TRIBUNALE ORDINARIO DI VIBO VALENTIA 
                     settore lavoro e previdenza 
 
    Il Tribunale  ordinario  di  Vibo  Valentia,  nella  persona  del
giudice del lavoro e della  previdenza  Ilario  Nasso,  ha  emesso  -
all'esito della Camera di consiglio  successiva  all'udienza  del  13
marzo 2019 - la seguente ordinanza nel procedimento  iscritto  al  n.
173 del reg. gen. dell'anno 2019, e  vertente  tra  C.L.  (C.F.:  ...
rappresentato e difeso, per procura in calce al ricorso introduttivo,
dall'avv. Francesco Mobilio del Foro di Vibo Valentia) e il Ministero
delle infrastrutture e dei  trasporti,  in  persona  del  Ministro  e
legale rappresentante pro tempore (C.F.: 80004580793, rappresentato e
difeso  ex  lege  dall'Avvocatura   distrettuale   dello   Stato   di
Catanzaro). 
    1. Il ricorrente agisce  per  l'accertamento  dell'illegittimita'
del recesso comminato dalla controparte datoriale, con missiva avente
prot. n. 990UD del 7 novembre  2018,  retroagente  alla  data  (della
sospensione cautelare, deliberata con provvedimento recante prot.  n.
22136) del 9 ottobre precedente. 
    2. A tal fine, egli deduce: 
        I) d'aver prestato  servizio,  quale  dipendente  civile  del
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, presso la Capitaneria
di porto di Vibo Valentia Marina, con qualifica XSB3; 
        II) d'aver ricevuto un addebito di' falsa attestazione  della
propria presenza in ufficio, nei giorni del 7, 10, 12 e 14  settembre
2018; 
        III) d'aver subito, pertanto, la  sospensione  dall'attivita'
lavorativa e dalla percezione dello stipendio; 
        IV) d'esser stato convocato - il 29 ottobre 2018 - a  rendere
le proprie giustificazioni, fatte pervenire (cinque giorni prima)  al
competente Ufficio disciplina della Direzione generale del  personale
e degli affari generali del Dicastero intimato; 
        V) d'esser  stato  richiesto  -  il  31  ottobre  2018  -  di
un'integrazione documentale, adempiuta  con  e-mail  del  5  novembre
2018, e relativa alle modalita' di autorizzazione all'espletamento di
lavoro  straordinario,   vigenti   all'interno   dell'ente   di   sua
appartenenza; 
        VI) di non aver  ottenuto  lo  scopo  auspicato  mediante  la
propria partecipazione al contraddittorio disciplinare; 
        VII) d'esser stato definitivamente allontanato  dal  servizio
due giorni dopo. 
    2.1.   Il    ricorrente    lamenta    l'antigiuridicita'    della
determinazione    espulsiva,    poiche'    sproporzionata    rispetto
all'andamento dei fatti. 
    3. Costituendosi  in  giudizio,  l'Amministrazione  convenuta  ha
sostenuto  la  conformita'  alla  legge  della   propria   decisione,
argomentandone la rispondenza all'art. 55-quater,  comma  1,  lettera
a),  decreto  legislativo  n.  165/2001,  letto   alla   luce   della
giurisprudenza formatasi successivamente alla sua entrata  in  vigore
(avvenuta merce' l'art. 69, decreto legislativo n. 150/2009). 
    4. Alla prima udienza di discussione, il Tribunale  ha  sollevato
d'ufficio la presente questione - per contrasto fra l'art. 55-quater,
comma 1, lettera a), decreto legislativo n. 165/2001 e  gli  articoli
3, primo comma, 4, primo comma, 24, primo comma, 35, primo  comma,  e
117,  primo  comma,  Cost.,  di  cui  si   illustrano   appresso   le
motivazioni. 
