Ricorso  ex  art.  127  della  Costituzione  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri (c.f. 80188230587), rappresentato e difeso per
legge dall'Avvocatura generale dello Stato (c.f. 80124030587), presso
i  cui  uffici  domicilia  in  Roma,  via  dei  Portoghesi   n.   12,
manifestando la volonta' di ricevere le  comunicazioni  all'indirizzo
PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it; 
    Nei confronti di Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia a statuto
speciale, in persona del Presidente pro tempore, per la dichiarazione
di illegittimita' costituzionale degli articoli 14, 45, 74, 88,  107,
108, 109 e 112 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia  n.  9
dell'8 luglio 2019 pubblicata nel  BU  Friuli-Venezia  Giulia  il  10
luglio 2019, n. 20 recante «Disposizioni multisettoriali per esigenze
urgenti del territorio» giusta delibera del Consiglio dei ministri in
data 5 settembre 2019. 
    Con la legge regionale n.  9  dell'8  luglio  2019,  indicata  in
epigrafe,  che  consta  di  116   articoli,   recante   «Disposizioni
multisettoriali per esigenze urgenti  del  territorio  regionale»  la
Regione Friuli-Venezia Giulia a statuto speciale ha dettato  numerose
disposizioni agli articoli 14, 45, 74,  88,  107,  108,  109  e  112,
indicati in epigrafe, eccedenti dalla  competenza  della  regione  in
materia di  ambiente,  di  immigrazione,  sanita'  e  di  trattamento
economico e inquadramento del personale regionale. 
    E' avviso del Governo che, con le norme denunciate  in  epigrafe,
la Regione Friuli-Venezia Giulia a statuto  speciale  abbia  ecceduto
dalla   propria   competenza   in    violazione    della    normativa
costituzionale, come si confida di dimostrare nei seguenti 
 
                               Motivi 
 
1. L'art 14, della legge regionale n.  9  dell'8  luglio  2019  viola
l'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione  in  relazione  al
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  35/199  (rectius   8
settembre 1997, n.  357)  e  delle  direttive  comunitarie  con  esso
recepite. 
    L'art. 14 della legge regionale n. 9/2019,  citata,  rubricato  -
Modifiche all'art. 5 della legge regionale n. 9/2005 - recante «Norme
regionali per la tutela dei prati stabili naturali» aggiunge all'art.
5, comma 7, della legge citata i commi 7-bis e 7-ter che dispongono: 
        «7-bis.  Entro   trenta   giorni   decorrenti   dal   termine
dell'attivita'  autorizzata  ai  sensi  commi  1.1-bis  e  1.1-quater
dell'art. 12 della legge regionale 15 ottobre 2009, n. 17 (Disciplina
delle concessioni e conferimento di funzioni in  materia  di  demanio
idrico  regionale),  qualora  il  materiale  del  fondo  stradale  si
depositi accidentalmente sul prato stabile nel corso  della  suddetta
attivita', il soggetto organizzatore  e'  tenuto  alla  riduzione  in
pristino dello stato dei luoghi qualora prescritto dal  soggetto  che
ha rilasciato il titolo autorizzatorio». 
        7-ter. Fino alla scadenza del termine indicato al comma 7-bis
non trova applicazione il divieto di cui all'art. 4, comma 1,». 
    L'art. 5, comma 7-bis della legge  regionale  n.  9/2005  citata,
come novellato, introduce  un  termine  di  «trenta  giorni»  per  la
riduzione in pristino  dello  stato  dei  luoghi  dopo  le  attivita'
autorizzate ai sensi dell'art. 12 della  legge  regionale  n.  1/2009
rubricato - Manifestazioni motoristiche, ciclistiche, motonautiche  e
posa   di   appostamenti   -   attivita'    costituenti,    pertanto,
manifestazioni motoristiche, ciclistiche e nautiche con o senza mezzi
a motore, anche a carattere amatoriale, e per  l'utilizzo  temporaneo
di beni del demanio idrico regionale funzionali all'organizzazione  e
allo svolgimento delle predette manifestazioni. 
    L'art. 5, comma 7-ter prevede poi per il  periodo  trenta  giorni
concesso per la restitutio in pristinum l'inapplicabilita'  dell'art.
4, comma 1 della medesima legge n.  9/2005,  rubricato  -  Misure  di
conservazione - consentendo, in tale lasso  di  tempo  attivita'  non
ammesse. 
    Le disposizioni introdotte con l'art. 14 impugnato, pertanto, nel
ridurre i livelli di tutela determinano impatti  negativi  sui  prati
stabili. 
