CORTE DEI CONTI 
           Sezione regionale di controllo per la Campania 
 
    Fulvio Maria Longavita, Presidente; 
    Rosella Cassaneti, consigliere; 
    Alessandro Forlani, consigliere; 
    Francesco Sucameli, primo referendario (relatore); 
    Emanuele Scatola, referendario; 
    nella Camera di consiglio del 27 maggio 2019  ha  pronunciato  la
seguente ordinanza. 
    Visto l'art. 1, commi 3 e 7, del decreto-legge 10  ottobre  2012,
n. 174, convertito in legge n. 213 del 7 dicembre 2012 che prevede il
controllo di legalità-regolarita' sui bilanci degli enti del  sistema
sanitario, con l'eventuale blocco della spesa in caso  di  violazione
anche prospettica degli equilibri finanziari; 
    Vista l'ordinanza n. 23/2019 del 4 aprile 2019, con la  quale  il
Presidente della Sezione ha convocato in adunanza pubblica  l'Azienda
sanitaria locale (ASL) di Caserta per il giorno 18 aprile 2019; 
    Vista l'ordinanza istruttoria collegiale n. 106/2019/PRSP  del  6
maggio 2019; 
    Viste le ordinanze di riconvocazione in adunanza pubblica  n.  31
del 6 maggio 2019 e n. 34 del 10 maggio 2019,  con  la  quale  ultima
l'ASL e' stata nuovamente convocata in adunanza pubblica; 
    Visti gli articoli 134 della Costituzione, l'art. 1  della  legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23 della legge 11 marzo
1953, n. 87; 
    Udito, nell'adunanza pubblica  riconvocata,  in  data  27  maggio
2019, l'ente controllato e viste le memorie in atti; 
    Udito il Magistrato relatore Francesco Sucameli; 
    Premesso che: 
        1. L'oggetto  e  il  parametro  del  giudizio  di  controllo.
L'odierno procedimento di controllo e' attivato e svolto  in  ragione
delle  funzioni  esercitate  dalla   Corte   dei   conti   a   tutela
dell'equilibrio di bilancio, ai sensi dell'art.  20  della  legge  n.
243/2012, attuativa in sede legislativa delle norme della legge cost.
n. 1/2012, in un sistema di tutela che si allarga  alle  disposizioni
del Decreto legislativo n. 118/2011 e al decreto-legge n. 174/2012. 
    Segnatamente, il controllo e' svolto ai sensi dell'art. 1,  comma
3, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174,  recante  «Disposizioni
urgenti  in  materia  di   finanza   e   funzionamento   degli   enti
territoriali, nonche' ulteriori disposizioni  in  favore  delle  zone
terremotate nel maggio 2012», convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 7 dicembre 2012, n. 213, di  poco  antecedente  all'entrata  in
vigore della legge cost. n. 1/2012. 
    Esso viene svolto in base  alla  prefata  disposizione  normativa
(art. 1, comma 3, del decreto-legge n. 174/2012), la quale stabilisce
che  «Le  sezioni  regionali  di  controllo  della  Corte  dei  conti
esaminano i bilanci preventivi e i rendiconti consuntivi [...]  degli
enti che compongono il Servizio sanitario nazionale, con le modalita'
e secondo le procedure di cui all'art. 1, commi 166 e seguenti, della
legge 23 dicembre 2005, n. 266, per la verifica  del  rispetto  degli
obiettivi  annuali   posti   dal   patto   di   stabilita'   interno,
dell'osservanza del vincolo  previsto  in  materia  di  indebitamento
dall'art. 119, sesto comma, della Costituzione, della  sostenibilita'
dell'indebitamento e dell'assenza di  irregolarita'  suscettibili  di
pregiudicare,     anche     in     prospettiva,     gli     equilibri
economico-finanziari degli  enti.  I  bilanci  preventivi  annuali  e
pluriennali e i rendiconti delle regioni con i relativi allegati sono
trasmessi alle competenti sezioni regionali di controllo della  Corte
dei conti dai presidenti delle regioni con propria relazione.». 
    La norma riproduce  la  formulazione  ed  i  contenuti  dell'art.
148-bis TUEL (introdotto  dall'art.  3,  comma  1,  lettera  e),  del
medesimo decreto-legge n. 174/2012), con la sola differenza che  tale
controllo si espleta sugli enti del Servizio sanitario nazionale,  il
cui  bilancio  e'   organizzato   su   una   contabilita'   di   tipo
economico-patrimoniale,  senza  che  il  preventivo   abbia   effetto
autorizzatorio,  come   e'   tipico   della   contabilita'   pubblica
finanziaria. 
    Il budget (art. 25, decreto legislativo n. 118/2011), infatti, ha
soltanto finalita' ed effetti programmatici, vincolando gli  enti  ad
obiettivi che rilevano sotto il profilo del  controllo  strategico  e
dei vincoli contabili da realizzare a rendiconto. Si tratta cioe'  di
bilanci che, pur mancando della  fase  della  fissazione  e  verifica
dell'equilibrio  statico  (mediante  la  fissazione   preventiva   ed
autorizzatoria della spesa in base alle entrate previste),  rimangono
governati dalla clausola  generale  dell'equilibrio  dinamico  (Corte
costituzionale, sentenza n.  70/2012).  In  pratica,  l'emersione  di
squilibri, misurati dai saldi di bilancio, impone un mutamento  degli
obiettivi di conto economico (costi e ricavi)  e  le  modifica  delle
scritture che si rivelassero irregolari. 
    Scopo del procedimento di controllo di cui all'art. 1,  comma  3,
del decreto-legge n.  174/2012  (come  dell'art.  148-bis  TUEL)  e',
segnatamente,   la   misurazione    degli    equilibri    conseguente
all'accertamento di irregolarita' contabili, tramite appositi  indici
e     saldi     tecnico-contabili,     che     nella     contabilita'
economico-patrimoniale sono il patrimonio netto (Pn) ed il  risultato
di esercizio (utile/perdita). 
    Il controllo sul bilancio degli enti pubblici, nelle  loro  varie
articolazioni, in questo  caso  sugli  enti  del  Servizio  sanitario
nazionale  (SSN),  costituisce   uno   strumento   di   certezza   ed
effettivita' degli equilibri di bilancio, nel sistema  della  finanza
pubblica allargata (art. 20, legge n. 243/2012). 
    Nel  nuovo  sistema  costituzionale,  si   conferma   quindi   la
necessita' di un giudice del bilancio e segnatamente la  funzione  di
controllo della Corte (art. 100 comma 2 Cost., prima  parte)  tramite
cui e' possibile verificare il rispetto del «diritto sul bilancio»  e
piu' a monte dei precetti costituzionali in  materia  di  equilibrio.
Sicche', emerge con evidenza che la verifica della «sincerita'» delle
poste di bilancio e dei suoi saldi, con l'attribuzione  ad  essi  del
valore della  certezza,  costituisce  la  primigenia  e  fondamentale
materia di contabilita' pubblica (art. 103, comma 2 Cost.) attribuita
direttamente dalla Corte, senza interpositio legislatoris. 
    Il     giudizio     e      l'accertamento      contabile,      di
legittimità-regolarita',  assicura  la  certezza  del   diritto   del
bilancio e costituisce la  garanzia  degli  interessi  adespoti  alla
informazione  corretta  sui   risultati   della   gestione   e   alla
funzionalita' del bilancio  rispetto  agli  obiettivi  fissati  dalla
legge, nei limiti tracciati dalla Costituzione. 
    In quest'ottica, gli illeciti contabili che la Corte generalmente
accerta e sui cui ha giurisdizione  e  controllo  sono  «illeciti  di
evento», nel senso che  devono  produrre  una  lesione  del  precetto
dell'equilibrio,  alterando  la  rappresentazione  del   bilancio   e
l'effettiva capacita' di sostenere costi e spese. In altri  casi,  la
legge affida alla Corte la giurisdizione su veri e  propri  «illeciti
di condotta», ossia la violazione di taluni parametri che arrecano di
per se' un sicuro danno  all'equilibrio  e  alla  sostenibilita'  del
ciclo di bilancio (articoli 81 e 97 Cost.). 
    Tali illeciti di  condotta  (fermo  restando  l'evento  in  senso
giuridico  della  lesione  del   bene   pubblico   bilancio),   nella
fattispecie  del  controllo  di  cui  all'art.   1,   comma   3   del
decreto-legge  n.  174/2012  coincidono  con  la  violazione   «degli
obiettivi  annuali  posti  dal  patto  di  stabilita'  interno»,  con
l'inosservanza «del vincolo  previsto  in  materia  di  indebitamento
dall'art. 119, sesto comma, della Costituzione»,  con  l'accertamento
della  insostenibilita'   dell'indebitamento   (per   violazione   di
parametri di legge). 
    In tali casi,  infatti,  la  legge  «tipizza»  comportamenti  che
costituiscono ex se forme  di  lesione  del  bilancio,  riconnettendo
ipotesi di responsabilita' erariale all'accertamento  compiuto  dalla
Corte, iniziato  nell'area  del  controllo  e  proseguito  in  quella
giurisdizionale (cfr. SRC Campania, n. 240/2017/PRSP in relazione  al
patto  di  stabilita',  nonche'  le  sentenze  Corte  conti   Sezione
giurisdizionale Puglia nn. 314/2019 e Sezione giurisdizionale Abruzzo
decreto n. 1/2019). 
    1.1. Sul piano degli effetti giuscontabili - all'accertamento  di
tali irregolarita' e del loro impatto sugli  equilibri  espressi  dal
patrimonio netto e dal risultato di esercizio - la legge ricollega la
necessita' di azioni conformative da parte del soggetto  controllato,
volte  a  superare  le  criticita'  rilevate  (art.   1,   comma   7,
decreto-legge n.  174/2012),  sia  in  termini  di  «sincerita'»  del
bilancio, mediante una  correzione  delle  scritture  contabili,  sia
mediante una riprogrammazione  delle  azioni  di  gestione  (art.  25
decreto  legislativo  n.  118/2011),  conseguente  ad   una   diversa
situazione contabile (c.d. «misure correttive», le  quali  consistono
in  «provvedimenti  idonei  a  rimuovere   le   irregolarita'   e   a
ripristinare gli equilibri di bilancio»). 
    Il contenuto e l'impatto quantitativo delle misure correttive  di
cui  vengono  ope  legis  onerati  gli  enti   controllati,   dunque,
presuppongono  e  dipendono  dalla  misurazione  dello   scarto   tra
equilibri effettivi accertati dalla  Corte  dei  conti  ed  equilibri
certificati dai bilanci  approvati,  tramite  i  saldi  tipici  della
contabilita' patrimoniale: patrimonio netto e risultato di esercizio. 
    Giova rammentare che  nella  contabilita'  economico-patrimoniale
(art. 2424 c.c.), il  patrimonio  netto  e'  il  saldo  in  grado  di
esprimere  -  nella  continuita'  degli  esercizi  -  la  complessiva
coerenza  tra  risorse  e   impegni,   in   funzione   dell'obiettivo
dell'organizzazione (in questo caso, «pubblica», per  risorse,  fonti
giuridiche e scopi),  laddove  nella  contabilita'  finanziaria  tale
capacita'  rappresentativa  e'  espressa  dal  saldo:  «risultato  di
amministrazione» (art. 42, decreto legislativo n. 118/2011). 
    Tali  saldi,  nelle  due  contabilita',  costituiscono  l'oggetto
fondamentale dell'accertamento del giudice contabile. 
