infatti la previsione puo' essere ragionevole avendo riguardo alla complessiva posizione di colui che riporta una doppia condanna, permane comparativamente l'irrazionalita' della disposizione normativa che infligge al condannato soltanto in secondo grado una sospensione maggiore (di diciotto mesi, anziche' dodici). Non si vede, infatti, alcuna ragione perche', all'esito della pronuncia di una condanna in grado di appello, l'assolto in primo grado sia trattato piu' severamente del condannato anche in primo grado. Alla ravvisata ingiustificata disparita' di trattamento non puo' ovviarsi neppure mediante una interpretazione costituzionalmente orientata del comuta 4 dell'art. 11 del D.Lgs. 235/2012. In effetti il giudice investito dell'impugnazione del decreto che dispone la sospensione dalla carica non ha la possibilita' di modificare o graduare la durata della medesima, in quanto questa e' prevista dalla norma in misura fissa e predeterminata. Gli altri profili di incostituzionalita' sollevati dal ricorrente appaiono invece privi del requisito della non manifesta infondatezza. Non si ritiene, infatti, corretta l'interpretazione della norma in esame fornita dal ricorrente per cui nell'ipotesi di condanna solo in appello per i reati richiamati dalla lettera a) dell'art. 11 del D.Lgs. 235/2012 non dovrebbe operare la sospensione o essa dovrebbe cessare per effetto della sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado. Infatti, l'art. 11 comma 1 lett. a) parla genericamente di condanna non definitiva, sicche' il dato normativo non consente di distinguere tra sentenze di condanna pronunciate in primo grado e sentenze di condanna pronunciate in secondo grado. Cio' si desume altresi' dalla lett. b) del comma in esame dove il legislatore ha espressamente considerato la possibilita' di disporre la sospensione per i reati ivi indicati e considerati di minore lesivita' sociale solo qualora la sentenza di primo grado sia stata confermata in appello per la stessa imputazione. Il legislatore, poi, volutamente non parla di giudicato con riferimento alle ipotesi disciplinate dall'art. 11, comma 1 lett. a), sicche' non e' possibile distinguere tra condanna in primo grado seguita da una condanna in secondo grado e assoluzione in primo grado seguita da una condanna in grado di appello. Cio' posto dalla lettura della norma si ricava che per i soggetti condannati per i reati richiamati dal comma 1 lettera a) la sospensione di diritto debba operare tanto nell'ipotesi in cui gli stessi siano stati condannati all'esito del primo grado di giudizio quanto nell'ipotesi in cui gli stessi siano stati condannati all'esito del secondo grado di giudizio. Non si ritiene, inoltre, fondata l'interpretazione fornita dai ricorrenti per cui la sospensione cesserebbe di diritto di produrre effetti anche qualora la sentenza di assoluzione fosse stata pronunciata in primo grado, in applicazione di quanto previsto dall'art. 11 comma 6 del D.Lgs. n. 235/2012. Preliminarmente si osserva che la norma in esame non puo' trovare applicazione nel caso di specie, atteso che la sentenza di assoluzione n. 4978/2016 del 5.1.2017 del Tribunale di Torino e' stata pubblicata all'albo pretorio del Comune di Borgosesia in data 14.12.2018 e comunicata al Consiglio Comunale in data 17.12.2018, e quindi in data antecedente rispetto alla notificazione del provvedimento di sospensione al Segretario Comunale avvenuta solo in data 20.12.2018. La sentenza n. 4978/2016, dunque, non puo' spiegare alcun effetto interruttivo di una sospensione non ancora decorsa. Si osserva poi che, dovendo essere disposta la sospensione in presenza di una sentenza di condanna non definitiva, la sentenza di assoluzione che comporta la cessazione degli effetti della sospensione non puo' che essere successiva. E analogamente, sotto un profilo logico prima ancora che giuridico, tutti i provvedimenti elencati dal comma 6 dell'art. 11 D.Lgs. n. 235/2012 possono far cessare la sospensione solo qualora essa sia gia' stata disposta. Non risulta, infine, fondata l'ulteriore questione di illegittimita' costituzionale sollevata dal ricorrente, secondo cui la disciplina prevista dall'art. 11 D.Lgs. 235/2012 ai commi 1 lett. a) e 4 - comportando che alla condanna ancorche' non definitiva per i delitti indicati dall'art. 10 comma 1 lett. a), b), c) del medesimo decreto legislativo consegue la sospensione di diritto dalla carica di sindaco - contrasterebbe con il principio di ragionevolezza enunciato dall'art. 3 Cost. (determinando un trattamento identico per situazioni tra loro assai disomogenee, in forza di una previsione non legittimata dall'id quod plerumque accidit), con l'inviolabilita' della liberta' personale tutelata dall'art. 13 Cost. (prevedendo l'applicazione di una misura cautelare limitativa della liberta' personale), con la presunzione di non colpevolezza di cui all'art. 27 comma 2 Cost. (comportando la limitazione di un diritto fondamentale prima che sia stata accertata una responsabilita' penale), con il rispetto del diritto di elettorato passivo sancito dall'art. 51 Cost. (impedendo lo svolgimento del mandato elettivo). Tale censura non risulta condivisibile, avuto in particolare riguardo ai principi enunciati dalla Corte Costituzionale nelle sentenze che hanno gia' affrontato le questioni di illegittimita' costituzionale sollevate con riferimento al D.Lgs. n. 235/2012, che hanno tutte chiaramente affermato la natura non sanzionatoria della sospensione prevista dall'art. 11. Infine, quanto al periculum in mora, osserva il Collegio che qualora dovesse essere ritenuta fondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata in questa sede, ne deriverebbe altresi l'illegittimita' del provvedimento prefettizio impugnato, atteso che tale provvedimento - non prevedendo espressamente la durata del periodo di sospensione - deve essere integrato proprio dalla norma oggetto di censura di costituzionalita'. L'applicazione del provvedimento prefettizio, nel dubbio circa la sua legittimita', comporterebbe un'indebita ed eccessiva restrizione dell'esercizio dell'elettorato passivo e del libero svolgimento del mandato elettorale, con conseguente danno per il ricorrente non riparabile ne' risarcibile, tenuto altresi' conto che il mandato elettivo e' temporalmente limitato nel tempo. Si impone pertanto, nell'attesa della decisione della Corte Costituzionale, la sospensione cautelativa del provvedimento del Prefetto, con previsione della prosecuzione del giudizio all'udienza che verra' fissata successivamente alla pronuncia della Corte. Il regolamento delle spese processuali sara' dettato a conclusione del giudizio.