    I prati stabili,  formazioni  erbacee  costituite  da  un  numero
elevato di specie erbaceee e habitat per moltissime  specie  animali,
rientrano  negli  habitat  individuati  ai  sensi   della   direttiva
92/43/CEE, relativa  alla  conservazione  degli  habitat  naturali  e
seminaturali  e  della  flora  e  della  fauna  selvatiche,  e  della
direttiva 2009/147/CE, concernente  la  conservazione  degli  uccelli
selvatici recepite con legge n. 157/1992 e dal decreto del Presidente
della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357. 
    Per  tali  habitat  protetti  dalle  citate  direttive  e   dalla
normativa nazionale in materia,  l'impatto  negativo  prodotto  dalle
attivita' di cui all'art. 12  della  legge  regionale  n.  17/  2009,
citata, non consente deroghe all'obbligo  di  riduzione  in  pristino
dello stato dei luoghi e la sospensione delle misure di conservazione
dei medesimi prati stabili di cui all'art. 4, comma  1,  della  legge
regionale 2005, n. 9 che elenca le attivita' negli stessi vietate. 
    I commi 7-bis e 7-ter dell'art. 5 della legge regionale 29 aprile
2005, n. 9, citata,  introdotti  dall'art.  14  impugnato,  pertanto,
introducono previsioni che si pongono in contrasto  con  i  parametri
interposti nazionali ed eurounitari citati riconducibili alla materia
tutela dell'ambiente e dell'ecosistema di competenza esclusiva  dello
Stato ai sensi  dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),  della
Costituzione (ex multis sentenze n. 34 del 2012, n. 244 e n.  33  del
2011, n. 331 e n. 278 del 2010 e n. 91 e n. 10 del 2009). Limiti  che
si impongono anche alle regioni a statuto speciale poiche' «La tutela
dell'ambiente rientra nelle competenze  legislative  esclusive  dello
Stato e che pertanto le disposizioni legislative statali adottate  in
tale ambito fungono da limite alla disciplina delle regioni  anche  a
statuto speciale, dettano nei settori di loro competenza  essendo  ad
essa consentito eventualmente di incrementare  i  livelli  di  tutela
ambientale senza compromettere il punto contrapposto di equilibrio di
esigenze opposte» (sentenza n. 300 del 2013). 
    L'art.  14  impugnato,  che  novellando  l'art.  5  della   legge
regionale n. 9/2005  ha  ridotto  il  livello  di  tutela  ambientale
previsto dalla normativa  statale  ed  eurounitaria,  citata,  viola,
pertanto, l'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione. 
2. L'art. 45 della legge regionale n.  9  dell'8  luglio  2019  viola
l'art. 117, comma 2, lettere a) e b) della Costituzione in  relazione
all'art. 3, comma 5 e 40 del decreto legislativo n. 286 del 25 luglio
1998. 
    L'art. 45 della legge regionale n. 9 del 2019  abroga  l'art.  17
della legge regionale n. 31/2015 recante  «Norme  per  l'integrazione
sociale delle persone straniere immigrate». 
    L'abrogazione dell'art. 17  della  legge  regionale  n.  31/2015,
citata,  gia'  adottato  in  attuazione  dell'art.  40  del   decreto
legislativo n. 286/1998 rubricato  «Centri  di  accoglienza.  Accesso
all'abitazione» comporta che le modalita' di accesso, accoglienza  ed
inserimento abitativo delle persone  straniere  non  trova  piu'  una
disciplina normativa regionale. 
    L'abrogazione, disposta con la norma impugnata, lascia,  infatti,
un  vuoto  normativo  nella  legislazione   regionale   quanto   alla
disciplina relativa all'accesso di cittadini stranieri ed alla idonea
soluzione abitativa non essendo previsto  nell'ordinamento  regionale
uno strumento alternativo rispetto al «Programma annuale» individuato
dall'abrogato art. 17, lettere a), b), c), per promuovere le forme di
intervento a favore delle persone straniere. 
    L'art.  45  impugnato  contrasta,  pertanto,   con   il   decreto
legislativo n. 286 del 27 luglio  1998  recante  «Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione giuridica dello straniero» ai sensi  del  quale  «le
regioni  adottano  i  provvedimenti  concorrenti   al   perseguimento
dell'obiettivo di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono  il
pieno riconoscimento dei diritti e degli interessi riconosciuti  agli
stranieri nel territorio dello  stato,  con  particolare  riguardo  a
quelle inerenti all'alloggio, alla lingua, all'integrazione  sociale,
nel rispetto dei diritti fondamentali della persona». (art  3,  comma
5). 
    Il decreto legislativo n. 286/1998 citato, detta disposizioni che
costituiscono  principi  fondamentali  dell'ordinamento  perche'  «4.
