TRIBUNALE PER I MINORENNI DI FIRENZE Ufficio del giudice per le indagini preliminari Il giudice per le indagini preliminari Massimiliano Signorini, vista la richiesta presentata in data 12 luglio 2018 dall'avv. Michele Passione del Foro di Firenze volta ad ottenere la sospensione del procedimento nel corso delle indagini preliminari con messa alla prova del proprio assistito Q.G., nato a ... il ..., residente in ..., elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Michele Passione, indagato nel procedimento n. 229/17 R.G.N.R. della Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Firenze per i reati di violenza privata e di lesione personale aggravata ex art. 585 del codice penale, in relazione agli articoli 576 e 61 n. 2 del codice penale, commessi il 23 dicembre 2016; rilevato che la trattazione del procedimento e' stata assegnata a questo giudice in data 11 dicembre 2018; esaminati gli atti trasmessi dal pubblico ministero; esaminata la relazione dell'U.S.S.M. di Firenze del 7 febbraio 2019; sentiti l'interessato ed il suo difensore nell'udienza camerale del 25 febbraio 2019, Osserva 1. In data 6 luglio 2018 Q.G. ha ricevuto la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui al procedimento n. 229/17 R.G.N.R. della Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Firenze, relativo ai reati di violenza privata e lesione personale aggravata in epigrafe indicati commessi il 23 dicembre 2016 all'eta' di sedici anni. Con istanza depositata il 12 luglio 2018, l'interessato, tramite il proprio difensore di fiducia, ha chiesto, in via principale, la sospensione del procedimento con messa alla prova, con fissazione di apposita udienza camerale per sentire le parti e per la valutazione dell'eventuale progetto di intervento da concordare con i servizi minorili dell'amministrazione della giustizia; in via subordinata, l'interessato ha chiesto che il giudice per le indagini preliminari - giudice competente in relazione alla fase nell'ambito della quale e' stata formulata la richiesta - sollevi eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 per contrasto con gli articoli 3, 24, comma 2, 27, comma 3, 31, comma 2, e 117 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che il giudice possa disporre la messa alla prova nella fase delle indagini preliminari. La sospensione del procedimento con messa alla prova nel corso delle indagini preliminari e' prevista, per gli indagati/imputati maggiorenni, dall'art. 464-ter del codice di procedura penale, nell'ambito del Titolo V-bis, inserito dalla legge n. 67 del 28 aprile 2014, per finalita' essenzialmente deflattive. Il procedimento, in sintesi, prevede la presentazione della richiesta da parte dell'indagato (personalmente o per mezzo di procuratore speciale) direttamente al giudice, il quale dispone la trasmissione degli atti al pubblico ministero affinche' esprima il consenso o il dissenso nel termine di cinque giorni; se il pubblico ministero esprime, con atto scritto e sinteticamente motivato, il consenso alla richiesta, e' tenuto anche alla formulazione dell'imputazione (a tal riguardo la giurisprudenza di legittimita' ha precisato che l'imputazione formulata dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 464-ter, comma terzo, del codice di procedura penale, ha la stessa natura di esercizio dell'azione penale di quella prevista dall'art. 405 del codice di procedura penale: cfr. Cassazione pen., sezione IV, sentenza n. 29093 dell'11 aprile 2018 - 22 giugno 2018, rv. 273721 - 01); sulla base del consenso prestato dal pubblico ministero con contestuale formulazione dell'imputazione, il giudice, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell'art. 129 del codice di procedura penale, fissa, ove non possa decidere nel corso della stessa udienza, apposita udienza in camera di consiglio ai sensi dell'art. 127 del codice di procedura penale facendone dare avviso alle parti e alla persona offesa; in seguito a tale udienza, il giudice dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova quando, tenuto conto dei parametri di cui all'art. 133 del codice penale, reputa idoneo il programma di trattamento presentato (ferma restando la possibilita' di integrazioni o modificazioni da apportare, pero', con il consenso dell'interessato), e ritiene che l'imputato si asterra' dal commettere ulteriori reati; nell'ipotesi in cui, invece, il pubblico ministero neghi il consenso alla richiesta, e' previsto che debba enunciare le ragioni del dissenso; in tal caso, ove il giudice rigetti la richiesta, l'imputato puo' rinnovarla prima dell'apertura del dibattimento di primo grado. Il suddetto modello procedimentale, introdotto nel codice di procedura