    Del resto, proprio  di  recente,  la  Corte  costituzionale,  con
riguardo all'art. 1, comma 3, del decreto-legge n. 174/2012 - sebbene
con riferimento al bilancio consuntivo  della  regione,  approvato  a
valle del giudizio di parifica (art. 1, comma 5 del decreto-legge  n.
174/2012) - ha ricordato che «compito della Corte dei  conti,  [...],
e' accertare  il  risultato  di  amministrazione,  nonche'  eventuali
illegittimita' suscettibili di pregiudicare,  anche  in  prospettiva,
gli equilibri economico-finanziari degli enti (art. 1, comma  3,  del
decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174,  [...]),  i  rimettenti  hanno
esaurientemente spiegato l'effetto  preclusivo  che  le  disposizioni
impugnate avrebbero sul controllo di legittimita'  delle  partite  di
spesa [...]» (sent. n. 138/2019, § 6 in diritto). 
    Mutatis mutandis, il thema decidendum del  controllo  sugli  enti
del Servizio sanitario nazionale, previsto dall'art. 1, comma 3,  del
decreto-legge n. 174/2012, e' accertare la  corretta  dimensione  del
patrimonio netto e con esso lo stato  degli  equilibri,  rispetto  ai
quali discendono per l'ente controllato gli effetti  conformativi  di
cui all'art. 1, comma 7, del medesimo decreto-legge n. 174/2012. 
    In buona sostanza: a) l'oggetto del giudizio di  controllo  della
Corte dei conti e' il  bilancio;  b)  il  parametro  e'  la  clausola
generale dell'equilibrio,  misurato  alla  stregua  dei  coefficienti
propri del tipo di contabilita' prescelto. 
    Tale procedimento puo' portare all'accertamento di  irregolarita'
contabili, che in  ragione  delle  alterazioni  anche  «prospettiche»
degli equilibri (misurati dai saldi fondamentali del patrimonio netto
e  del  connesso  risultato  di  esercizio),  comporta,  ope   legis,
l'insorgenza di doveri di comportamento contabile. 
    Il principale effetto conformativo e'  l'insorgenza  dell'obbligo
giuscontabile di adozione di misure  correttive  da  parte  dell'ente
controllato, consistente nelle necessarie correzioni delle  scritture
contabili e nella modifica della  politica  di  budgeting  (art.  25,
decreto legislativo n. 118/2011). 
    In  buona  sostanza,  la  quantificazione  dello  squilibrio   e'
parametro  di  misurazione  delle  misure   correttive   che   l'ente
controllato e' tenuto ad assumere e, quindi, parametro concreto di un
diverso e distinto procedimento di controllo (cfr.  SRC  Campania  n.
107/2018/PRSP e SS.RR., sentenza n. 5/2019/EL) in cui  la  Corte  dei
conti e'  tenuta  a  verificare  l'adempimento  del  ridetto  obbligo
giuscontabile. L'accertamento di un  inadempimento  rispetto  a  tale
obbligo di diritto pubblico, comporta, ope  legis,  il  c.d.  «blocco
della spesa» (art. 1, comma 7,  decreto-legge  n.  174/2012,  seconda
parte). Il principale effetto conformativo e'  dunque  rilevante  per
l'ente controllato, ma anche per la stessa Corte dei conti, in quanto
costituisce il presupposto di fatto ed il parametro concreto  per  lo
svolgimento di controlli successivi. 
    Lo stesso accertamento, peraltro, e' foriero di ulteriori effetti
conformativi  che  non  si  limitano  all'ente  controllato,  ma   si
estendono   agli   altri    soggetti    pubblici    che    concorrono
all'organizzazione del servizio sanitario. 
    Infatti, come e' noto, se da un lato l'organizzazione dei servizi
sanitari e' di  competenza  delle  regioni,  che  devono  nella  loro
autonomia (art. 119 Cost.) assicurare l'equilibrio del loro  bilancio
e quello delle loro articolazioni organizzative  (art.  97,  comma  1
Cost.), per  altro  verso,  costituisce  loro  incombenza  dotare  le
aziende sanitarie, strumentali alla svolgimento di  tale  competenza,
di mezzi finanziari sufficienti a erogare  i  livelli  essenziali  di
assistenza che, in materia  di  tutela  della  salute,  costituiscono
«livelli essenziali delle prestazioni» in materia di diritti civili e
sociali di cui all'art. 117, comma 2°, lettera m) Cost., ossia quelle
prestazioni    costituzionalmente    necessarie    per     assicurare
l'uguaglianza nell'esercizio del  diritto  fondamentale  alla  salute
(articoli 2, 3 e 32 Cost.), per cui lo Stato  deve  erogare  appositi
finanziamenti (art. 119 Cost.; art. 25 e ss. del decreto  legislativo
n. 68/2011). 
    La sufficienza e adeguatezza del finanziamento, prima regionale e
poi  statale,  per  assicurare  l'erogazione  dei  LEA,  puo'  essere
misurata solo tramite bilanci trasparenti e veritieri delle  medesime
aziende sanitarie. 
    1.2. L'accertamento della Corte dei conti, infatti, non e'  privo
di effetti giuridici, oltre che  sulle  amministrazioni  controllate,
anche sugli enti che hanno rispetto  ad  esse  competenze,  poteri  e
responsabilita' (funzioni «tutorie»), in ordine al  ripristino  degli
equilibri   (regioni)   e    alla    garanzia    delle    prestazioni
costituzionalmente necessarie (per lo Stato, cfr. art. 117, comma  2,
lettera m) Cost. in punto di competenza,  l'art.  120  in  merito  al
potere  sostitutivo  e  l'art.  119,  in   punto   di   autonomia   e
finanziamento solidale). 
    Infatti, le situazioni di disavanzo sanitario possono determinare
l'obbligo della finanza statale e regionale di intervenire a garanzia
dei LEA (art. 119, comma 5 Cost.): cosi' lo Stato deve intervenire  a
garanzia della tenuta complessiva  del  sistema  sanitario  regionale
(cosi' come accaduto con la con l'art.  1,  comma  796,  lettera  b),
legge 27 dicembre 2006, n. 296), mentre per altro  verso  le  regioni
provvedono con appositi contributi a ripianare le perdite dei singoli
enti (cfr. art. 29, comma 1, lettera d) del  decreto  legislativo  n.
118/2011). 
    Di conseguenza - essendo il precetto dell'art. 97, comma 1  Cost.
una clausola generale  che  ha  come  effetto  tipico  costituzionale
l'obbligo di ripristino dell'equilibrio violato (Corte cost. sentenza
nn. 192/2012 e  en  250/2013)  -  mentre  le  stesse  amministrazioni
controllate devono immediatamente adottare comportamenti  correttivi,
sul  terreno  delle  scritture  contabili  e  della  riprogrammazione
gestionale, per eliminare le cause dello squilibrio, l'ente regionale
deve verificare gli equilibri ed eventualmente compensare il  deficit
di risorse che il ciclo di produzione aziendale non  e'  da  solo  in
grado di riassorbire. 
    Infatti,  a  garanzia  della  continuita'   dell'erogazione   del
servizio sanitario e per evitare situazioni siffatte, l'art. 1, comma
174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311,  impone  alle  regioni  di
garantire il complessivo equilibrio economico del servizio sanitario,
attribuendo poteri di carattere sostitutivo allo Stato,  ex  art.  8,
comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131. 
    Il  successivo  comma  180  stabilisce  che  le  regioni   devono
assicurare  il  complessivo  equilibrio  economico  finanziario   del
sistema sanitario regionale, provvedendo ad  una  ricognizione  delle
cause ed alla conseguente elaborazione di un programma  operativo  di
riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento,  di  durata
non superiore ad un triennio. 
    Con  riguardo  alle  singole  situazioni  aziendali,   ai   sensi
dell'art. 1, commi 524-536, della legge 28 dicembre 2015, n. 208,  le
regioni devono individuare  i  singoli  enti  del  sistema  sanitario
regionale da sottoporre a piani di rientro per il  risanamento  della
propria situazione aziendale, sulla base di una disciplina dettata da
un decreto interministeriale, in  attesa  di  emanazione,  a  seguito
della   sentenza   n.   192/2017    della    Corte    costituzionale.
L'inadempimento  degli  obblighi  di  rientro  puo'  determinare   la
decadenza del manager preposto (comma 534). 
    Nel caso  della  Regione  Campania,  e'  stato  in  questo  senso
adottato il recente decreto n. 46/2018 del Commissario ad  acta,  che
espressamente  ritiene  «il  mancato  raggiungimento  dell'equilibrio
economico [...] ovvero dei  risultati  programmati  [...]  motivo  di
decadenza automatica del direttore  generale  dell'azienda  sanitaria
inadempiente,   fatte   salve   le   ulteriori   sanzioni    previste
dall'ordinamento». 
    2. Natura e funzione rappresentativa del patrimonio  netto  nella
contabilita' economico-patrimoniale  «pubblica».  Le  variazioni  del
patrimonio netto da un esercizio all'altro  costituiscono  un  indice
deputato ad esprimere gli equilibri economico-finanziari di gestione.
Tali variazioni  sono  espresse,  principalmente,  dal  risultato  di
esercizio (utile/perdite) che a sua volta  incide  sulla  consistenza
del patrimonio netto stesso (composto, al suo interno:  dal  capitale
di dotazione, dalle riserve, dagli utili non  distribuiti,  al  netto
delle perdite da ripianare, cfr. art. 2424 c.c.). 
    Il patrimonio netto e' anche  definito  come  differenza  tra  le
attivita'  e  passivita'  (saldo)  aziendali.  Per  questo,  il   Pn,
considerato nel suo valore assoluto a fine esercizio, esprime,  nella
continuita' di bilancio, l'equilibrio  tra  le  risorse  presenti  (i
finanziamenti contabilizzati tra le «passivita'») ed i loro  impieghi
(contabilizzati tra le «attivita'»), i quali ultimi devono essere  in
grado di generare reddito e di sostenere il  costo  del  rinnovo  del
ciclo  aziendale  (conto  economico),   garantendo   la   continuita'
dell'azienda medesima (principio di continuita'). 
    Il saldo positivo tra attivita' e passivita' (in cui consiste  il
patrimonio netto) esprime la capacita' dell'azienda  di  sostenere  e
finanziare il ciclo aziendale; il saldo negativo, invece, un  deficit
di risorse per il quale  e'  evidente  che  la  capacita'  produttiva
dell'azienda  e'  impegnata  primariamente  a  ripianare  il   debito
pregresso, piuttosto che a creare nuovo valore. 
    In  questo  senso,  per  gli  enti   pubblici   in   contabilita'
economico-patrimoniale (art. 2424 c.c.), il Pn rappresenta  un  saldo
in grado di fornire informazioni simili a quelle rese  dal  risultato
di amministrazione per gli enti territoriali diversi dallo  Stato  in
contabilita'  finanziaria:  cosi'  come  il  risultato  di  esercizio
(utile/perdita) esprime l'equilibrio nel  ciclo  di  reddito  in  una
singola unita' temporale (esercizio) alla stregua di  quanto  fa,  in
contabilita' finanziaria, il risultato di gestione  (avanzo/disavanzo
di gestione), il Pn, come il risultato di amministrazione, mostra se,
nella  continuita'  degli  esercizi,  l'ente  e'  ghermito   da   una
situazione debitoria, derivante dagli esercizi  precedenti,  che  gli
impedisce  di  impiegare  le  risorse  che  si  rendono  disponibili,
primariamente, a scopi produttivi di nuovi beni e  servizi,  a  causa
della pressione che deriva dal debito pregresso. 