Nelle  materie  di   competenza   legislativa   delle   regioni,   le
disposizioni  del  presente  testo   unico   costituiscono   principi
fondamentali ai  sensi  dell'art.  117  della  Costituzione.  Per  le
materie di competenza  delle  regioni  a  statuto  speciale  e  delle
province autonome, esse hanno il  valore  di  norme  fondamentali  di
riforma  economico-sociale  della  Repubblica,  attribuisce   compiti
significativi alle regioni  e  agli  enti  locali  nell'ambito  delle
politiche e degli interventi sociali da  destinare  agli  immigrati».
(art. 1, comma 4 decreto legislativo n. 286/1998). 
    Le  disposizioni  di  cui  al  decreto  legislativo  citato  sono
espressione di competenza esclusiva dello Stato sicche' l'abrogazione
della norma regionale che disciplinava l'accesso  e  l'accoglienza  a
fini abitativi nell'ambito della regione si pone in contrasto con gli
articoli 3, comma 5, e 40 del medesimo decreto. 
    L'art. 45 impugnato, viola, pertanto, l'art. 117, secondo  comma,
lettera a) e b), della Costituzione, che  riservano  alla  competenza
statale la materia di «condizione giuridica dei  cittadini  di  Stati
non appartenenti all'Unione europea» e di «immigrazione». 
3. L'art. 74, comma 3, della legge regionale  n.  9  del  2019  viola
l'art. 117, comma  2,  lettera  m)  e  l'art.  117,  comma  3,  della
Costituzione e l'art. 5 n. 16 dello statuto di autonomia in relazione
alle disposizioni di cui al decreto ministeriale n. 70/2015  adottato
a norma dell'art. 1, comma 169, legge 3 dicembre 2004, n. 211. 
    L'art. 74, comma 3, della legge regionale n. 9 del 2019  modifica
la  legge  regionale  n.  17/2014  recante   «Riordino   dell'assetto
istituzionale e organizzativo  del  Servizio  sanitario  regionale  e
norme  in  materia  di  programmazione  sanitaria  e  sociosanitaria»
integrando  l'art.  34  rubricato  -  riconversione  delle  strutture
ospedaliere  -  prevedendo  al  comma  3,  che  i  «punti  di   primo
intervento» esistenti presso gli ospedali della regione  riconvertiti
per  lo   svolgimento   di   attivita'   distrettuali   sanitarie   e
sociosanitarie, siano «dotati di spazi di osservazione a disposizione
della funzione di emergenza - urgenza». 
    L'art.  34  della  legge  regionale  n.  17/2014,  citata,   come
novellato dispone testualmente: 
        «3. Presso le strutture di cui al  comma  1  sono  mantenuti,
sotto la responsabilita' organizzativa distrettuale, come specificato
all'art.  20,  comma  6,  tutti  i  servizi  ambulatoriali  presenti,
comprese la dialisi  e  la  radiologia  tradizionale;  inoltre  viene
assicurata  la  presenza  di  un  punto  di  primo  intervento  sulle
dodici/ventiquattro  ore  dotato   di   spazi   di   osservazione   a
disposizione della funzione di emergenza-urgenza e la  postazione  di
un mezzo di soccorso sulle ventiquattro ore (40).». 
    La  Regione  Friuli-Venezia   Giulia   non   ha   presentato   un
provvedimento di riordino della rete ospedaliera ai sensi del decreto
ministeriale 2 aprile 2015, n. 70,  adottato  a  norma  dell'art.  1,
comma 169, della  legge  n.  311/2004  recante  «Regolamento  recante
definizione degli standard qualitativi,  strutturali,  tecnologici  e
quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera». 
    Con l'art. 74 impugnato, la regione novellando  l'art.  34  della
legge regionale n. 17/2014 ha emanato una norma che contrasta con  il
decreto ministeriale n. 70/2015, citato, prevedendo quest'ultimo che,
a seguito della riconversione dell'attivita' di un ospedale per acuti
in  un  ospedale  per  la  post-acuzie  oppure   in   una   struttura
territoriale,  «nei  punti  di  primo  intervento  non  e'   prevista
l'osservazione breve del paziente». 