    5. In ordine alla rilevanza, non e' dubitabile l'ascrizione della
fattispecie all'alveo applicativo  del  sopracitato  art.  55-quater,
comma 1, lettera a), decreto legislativo  n.  165/2001:  la  sanzione
espulsiva controversa nel  giudizio  origina  dal  comportamento  del
dipendente pubblico, il quale  -  per  quattro  volte  e  a  distanza
ravvicinata di tempo  -  allontanandosi  dalla  sede  di  servizio  a
conclusione dell'orario lavorativo ordinario, ha omesso di  attestare
la circostanza attraverso l'apposito cartellino marcatempo,  per  poi
rientrare in ufficio e registrarsi definitivamente in  uscita  alcune
ore dopo. 
    5.1. La vicenda va,  pertanto,  esaminata  proprio  in  relazione
all'anzidetta disposizione: a mente della prima parte  della  lettera
a) in discorso, al cospetto di una «falsa attestazione della presenza
in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento  della
presenza o con altre modalita' fraudolente» va applicata «comunque la
sanzione disciplinare del licenziamento» (come  stabilito  dal  primo
periodo della disposizione). 
    5.2.  Risulta   sufficientemente   documentato   (dal   materiale
fotografico allegato alla memoria di  costituzione  ministeriale)  il
contegno di C. consistito nel tentativo di sottrarre al raggio visivo
del personale in forze alla Capitaneria i movimenti posti in  essere,
mediante il concomitante  posizionamento  della  propria  autovettura
all'esterno del sedime portuale, diversamente da  quanto  normalmente
compiuto: la reiterazione  della  condotta  addebitata  all'attore  -
nonche', in particolare, la prossimita'  cronologica  fra  i  diversi
episodi rilevati dall'Autorita' datoriale - autorizzano  a  escludere
l'involontarieta' e la casualita' del comportamento  del  prestatore,
piuttosto   deponendo   nel   senso   indicato   dalla   disposizione
sopraddetta, avuto riguardo al riferimento -  ivi  contenuto  -  alle
«altre modalita' fraudolente» d'integrazione dell'illecito. 
    6. Cio' chiarito, e' d'uopo procedere alla ricognizione della non
manifesta infondatezza. 
    6.1. La disposizione esaminata e' inequivoca  nell'introdurre  un
automatismo sanzionatorio: accertato il contegno del  lavoratore,  il
medesimo viene estromesso per legge  dalla  compagine  lavorativa,  a
conclusione del relativo procedimento disciplinare. 
    6.2.  Il  tenore  letterale  della   proposizione   -   e,   piu'
segnatamente,   l'impiego   dell'avverbio   «comunque»   -   preclude
interpretazioni adeguatrici, e conduce alla cessazione anticipata del
rapporto di lavoro, quale epilogo normativamente necessitato in tutti
i casi in cui il precetto in questione trovi applicazione. 
    6.2.1. Premessa la  puntualizzazione  secondo  la  quale  -  come
sostenuto dal giudice ad quem con sentenza n. 51/2015 -  «per  aversi
una questione di legittimita' validamente posta, e'  sufficiente  che
il giudice a quo fornisca un'interpretazione non  implausibile  della
disposizione contestata», la stessa Corte (con sentenza n.  262/2015)
ha statuito come «ai fini  dell'ammissibilita'  della  questione,  e'
sufficiente  che  il  giudice  a  quo  esplori  la  possibilita'   di
un'interpretazione conforme alla Carta fondamentale e,  come  avviene
nel caso di specie, la escluda consapevolmente». 
    6.2.2.  La  giurisprudenza  di  legittimita',   invero,   si   e'
interrogata   circa   le   ricadute   della   norma   qui   esaminata
sull'esperibilita' di un sindacato (disciplinare  e)  giurisdizionale
effettivo e non soltanto apparente, concludendo per la conformita'  a
Costituzione dell'art. 55-quater, decreto  legislativo  n.  165/2001,
sostenendo (con sentenza n. 9314/2018) come «L'art. 55-quater,  testo
unico  del  2001,  lungi   dall'aver   reintrodotto   un'ipotesi   di
destituzione di diritto in  contrasto  con  le  norme  costituzionali
richiamate dal ricorrente, ha individuato alcune ipotesi,  della  cui
particolare gravita' la legge si e' riservata ex ante la valutazione,
ai fini dell'attribuzione in capo alle pubbliche amministrazioni  del
potere di recesso nella sua forma piu' "forte"». 