    Esso si ottiene, infatti, algebricamente come la  differenza  tra
le attivita' e le passivita' rappresentate nello Stato patrimoniale e
misura il valore economico della ricchezza propria dell'azienda e  se
(e in che misura)  sussistono  le  condizioni  della  proseguibilita'
dell'attivita' aziendale.  Infatti,  astrattamente,  il  Pn  fornisce
un'informazione  elementare  e  cioe'  quale   ricchezza   rimarrebbe
all'azienda ove, al tempo «t», si procedesse  a  liquidare  e  pagare
tutte le passivita' generate dai fatti di gestione. La ricchezza  che
residua deve essere peraltro in grado  di  rifinanziare  gli  impegni
necessari a riattivare il successivo ciclo di reddito. 
    Di conseguenza, l'accertamento contabile della reale  consistenza
del patrimonio netto (per effetto di irregolarita'  che  incidono  in
diminuzione sul suo valore, ad esempio, mediante una riduzione  delle
attivita' e/o un aumento delle passivita') e' in grado  non  solo  di
acclarare lo stato degli equilibri, ma anche di  costituire  premessa
per il procedimento decisionale da parte degli organi delle pubbliche
amministrazioni,  che  possono  cosi'  valutare   quale   spazio   e'
disponibile per un nuovo eventuale indebitamento sostenibile e/o  per
l'erogazione di maggiori beni e servizi, funzionali allo  svolgimento
delle proprie  attivita'  pubbliche.  In  caso  di  patrimonio  netto
negativo,  sarebbe  per  contro  necessario  programmare  azioni   di
ripiano, anche sinergiche con altri  enti  che  hanno  competenze  in
materia di garanzia della effettiva erogazione dei LEA (articoli  119
e 120 Cost.), secondo standard di uguaglianza, poiche' lo  squilibrio
puo' pregiudicare la destinazione  delle  risorse  verso  prestazioni
necessarie per legge o Costituzione (art. 117 comma  2,  lettera  m),
Cost.). 
    2.1.  Dal  punto  di  vista  della  disciplina   applicabile,   a
differenza delle articolate disposizioni  dedicate  precipuamente  al
bilancio pubblico in contabilita' finanziaria, emanate con il decreto
legislativo n. 118/2011, il regolamento contabile rilevante  per  gli
enti del Servizio sanitario nazionale e' determinato, per  il  rinvio
effettuato  dallo  stesso  decreto  legislativo  n.  118/2011,  dalla
disciplina del codice civile  e,  implicitamente  (per  il  carattere
elastico  delle  norme  contabili  legali),  dalle   norme   tecniche
elaborate dalla scienza aziendale  e  dai  principi  contabili  degli
organi professionali. 
    Gli enti del servizio sanitario,  infatti,  adottano  il  sistema
della contabilita' economico-patrimoniale (art. 26 e art. 19, lettere
b), punto i), c)  e  d)  del  comma  2  del  decreto  legislativo  n.
118/2011).  Inoltre,  per  la  redazione  del  bilancio  d'esercizio,
applicano la disciplina civilistica (articoli  da  2423  a  2428  del
codice civile), fatto salvo quanto espressamente disposto dal decreto
legislativo n. 118/2011 ed i  suoi  allegati,  in  particolare  dagli
Allegati 2, 2/1, 2/3, 2/4. 
    2.2. Cio' premesso, fatta salva la disciplina speciale di  legge,
la struttura  e  la  funzione  del  patrimonio  netto  delle  aziende
sanitarie  si  identifica  con  quella  civilistica  e,  tramite   la
disciplina di diritto comune (art. 2424 del codice civile,  comma  1,
lettera A del  Passivo  dello  Stato  patrimoniale),  con  la  logica
contabile del sistema economico-patrimoniale, elaborata dalla scienza
ragionieristico-aziendale. 
    In generale, il passivo dello Stato patrimoniale indica tutte  le
«fonti» di finanziamento dell'attivita' aziendale, cui  corrispondono
gli impieghi  dell'attivo  patrimoniale.  All'interno  dello  stesso,
peraltro, occorre distinguere tra il  patrimonio  netto  e  le  altre
passivita'. 
    L'istituto giuscontabile  del  «Patrimonio  netto»  consiste,  in
primo luogo, in una fonte di finanziamento dell'attivita'  aziendale,
caratterizzantesi per  la  peculiarita'  della  provenienza  e  delle
aspettative  di  restituzione  e  remunerazione.  Esso,  infatti,  si
connota come «capitale proprio  e  di  rischio»,  da  trasformare  in
«impieghi» aziendali. Gli impieghi aziendali, pertanto, sono in primo
luogo il risultato della  trasformazione  del  capitale  proprio  (di
rischio), nonche', in secondo luogo, di quello di terzi. 
    Dal punto di vista della  composizione,  nel  sistema  a  partita
doppia, esso e'  composto  dal  capitale  sociale  (recte,  fondo  di
dotazione, essenziale  per  la  prosecuzione  dell'attivita'),  dalle
riserve e dagli utili non distribuiti. A tale valore vanno  sottratte
le perdite da ripianare (cfr. art. 2424 del codice civile,  Voce  «A»
del Passivo). Il saldo che ne risulta,  come  si  vedra'  tra  breve,
grazie al sistema della partita  doppia,  e'  esattamente  uguale  al
saldo complessivo tra «attivita'» e passivita'». 
    Infatti, e per altro verso, il patrimonio netto va distinto dalla
passivita' vere e proprie (art. 2424 del codice civile  lettere  B  e
seguenti del Passivo), elencate nelle  voci  successive  del  passivo
Stato patrimoniale: esse riguardano i debiti  della  societa'  con  i
terzi, per la disponibilita' di capitale conferito,  suscettibile  di
richieste di restituzione (claims). 
    In  quest'ambito,  il  patrimonio  netto   si   distingue   dalle
passivita' in senso tecnico: a) per la natura, in  quanto  misura  il
capitale investito stabilmente dai proprietari dell'azienda  (la  cui
restituzione e remunerazione e' del tutto eventuale ed aleatoria); b)
per la sua  funzione  informativa,  in  quanto  ogni  sua  variazione
esprime un indice sintetico e  globale  del  successo  dell'attivita'
aziendale  nella  continuita'  temporale  e  contemporaneamente,   se
riguardato in  termini  assoluti,  indica  le  condizioni  della  sua
perseguibilita', condizionando la successiva programmazione. 
    In  definitiva,  nella  contabilita'  economico-patrimoniale   il
complessivo attivo patrimoniale (gli  impieghi  delle  risorse,  «A»)
equivale alla somma del valore complessivo delle fonti proprie  e  di
terzi, cioe' delle passivita' (claims, «P»,  ovvero  il  capitale  di
terzi) e del patrimonio netto (ergo, A=P+Pn). Per tale ragione, il Pn
si puo' definire algebricamente  come  il  valore  differenziale  tra
attivita' e passivita' (Pn=A-P). 
    Si tratta quindi di un saldo che, se negativo, misura l'eventuale
deficit di risorse che deve essere reintegrato. Se positivo,  invece,
esprime  il  margine   per   sostenere   prospetticamente   l'aumento
dell'indebitamento verso il mercato, per effetto della crescita delle
passivita' (aumento del ricorso a  capitale  di  terzi),  determinata
dallo squilibrio emerso a valle del processo  di  investimento  e  di
finanziamento della gestione corrente.  In  ogni  caso,  il  Pn  deve
assicurare un surplus idoneo a garantire la continuita' dell'azienda,
tale  da  conservare  quanto  meno  il  fondo  di  dotazione  perche'
altrimenti, per pagare tutti i debiti,  l'azienda  dovrebbe  disfarsi
anche dei suoi beni strumentali essenziali. 
    2.3. Se il Pn, alla stregua  delle  passivita'  vere  e  proprie,
finanzia in modo non dissimile e unitario gli impieghi  aziendali  ed
il ciclo economico, se ne  differenzia  profondamente  per  natura  e
funzione  rappresentativa  (funzione  che  esso  esercita  verso  gli
stakeholders). 
    Esso si trova allocato nella sezione finale del Passivo, perche',
lato sensu, costituisce un «debito» peculiare, per destinatario e per
esigibilita'. La natura del «debito» che esso  rappresenta,  infatti,
e' di tipo aleatorio: esso esprime il  quantum  che  l'organizzazione
sarebbe    tenuta     a     restituire     ai     suoi     «mandanti»
(principal/stakeholders) una volta  esaurito  o  cessato  il  mandato
aziendale. Tale debito di «organizzazione» e  tale  restituzione,  e'
doppiamente  eventuale  ed  aleatoria,  in  quanto  subordinata:   a)
all'evento eccezionale dell'interruzione dell'attivita' aziendale, b)
alla esistenza di un  surplus  patrimoniale  rispetto  al  monte  dei
debiti verso «terzi». 
    Sul     primo     piano     (natura),     dunque,     per     gli
investitori/proprietari, esso esprime un credito aleatorio  e  quindi
un capitale di rischio, poiche' la restituzione  e  la  remunerazione
del capitale investito dipendono da un evento, futuro ed incerto  (il
successo dell'attivita' aziendale, espresso dall'utile), mentre,  per
l'azienda   stessa   puo'   essere   considerato   un   «debito    di
organizzazione» che diventa esigibile solo in  caso  di  interruzione
dell'attivita' aziendale. 
    Quanto al  secondo  piano  (funzione),  il  Pn  ha  una  funzione
informativa essenziale per la verifica della  capacita'  dell'azienda
di sostenersi, nel  tempo,  coi  capitali  investititi.  Esso  quindi
rappresenta un elemento informativo essenziale per la prosecuzione  e
programmazione della successiva attivita' aziendale e per la verifica
del merito creditizio o di margini per  ulteriore  indebitamento.  La
sua crescita o la sua diminuzione, infatti, esprimono il  successo  o
l'insuccesso della mission aziendale. 
    Inoltre esso misura la ricchezza economica dell'azienda  e  della
sua proprieta' pubblica. La sua riduzione al di sotto del livello  di
pareggio equivale alla certificazione che  la  gestione  corrente  e'
risultata inefficiente e le sue perdite hanno distrutto la  ricchezza
originaria. In  altri  termini:  l'accertamento  di  un  Pn  negativo
equivale alla rilevazione  della  distruzione  integrale  del  valore
economico delle risorse necessarie  alla  sopravvivenza  dell'azienda
stessa e della sussistenza del  pregiudizio/rischio  di  interruzione
della continuita' aziendale. 
    Per contro, la presenza di un surplus esprime la presenza di  una
eccedenza di ricchezza e misura il margine  della  sostenibilita'  di
eventuali, future, perdite (per la  crescita  di  debiti  e  costi  a
fronte di ricavi insufficienti). 
    Nelle aziende di erogazione, in assenza di un capitale legale, la
sua consistenza finale non puo' essere in ogni caso inferiore a  zero
e  deve  corrispondere  ad  un  surplus  pari  al  valore  dei   beni
strumentali  essenziali  per  la  prosecuzione   dell'azienda.   Esso
rappresenta quindi l'equilibrio dinamico  di  bilancio,  mettendo  in
relazione il risultato  della  gestione  con  quelli  degli  esercizi
precedenti, alla stregua di quanto avviene con il «risultato». 