    Il decreto ministeriale n. 70/2015, citato, dispone: «9.1.5 punti
di  primo   intervento   (PPI)   esclusivamente   a   seguito   della
riconversione dell'attivita' di un ospedale per acuti in un  ospedale
per la post-acuzie oppure in  una  struttura  territoriale,  potrebbe
rendersi necessario prevedere, per un periodo di tempo  limitato,  il
mantenimento  nella  localita'  interessata  di  un  punto  di  primo
intervento, operativo nelle 12 ore diurne e  presidiato  dal  sistema
118  nelle  ore  notturne  (...)  la  funzione  dei  punti  di  primo
intervento e' la trasformazione in postazione medicalizzata  del  118
entro  un  arco  temporale  predefinito,  implementando   l'attivita'
territoriale  al  fine  di  trasferire  al  sistema   dell'assistenza
primaria  le  patologie  a  bassa  gravita'  e  che  non   richiedono
trattamento  ospedaliero   secondo   protocolli   di   appropriatezza
condivisi tra 118, DEA, hub  o  spoke  di  riferimento  e  distretto,
mantenendo rigorosamente separata la funzione di  urgenza  da  quella
dell'assistenza primaria.  Nei  punti  di  primo  intervento  non  e'
prevista l'osservazione breve del paziente». 
    La modifica introdotta dalla norma impugnata contrasta, pertanto,
con la normativa costituzionale sotto un duplice profilo. 
    Sotto un primo profilo l'art. 34, comma 3,  novellato,  introduce
nella regione un sistema di assistenza difforme  da  quello  previsto
dalla normativa statale. 
    E' principio affermato che rientrano nella competenza in  materia
di «livelli essenziali di prestazioni», di cui all'art. 117,  secondo
comma, lettera m), della Costituzione, anche le norme che  contengono
un riferimento trasparente agli  standard  qualitativi,  strutturali,
tecnologici  e  quantitativi  relativi   all'assistenza   ospedaliera
indicati nel decreto ministeriale n. 70/2015  (sentenza  n.  231  del
2017) «la determinazione  di  tali  standard  deve,  infatti,  essere
garantita, con carattere di generalita', a tutti gli aventi diritto»,
e la relativa competenza, «avendo carattere trasversale, e' idonea ad
investire tutte le materie rispetto alle quali il legislatore statale
deve  poter  porre  le  norme  necessarie  per  assicurare  a  tutti,
sull'intero  territorio  nazionale,  il  godimento   di   determinate
prestazioni, senza che la legislazione regionale  possa  limitarle  o
condizionarle (Sentenze n. 125/2015, n. 11/2014, n. 207, n. 203 e  n.
164 del 2012)» (cfr. sentenza n. 192 del 2017). 
    Sotto altro profilo l'art. 34, comma 3, novellato,  incide  anche
sull'organizzazione sanitaria  e,  pertanto,  sulla  materia  «tutela
della salute» (sentenza n. 54 del 2015),  interferendo  con  l'ambito
funzionale e operativo, definito dallo Stato proprio  allo  scopo  di
garantire la qualita' e l'adeguatezza  delle  specifiche  prestazioni
(sentenza n. 207 del 2010). 
    La norma impugnata, pertanto, eccede dalla competenza legislativa
attribuita  al  Friuli-Venezia  Giulia  in  materia  di   «assistenza
sanitaria ed ospedaliera» dall'art. 5, n. 16) dello statuto speciale,
che  attribuisce  competenze  in  tema  «igiene  sanita'   assistenza
sanitaria e ospedaliera recupero dei minorati fisici» (art. 5, n. 16)
e viola i principi fondamentali in materia di tutela della salute  di
cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione. 
    E', infatti, principio affermato che, in ambito sanitario,  anche
per le regioni a statuto speciale  si  profila  violazione  dell'art.
117, terzo  comma,  della  Costituzione,  (ex  plurimis  sentenza  n.
126/2017) in quanto la competenza legislativa concorrente in  materia
di «tutela della salute», assegnata alle regioni ordinarie  dall'art.
117, terzo comma, Cost., dopo la riforma costituzionale del 2001,  e'
«assai piu' ampia» di quella attribuita  dagli  statuti  speciali  in
materia di «assistenza sanitarie e  ospedaliera»  (cfr.  ex  plurimis
sentenza n. 162 del 2007; nello stesso senso, sentenze n. 134/2006  e
n. 270/2005). 
    L'art.  34,  comma  3  della  legge  regionale  n.  17/2014  come
novellato dall'art. 74 impugnato viola l'art. 117, comma  2,  lettera
m) della Costituzione contrastando con  il  decreto  ministeriale  n.
70/2015 in relazione a livelli essenziali delle prestazioni, e l'art.
117, terzo comma, in materia di tutela della salute interferendo  con
l'organizzazione sanitaria dettata dalla normativa statale  a  tutela
della adeguatezza delle specifiche prestazioni. 
4. L'art. 88 della legge regionale n. 9 del 2019 viola gli articoli 3
e 117, comma 2, lettera m)  della  Costituzione  e  il  principio  di
ragionevolezza in relazione dell'art. 11, comma  1,  lettera  c)  del
decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150. 
    L'art. 88 della legge regionale n. 9 del 2019  aggiunge  all'art.