penale, come sopra detto, con la legge n. 67 del 2014, prevedendo la possibilita' della sospensione con messa alla prova nel corso delle indagini preliminari, risponde ad una evidente finalita' di economia processuale, consentendo di definire anticipatamente i procedimenti nei quali vi sia, gia' nella suddetta fase, un concreto interesse dell'indagato ad accedere alla messa alla prova, entro i limiti previsti dall'art. 168-bis del codice penale. Per quanto concerne, invece, il processo penale a carico di imputati minorenni, il sistema che risulta dagli articoli 28 e 29 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 non consente che la decisione sulla sospensione per messa alla prova possa essere assunta nella fase delle indagini preliminari. In questo senso, prima dell'introduzione, nel codice di procedura penale, dell'art. 464-ter, era orientata la dottrina assolutamente prevalente. Gia' la lettera della norma dell'art. 28 fa riferimento al «processo» (comma 1) e all'«imputato» (comma 3), indicando, in tal modo, che il provvedimento di sospensione con messa alla prova puo' essere adottato solo dopo l'esercizio dell'azione penale e, quindi, in nessun caso ad opera del giudice per le indagini preliminari. Si aggiunga che l'art. 29 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988 prevede che il giudice, ove ritenga, decorso il periodo di sospensione del processo, negativo l'esito della prova, deve provvedere «a norma degli articoli 32 e 33» del medesimo decreto del Presidente della Repubblica, norme che disciplinano, rispettivamente, l'udienza preliminare e l'udienza dibattimentale, che costituiscono, pertanto, la sede «naturale» di applicazione dell'istituto. Se ne deve desumere che la sospensione non puo' essere disposta prima dell'udienza preliminare. Aderendo a questa scelta del legislatore, si e' sostenuto in dottrina che «e' naturale che l'adozione della misura della messa alla prova venga collocata in un momento in cui le indagini si presumono complete, il contraddittorio ha spazi istituzionali di espressione, il giudice ha poteri di integrazione probatoria ed ha una struttura collegiale (propria del giudice specializzato anche nella fase dell'udienza preliminare, n.d.r.) che offre competenze specialistiche essenziali per il giudizio sulla persona che la messa in prova presuppone». Peraltro, anche dopo l'introduzione dell'art. 464-ter del codice di procedura penale, il modello procedimentale non cambia per gli indagati/imputati minorenni. Ai sensi dell'art. 1, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988, «nel procedimento a carico di minorenni si osservano le disposizioni del presente decreto e, per quanto da esse non previsto, quelle del codice di procedura penale», le quali hanno, dunque, una portata e un'applicazione residuali. Con riferimento in particolare alla messa alla prova, l'innesto nel processo penale minorile delle norme del codice di procedura penale che disciplinano la sospensione del procedimento con messa alla prova nel corso delle indagini preliminari e' impedito, allo stato, proprio dalle sopra menzionate disposizioni degli articoli 28 e 29 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988, le quali ammettono - e dunque prevedono - l'applicazione della messa alla prova solo nelle fasi processuali dell'udienza preliminare e dell'udienza dibattimentale, chiudendo ogni spazio possibile per una eventuale applicazione dell'istituto nella fase antecedente all'esercizio dell'azione penale. 2. Occorre tuttavia interrogarsi, rispondendo alle sollecitazioni del difensore dell'interessato nel procedimento de quo, se sia ragionevole e conforme al principio di uguaglianza posto dall'art. 3 della Costituzione escludere del tutto la possibilita' di sospensione del procedimento con messa alla prova nella fase delle indagini preliminari, per gli autori di reato minorenni, almeno nei casi in cui la messa alla prova sia richiesta dallo stesso indagato, dato che siffatta possibilita' e' ora prevista per i maggiorenni. E' indubbio che l'istituto previsto dall'art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988 presenta significative differenze, sia sul piano strutturale che funzionale, rispetto al corrispondente istituto previsto per gli adulti. Tali differenze sono state messe bene in luce nell'ordinanza della Prima sezione penale della Corte di cassazione del 5 dicembre 2017 - 12 aprile 2018 che ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 29 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 e 657-bis del codice di procedura penale nella parte in cui non prevedono che, in caso di esito negativo della messa alla prova di soggetto minorenne, il