    6.2.3. Piu' diffusamente, la Corte di cassazione (con sentenza n.
24574/2016,  e  mediante  ampio  richiamo  ai   propri   orientamenti
pregressi) ha precisato come «d(ebba) escludersi la  configurabilita'
in astratto di qualsivoglia automatismo nell'irrogazione di  sanzioni
disciplinari,  specie  laddove  queste   consistano   nella   massima
sanzione,   permanendo    il    sindacato    giurisdizionale    sulla
proporzionalita' della sanzione rispetto al fatto  addebitato  (Cass.
17259/2016,   17335/2016,    11639/2016,    10842/2016,    1315/2016,
24796/2010,  26329/2008;  Corte  Costituzionale  971/1988,  239/1996,
286/1999). (...). La  proporzionalita'  della  sanzione  disciplinare
rispetto ai fatti commessi e', infatti, regola valida  per  tutto  il
diritto punitivo (sanzioni penali, amministrative) e risulta trasfusa
per l'illecito disciplinare nell'art. 2106  del  codice  civile,  con
conseguente  possibilita'  per  il  giudice  di  annullamento   della
sanzione  «eccessiva»,  proprio  per  il   divieto   di   automatismi
sanzionatori, non essendo, in definitiva, possibile  introdurre,  con
legge  o  con  contratto,   sanzioni   disciplinari   automaticamente
conseguenziali ad illeciti  disciplinari».  (...). I  principi  sopra
richiamati sono stati affermati anche con riguardo all'art. 55-quater
(Cass. 17259/2016, 1351/2016), sul rilievo che l'art. 2106 del codice
civile risulta oggetto di espresso richiamo da  parte  dell'art.  55,
comma 2 e sul rilievo che alla giusta causa ed al giustificato motivo
fa riferimento il comma 1 dell'art.  55-quater.  (...)  Va,  inoltre,
considerato che secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale
di  questa  Corte,  al  quale  va  data   continuita',   l'operazione
valutativa, compiuta dal giudice di  merito  nell'applicare  clausole
generali  come  quella  dell'art.  2119  del  codice  civile,  e   da
effettuarsi con riferimento  agli  aspetti  concreti  afferenti  alla
natura e alla utilita' del singolo  rapporto,  alla  posizione  delle
parti, al grado di' affidamento richiesto dalle  specifiche  mansioni
del dipendente, al nocumento  eventualmente  arrecato,  alla  portata
soggettiva  dei  fatti  stessi,  ossia  alle  circostanze  del   loro
verificarsi, ai motivi e all'intensita' dell'elemento intenzionale  o
di   quello   colposo   (Cass.   1977/2016,   1351/2016,   12059/2015
25608/2014), non sfugge ad  una  verifica  in  sede  di  giudizio  di
legittimita' (Cass. 17259/2016,  17335/2016,  11630/2016,  1351/2016,
12069/2015, 6501/13, 18247/2009), poiche' l'operativita' in  concreto
di norme di tale tipo deve rispettare criteri e  principi  desumibili
dall'ordinamento. 
    6.2.4. L'interpretazione avallata dalla Suprema Corte,  tuttavia,
non persuade. 
    6.2.4.1.  Rammentato  come  -  coerentemente   alle   indicazioni
rivenienti da Corte costituzionale, sentena n.  221  del  2015  -  al
giudice a quo sia richiesto un «accurato  ed  esaustivo  esame  delle
alternative poste a disposizione dal dibattito giurisprudenziale,  se
del caso  per  discostarsene  motivatamente.  Solo  se  avviene  cio'
infatti si puo'  dire  che  l'interpretazione  adeguatrice  e'  stata
davvero "consapevolmente esclusa" dal rimettente»,  nella  specie  la
formulazione letterale della disposizione non sembra offrire  margini
di discostamento dall'approdo ermeneutico propugnato con la  presente
ordinanza. 