77 della legge  regionale  9  agosto  2005,  n.  18,  recante  «Norme
regionali per l'occupazione, la tutela e la qualita' del lavoro»,  il
comma 3-quinquies che dispone: 
        «3-quinquies al fine  di  favorire  il  riassorbimento  delle
eccedenze occupazionali determinatesi  sul  territorio  regionale  in
conseguenza di situazioni di crisi aziendale, gli incentivi di cui al
comma 3-bis  possono  essere  concessi  esclusivamente  a  fronte  di
assunzioni, inserimenti o stabilizzazioni  occupazionali  riguardanti
soggetti  che,  alla  data  della  presentazione  della  domanda   di
incentivo,  risultino  residenti  continuativamente  sul   territorio
regionale da almeno cinque anni». 
    L'art. 77, come novellato dalla  norma  impugnata,  subordina  il
riconoscimento  dell'incentivo  occupazionale,  dalla  stessa   norma
previsto, alla residenza del lavoratore in regione da  almeno  cinque
anni. 
    La disposizione e' incostituzionale sotto molteplici profili. 
    Sotto un primo profilo viola  l'art.  3  della  Costituzione  che
sancisce che la Repubblica riconosce il diritto al lavoro e  promuove
le condizioni che rendono effettivo il diritto. 
    La  norma  regionale  impugnata,  infatti,  nel  subordinare   il
riconoscimento di incentivi alle imprese all'assunzione  di  soggetti
residenti continuativamente sul territorio della  regione  da  almeno
cinque anni, limita irragionevolmente  il  diritto  all'incentivo,  e
attua una violazione indiretta del diritto al lavoro, riconosciuto  a
tutti indistintamente, di fatto riservandolo solo alla categoria  dei
residenti quinquennali e ponendosi in  conflitto  con  le  molteplici
attivita'  statali  volte  alla  promozione  delle   condizioni   per
facilitare l'ingresso nel mondo lavorativo da riconoscersi tout court
a  tutti  i  lavoratori  in  palese  violazione  dell'art.  3   della
Costituzione. 
    Il  decreto  legislativo  14  settembre  2015,  n.  150   recante
«Riordino della normativa in materia  di  servizi  per  il  lavoro  e
politiche attive ai sensi  dell'art.  1,  comma  3,  della  legge  10
dicembre 2011, n. 187 - all'art. 11 rubricato  -  Organizzazione  dei
servizi per il lavoro e delle politiche attive del lavoro  a  livello
regionale e della province autonome - prevede la «- Disponibilita' di
servizi e misure di politica attiva del lavoro a  tutti  i  residenti
sul territorio italiano, a  prescindere  dalla  regione  o  provincia
autonoma di residenza» (art. 11, comma 1, lettera c). 
    Del resto la possibile cumulabilita' di incentivi  regionali  con
altri interventi contributivi previsti da leggi statali, violerebbe i
principi di uguaglianza sostanziale di cui all'art. 3, comma 2, della
Costituzione, nonche' la normativa comunitaria in tema di liberta' di
circolazione, diritto di stabilimento e libera concorrenza. 
    Sotto altro profilo il  requisito  di  residenza  nella  regione,
protratto nel  tempo,  costituente  presupposto  per  la  concessione
dell'incentivo introduce un elemento di irragionevolezza. 
    La norma  regionale  impugnata  che,  come  detto,  subordina  il
riconoscimento di un incentivo  occupazionale  al  datore  di  lavoro
all'assunzione di un lavoratore residente da almeno cinque  anni  nel
territorio  regionale,  e'  illegittima  sotto   il   profilo   della
ragionevolezza   non   profilandosi   alcuna   connessione   tra   il
riconoscimento di un incentivo al datore di  lavoro  e  il  requisito
della residenza protratta nel  tempo  del  lavoratore.  Si  puo'  ben
ipotizzare, a titolo esemplificativo che un  soggetto  non  residente
abbia svolto negli  ultimi  cinque  anni,  un  periodo  di  attivita'
lavorativa  piu'  consistente  rispetto  ad  un  altro  semplicemente
residente, contribuendo il  primo  piu'  del  secondo  al  «progresso
materiale e morale della comunita' su base regionale»  obiettivo  che
la  legge  regionale  novellata  intende  perseguire.   Ne   consegue
l'evidente irragionevolezza della disposizione. 
    Sotto un altro profilo la norma censurata oltre a realizzare  una
forma di discriminazione indiretta e contrastare con il principio  di
ragionevolezza, in violazione dell'art. 3 Cost., viola  anche  l'art.