    Cosicche' si puo' affermare che il Pn (ed il suo valore  assoluto
a fine esercizio) esprime  gli  equilibri  di  bilancio  dell'azienda
sanitaria consistenti in:  a)  un  «accreditamento»  in  caso  di  Pn
positivo  (capitale  proprio   «impiegato»   nell'azienda);   b)   un
«indebitamento» in caso di Pn negativo (ovvero un deficit di  risorse
rispetto alle passivita' complessive, che deve essere necessariamente
ripianato, a pena dell'innesto di tensioni di cassa o economiche  che
possono impedire la prosecuzione del ciclo di produzione/erogazione). 
    La variazione del Pn, inoltre, e' un indice di performance su cui
svolgere una valutazione  in  ordine  alla  corretta  esecuzione  del
mandato da parte dei dirigenti (cfr. §§ 1.1. e 1.2.), e, insieme alla
sua consistenza, costituisce la permessa per le successive  decisioni
aziendali, anche in termini di ricorso al finanziamento da  parte  di
terzi (art. 25, decreto legislativo n. 118/2011), ma soprattutto, nel
sistema della contabilita' pubblica delle aziende di  erogazione,  da
parte degli stessi proprietari aziendali (la Regione e lo  Stato  che
devono eventualmente intervenire in funzione di «ripiano  perdite»  a
garanzia dell'erogazione dei LEA). 
 
                        Considerato in fatto 
 
    1. Con relazione istruttoria  del  Magistrato  addetto  l'ASL  di
Caserta  e'  stata  a  chiamata  a  contraddire  su  una   serie   di
irregolarita'  contabili,  rilevate  sui   bilanci   2016   e   2017,
segnatamente: 
        a) dubbi sulle procedure di sicurezza informativa a  presidio
della  immodificabilita'  delle  scritture   contabili   a   chiusura
dell'esercizio. Le scritture contabili devono infatti  essere  tenute
secondo le consuete norme contabili (v. in particolare  gli  articoli
2215-bis e 2220 terzo comma c.c.): ove le stesse siano conservate  su
supporti informatici senza l'utilizzazione delle prescritte procedure
di tenuta  e  conservazione  dei  documenti  in  formato  elettronico
(articoli 39 e 71 decreto legislativo n. 82/2005 e correlati  decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri 3 dicembre 2013  e  decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri 13  novembre  2014  nonche'
DMEF 17 giugno 2014) se ne inficia l'attendibilita'; 
        b) mancata inventariazione dei beni mobili,  con  conseguente
incertezza sul valore  contabilizzato  nelle  immobilizzazioni  dello
stato patrimoniale.  Come  e'  noto,  infatti,  l'inventario  e'  una
scrittura  obbligatoria  della  contabilita'   economico-patrimoniale
(art.  2214  c.c.),  necessaria  per  l'elaborazione   del   bilancio
d'esercizio. Per l'effetto, ai  fini  del  giudizio  contabile  sugli
equilibri che deve essere reso da questo giudice, il valore  iscritto
nei bilanci 2016 e 2017 non puo' far prova a favore del soggetto  che
tale contabilita' ha predisposto (art. 2709-2711 c.c.), per  mancanza
della regolare, sottostante, scrittura obbligatoria di secondo  grado
(l'inventario). Il valore  contabilizzato  dovrebbe,  per  l'effetto,
essere abbattuto ai fini del  calcolo  prudenziale  degli  equilibri,
fino a completamento del processo contabile di inventariazione; 
        c) mancanza di contabilita' analitica e obbligatoria in grado
di mappare il fenomeno del contenzioso e di prevenire il fenomeno dei
«doppi pagamenti» con  i  privati  accreditati,  specie  in  sede  di
esecuzione; 
        d) incoerenza tra i  dati  di  conto  economico  (CE),  stato
patrimoniale (SP) e nota integrativa (NI), in  ordine  ai  crediti  e
connessa sottovalutazione del fondo svalutazione  e  dubbi  sul  loro
valore di effettivo realizzo.  Infatti,  in  base  alle  disposizioni
civilistiche, non derogate dalla disciplina del  decreto  legislativo
n. 118/2011, la valutazione dei crediti avviene in base al valore  di
presumibile realizzazione (art. 2426, n. 8 c.c.).  Nel  rispetto  del
principio di prudenza e verita', essi vanno iscritti  nel  patrimonio
al netto delle poste rettificative. In base  agli  Allegati  2,  2/1,
2/3, 2/4 del decreto legislativo n.  118/2011  (spec.  All.  2/3)  il
«fondo svalutazioni crediti» (FSC) e' esterno allo Stato patrimoniale
(SP) e al Conto economico (CE), ed e' un  fondo  che  opera  nettando
direttamente il montante dei crediti in SP. Esso si alimenta mediante
progressivi accantonamenti annuali al CE. La  nota  integrativa  (NI)
deve dare dettagliata informazione dei movimenti, dei contenuti e del
FSC; 
        e) ritardi nei pagamenti e diffusa patologia  in  termine  di
pignoramento sistemico della cassa e fenomeno di «doppi pagamenti»; 
        f) mancanza di adeguata contabilita' analitica per completare
le informazioni del Modello LA, separando costi diretti  e  correlati
ricavi per l'erogazione dei LEA (livelli essenziali di assistenza  in
campo sanitario) da quelli indiretti e generici, in coerenza  con  le
esigenze di  costituzionalita'  del  sistema  contabile,  evidenziate
nella sentenza n. 169/2017 della Corte costituzionale,  nel  rispetto
di quanto stabilito l'art. 20 del decreto legislativo n. 118/2011. 
    2. Per completare il quadro informativo e instaurare la  pienezza
del contraddittorio  sulle  conclusioni  istruttorie  del  Magistrato
istruttore,  quest'ultimo  chiedeva  al  Presidente  di  deferire  in
adunanza pubblica l'ASL e di consentire all'ente medesimo: 
        i) di presentare memorie e scritti su tutte le anomalie sopra
elencate; 
        ii) inoltre,  ed  in  particolare,  di  fornire  le  seguenti
informazioni e documentazioni mancanti: 
          attestazione da parte del provider del sistema  informativo
sulla immodificabilita' delle scritture  gia'  chiuse  (procedure  di
sicurezza informatica e tracciabilita'); 
          conferma del corretto ammontare dei crediti al 31  dicembre
2017, spiegando le ragioni della contraddittorieta' dei dati  esposti
in bilancio,  sia  in  tale  annualita'  che  in  quella  precedente,
spiegando, in particolare, la ragione della mancata evidenziazione di
accantonamenti in Conto economico 2017  e  l'inadeguata  svalutazione
dei crediti alla luce delle considerazioni del Collegio sindacale; 
          budget 2019; 
          preconsuntivo 2018; 
          motivare sulle anomalie riscontrate sul bilancio  2017,  in
ragione dei possibili effetti sugli esercizi successivi,  specie  con
riferimento alle patologie del sistema degli accantonamenti. 
    La relazione di deferimento veniva  regolarmente  comunicata  con
ordinanza presidenziale all'ente controllato  (ordinanza  n.  23/2019
del 4 aprile 2019), il quale veniva convocato  in  adunanza  pubblica
nel giorno 18 aprile 2019. 
    3. Nella data fissata per l'adunanza pubblica e  nei  termini  di
cui  alla  citata  ordinanza  presidenziale,  l'ente  sanitario   non
presentava memorie ne'  interveniva  con  propri  rappresentanti  per
sostenere  il  contraddittorio  sui  temi  sollevati  dal  Magistrato
istruttore. 
    Nella conseguente Camera di consiglio, il  Collegio  rilevava  la
necessita' di integrare il quadro informativo ed  il  contraddittorio
con riferimento alla situazione del patrimonio netto (Pn),  non  solo
alla luce delle anomalie comunicate con il deferimento, ma  anche  in
relazione alla modalita'  di  contabilizzazione  dei  «contributi  in
conto capitale», impiegati per legge per  la  neutralizzazione  degli
ammortamenti, nonostante siano, in  base  alla  stessa  legge,  anche
inclusi nel patrimonio netto. 
    In sintesi, le conclusioni di fatto desumibili dallo stato  degli
atti  istruttori  si  traducevano  in  tre  potenziali  irregolarita'
contabili,  cosi'  quantificabili,  tutte  e  tre   suscettibili   di
impattare, direttamente o indirettamente, sul valore  del  patrimonio
netto: 
        1) il valore contabilizzato per i beni diversi dagli immobili
(cfr.  bilancio  2017,  Attivo  SP  Voce  A,  II,   «Immobilizzazioni
materiali», al netto di «terreni» e «fabbricati»,  €  6.300.658)  non
puo' essere validato per mancanza del sottostante inventario; 
        2) in secondo luogo, il  valore  dei  crediti  verso  «altri»
(voce B, II Attivo SP «Attivo circolante», sottovoce n. 7)  risultava
in larga parte incerto ed inattendibile, per ragioni di altra natura,
segnatamente,  l'incoerenza  interna  dei  dati  esposti   in   stato
patrimoniale, conto economico e nota integrativa.  Inoltre,  non  era
chiaro se i dati esposti nello SP fossero al netto  o  al  lordo  del
fondo svalutazione crediti. 
    La contraddittorieta'  dei  dati  emergeva  nei  termini  che  di
seguito si espongono. 
Bilancio 2016. 
    Stato patrimoniale. Crediti  v/altri  €  18.021.000  (di  cui  v.
/clienti  privati  €  10.367.000,  iscritti  al   netto   del   Fondo
svalutazione crediti). 
    Conto economico: svalutazione crediti €  500.000  (corrispondente
alla  variazione  in  positivo  del  fondo  svalutazione  nella  nota
integrativa). 
    Nota  integrativa:  Crediti  v.  privati   €   12.148.379   (gia'
svalutati); fondo svalutazione crediti v. privati € 8.333.000. 
    Stando alla nota integrativa, dunque, il  valore  lordo  nominale
dei crediti «altri» sarebbe dovuto  essere  di  €  20.481.379.  Nello
stato patrimoniale dovrebbero comparire, per l'effetto, €  12.148.379
e non € 10.367.000, come invece risulta dalle scritture. Il  Collegio
sindacale, inoltre, esprimeva in sede di relazione sul bilancio 2016,
forti riserve sulla congruita' dell'abbattimento del valore  nominale
dei crediti verso privati (centri accreditati) solo al 50%. 
Bilancio 2017. 
    Stato patrimoniale: Crediti v/altri  14.836.304  (in  teoria,  al
netto  del  Fondo  svalutazione  crediti).  Conto  economico:  Nessun
accantonamento a fondo svalutazione crediti. 
    Nota integrativa: Il valore  nominale  lordo  dei  crediti  verso
«altri» corrisponde al valore iscritto in  SP.  Evidenzia  pero'  una
variazione del fondo svalutazioni crediti,  nell'anno,  per  ciascuna
sottovoce, pari all'intero importo nominale. 
    Tutte le evidenze, portano a ritenere inattendibile l'importo  di
€ 14.836.304. Inoltre, gia' il  Collegio  sindacale  aveva  segnalato
l'inadeguatezza del Fondo svalutazione crediti (FSC).  In  proposito,
peraltro, la criticita' piu' rilevante  e'  rappresentata  dalla  non
coincidenza degli accantonamenti a tale  fondo,  registrati  in  nota
integrativa (integrali e nel corso del 2017, per € 14.836.304,00  con
un utilizzo solo di 937.753,18) con  l'assenza  di  svalutazioni  nel
conto  economico  (Voce   B.9).   Cio'   dimostrerebbe   una   palese
inattendibilita' non solo dello  stato  patrimoniale,  ma  anche  del
conto economico sul valore dei dati per «crediti verso altri»  (e  il
«di cui» «verso privati») registrati nel rendiconto 2017. 