    6.2.4.1.1. In particolare, l'inciso (appunto veicolato  dall'art.
55-quater, comma 1, decreto legislativo n. 165/2001) secondo il quale
«si applica comunque la sanzione disciplinare del  licenziamento»  e'
perentorio nel derivare dall'illecito  -  dettagliato  nel  prosieguo
dell'articolo - la misura espulsiva, degradando il vaglio dell'organo
disciplinare prima  -  e  dell'autorita'  giudiziaria  poi  -  a  una
constatazione  estrinseca   e   formale,   evocativa   dello   schema
«norma-fatto-effetto». 
    6.2.4.1.2. L'utilizzo del modo verbale  indicativo  e  del  tempo
presente  -   in   funzione   deontica   -   unitamente   all'impiego
dell'avverbio  «comunque»  inibiscono   letture   alternative   della
disposizione, e impongono l'incardinamento della  presente  questione
di legittimita'. 
    6.3. Cio' detto, la  corrispondenza  tra  la  falsa  attestazione
della propria presenza in servizio  e  il  pedissequo  recesso  della
pubblica amministrazione confligge innanzitutto con l'art.  3  Cost.,
poiche' irragionevole. 
    6.3.1. Come argomentato dalla Corte costituzionale,  sentenza  n.
197/2018, «in materia di sanzioni disciplinari, sono invero  numerose
le sentenze di questa  Corte  che  hanno  ritenuto  illegittime,  per
contrasto  con  l'art.  3   Cost,   disposizioni   che   comportavano
l'automatica destituzione  del  pubblico  dipendente  in  conseguenza
della sua condanna in sede penale per determinati  reati  (cosi',  ex
multis, sentenze n. 268 del 2016, n. 363 del 1996, n. 197 del 1993  e
n.  16  del  1991).  Tali  pronunce   riposano   essenzialmente   sul
presupposto secondo cui il  principio  di  eguaglianza-ragionevolezza
esige, in via generale, che sia  conservata  all'organo  disciplinare
una valutazione discrezionale sulla proporzionale  graduazione  della
sanzione disciplinare nel caso concreto (cosi',  in  particolare,  la
citata sentenza n. 268 del 2016)». 
    6.3.2. Nella specie, la controparte del prestatore  e'  tenuta  a
recedere dal rapporto nel momento in cui si avveda di anomalie  nella
formalizzazione degli ingressi e delle uscite  del  dipendente  dalla
sede lavorativa: nessuna progressione sanzionatoria e' consentita,  e
anche nell'ipotesi in cui - come nel  caso  in  esame  -  l'incolpato
ammetta la storicita' della  condotta  (salvo  negarne  la  rilevanza
disciplinare sotto il  profilo  psicologico),  l'ente-datore  non  ha
accesso ad alcuno  strumentario  disciplinare,  potendo  (e  dovendo)
solamente addivenire al licenziamento dell'impiegato. 
    6.3.3.  A  cio'  si  aggiunga,  inoltre,  come  la   tipizzazione
dell'ineluttabilita' della sanzione espulsiva risulti prevista  nelle
sole ipotesi d'infedele autodichiarazione della  propria  presenza  a
lavoro. 
    6.3.3.1.  L'art.  55-quater,  appunto  rubricato   «Licenziamento
disciplinare», contempla la misura in discorso in un'articolata serie
di fattispecie, ma ciascuna di esse - con la sola eccezione di quella
qui rilevante - assegna al datore di lavoro  (e  correlativamente  al
giudice, se investito della vertenza) il potere-dovere di saggiare la
consistenza dell'illecito. 
    6.3.3.2. Le ipotesi disciplinate dall'articolo  in  questione,  a
ben vedere, si caratterizzano per la previsione di clausole  generali
in virtu' delle quali e' richiesto alla parte pubblica di  verificare
la  giustificabilita'  della  condotta   del   dipendente,   la   sua
protrazione o serialita', il grado del suo discostamento dai principi
di correttezza e laboriosita'. 
    6.3.3.3. Non lo stesso e' a dirsi, di contro, nell'ambito di  cui
alla lettera a) dell'art. 55-quater, connotato dalla previsione di un
meccanismo pressoche' deterministico di  causa  ed  effetto,  la  cui
operativita' e' prefissata dal legislatore, e si rivela  impermeabile
alle cadenze concrete della  vicenda  considerata:  l'assoggettamento
alla  medesima  sanzione  di  condotte  rispetto  alle  quali   cosi'
eterogenea appare l'ampiezza del controllo esercitabile dal datore  e
dal giudice si risolve, dunque, in un profilo d'irragionevolezza. 