117, secondo comma, lettera m),  della  Costituzione,  riguardante  i
livelli essenziali delle prestazioni. Le misure  di  politica  attiva
del  lavoro,  nell'alveo  delle   quali   rientrano   gli   incentivi
occupazionali riconosciuti ai datori di lavoro  per  l'assunzione  di
particolari categorie  di  lavoratori,  rientrano  nei  «servizi  che
devono  essere  riconosciuti  a  tutti  i  residenti  sul  territorio
italiano,  a  prescindere  dalla  regione  o  provincia  autonoma  di
residenza», ai sensi dell'art. 11, comma 1, lettera  c)  del  decreto
legislativo n. 150/2015 citato. 
    La norma censurata contrasta, pertanto, con la normativa  interna
violando gli articoli 3 e 117, comma 2, lettera m) della Costituzione
e introducendo una disposizione irragionevole. 
5. L'art. 107, comma 1, della legge regionale n. 9 del 2019 viola gli
articoli 3, 51, comma 1, 97, 117, comma 2 , lettera l) e m) e  l'art.
117, comma 3 della Costituzione in relazione alla legge  30  dicembre
2018, n. 145, art. 1, commi 361, 363 e 365. 
    L'art. 107, comma 1, lettera b) della legge regionale  n.  9  del
2019 recante «Modifiche alla legge regionale n. 18/2016» modifica  il
comma  5  dell'art.  8  della  legge  regionale  n.  18/2016  recante
«Disposizioni in materia di sistema integrato  del  pubblico  impiego
regionale e locale» disponendo: 
        b) alla lettera c) del comma 5 dell'art. 8 le parole «per  un
numero pari ai posti messi a concorso» siano soppresse  e  le  parole
«due anni» siano sostituite dalle seguenti: «tre anni;  il  bando  di
concorso puo' prevedere un limite massimo di idonei». 
    La disposizione  regionale  prevede  modalita'  di  utilizzazione
delle graduatorie concorsuali  diversa  e  incompatibile  con  quella
individuata dalla normativa statale con la recente legge di  riordino
30 dicembre 2018, n. 145 (legge di  bilancio  2019),  in  particolare
all'art. 1, commi 361, 363 e 365. 
    La norma regionale impugnata non limita,  infatti,  numericamente
la possibilita' di utilizzo delle graduatorie e amplia  il  lasso  di
tempo  di  utilizzabilita'  delle  stesse  dettando  una   disciplina
contrastante con quella vigente nel  territorio  dello  Stato  quanto
alla possibilita' di accesso agli impieghi e di impegno finanziario. 
    La norma impugnata, pertanto, viola i principi di uguaglianza, di
imparzialita' e di buon andamento della pubblica  amministrazione  di
cui agli articoli 3, 51, primo comma, e  97,  della  Costituzione,  e
invade  la  competenza  riservata  alla  legislazione  statale  nelle
materie del diritto civile, di determinazione dei livelli  essenziali
delle prestazioni e dei principi fondamentali di coordinamento  della
finanza pubblica, in violazione dell'art. 117, secondo comma, lettere
l) e m), e terzo comma, della Costituzione. 
6. L'art. 108 della legge regionale n. 9 del 2019 viola  l'art.  117,
comma 2, lett. l) e l'art.  3  della  Costituzione  in  relazione  al
decreto legislativo n. 165 /2001 disposizioni dettate dal titolo  III
«Contrattazione collettiva». 
    L'art. 108 rubricato «Modifica alla legge regionale  n.  45/2017»
recante «Legge  di  stabilita'  2018»  stabilisce  che  il  comma  22
dell'art. 11 della legge  regionale  n.  45/2017,  citata  sia  cosi'
sostituito «L'indennita' di cui  all'art.  110,  sesto  comma,  della
legge regionale n. 53/1981 (stato giuridico e  trattamento  economico
del  personale  della  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia)  e'
corrisposta anche agli autisti di rappresentanza di cui  all'art.  38
del regolamento di organizzazione  dell'Amministrazione  regionale  e
degli enti regionali emanato con decreto del Presidente della regione
n. 0277/2004 e all'art. 14 del regolamento  di  organizzazione  degli
Uffici n. 101/2019...». 
    L'art. 11, comma 22, novellato dall'art. 108, impugnato contrasta
con  le  disposizioni  contenute  nel  titolo   III   (Contrattazione
collettiva e rappresentativita' sindacale) del decreto legislativo n.
165/2001 che indica le procedure da seguire in sede di contrattazione
e l'obbligo del rispetto della normativa contrattuale. 