giudice deve determinare la pena da eseguire tenuto conto della consistenza e della durata delle limitazioni patite e del comportamento tenuto dal minorenne durante il periodo di sottoposizione alla messa alla prova. Ebbene, tali differenze consistono, sul piano strutturale, nel fatto che la messa alla prova per gli imputati minorenni: 1) non ha limitazioni oggettive e soggettive; 2) comporta lo svolgimento di attivita' di osservazione, trattamento e sostegno e l'assoggettamento a disposizioni che prescindono da richieste o dal consenso del minore (cfr., incidentalmente, Corte costituzionale n. 125/1995; sotto quest'ultimo profilo, peraltro, la dottrina prevalente ritiene presupposto implicito della messa alla prova il consenso del minore, inteso come chiara manifestazione della volonta' di sottoporsi al programma elaborato, o, almeno, l'esplicita disponibilita' allo svolgimento delle attivita' previste dal programma di intervento); 3) ha ad oggetto, sul piano contenutistico, prescrizioni variamente modulabili e almeno tendenzialmente connotate da una minore afflittivita' (salva, tuttavia, l'ipotesi della messa alla prova con inserimento in comunita'); 4) ha una durata diversa; 5) il suo esito e' strettamente correlato con la valutazione della personalita' dell'imputato e dei relativi momenti evolutivi. Sotto il profilo funzionale, rileva ancora la Corte che «mentre la presenza, nel caso della messa alla prova per gli adulti, del lavoro di pubblica utilita' connota l'istituto in termini prettamente afflittivi, questa caratterizzazione, nel caso dell'istituto minorile, assume un rilievo eventuale e comunque meno pregnante, a favore delle istanze educative che sono proprie del processo minorile». Sotto quest'ultimo aspetto, l'istituto della messa alla prova per gli imputati minorenni e la relativa sospensione del processo per controllarne l'esito «non possono prescindere dalla redazione di uno specifico progetto che deve essere idoneo a raggiungere lo scopo della socializzazione del minore e prevedere, in particolare, gli impegni precisi che l'imputato assume poiche' il patto sottostante al probation implica, di fronte alla rinuncia dello Stato a proseguire il processo, l'impegno positivo dell'incolpato di cambiamento e recupero» (in questo senso v. Cassazione, sezione 2, sentenza n. 46366 dell'8 novembre 2012 - 30 novembre 2012, rv. 255067). Appaiono quindi piu' sfumate, sotto questo profilo, le differenze con l'omologo istituto introdotto per i maggiorenni in quanto anche per questi ultimi e' previsto un «programma di trattamento» che per «sua natura e' caratterizzato dalla finalita' specialpreventiva e risocializzante che deve perseguire e deve percio' essere ampiamente modulabile, tenendo conto della personalita' dell'imputato e dei reati oggetto dell'imputazione» (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 91 del 2018). I suddetti elementi differenziali, rilevanti sul piano strutturale e funzionale (con le precisazioni sopra indicate), non sembrano tuttavia di portata e significato tali da giustificare l'esclusione della possibilita' per il minore di accedere alla sospensione del processo con messa alla prova gia' nella fase delle indagini preliminari, come previsto dal codice di procedura penale per i soggetti maggiorenni all'epoca del fatto-reato. Si considerino, infatti, quelle che sono le finalita' proprie dell'istituto nel processo penale minorile: come sottolineato dalla dottrina, la messa alla prova costituisce strumento di attuazione di alcuni «obiettivi tipici dei sistemi di giustizia minorile», quali la rapida uscita dal circuito penale, la tempestivita' dell'intervento istituzionale, l'esigenza di fornire al minore risposte individualizzate onde favorire il suo processo di recupero e cambiamento. L'istituto permette, inoltre, di «evitare gli effetti dannosamente etichettanti del processo penale», impedendo che il minore debba sopportare per l'intera vita «le conseguenze di episodi e manifestazioni di devianza giovanile, non sicuramente, ne' irreversibilmente sintomatiche di antisocialita'». Sul piano della normativa sovranazionale, si e' osservato che l'art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988 «si collega idealmente all'orientamento deistituzionalizzante delle regole di Pechino» (regole minime per l'amministrazione della giustizia minorile, adottate dalle Nazioni Unite il 29 novembre 1985): il paragrafo 18.1 prevede che «l'autorita' competente puo' concludere il giudizio mediante forme molto diversificate, consentendo una grande flessibilita' allo scopo di evitare per quanto possibile il collocamento in istituzione», e, in particolare, tra le altre misure, puo' applicare