    L'incertezza  e  la  contraddittorieta'  dei  dati   esposti   si
tradurrebbe nell'inattendibilita'  prudenziale  del  valore  «crediti
v/altri» il quale, sino a chiarimento  e  riaccertamento  dei  titoli
sottostanti ed approvazione del nuovo bilancio, si dovrebbe  ritenere
un valore non giustificato, da considerare in diminuzione dell'attivo
patrimoniale. 
        3)  In  terzo  luogo,  il  patologico  fenomeno  dei   «doppi
pagamenti» induceva a ritenere che  l'ente  fosse  sprovvisto  di  un
adeguato sistema di controlli interni  e  soprattutto  sottovalutasse
l'impatto sul bilancio del contenzioso in  termini  di  Fondo  rischi
(FR). Segnatamente, secondo quanto ricostruito, i debiti  oggetto  di
procedura  esecutiva  presso  terzi  (enti  tesorieri)  da  parte  di
«privati», vengono prima pagati tempestivamente dopo il  pignoramento
e poi nuovamente pagati in sede coattiva, senza che l'ente si opponga
prontamente in sede giudiziale. L'ASL si ritrova  sistematicamente  a
pagare due volte lo stesso debito, trovandosi per converso costretta,
se e quando prenda coscienza dell'anomalia, ad attivare un'azione  di
recupero presso il creditore, per il (secondo) pagamento non  dovuto.
Il Collegio sindacale rilevava, inoltre,  la  frequente  mancanza  di
iscrizione nelle scritture contabili generali del debito  oggetto  di
procedura esecutiva e,  contemporaneamente,  un  sottodimensionamento
del fondo rischi.  Non  venivano  peraltro  forniti  dati  certi  sul
fenomeno dei crediti giudiziari  conseguenti,  da  «raffreddare»  col
fondo svalutazione crediti, ne' sul metodo ed esistenza  di  apposito
fondo rischi ed oneri per le spese giudiziarie di recupero. 
    Poiche', nel caso concreto, sussistono evidenze di  irregolarita'
in grado di  impattare  negativamente  sull'attivo  patrimoniale  per
diversi milioni di euro  (tra  cui  immobilizzazioni  iscritte  senza
corrispondente  inventario  sottostante,  dati  contraddittori  sulla
consistenza del comparto crediti che  ne  inficiano  l'attendibilita'
complessiva) e in parte in  aumento  sul  passivo  (fondo  rischi  ed
oneri), l'attivita' della Sezione porterebbe all'accertamento  di  un
patrimonio  netto  effettivo  diverso  da  quello   certificato   con
l'approvazione dei bilanci. 
    La Sezione, inoltre, rilevato che l'esclusione dei contributi  in
conto  capitale,  non  compresi  -  secondo  la   tecnica   contabile
prevalente nel diritto comune - tra le voci del Pn, porterebbero,  al
lordo delle tre irregolarita' segnalate, alla quantificazione  di  un
patrimonio  netto  negativo,  avanzava  dubbi  di   costituzionalita'
sull'art.  29,  comma  1,  lettera  c)  del  decreto  legislativo  n.
118/2011. 
    L'art. 29, infatti, disciplina  la  composizione  del  patrimonio
netto degli enti  del  sistema  sanitario  nazionale,  sottoposti  al
controllo di legittimità-regolarita' ai sensi dell'art. 1, commi 3  e
7 del decreto-legge n. 174/2012 con legge n. 213/2012. 
    Pertanto,  per  garantire  il  pieno  contraddittorio  ai   sensi
dell'art. 111 Cost., la Sezione emetteva collegialmente ordinanza, in
applicazione analogica dell'art. 7, comma 2, del Codice di  giustizia
contabile (laddove richiama l'art. 101 c.p.c.), e fissava il  termine
per le deduzioni dell'ente controllato. 
    Segnatamente,  la   Sezione   invitava   l'ente   controllato   a
contraddire sulla dubbia costituzionalita'  dell'art.  29,  comma  1,
lettera c) del decreto legislativo n. 118/2011, atteso che tale norma
consente di  includere  tra  gli  elementi  del  patrimonio  netto  i
contributi in conto investimento e contemporaneamente  di  utilizzare
gli stessi contributi per la sterilizzazione  degli  ammortamenti  in
conto economico, come se si trattasse di una passivita' (un  risconto
passivo o un debito pluriennale). 
    In sostanza, tali «contributi»,  sulla  base  di  tale  soluzione
tecnica del legislatore, apparirebbero, valutati due volte: 
        a) come «voce di patrimonio netto»; 
        b) come «proventi» straordinari, utilizzabili per annullare i
costi di ammortamento dei cespiti acquistati. 
    4. La Sezione - come anticipato - emetteva ordinanza  istruttoria
collegiale (n. 106/2019/PRS del 6 maggio 2019) con cui, da  un  lato,
reiterava la richiesta di fornire  documenti,  memorie,  informazioni
sui temi  oggetto  della  relazione  di  deferimento  comunicata  con
l'ordinanza presidenziale n. 23/2019, dall'altro, chiedeva di dedurre
sulla questione di costituzionalita' dell'art. 29, comma  1,  lettera
c) del decreto  legislativo  n.  118/2011,  sollevata  d'ufficio  dal
Collegio. 
    5. Con ordinanza presidenziale n. 34 del 10  maggio  2019,  l'Asl
veniva ri-convocata in adunanza pubblica  per  il  giorno  27  maggio
2019. 
    Con nota prot. C.d.c. n.  3703  del  22  maggio  2019,  l'ASL  ha
trasmesso articolate memorie, mentre  all'adunanza  pubblica  del  27
maggio 2019, intervenuta con  i  propri  rappresentanti,  ha  fornito
informazioni supplementari e precisazioni. 
    In particolare: 
        a) ha prodotto  regolare  attestazione  di  immodificabilita'
delle scritture da parte del provider, fornendone copia; 
        b)  con  riguardo   alle   immobilizzazioni   materiali,   ha
argomentato nel  senso  che  -  a  suo  giudizio  -  la  mancanza  di
inventario non inciderebbe sulla  certezza  del  valore  iscritto  in
bilancio a titolo di immobilizzazioni per beni mobili e che il valore
dubbio, in ogni caso, ammonterebbe a € 6.120.658,84.  L'inventario  -
che  comunque  dovrebbe  essere  completato   nei   sessanta   giorni
successivi all'adunanza - una volta  terminato  potrebbe,  secondo  i
rappresentanti dell'ASL, anche condurre  ad  un  aumento  dei  valori
iscritti nell'attivo patrimoniale; 
        c) per  quanto  riguarda  i  tempi  di  pagamento,  l'ASL  ha
affermato di  aver  ridotto  sensibilmente  il  ritardo,  almeno  sui
pagamenti di competenza, anche se sussiste ancora  la  patologia  per
effetto del ritardo nel pagamento dei debiti pregressi; 
        d) sempre sul  piano  della  cassa,  ha  evidenziato  che  il
fenomeno dei «doppi pagamenti» e'  collegato  al  contenzioso  con  i
centri privati accreditati, per le  prestazioni  oltre  il  tetto  di
«accreditamento». In buona sostanza, ad avviso dell'ASL, il  fenomeno
dei  «doppi  pagamenti»  -  che  afferma  essere  in  via  di  totale
superamento - dipenderebbe da un comportamento scorretto dei privati,
i quali, pur dopo avere  ricevuto  il  pagamento,  avvalendosi  delle
pregresse intimazioni di pagamento e  dei  pignoramenti,  portano  ad
esecuzione la procedura presso terzi (tesorieri) ottenendo due  volte
l'adempimento. L'ente ha, come detto, precisato che  il  fenomeno  e'
stato quasi del tutto eliminato, mediante la prassi del  rilascio  di
una dichiarazione di rinuncia ad ulteriori pagamenti,  da  parte  del
difensore dei terzi esecutori, dopo il primo. 
    Con riferimento al medesimo fenomeno  dei  «doppi  pagamenti»  ha
anche chiarito che, ex latere repetitio indebiti, iscrive  e  svaluta
(non nella loro integralita') i «crediti» da recupero, conseguente  a
tale fenomeno. 
    Per quanto riguarda gli altri rischi per  passivita'  potenziali,
l'ASL ha riferito che  il  Collegio  sindacale,  con  riferimento  al
Bilancio consuntivo del 2017, ha ritenuto congrui gli accantonamenti.
Ha precisato, pero', che l'accantonamento  a  Fondo  rischi  riguarda
esclusivamente le casistiche in cui e' in essere un  contenzioso,  al
momento della comunicazione della richiesta di ingiunzione  e  quindi
di avvio di procedura giudiziaria. Tale  fenomenologia  e'  governata
dall'applicativo regionale  LEGALAPP  e,  attraverso  lo  stesso,  si
provvede a quantificare ed  iscrivere  il  valore  delle  somme  (per
sorte,  interessi  e  spese)   ad   accantonamento.   Nulla   risulta
accantonato in  ragione  delle  maggiori  passivita'  riguardanti  le
rivendicazioni  di  pagamento  di  prestazioni  al   di   fuori   del
contenzioso «formalizzato»; 
        e) ha precisato l'esatto ammontare dei crediti «verso altri»,
cercando di portare chiarezza sui contraddittori  numeri  emersi  dal
bilancio. In particolare ha chiarito l'ammontare della svalutazione e
la natura del fenomeno gestionale sottostante. 
    Come gia' evidenziato, sulla base  dei  dati  di  bilancio  2017,
mentre dallo Stato patrimoniale i «crediti verso altri» (voce B.II.7)
ammonterebbero a  €  14.836.304,00,  sulla  base  delle  informazioni
rassegnate in nota integrativa, il valore nominale lordo della stessa
voce avrebbe dovuto essere pari a zero. 
    Se da un lato,  infatti,  la  somma  del  valore  nominale  delle
sotto-voci dei «crediti verso altri» corrisponde al valore esposto in
Stato Patrimoniale alla voce B.II.7, per altro verso, la stessa  nota
integrativa riporta accantonamenti a Fondo Svalutazione Crediti (FSC)
di pari ammontare (per un totale di € 14.836.304,00). 
    Tali accantonamenti, inoltre, per la  quasi  totalita'  -  sempre
secondo la nota integrativa -sarebbero stati effettuati nel corso del
2017, eppure di tali accantonamenti non  risulta  traccia  nel  conto
economico 2017 (Voce B.9 pari a zero). 
    L'Ente, ha confermato (nella propria memoria) la correttezza  del
valore esposto nello Stato Patrimoniale 2017, ma: 
        ha integralmente corretto le  informazioni  rese  nella  nota
integrativa, in  pratica  confermando  l'inesattezza  di  quanto  ivi
riportato, specie con riguardo al FSC e alla composizione e quantita'
delle sotto-voci; 
        non  ha  peraltro  chiarito  le  ragioni  della  mancanza  di
accantonamenti in conto economico, per l'importo svalutato. 
    5.1. Si riporta di seguito il dettaglio delle precisazioni. 
    Il valore della  voce  netta  esposta  nello  Stato  patrimoniale
(B.II.7) e' stata dunque confermata. Diverse informazioni sono  state
rese sul FSC, determinato in larga parte da «crediti verso privati». 
    Contrariamente a quanto affermato col bilancio  2017,  il  valore
nominale della sotto-voce «crediti verso privati» non  sarebbe  di  €
7.395.580,00 (nota integrativa, p. 29), ma di € 15.519.416. L'importo
di € 7.395.580,00 sarebbe invece il valore netto (Tabella A,  fornita
con le memorie di cui alla nota prot. C.d.c. n. 3703  del  22  maggio
2019). 