    A seguito della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego,
la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze  della  pubblica
amministrazione e' retta dalle disposizioni del codice civile e della
contrattazione collettiva e la posizione dei dipendenti regionali  e'
attratta dalla disciplina del trattamento economico e  giuridico  dei
dipendenti pubblici (art. 1, comma 2 del decreto legislativo  n.  165
del 2001). Il  rapporto  di  impiego  dello  stesso  personale  delle
regioni e' regolato dalla legge dello Stato e, in virtu'  del  rinvio
da questo  operato,  dalla  contrattazione  collettiva  per  cui  «In
relazione al riparto di competenza tra Stato e regione cio'  comporta
che la disciplina di tale trattamento economico e, piu'  in  generale
di quella del rapporto di impiego  pubblico,  rientri  nella  materia
"ordinamento civile" riservata alla  potesta'  legislativa  esclusiva
dello Stato (sentenze n. 175 e 160 del 2017)» (sentenza  n.  154  del
2019). 
    La regione a statuto speciale,  non  ha  competenza  in  tema  di
trattamento economico giuridico dei dipendenti dovendo le  competenze
statutarie essere esercitate nel rispetto «delle  norme  fondamentali
delle riforme economiche e sociali» (art. 4 dello  Statuto  legge  31
gennaio 1963, art. 1). 
    La norma impugnata viola, pertanto, l'art. 117, comma 2,  lettera
l), della Costituzione, che riserva alla competenza  esclusiva  dello
Stato l'ordinamento civile e, quindi, i rapporti di  diritto  privato
regolabili dal codice civile (contratti collettivi). 
    La norma viola anche il principio di eguaglianza fra i  cittadini
di  cui  all'art.  3  della  Costituzione  introducendo  per  i  soli
residenti  nella  regione  un  trattamento  economico   differenziato
rispetto a quello dei residenti nelle altre regioni. 
7. L'art. 109 della legge regionale n. 9 del 2019 viola  l'art.  117,
comma  3,   della   Costituzione   in   relazione   all'art.   35-bis
decreto-legge n. 13/2018 convertito in legge n. 132/2019  e  all'art.
33 del decreto-legge n. 34/2019 convertito in legge 20  agosto  2019,
n. 58. 
    L'art. 109 rubricato «Personale della polizia locale» dispone: 
        «In  relazione  al  permanere  delle   particolari   esigenze
operative  e  funzionali  connesse  e  conseguenti  al  processo   di
riassetto  delle  autonomia  locali,  ai  fini  delle  assunzioni  di
personale della polizia locale da parte delle UTI e dei comuni  della
regione, gli enti medesimi continuano ad applicare l'art.  56,  comma
20-ter della legge regionale n. 18/2016 per l'anno 2019  nonche'  con
riferimento alle procedure concorsuali gia' avviate nell'anno 2018  e
non ancora concluse alla data di entrata  in  vigore  della  presente
legge». 
    La norma prevede quanto alle assunzioni della polizia locale alle
Unioni territoriali intercomunali e ai comuni della regione  continui
ad applicarsi l'art.  56,  comma  20-ter  della  legge  regionale  n.
10/2016 che prevede la possibilita' di procedere ad assunzioni  oltre
il  100%  della  spesa  relativa  al  personale  di  ruolo  sostenuta
nell'anno precedente. 
    Per l'anno 2019 il limite della spesa relativo  al  personale  di
ruolo appartenente alla polizia locale cessato  nell'anno  precedente
e' determinato dall'art. 35-bis del  decreto-legge  n.  13  del  2018
convertito dalla legge n. 132 del 2019 in base al quale i comuni  che
nel triennio 2016-2018 hanno rispettato gli obiettivi dei vincoli  di
finanza pubblica possono, in deroga alle disposizioni di cui all'art.
1, comma 228, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, assumere a  tempo
indeterminato personale di polizia locale,  nel  limite  della  spesa
sostenuta per detto personale nell'anno  2016  e  fermo  restando  il
conseguimento degli equilibri di bilancio.  Le  cessazioni  nell'anno
2018 del predetto personale non rilevano ai fini  del  calcolo  delle
facolta' di assunzione del restante personale. 
    La norma  regionale  si  pone  in  contrasto  con  la  richiamata
normativa statale. 
    Sotto altro profilo la norma impugnata contrasta  con  l'art.  33
del decreto-legge n. 34/2019 che subordina le facolta' di  assunzione
al rispetto al ricorrere di requisiti di  sostenibilita'  finanziaria
non fissate nella norma regionale. 
    Le menzionate disposizioni statali sono norme di principio il cui
superamento comporta una lesione  dei  principi  stabiliti  dall'art.
117, comma terzo, della Costituzione, nell'ottica  del  coordinamento
della finanza pubblica, cui la regione, pur nel  rispetto  della  sua
autonomia, non puo' derogare. 