quelle di probation. Inoltre, tra i principi guida per il giudizio e la sentenza, il paragrafo 17 prevede che «la tutela del minore deve essere il criterio determinante nella valutazione del suo caso» (comma 1, lettera d)), e che «l'autorita' competente ha il potere di sospendere il procedimento in ogni momento» (comma 4). Alle c.d. regole di Pechino e' ispirato il decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988, il quale delinea un modello di giustizia minorile «sorretto dalla prevalente finalita' di recupero del minorenne e di tutela della sua personalita', nonche' da obiettivi pedagogico-rieducativi piuttosto che retributivo-punitivi, richiamati dal preambolo dell'art. 3 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, e dagli articoli 1 e 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988» (in questo senso Corte costituzionale, sentenza n. 272 del 2000). L'art. 1, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988 stabilisce che le disposizioni che devono essere osservate nel processo minorile, ivi comprese quelle del codice di procedura penale per quanto non previsto dallo stesso decreto del Presidente della Repubblica, «sono applicate in modo adeguato alla personalita' e alle esigenze educative del minorenne». L'art. 9, comma 1, prevede che il pubblico ministero ed il giudice devono acquisire «elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne al fine di accertarne l'imputabilita' e il grado di responsabilita', valutare la rilevanza sociale del fatto nonche' disporre le adeguate misure penali e adottare gli eventuali provvedimenti civili», e possono a tal fine assumere informazioni da persone che abbiano avuto rapporti con il minorenne e sentire il parere di esperti, anche senza alcuna formalita'. Il fondamento costituzionale dell'istituto della sospensione del processo con messa alla prova - che consente, anche in virtu' del carattere individualizzato e individualizzatile degli impegni che danno sostanza al progetto di intervento elaborato dai servizi, di perseguire i suddetti obiettivi «pedagogico-rieducativi» - e' stato quindi rinvenuto nel combinato disposto degli articoli 27, comma 3 [principio del finalismo rieducativo delle pene] e 31, comma 2 [principio della protezione dell'infanzia e della gioventu' tramite gli istituti necessari a tale scopo, che devono essere favoriti dallo Stato] della Costituzione. Tali norme costituzionali, come la dottrina ha efficacemente detto, affidano al legislatore il compito di individuare, per gli imputati minorenni, strumenti sanzionatori che ne favoriscano il recupero, tenendo conto della specificita' della loro condizione psicofisica e delle risorse personali, familiari e socio-ambientali dell'interessato. Tutto cio' premesso, appare, almeno ad una valutazione sommaria, quale quella che compete al giudice a quo, non manifestamente infondato il dubbio sulla legittimita' costituzionale della disposizione dell'art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988 nella parte in cui non prevede la possibilita' per il giudice di disporre la messa alla prova nella fase delle indagini preliminari, per contrasto con i parametri costituzionali di cui agli articoli 3, 27, comma 3, e 31, comma 2, della Costituzione, sopra richiamati. Sotto il primo profilo, infatti, non appare ragionevole la scelta operata dal legislatore, che ha introdotto siffatta possibilita' per gli adulti, mantenendo la preclusione nel processo penale a carico dei minorenni. Un'eventuale messa alla prova nella fase delle indagini preliminari, che potra' essere sollecitata dallo stesso interessato mediante specifica richiesta, come appunto nel caso in esame, consente di abbreviare i tempi del procedimento, collocando l'esperimento della prova in una fase senz'altro piu' prossima alla commissione del fatto-reato, attraverso misure di probation volte a favorire il recupero del minore nel periodo in cui ve ne e' piu' bisogno. Se il reato costituisce manifestazione di una situazione di disagio (psicologico, socio-familiare o ambientale) del minore, espressa attraverso la rottura delle regole del «patto sociale», e l'interessato si assume la responsabilita' del fatto, non appare ragionevole, per intervenire con misure appropriate e «mettere alla prova» il minore che accetti di assumere impegni volti a favorire e accompagnare il proprio processo di cambiamento e che abbiano eventualmente anche una valenza riparativa delle conseguenze del reato, attendere la conclusione delle indagini preliminari, la notifica dell'avviso ex art. 415-bis del codice di procedura penale, l'eventuale interrogatorio dell'indagato, la richiesta di rinvio a giudizio, la fissazione