    6.4. In merito, poi, alla violazione degli articoli 4 e 35, primo
comma, Cost., sempre  la  Corte  costituzionale  -  con  sentenza  n.
194/2018 - ha riconosciuto come il diritto al  lavoro,  «fondamentale
diritto di liberta' della persona umana», pur non garantendo  diritto
alla conservazione del lavoro», tuttavia «esige  che  il  legislatore
(...) adegui (...) la disciplina  dei  rapporti  di  lavoro  a  tempo
indeterminato al fine ultimo di assicurare a tutti la continuita' del
lavoro,  e  circondi  di  doverose  garanzie  (...)  e  di  opportuni
temperamenti  i  casi  in  cui  si  renda  necessario  far  luogo   a
licenziamenti»  (sentenza  n.  45  del  1965,  punti  3.  e  4.   del
Considerato in diritto). Questa esortazione, come e' noto, fu accolta
con l'approvazione della legge n. 604 del 1966, che sanci',  all'art.
1, il principio della necessaria giustificazione  del  licenziamento,
da considerarsi illegittimo se non sorretto da una «giusta  causa»  o
da un «giustificato motivo». Si e' in seguito affermato  il  «diritto
(garantito dall'art. 4 Cost.  a  non  essere  estromesso  dal  lavoro
ingiustamente o irragionevolmente» (sentenza n. 60 del 1991, punto 9.
del Considerato in  diritto)  e  si  e'  poi  ribadita  la  «garanzia
costituzionale  (del)  diritto  di  non   subire   un   licenziamento
arbitrario» (sentenza n. 541 del 2000, punto 2.  del  Considerato  in
diritto e ordinanza n. 56  del  2006).  L'«indirizzo  di  progressiva
garanzia del diritto al lavoro previsto dagli articoli 4 e 35  Cost.,
che ha portato, nel tempo, a introdurre  temperamenti  al  potere  di
recesso del datore di lavoro» (sentenza n. 46 del 2000, punto 5.  del
Considerato in diritto), si riscontra in una successiva pronuncia, in
cui si afferma che «la materia dei licenziamenti individuali e'  oggi
regolata, in presenza degli articoli 4 e 35  della  Costituzione,  in
base al  principio  della  necessaria  giustificazione  del  recesso»
(sentenza n. 41 del 2003, punto 2.1. del Considerato in diritto)». 
    6.4.1. Non e' secondario rilevare come la tutela del lavoro - «in
tutte  le  sue  forme  applicazioni»  -  assolva   a   una   missione
trascendente l'equilibrato svolgimento del rapporto, e si ponga quale
canale  privilegiato  di  salvaguardia  dell'individuo  e  della  sua
dignita': nell'ordinamento costituzionale il lavoro esplica, infatti,
una  funzione  promozionale   dei   valori   della   persona   umana,
contribuendo alla sua emancipazione e al suo sviluppo. 
    6.4.1.1. Consentire il licenziamento  del  lavoratore  -  qualora
irrogato  prescindendo  dall'accertamento  (soprattutto   giudiziale)
delle molteplici sfaccettature coessenziali alla  singola  vicenda  -
mal si concilia con l'affidamento alla Repubblica - ex art. 4,  primo
comma, Cost. - del compito di «promuovere le condizioni  che  rendano
effettivo (il) diritto (al lavoro)»,  poiche'  equivale  a  tollerare
l'inflizione  al  prestatore  della  massima  sanzione  datoriale   -
causativa dell'interruzione del rapporto - pur in assenza di  ragioni
impositive di una tale misura. 
    6.5. Nella pronuncia  poc'anzi  richiamata,  peraltro,  la  Corte
afferma - pur nella parziale  diversita'  di  contesto  -  come  «non
poss(a)no che essere molteplici i criteri da  offrire  alla  prudente
discrezionale  valutazione  del  giudice  chiamato  a   dirimere   la
controversia». 