8. L'art. 112, comma 1 della legge regionale n. 9 del 2019  contrasta
con gli articoli 117, comma 2, lettera l) e 3 della  Costituzione  in
relazione all'art. 30, comma 2-quinquies del decreto  legislativo  n.
165/2001. 
    L'art.  112  rubricato  «Trattamento  economico   del   personale
trasferito per mobilita' dalle province» al comma 1, dispone: 
        «in relazione al processo di superamento delle province e del
conseguente trasferimento di funzioni alla regione, e in un'ottica di
coerenza del sistema, il trattamento economico  di  cui  al  comma  1
dell'art. 50 della legge  regionale  n.  10  del  2016  (modifiche  a
disposizioni concernenti gli enti locali contenute  1/2006,  26/2014,
18/2007, 9/2009, 19/2013, 34/2015, 18/2015, 3/2016, 13/2015, 23/2017,
2/2016 e 27/2012)  si  applica  anche  nei  confronti  del  personale
trasferito dalle province alla regione,  successivamente  all'entrata
in  vigore  della  medesima  legge  regionale,   mediante   mobilita'
volontaria di comparto; il trattamento compete a decorrere dalla data
di trasferimento alla regione». 
    La norma prevede anche per il personale trasferito dalle province
alla regione mediante mobilita' comparto volontaria  il  mantenimento
della retribuzione individuale di anzianita' o il maturato  economico
in godimento all'atto del trasferimento. 
    L'art. 30, comma 2-quinquies, del decreto legislativo n. 165  del
2001 disciplina  il  trattamento  giuridico  economico  spettante  al
dipendente trasferito per mobilita'  disponendo  che  «Salvo  diversa
previsione, a seguito dell'iscrizione nel ruolo  dell'amministrazione
di destinazione, al dipendente trasferito per  mobilita'  si  applica
esclusivamente il trattamento giuridico ed economico, compreso quello
accessorio, previsto nei contratti collettivi  vigenti  nel  comparto
della stessa amministrazione». 
    In contrasto con la richiamata normativa statale di principio  la
norma  regionale  impugnata  consente  l'applicazione   di   benefici
riconducibili ad istituti giuridici  quali  la  Ria  ed  il  maturato
economico, giustificati in caso di mobilita' obbligatoria nel caso di
trasferimento di funzioni, anche in ipotesi di mobilita'  volontaria.
A seguito della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego,  la
disciplina del rapporto di  lavoro  alle  dipendenze  della  pubblica
amministrazione e' retta dalle disposizioni del codice civile e della
contrattazione collettiva e la posizione dei dipendenti regionali  e'
attratta dalla disciplina del trattamento economico e  giuridico  dei
dipendenti pubblici (art. 1, comma 2 del decreto legislativo  n.  165
del 2001). 
    Il rapporto di impiego dello stesso personale  delle  regioni  e'
regolato dalla legge dello Stato e, in virtu' del  rinvio  da  questo
operato, dalla contrattazione collettiva per  cui  «In  relazione  al
riparto di competenza tra  Stato  e  regione  cio'  comporta  che  la
disciplina di tale trattamento  economico  e,  piu'  in  generale  di
quella del  rapporto  di  impiego  pubblico,  rientri  nella  materia
"ordinamento civile" riservata alla  potesta'  legislativa  esclusiva
dello Stato (sentenze n. 175 e 160 del 2017)» (sentenza  n.  154  del
2019). 
    La regione a statuto speciale,  non  ha  competenza  in  tema  di
trattamento economico giuridico dei dipendenti dovendo le  competenze
statutarie essere esercitate nel rispetto «delle  norme  fondamentali
delle riforme economiche e sociali» (art. 4 dello  statuto  legge  31
gennaio 1963, art. 1). 
    La norma impugnata viola, pertanto, l'art. 117, comma 2,  lettera
l), della Costituzione, che riserva alla competenza  esclusiva  dello
Stato l'ordinamento civile e, quindi, i rapporti di  diritto  privato
regolabili dal codice civile (contratti collettivi). 
    La norma viola anche il principio di eguaglianza fra i  cittadini
di  cui  all'art.  3  della  Costituzione  introducendo  per  i  soli
residenti  nella  regione  un  trattamento  economico   differenziato
rispetto a quello dei residenti nelle altre regioni. 
    La disciplina  statale  richiamata  costituisce  una  regolazione
uniforme a cui deve attenersi tutta la  pubblica  amministrazione  il
cui rapporto di lavoro e' stato contrattualizzato ed in  quanto  tale
riconducibile alla materia dell'«ordinamento civile»  riservata  alla
potesta' legislativa esclusiva dello Stato. 
    Cio' posto, la disposizione  regionale  eccede  dalle  competenze
regionali violando gli articoli 117, secondo comma, lettera l),  e  3
della Costituzione.