    Su tale valore nominale, secondo le informazioni  rassegnate  con
le memorie, si applicherebbe  un  fondo  svalutazione  crediti  di  €
8.333.333,00  (e  non  di  €  7.395.579,82  come  risulta   da   nota
integrativa, p. 32). 
    In definitiva, tale FSC 2017  corrisponderebbe  per  importo,  al
netto di qualche piccola fluttuazione di valore, a quello  2016,  che
era stato accantonato per svalutazione dei «crediti v. privati» (cfr.
§ 3). 
    Il valore nominale, della sotto-voce in questione sarebbe  quindi
cosi' scomponibile: 
    5.2. L'ASL, in primo luogo, ha riconosciuto che il valore,  lordo
e netto, dei «crediti verso clienti  privati»  risente  dell'indebita
inclusione di  crediti  «verso  enti  pubblici»  per  2,032  milioni.
Tuttavia ha affermato che si tratta di una inclusione che non  altera
i valori complessivi dell'attivo, in quanto tali  importi  andrebbero
comunque dislocati altrove in bilancio e poi ridotti per  effetto  di
compensazione con debiti, come in programma  con  l'approvazione  del
bilancio 2018. 
    L'erronea allocazione dipenderebbe da «migrazioni gestionali  che
si sono succedute negli anni. Gran  parte  di  questo  importo  sara'
portato in compensazione con altri debiti  verso  le  stesse  aziende
sanitarie, a seguito di D.G.R.C. n. 88 del 22 ottobre 2018». 
    Inoltre  l'ASL  afferma  che  si  tratta  di  crediti   che   non
abbisognerebbero,  nelle   valutazioni   dall'azienda,   di   nessuna
svalutazione, sicche' l'impatto sul valore netto dei crediti  sarebbe
irrilevante. 
    In ogni caso, l'Ente ha soggiunto che il FSC applicato a «crediti
verso privati» e' pari al 53,70% del valore nominale (e non  pari  al
suo integrale valore come da nota  integrativa,  p.  32)  che  quindi
esprime un valore netto pari al 46,30%. 
    5.3. Emerge tuttavia che i dati rassegnati non  sono  corretti  e
continuano a non  avere  coerenza  interna:  infatti,  la  sotto-voce
dovrebbe avere un valore netto di 7.186.083,00 (€ 15.519.416,00  -  €
8.333.333,00) e non di € 7.395.580,00 come  ancora  si  indica  nelle
memorie e in Tabella A. 
    Inoltre, a  prescindere  dai  dati  numerici  gia'  incerti,  dal
contraddittorio e' emerso  che  i  ridetti  crediti,  sul  piano  del
titolo, non corrispondono in tutto o in parte ad effettivi diritti di
obbligazione, quanto piuttosto ad un debito o passivita'  potenziale.
Segnatamente, l'ASL  ha  precisato  che  i  crediti  «verso  privati»
registrano pretese che i centri privati accreditati  accampano  verso
l'ASL, per prestazioni rese oltre il tetto di accreditamento, per  un
importo di € 6.539.428,49.  Soggiunge  nelle  memorie  che  essi  «si
riferiscono a recuperi di somme non dovute, per i  quali  gli  stessi
centri hanno attivato un contenzioso terminato con un pignoramento». 
    Dai chiarimenti forniti in adunanza pubblica si e'  compreso  che
si tratta in realta' di rivendicazioni di maggiori pagamenti da parte
dei «centri privati accreditati» (art. 8-ter  e  quater  del  decreto
legislativo n. 502/1992),  in  relazione  a  prestazioni  erogate  in
eccesso al tetto di accreditamento, stabilito  per  via  contrattuale
(art. 8-quinquies del decreto legislativo n. 502/1992). 
    Talvolta le stesse  rivendicazioni  generano  «doppi  pagamenti»,
secondo la patologia sopra illustrata al § 5, lettera d). 
    In relazione a tali rivendicazioni (e  talvolta  in  relazione  a
pagamenti effettivi), l'ASL accenderebbe nella  propria  contabilita'
un credito, controbilanciato da una passivita' potenziale (o  da  una
riduzione di cassa). Cionondimeno, secondo l'ASL, nonostante  non  ci
sia una svalutazione  integrale,  l'azione  combinata  di  FR  (fondo
rischi)  e  FSC  (fondo  svalutazione  crediti)  ridurrebbe  in  modo
esiziale l'impatto contabile di  tale  irregolarita'  sul  patrimonio
netto; 
        e) per quel che concerne la mancanza di una contabilita'  che
consenta di separare i costi di gestione  indifferenziati  (specie  i
costi indiretti) da  costi  e  ricavi  destinati  ai  LEA,  l'ASL  ha
sostenuto che i ricavi per LEA sono  rappresentati,  indistintamente,
per quanto riguarda i ricavi, dal finanziamento FSR  per  le  Aziende
sanitarie, per quanto  riguarda  i  costi,  da  tutti  i  costi  che,
conformemente al Modello LA approvato con decreto ministeriale,  sono
ascrivibili al sostenimento dei LEA e dei servizi al cittadino; 
        f) con riguardo  al  dubbio  di  costituzionalita'  sollevato
d'ufficio l'ASL ha affermato che «Gli equilibri patrimoniali  esposti
nel triennio 2015,  2016  e  2017,  riflettono  l'applicazione  della
tecnica di legge secondo  quanto  stabilito  all'art.  29,  comma  1,
lettera C del decreto legislativo 118/2011. Questa Azienda  sanitaria
locale si e' limitata ad applicare quanto previsto da norma di  legge
ed in continuita' con quanto trasmesso dall'organo superiore  Regione
Campania». 
    Il Collegio si ritirava dunque in  Camera  di  consiglio  per  la
decisione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. Le irregolarita' contabili rilevanti per la ri-quantificazione
giustiziale del patrimonio  netto.  Le  irregolarita'  contabili  che
possono impattare direttamente sul patrimonio netto e che emergono al
momento in cui il caso viene trattenuto  per  la  decisione  sono  le
seguenti: 
        i) la voce dell'attivo  patrimoniale  A.II  (Immobilizzazioni
materiali,  €   137.248.625,00)   e'   priva   della   documentazione
obbligatoria di II grado (inventario) limitatamente  ai  beni  mobili
(valore: € 6.120.659,00). Giova rammentare che gli enti del  servizio
sanitario  adottano  il  sistema  della   contabilita'   civilistica.
L'inventario,  nella   ridetta   contabilita',   e'   una   scrittura
obbligatoria (ex articoli 2214 e 2217 c.c.), a differenza  che  nella
contabilita' pubblica finanziaria (art.  64  decreto  legislativo  n.
118/2011). 
    Quanto al  valore  probatorio  delle  scritture  si  applicano  i
principi generali previsti dal codice civile, che detta la disciplina
di diritto Comune di base per tale tipo di contabilita' (in  coerenza
con l'art. 1, comma 1-bis della legge n. 241/1990). 
    Infatti:  a)  come  il  rendiconto   in   contabilita'   pubblica
finanziaria,  il  bilancio  consuntivo  e'  una  scrittura  contabile
complessa di terzo grado che muove da una contabilita' analitica  (in
forma di registrazione contabili periodiche, scritture  contabili  di
secondo grado), in gran parte obbligatoria per legge,  e  dalle  c.d.
«pezze giustificative»  (documenti  contabili  di  primo  grado);  b)
l'inventario e' una delle  scritture  obbligatorie  (cfr.  art.  2214
c.c.), presupposte dal sistema  degli  articoli  2423  e  ss.  ed  e'
necessario per la corretta e attendibile ricostruzione delle poste di
bilancio. 
    La condizione  perche'  le  scritture  facciano  prova  a  favore
dell'Ente che le redige e' che esse siano «regolari», nel  senso  che
rispettino la tecnica e le prescrizioni di legge  sulla  loro  tenuta
(art. 2709 c.c.). 
    Di conseguenza, per le regole che governano la  prova  dei  fatti
contabili in presenza  di  scritture  obbligatorie  di  bilancio,  il
valore dell'Attivo patrimoniale andrebbe abbattuto di € 6.120.659,00,
pari al valore della voce,  al  netto  delle  sotto-voci  1,  2  e  9
(«terreni», «fabbricati», «in  corso  ed  acconti»),  almeno  sino  a
completamento del processo di inventariazione. 
    Sebbene   all'esito   del   completamento   del    processo    di
inventariazione - avviato a seguito dell'istruttoria e  in  chiusura,
secondo quanto prospettato nei prossimi sessanta giorni, ed in  corso
di completamento  -  il  valore  gia'  contabilizzato  nel  2017  non
necessariamente potra' essere negativo, cionondimeno, le scritture in
bilancio  non   possono   essere   ritenute   valide   in   sede   di
riclassificazione e accertamento degli equilibri. 
    Esse, infatti, devono considerarsi poste incerte  il  cui  valore
non puo' quindi essere validamente contabilizzato per l'irregolarita'
della  loro  formazione:  la   presenza   dell'inventario,   infatti,
costituisce  «prova  legale»  unica  ed  insostituibile   dei   fatti
economici che ne sono oggetto. 
    Il sistema contabile, del resto, come e' noto, e'  governato  dal
principio di verita' e  dal  correlato  principio  di  prudenza,  che
impone che la rappresentazione dei valori sia improntata  a  cautela:
sicche' i redattori, a fronte di  eventi  e  valori  incerti,  devono
evitare la sovrastima di  attivita'  e  ricavi  e  la  sottostima  di
passivita' e costi (art. 2243, comma 2 del codice civile e IAS n. 1). 
    A fronte di tale irregolarita', il  valore  dell'attivo  andrebbe
abbattuto di € 6.120.659,00, secondo una stima di favore  per  l'ASL,
improntata agli accennati  canoni  prudenziali,  sino  a  conclusione
della inventariazione. 
    1.1. In secondo luogo, la Sezione, sulla  base  delle  risultanze
istruttorie non puo' non rilevare, allo stato, che: 
        ii) i valori contabilizzati per  i  «crediti  verso  privati»
difettano di titolo e contribuiscono all'aumento indebito dell'attivo
patrimoniale. 
    Segnatamente, l'importo  di  tali  crediti,  corrispondente  a  €
7.395.580,00, al netto della svalutazione per FSC, non puo' essere in
nessun modo iscritto, nel rispetto delle regole contabili. 
    In disparte la  confusione  numerica  che  rimane  anche  dopo  i
chiarimenti, come dimostra la permanente contraddizione  interna  dei
dati rassegnati (cfr. § 5.3 «considerato in  fatto»),  la  posta  non
corrisponde a «crediti», bensi' a passivita', e quando  tale  credito
astrattamente sia  configurabile,  vi  sono  evidenze  che  la  posta
medesima andrebbe integralmente svalutata, alla luce del principio di
prudenza (art. 2243, comma 2 del codice civile e IAS n. 1). 
    Piu' nel dettaglio, la fattispecie gestionale  sottostante,  come
chiarito in adunanza  pubblica  e  gia'  evidenziato  nelle  memorie,
corrisponde in genere a pretese di maggiore pagamento  da  parte  dei
centri accreditati. A ben  vedere,  dunque,  si  e'  in  presenza  di
passivita' potenziali o di un debito, da  contabilizzare  in  aumento
tra le passivita', e giammai di un credito. 