    6.6. La norma, tuttavia, osta alla ponderazione - in  concreto  -
della portata offensiva  della  condotta  oggetto  d'incolpazione,  e
sottrae alla sede giudiziale la verifica della  proporzionalita'  fra
illecito riscontrato e licenziamento adottato. 
    6.7. La perentorieta' del  disposto  di  cui  all'art.  55-quater
impedisce, nondimeno, la valorizzazione delle coordinate fattuali  in
cui s'inscrive la vicenda giudicata: ne riesce frustrato  l'esercizio
della funzione giurisdizionale, e  compromesso  il  rapporto  fra  la
condotta  da  reprimere  e  il  provvedimento  disciplinare  all'uopo
predisposto. 
    6.8. Al giudice, infatti, viene preclusa a monte la constatazione
della  congruita'  della  misura  espulsiva,   laddove   quest'ultima
implicherebbe  -  al  contrario  -  un  doveroso  vaglio  circa   (la
sussistenza,  e)  l'intensita'  del  coefficiente   psicologico,   la
gravita' del  comportamento  sanzionato,  l'andamento  pregresso  del
rapporto e gli eventuali precedenti (specifici e non), il pregiudizio
derivatone per gli interessi del datore di lavoro, la  compatibilita'
della condotta con  l'eventuale  prosecuzione  del  rapporto  (ovvero
l'effettiva  attitudine  di  essa  alla   definitiva   compromissione
dell'elemento  fiduciario  intercorrente  fra   le   parti),   e   la
preferibilita' di strumenti sanzionatori conservativi. 
    6.9. Orbene, la scelta legislativa di  provocare  la  sistematica
espunzione del dipendente  dal  contesto  lavorativo,  alla  semplice
presa d'atto di sue azioni od omissioni realizzative di  un  illecito
disciplinare,  sottrae  all'autorita'  giusdicente  ogni  margine  di
apprezzamento del fatto  nella  sua  globalita',  e  nega  un  vaglio
imparziale ed effettivo circa le ricadute  della  condotta  biasimata
sulla dinamica del rapporto di lavoro. 
    7. La continuita'  del  rapporto  medesimo  e'  aprioristicamente
sacrificata,   e   le   finalita'    della    repressione    appaiono
ingiustificatamente   privilegiate:   ricorrendo   al   giudice,   il
lavoratore non e' in grado  di  articolare  efficacemente  motivi  di
doglianza (concernenti la legittimita' del licenziamento) alternativi
a quello della radicale insussistenza del fatto materiale, poiche' il
loro  contenuto  -  quand'anche  ipoteticamente  condivisibile  dalla
giurisdizione adita -  non  potrebbe  tradursi,  a  diritto  positivo
invariato,  in  una  rimozione  della  sanzione  espulsiva,   siccome
prestabilita dalla legge. 
    7.1. Tale conseguenza,  allora,  infirma  la  legittimita'  della
norma censurata anche alla  luce  dell'art.  24  Cost.,  risolvendosi
nella compressione della possibilita' di agire  in  giudizio  per  la
tutela delle proprie situazioni soggettive:  il  diritto  di  difesa,
infatti,  postula  non  solamente  la  possibilita'   di   rivolgersi
all'autorita' giurisdizionale, ma anche la completezza  della  tutela
ricevibile da quest'ultima, tuttavia  ampiamente  depotenziata  dalla
predetta  opzione  normativa,  poiche'  indirizzata  al   sistematico
licenziamento del pubblico dipendente. 
    8.  La  sterilizzazione  del  sindacato  giudiziale  -  derivante
dall'architettura della norma in questione - e' motivo  di  ulteriore
contrasto  dell'art.  55-quater,  comma  1,   lettera   a),   decreto
legislativo n. 165/2001  con  l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione all'art. 24 della Carta sociale europea. 