dell'udienza preliminare, la celebrazione dell'udienza. Tutto cio' appare, inoltre, contraddittorio rispetto a quelli che sono gli obiettivi tipici del sistema di giustizia minorile, come sopra delineati, e cioe' la rapida uscita del minore dal circuito penale, la tempestivita' dell'intervento istituzionale e l'esigenza di fornire allo stesso, in tempi ragionevolmente brevi, risposte individualizzate. Da cio' deriva il probabile contrasto dell'attuale sistema non solo, per le ragioni sopra esposte, con i principi costituzionali di ragionevolezza e di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, poiche' si consente agli indagati/imputati maggiorenni di usufruire di una possibilita' preclusa per i minorenni, senza che tale differenza trovi una ragionevole giustificazione nelle sopra accennate differenze degli omologhi istituti della messa alla prova nel processo penale per adulti e nel processo penale minorile, ma anche con il principio costituzionale che impone allo Stato di favorire gli istituti necessari ai fini della protezione della gioventu' (art. 31, comma 2 della Costituzione), non potendosi negare tale valenza «protettiva» - in termini di promozione del recupero e del cambiamento personale e sociale del minore coinvolto in un procedimento penale - all'istituto della messa alla prova, e con il principio costituzionale del «finalismo rieducativo» dell'intervento sanzionatorio penale (art. 27, comma 3 della Costituzione). Sotto quest'ultimo profilo, preme inoltre rilevare che lo svolgimento della «prova» in un periodo temporale piu' prossimo alla commissione del reato (quando, ragionevolmente, vi e' piu' bisogno di misure adeguate che favoriscano il processo di recupero) soddisfa l'esigenza della finalita' rieducativa dell'intervento penale, mentre quanto piu' ci si allontana dal tempo in cui si colloca il fatto-reato tanto meno il minore coinvolto nella relativa vicenda giudiziaria potra' avvertire l'effetto rieducativo e risocializzante degli impegni che caratterizzano il progetto di intervento, il quale, rispettando la consueta sequenza procedimentale, nell'impossibilita' di anticipare la messa alla prova alla fase delle indagini preliminari, puo' essere elaborato e trovare attuazione anche a distanza di un lungo periodo di tempo dalla commissione del reato, quando le condizioni dell'interessato possono essere significativamente mutate. Vero e' che, in tal caso, possono essere applicati altri istituti, come il perdono giudiziale, ma, in tal modo, si priva il minore della possibilita' di fruire degli effetti risocializzanti della messa alla prova e di una sentenza ampiamente «liberatoria», con rapida uscita dal circuito penale, proprio nel periodo, piu' vicino alla manifestazione della «devianza» del soggetto, in cui vi sarebbe maggiore bisogno di un intervento che corrisponda alle sue esigenze educative. Come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 91 del 2018 con riferimento alla messa alla prova per gli adulti, «il trattamento programmato non e' una sanzione penale, eseguibile coattivamente, ma da' luogo a un'attivita' rimessa alla spontanea osservanza delle prescrizioni da parte dell'imputato, il quale liberamente puo' farla cessare con l'unica conseguenza che il processo sospeso riprende il suo corso». Non e', tuttavia, da ritenere inconferente il richiamo al finalismo rieducativo delle «pene» di cui all'art. 27, comma 3 della Costituzione, poiche' anche nella messa alla prova per i minorenni, come in quella per gli adulti, il programma di intervento, pur se liberamente accettato dall'interessato, puo' presentare in concreto, come riconosciuto dalla Corte di cassazione (cfr. la gia' citata ordinanza della prima sezione penale del 5 dicembre 2017 - 12 aprile 2018), significativi profili di afflittivita' (come nelle situazioni in cui sono previsti obblighi di fare o l'obbligo di permanenza all'interno di una struttura residenziale per seguire un programma di recupero), anche se sempre finalizzati ad un obiettivo di natura prettamente educativa. Il trattamento che e' alla base della messa alla prova e' quindi per sua natura «caratterizzato dalla finalita' specialpreventiva e risocializzante che deve perseguire e deve percio' essere ampiamente modulabile tenendo conto della personalita' dell'imputato e dei reati oggetto dell'imputazione» (Corte costituzionale, sentenza n. 91 del 2018), considerazioni che ben si adattano anche alla messa alla prova dei minorenni. Per le ragioni sopra esposte, si ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988, con riferimento agli articoli 3, 31, comma 2, e 27, comma 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede la possibilita' di disporre la messa alla prova nella fase delle indagini preliminari. In caso di ritenuta fondatezza della questione e di conseguente declaratoria di illegittimita' costituzionale con sentenza c.d. «additiva», il giudice per le indagini preliminari, in presenza di richiesta dell'indagato di sospensione del procedimento con messa alla prova - richiesta che, considerata la fase in cui ci si trova, costituira' l'ordinario atto di impulso - dovra' sentire le parti (come gia' previsto dall'art. 28) in apposita udienza camerale. Se ritiene di poter accogliere la richiesta, dopo aver acquisito informazioni sulla personalita' del minore ai sensi dell'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988, il giudice potra' chiedere al pubblico ministero di formulare l'imputazione, analogamente a quanto previsto dall'art. 464-ter del codice di procedura penale, e ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia di elaborare il progetto di intervento ai sensi dell'art. 27 del decreto legislativo n. 272 del 1989. Nessuna lacuna verra' quindi a crearsi, ad avviso di questo giudice, nell'ambito dell'ordinamento nell'ipotesi in cui la Corte ritenga fondata la questione prospettata. Neppure l'eventuale perdita dell'apporto delle competenze specialistiche dei giudici onorari che compongono il collegio in sede di udienza preliminare e di udienza dibattimentale puo' costituire motivo per superare i dubbi di legittimita' costituzionale della norma in esame, in quanto, al fine di valutare la personalita' del minore e le sue risorse personali, sociali e ambientali, il giudice puo' avvalersi dell'aiuto dei servizi e, come previsto dal richiamato art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988, puo' assumere informazioni da persone che abbiano avuto rapporti con il minore e puo' sentire, anche senza formalita', il parere di esperti (tra i quali possono certamente annoverarsi anche gli stessi componenti onorari del Tribunale per i minorenni). 3. La questione prospettata appare infine rilevante nel presente procedimento. Q.G. ha ricevuto la notifica dell'avviso della conclusione delle indagini preliminari di cui all'art. 415-bis del codice di procedura penale in relazione ai reati di violenza privata e di lesione personale, commessa al fine di realizzare la suddetta violenza privata, reati, procedibili d'ufficio, consumati il 23 dicembre 2016. In base agli atti messi a disposizione dal pubblico ministero, non emergono elementi che possano giustificare la pronuncia di una sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 del codice di procedura penale, atteso che l'ipotesi accusatoria appare suffragata dalla denuncia-querela della persona offesa, dal referto del pronto soccorso del 23 dicembre 2016, che documenta le lesioni subite dalla denunciante, dall'annotazione della Squadra volante della Questura di Firenze del 23 dicembre 2016 e dal verbale di sommarie informazioni rese da L.F., che ha assistito ai fatti. Il Q., sentito in udienza camerale il 25 febbraio 2019, non ha contestato i fatti, ed ha dimostrato volonta' riparativa e di recupero tramite richiesta di messa alla prova finalizzata allo svolgimento di attivita' volte alla sua risocializzazione. Anche dalla relazione dell'U.S.S.M. di Firenze del 7 febbraio 2019 emerge che l'interessato parla con «serieta' e schiettezza» del fatto-reato, commesso ai danni di una ragazza alla quale era sentimentalmente legato. Allo stato, tuttavia, la richiesta di messa alla prova non puo' essere accolta, non essendo consentita dall'art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988, per le ragioni sopra esposte, la sospensione del procedimento con messa alla prova nella fase delle indagini preliminari per i soggetti minorenni, e non essendo possibile, stanti le specifiche previsioni degli articoli 28 e 29 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988, l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 464-ter del codice di procedura penale. Solo, quindi, un'eventuale dichiarazione di incostituzionalita' della norma dell'art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988 renderebbe possibile l'accoglimento della richiesta dell'interessato, precluso dall'attuale disciplina, non «adattabile» neppure tramite operazioni ermeneutiche costituzionalmente orientate, considerata la chiara indicazione legislativa che colloca la sospensione del «processo» per messa alla prova per gli imputati minorenni nelle sole fasi dell'udienza preliminare e dell'udienza dibattimentale. Non resta quindi che disporre l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con sospensione del procedimento in corso in attesa della decisione della Corte.