    1.2. Per contro,  laddove  la  pretesa  si  sia  tradotta  in  un
pagamento se non addirittura in un  «doppio  pagamento»,  appare  del
tutto evidente che il credito da recupero di cui si tratta e'  invero
una  pretesa  «giudiziaria»,  non  riconosciuta,  avanzata  ai  sensi
dell'art. 2041 del codice civile (ingiustificato arricchimento) o  ex
art. 2033  del  codice  civile  (indebito  oggettivo),  a  fronte  di
prestazioni gia' erogate. 
    Si tratta percio' di un credito che sorge «controverso» in ordine
alla spettanza, la cui esigibilita'  e'  per  definizione  dubbia  ed
aleatoria,  presunto  o  sperato  e   agganciato   agli   esiti   del
contenzioso. Sul piano della contabilita' economica,  pertanto,  esso
emergera' solo al momento in cui l'esigibilita'  sara'  certa,  quale
«sopravvenienza  attiva».  La  sua   contabilizzazione   al   «valore
nominale»,  dunque,  contrasterebbe  con  i  principi  di  verita'  e
prudenza e con l'art. 2426, n. 8. del codice  civile.  Al  contrario,
esso andrebbe  integralmente  svalutato  in  modo  da  non  aumentare
indebitamente l'attivo. 
    Di conseguenza l'intero importo di € 6.539.428,49 va ritenuto non
idoneo a concorrere al  valore  di  «presumibile  realizzazione»  dei
crediti e dell'attivo patrimoniale. 
    1.3. Alla luce di quanto sinora emerso, l'accertamento  contabile
porterebbe ad una depressione dell'attivo patrimoniale pari a:  a)  €
6.120.659,00, con riguardo ai beni  mobili  senza  inventario;  b)  €
6.539.428,49, con riguardo ai crediti contabilizzati  irregolarmente,
mancanti del requisito del «presumibile realizzo» (art. 2426 c.c.). 
    Cio' stante, a fronte delle  due  irregolarita'  contabili  sopra
passate  in  rassegna,  il  cui  impatto  puo'   essere   agevolmente
quantificato nei termini riferiti, emerge che le stesse sono in grado
di integrare un accertamento di irregolarità-illegittimita' ai  sensi
dell'art. 1, comma 3 del decreto-legge  n.  174/2012,  in  quanto  si
traducono  in  una   irregolarita'   formale   tale   da   modificare
l'equilibrio di bilancio. 
    Sulla quantificazione  di  detta  modificazione  si  baseranno  i
comportamenti contabili conformativi dell'ente controllato  (modifica
delle scritture in sede di successiva rendicontazione,  e  variazione
della programmazione, art.  25,  decreto  legislativo  n.  118/2011),
nonche' le azioni di supporto da parte degli organi tutori (Regione e
Stato, ciascuno  per  le  rispettive  competenze  di  sovraintendenza
all'erogazione dei LEA e di supporto finanziario,  anche  nel  ottica
dell'esercizio del potere sostitutivo, art. 120 Cost.). 
    2.   La   norma   oggetto   della   questione   incidentale    di
costituzionalita'. La quantificazione del patrimonio netto, su cui si
«scaricano» le minori attivita' patrimoniali irregolarmente accertate
(per la somma totale di euro 12.660.087,49,  comprensiva  anche  alla
seconda componente), dipende dalla disciplina legale dello stesso. 
    Segnatamente, l'impatto di tale illegittimita' sugli equilibri di
bilancio, ovvero sul valore  finale  del  patrimonio  netto  (oggetto
dell'accertamento   contabile),   dipende   dall'applicazione   della
disciplina speciale contemplata dall'art. 29, comma 1, lettera c) del
decreto legislativo 118/2011. 
    La disposizione recepisce istruzioni tecniche gia' applicate  nel
settore, a mezzo di fonti non normative (cfr.  «Linee  guida  per  il
bilancio delle aziende sanitarie»  della  Ragioneria  generale  dello
Stato, pubblicate con il Bollettino d'informazioni del 6 giugno  1995
ed emanate a valle del decreto ministeriale 20 ottobre  1994  con  il
quale sono stati definiti, a suo tempo, gli schemi di bilancio per le
aziende  sanitarie)   che   tuttavia   avevano   avuto   applicazioni
differenziate nei vari ordinamenti regionali. Segnatamente, mentre il
decreto prevedeva  la  contabilizzazione  nel  patrimonio  netto  dei
contributi in conto capitale ricevuti dalle regioni (senza null'altro
stabilire),  le  «Linee  guida»,   per   altro   verso,   prevedevano
contemporaneamente la sterilizzazione dell'ammortamento  dei  cespiti
acquistati, tramite lo storno  a  conto  economico  del  valore  gia'
contabilizzato nel patrimonio netto. 
    La norma legislativa oggi vigente contiene  una  regolamentazione
precipua per la contabilizzazione dei contributi  in  conto  capitale
(di seguito anche «in conto  investimenti»)  ricevuti  dalla  finanza
regionale,  nell'ambito  della   contabilita'   pubblica   sanitaria.
Segnatamente: «1. Al fine di  soddisfare  il  principio  generale  di
chiarezza e di rappresentazione  veritiera  e  corretta,  nonche'  di
garantire l'omogeneita', la confrontabilita' ed il consolidamento dei
bilanci dei servizi sanitari regionali, sono individuate le modalita'
di rappresentazione, da parte degli enti di cui all'art. 19, comma 2,
lettera c) e lettera b), punto i), ove ricorrano  le  condizioni  ivi
previste, delle seguenti fattispecie: [...] c) i contributi in  conto
capitale da regione sono rilevati sulla  base  del  provvedimento  di
assegnazione. I contributi  sono  iscritti  in  un'apposita  voce  di
patrimonio netto, con contestuale rilevazione  di  un  credito  verso
regione.  Laddove  siano  impiegati  per  l'acquisizione  di  cespiti
ammortizzabili,  i  contributi  vengono  successivamente  stornati  a
proventi con un criterio  sistematico,  commisurato  all'ammortamento
dei  cespiti  cui  si  riferiscono,  producendo  la   sterilizzazione
dell'ammortamento stesso. Nel caso  di  cessione  di  beni  acquisiti
tramite contributi in conto capitale con generazione di minusvalenza,
viene stornata a provento una quota di  contributo  commisurata  alla
minusvalenza.  La  quota  di  contributo   residua   resta   iscritta
nell'apposita  voce  di  patrimonio  netto  ed  e'   utilizzata   per
sterilizzare l'ammortamento dei beni acquisiti con le  disponibilita'
generate dalla dismissione. Nel caso di cessione  di  beni  acquisiti
tramite contributi in conto capitale con generazione di  plusvalenza,
la  plusvalenza  viene  direttamente  iscritta  in  una  riserva  del
patrimonio  netto,   senza   influenzare   il   risultato   economico
dell'esercizio.  La  quota  di  contributo  residua  resta   iscritta
nell'apposita voce di patrimonio netto ed e'  utilizzata,  unitamente
alla  riserva   derivante   dalla   plusvalenza,   per   sterilizzare
l'ammortamento dei beni  acquisiti  con  le  disponibilita'  generate
dalla dismissione. Le presenti disposizioni  si  applicano  anche  ai
contributi in conto capitale dallo Stato e da altri enti pubblici,  a
lasciti  e  donazioni  vincolati  all'acquisto  di  immobilizzazioni,
nonche' a conferimenti, lasciti e donazioni  di  immobilizzazioni  da
parte dello Stato,  della  regione,  di  altri  soggetti  pubblici  o
privati». 
    2.1. La norma consente di contabilizzare  il  ridetto  contributo
come un elemento del patrimonio netto (Pn). 
    La  scelta  legislativa,   sottesa   alla   classificazione   del
contributo  in  conto  capitale  tra  le  componenti  «speciali»  del
patrimonio netto delle aziende di erogazione,  appare  dipendere:  a)
dalla circostanza che i contributi derivano dagli stessi  proprietari
del  capitale  sociale  (la  regione  e  indirettamente  il   sistema
sanitario  nazionale);  b)  dal  fatto  che   il   trasferimento   e'
sostanzialmente gratuito, al netto della necessita' di provvedere  al
rispetto del vincolo di destinazione, che, una volta  rispettato  con
l'acquisto di un asset di investimento, rimane  stabilmente  allocato
nel patrimonio dell'azienda. 
    2.2. La regola dell'art. 29, comma  1,  lettera  c)  del  decreto
legislativo n. 118/2011, peraltro, consente, contemporaneamente,  con
lo stesso  contributo,  di  «sterilizzare»  («annullare»)  sul  conto
economico gli effetti  (economici)  degli  ammortamenti  dei  cespiti
acquistati, tecnica che, normalmente, presuppone l'estraneita'  della
riserva utilizzata a tale scopo, rispetto al patrimonio. 
    Il legislatore, dunque, ha operato una scelta che conglomera  due
prospettive:  il  contributo   aumenta   stabilmente   la   ricchezza
dell'azienda sanitaria,  e  allora  puo'  essere  contabilizzata  nel
patrimonio netto. Allo stesso tempo, pero', il  medesimo  contributo,
poiche'  e'  erogato   dalla   finanza   pubblica   con   tendenziale
sistematicita', puo' essere utilizzato  per  annullare  il  costo  di
ammortamento dei cespiti acquistati, in quanto non e'  compito  della
gestione aziendale provvedere al riacquisto futuro dei beni medesimi. 
    Tale scelta conduce a considerare il finanziamento  dell'acquisto
dei beni durevoli (i beni di investimento) delle aziende sanitarie un
onore/dovere diretto del sistema  della  finanza  pubblica  allargata
(regione e indirettamente, lo Stato) e  non  gia'  un  obiettivo  del
ciclo aziendale dell'Ente sanitario e  della  sua  sostenibilita'  e,
quindi, del patrimonio netto su cui si scaricano gli esiti positivi o
negativi della gestione. 
    Giova rammentare che l'istituto gius-contabile dell'ammortamento,
nella contabilita' economico-patrimoniale, e' direttamente  collegato
con  gli  obiettivi  di  equilibrio  e  continuita'  aziendale.   Gli
ammortamenti,  infatti,  danno  evidenza  contabile  alla   naturale,
progressiva  perdita  di  valore  cui  sono  esposte   le   attivita'
pluriennali aziendali. Tramite una convenzione contabile, si «simula»
un costo (corrispondente al fenomeno  «naturale»  del  deterioramento
del bene per effetto del tempo e dell'uso),  per  trattenere  risorse
all'interno dell'azienda  per  il  futuro  rinnovo  degli  assets,  a
garanzia  dell'auto-sostenibilita'  del  ciclo  economico   e   della
continuita' aziendale. 
    Tali  costi  vengono  quindi  imputati   annualmente   al   conto
economico, in diminuzione del valore dei beni ad utilita' pluriennale
(immobilizzazioni),  trattenendo   contemporaneamente   tale   valore
all'interno dell'azienda, che viene cosi' sottratto all'utile. 
    Dal punto di vista gius-contabile, l'ammortamento e' il  processo
tecnico di ripartizione dei costi pluriennali in  costi  d'esercizio,
secondo il principio di competenza economica. Il concetto e'  ripreso
e disciplinato dall'art. 2426 codice civile, il quale prevede che «il
costo  delle  immobilizzazioni,  materiali  e  immateriali,  la   cui
utilizzazione e' limitata  nel  tempo  deve  essere  sistematicamente
ammortizzato in ogni esercizio  in  relazione  con  la  loro  residua
possibilita' di utilizzazione». 
    Tale costo, dovendo essere ammortizzato  in  ogni  esercizio,  e'
compreso dal conto economico, come previsto dall'art 2425 del  codice
civile, tra i costi della produzione, al n. 10. 