    8.1. Giusta Corte costituzionale, sentenza n. 120/2018, la «Carta
sociale europea, oggetto di revisione nel 1996, che  riunisce  in  un
solo trattato i diritti riconosciuti dalla  versione  originaria  del
1961 e quelli  che  sono  stati  aggiunti  attraverso  il  Protocollo
addizionale del 5 maggio 1988, entrato in vigore il 4 settembre  1992
(...) Ai fini dell'ammissibilita' dell'evocazione di  tale  parametro
interposto, va  rilevato  che  esso  presenta  spiccati  elementi  di
specialita' rispetto ai normali accordi internazionali, elementi  che
la  collegano  alla  CEDU.  Se  quest'ultima,  infatti,   ha   inteso
costituire un «sistema di tutela uniforme» dei  diritti  fondamentali
civili e politici (sentenza n. 349 del 2007), la Carta ne costituisce
il naturale completamento sul piano sociale poiche',  come  si  legge
nel preambolo, gli Stati membri del Consiglio d'Europa  hanno  voluto
estendere la tutela anche ai diritti sociali, ricordando il carattere
indivisibile di tutti i diritti  dell'uomo.  (...).  Per  queste  sue
caratteristiche   la   Carta,   dunque,   deve   qualificarsi   fonte
internazionale, ai sensi dell'art. 117, primo comma,  Cost.  Essa  e'
priva di effetto diretto e la  sua  applicazione  non  puo'  avvenire
immediatamente ad opera del giudice comune ma  richiede  l'intervento
di questa Corte, cui va  prospettata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale, per violazione del citato primo comma  dell'art.  117
Cost., della norma nazionale ritenuta in contrasto con la Carta». 
    8.2. Ai sensi dell'art. 24  della  Carta  sociale  europea,  «Per
assicurare l'effettivo esercizio del diritto ad una tutela in caso di
licenziamento, le parti s'impegnano a riconoscere: a) il diritto  dei
lavoratori di non essere licenziati senza  un  valido  motivo  legato
alle loro attitudini o alla loro condotta o basato  sulle  necessita'
di funzionamento dell'impresa, dello stabilimento o del servizio». 
    8.2.1.  Orbene,  la  disposizione   teste'   enunciata   richiama
l'attenzione su due esigenze parimenti  compromesse  dalla  norma  ex
art. 55-quater. l'effettivita' della tutela invocabile a fronte di un
recesso datoriale, e  il  divieto  di  licenziamento  del  lavoratore
(qualora  allontanato  per  ragioni   estranee   alla   funzionalita'
dell'impresa)  in  assenza  di'  una  causale  ascrivibile  alle  sue
attitudini ovvero al suo comportamento. 
    8.2.2. La disciplina della cui costituzionalita' si dubita, a ben
vedere,  snatura  la  tutela  giudiziaria  fruibile  dal  lavoratore,
negando  di  fatto  al  ricorrente  la  possibilita'  di  dedurre  la
sussistenza - nella vicenda considerata - di peculiarita' del proprio
comportamento  da  cui  dovrebbe  attendersi  l'applicazione  di  una
sanzione conservativa. 
    8.2.3. Specularmente, all'autorita' giudiziaria  la  vicenda  non
risulta  accessibile  nella  sua  complessita',  ma   solamente   nel
presupposto  materiale  d'irrogazione  del  provvedimento  datoriale,
condizione necessaria ma  sufficiente  -  nell'economia  della  norma
medesima - a provocare l'epilogo espulsivo. 
    8.2.4. In tal modo, pero', non viene assicurato alcuno  scrutinio
circa  la  validita'  del  motivo  di  recesso,  da  intendersi  come
appropriatezza delle ragioni  poste  a  base  della  destituzione,  e
adeguatezza  (e  inevitabilita')  dell'allontanamento  rispetto  alla
gravita'  dello  specifico  comportamento  attuato  dal   lavoratore,
parametrato al vissuto lavorativo di quest'ultimo. 
    9. Per le  ragioni  appena  illustrate,  dunque,  va  sollecitato
l'intervento del giudice delle leggi, affinche' rimuova l'automatismo
denunziato,  ripristinando  la  possibilita'  di  individualizzazione
della risposta sanzionatoria,  insieme  all'integrale  espandibilita'
del sindacato giudiziale.