    Poiche' il conto economico contiene tutti i ricavi e i  costi  di
competenza  dell'esercizio,  dalla  cui  differenza  si  ottiene   il
risultato economico dell'esercizio (perdita/utile), discende che  gli
ammortamenti, facendo parte del conto economico, incidono sullo stato
patrimoniale in via mediata, tramite il risultato di esercizio. Tanto
si desume dall'art. 2425 n. 20  del  codice  civile  che  prevede  il
risultato di esercizio, al netto  delle  imposte,  come  saldo  delle
diverse voci del conto economico, e dall'art. 2424 del codice civile,
che prevede l'utile o la perdita  dell'esercizio  tra  le  componenti
dello stato patrimoniale e precisamente come una voce del  patrimonio
netto. 
    2.3.  La  «sterilizzazione»  (l'annullamento)  dell'ammortamento,
prevista dall'art. 29, comma 1, lettera c),  decreto  legislativo  n.
118/2011, determina invece la copertura degli  ammortamenti  mediante
una riduzione della voce di contributi iscritta al patrimonio  netto,
in tal modo alterando il risultato del conto economico,  che  non  e'
piu'  in  grado  di  esprimere  il  reale  andamento  dell'esercizio,
impedendo cosi' di determinarne l'esatta perdita (o utile) e  quindi,
in ultima analisi, lo stesso l'equilibrio dinamico del bilancio delle
aziende sanitarie. 
    Il  dubbio  che  induce  questo  giudice  a  sollevare  questione
incidentale di costituzionalita' attiene all'inconciliabilita' logica
di questa doppia parallela scelta tecnica, che  rende  insanabilmente
non veritiero il valore del Patrimonio netto (Pn) finale, inteso come
saldo capace di misurare gli equilibri  effettivi  di  bilancio  e  i
doveri di bilancio conseguenti, sia per l'azienda sanitaria  che  per
gli organi tutori. 
    La tecnica dell'art.  29  del  decreto  legislativo  n.  118/2011
devia,  infatti,  profondamente  dalla  disciplina  civilistica,  che
ammette tecniche di contabilizzazione diverse e inconciliabili. 
    Nella    disciplina     civilistica,     la     «sterilizzazione»
dell'ammortamento e' ammessa solo nel caso in cui i contributi  siano
stati contabilizzati alla stregua di una passivita' in senso  tecnico
e, segnatamente, alla stregua di un «risconto passivo», a  titolo  di
ricavo pluriennale. Non invece quando si contabilizza tale componente
come un elemento del  patrimonio  netto,  che  non  puo'  mai  essere
impiegato, per statuto tecnico, a copertura  di  passivita'  certe  e
determinate, ma solo di perdite. 
    3. La legittimazione del «giudice» e la natura del giudizio. Cio'
premesso, la  Sezione  ritiene  di  essere  legittimata  a  sollevare
questione incidentale di  costituzionalita',  ai  sensi  dell'art.  1
della legge cost. n. 1/1948 e dell'art. 23 della  legge  n.  87/1953,
sussistendo, a suo avviso, i presupposti soggettivo e oggettivo di a)
una «autorita' giurisdizionale», nell'ambito b) di un «giudizio». 
    Come e' noto, alla  giurisdizione  della  Corte  dei  conti  sono
intestate  due  diverse   funzioni   reciprocamente   integrate:   il
«controllo» (art. 100 Cost.) e la «giurisdizione»  in  senso  stretto
(art. 103 Cost.), nelle materie  di  contabilita'  pubblica  e  nelle
altre specificate dalla legge. 
    Gia' in  passato  il  Giudice  delle  leggi  ha  riconosciuto  la
legittimazione  di  questa  Magistratura  a  sollevare  questioni  di
legittimita' costituzionale incidentale anche in sede  di  controllo,
segnatamente, nell'ambito del controllo  preventivo  di  legittimita'
(sentenze n. 226/1976 e 384/1991), nonche' in quello di parificazione
dei bilanci statali e regionali (sentenze n. 165/1963,  n.  121/1966,
n. 142/1968, n. 244/1995, n. 213/2008; per le parifiche  dei  bilanci
regionali, le sentenze nn. 181/2015, 89/2017, 196/2018  e  n.  138  e
146/2019),  quest'ultimo  caratterizzato  da   «forme   contenziose».
Infine,  piu'  di  recente,  in  sede  di  controllo  sui  piani   di
riequilibrio  finanziario  pluriennale  (sentenze  n.  18/2019  e  n.
105/2019). 
    Tale percorso ha  portato  al  progressivo  riconoscimento  della
legittimazione  della  Corte  di  conti  a  sollevare  questioni   di
costituzionalita' nell'ambito  di  procedimenti  di  controllo  anche
quando non rivestono forma giudiziaria (il giudizio di parifica ed il
giudizio di conto, evocati dalla prima parte dell'art. 100,  comma  2
Cost.). 
    Cio' e' avvenuto, segnatamente, prima col controllo preventivo di
legittimita' - che non riguarda direttamente il bilancio, ma  singoli
atti finanziariamente rilevanti,  prima  che  l'atto  stesso  diventi
efficace (sent. n. 226/1976) - poi nei controlli sull'attuazione  dei
piani di riequilibrio finanziario pluriennale  (art.  243-bis  e  ss.
TUEL, introdotto dall'art. 3, comma 1, lettera del  decreto-legge  n.
174/2012), che costituisce uno  dei  cardini  del  nuovo  sistema  di
controlli  sugli  equilibri  di  bilancio,  collegati  alla   riforma
costituzionale del 2012 (cfr. art. 20 legge n. 243/2012). 
    Il decreto-legge n. 174/2012,  infatti,  «in  corrispondenza  con
l'entrata in vigore della legge costituzionale 20 aprile 2012,  n.  1
(Introduzione del principio del  pareggio  di  bilancio  nella  Carta
costituzionale),  ha  dettato   disposizioni   volte   a   assicurare
effettivita' al rispetto di  piu'  vincolanti  parametri  finanziari,
integrati  da  principi  enucleabili  dal  diritto  europeo»   (Corte
costituzionale n. 196/2018). Si tratta,  segnatamente,  di  controlli
esercitati in forme non  contenziose,  ma  pur  sempre  «giustiziali»
(sent. n. 18/2019), sulla base esclusiva di parametri di legge (sent.
n. 60/2013) e che si svolgono  con  un  contraddittorio  che  tracima
nelle forme giurisdizionali contenziose del  giudizio  dinnanzi  alle
Sezioni riunite in speciale composizione (art. 11, comma  6,  lettera
e) del  decreto  legislativo  n.  174/2012,  recante  il  «Codice  di
giustizia contabile»). 
    Secondo   il   Giudice   delle   leggi,   tali   controlli,    di
legittimità-regolarita' (sent. n. 39/2014) si distinguono  nettamente
da quelli c.d. «collaborativi», per i  quali  -  ultimi  -  l'accesso
incidentale alla giustizia costituzionale  e'  negato  (C.  cost.  n.
37/2011). Solo nei procedimenti del  primo  tipo,  infatti,  «davanti
alla Sezione di controllo», «ai limitati fini dell'art. 1 della legge
costituzionale n. 1 del 1948 e dell'art. 23 della  legge  n.  87  del
1953, la funzione in quella sede svolta dalla  Corte  dei  conti  e',
sotto molteplici  aspetti,  analoga  alla  funzione  giurisdizionale»
«[a]nche   se   [...]   non   [vi]   e'   un   giudizio   in    senso
tecnico-processuale» (C. cost., sentenza 226/1976). 
    Nei controlli di  legittimità-regolarita',  infatti,  il  giudice
applica norme giuridiche (le quali qualificano la realta' in  termini
rigorosamente «dicotomici», cfr.  Corte  costituzionale  sentenza  n.
60/2013»); di conseguenza, le sue valutazioni si  sostanziano  in  un
«giudizio» di tipo binario,  che  lo  obbliga  a  qualificare  quella
stessa    realta'    in     termini     di     validita'/invalidita',
legittimita'/illegittimita'. 
    Accanto a tale aspetto attinente al contenuto dell'accertamento e
al munus del giudice di conferire certezza al diritto del bilancio (a
fronte del  potenziale  conflitto  sulla  sua  applicazione  tra  gli
amministratori e i portatori di  interessi  finanziari  adespoti),  i
controlli di cui al decreto-legge n.  174/2012  hanno  previsto  vari
rimedi e conseguenze giuridiche che mirano a garantire l'effettivita'
del medesimo «diritto sul bilancio», accertato dalla Corte dei  conti
(Corte costituzionale sentenza n. 39/2014, §§ 6.3.4.3.3, 6.3.4.3.2). 
    Questa seconda peculiarita' differenzia in modo ancor piu'  netto
i controlli di legittimità-regolarita' dai «controlli collaborativi»,
in quanto essi non mirano ad ottenere  meri  effetti  auto-correttivi
(art. 3, comma 8, legge n. 20/1994 che prevede un  semplice  «obbligo
di   riesame»   dell'amministrazione   interessata),   ma   all'esito
dell'accertamento di illegittimità-irregolarita' da parte della Corte
dei conti comportano, ipso  iure,  immediate  conseguenze  giuridiche
sulle amministrazioni controllate. 
    In ragione  di  tali  effetti,  il  legislatore  ha  previsto  il
sindacato,  con  le  forme  piene  della  giurisdizione  contenziosa,
dinanzi alle Sezioni riunite in speciale composizione, attribuendo il
diritto di azione ai soggetti che  ne  abbiano  interesse,  ai  sensi
dell'art. 103, comma 2 Cost. (cfr. Corte costituzionale  sentenza  n.
39/2014, § 6.3.4.3.3 e art. 11, comma 6, lettera e),  del  Codice  di
giustizia contabile). 
    3.1.  Tanto  premesso,  questo  giudice  ritiene   sussistano   i
requisiti sia di  tipo  «soggettivo»  che  di  tipo  «oggettivo»  per
sollevare d'ufficio  questioni  di  legittimita'  costituzionale,  ai
sensi dell'art. 1 della legge cost. n. 1/1948 e  dell'art.  23  della
legge n. 87/1953, anche nei controlli che la Corte dei  conti  svolge
sul ciclo di bilancio degli Enti  del  Servizio  sanitario  nazionale
(art. 1 commi 3 e 7 del decreto-legge n. 174/2012). 
    Quanto  al  requisito  soggettivo   la   Corte   dei   conti   e'
indubitabilmente «giudice». 
    La Corte costituzionale ha infatti evidenziato che le Sezioni  di
controllo della Corte dei conti sono  composte  da  magistrati  «che,
analogamente ai magistrati dell'ordine  giudiziario,  si  distinguono
tra loro «solo per diversita' di funzioni» (art. 10, legge  21  marzo
1953, n. 161)». Si tratta infatti di  una  magistratura  «annoverata,
accanto [a quella]  ordinaria  ed  al  Consiglio  di  Stato,  tra  le
«supreme magistrature» (art. 135 Cost.); istituzionalmente  investita
di funzioni giurisdizionali a norma  dell'art.  103,  secondo  comma,
Cost., la Corte dei conti e', infatti, l'unico  organo  di  controllo
che, nel nostro ordinamento, goda di una  diretta  garanzia  in  sede
costituzionale» (Corte costituzionale, sentenza n. 226/1976). 
    Tale requisito  e'  stato  confermato  anche  con  riguardo  alle
Sezioni regionali di controllo (sentt. n. 181/2015,  n.  89/2017,  n.
18/2019 e n. 105/2019). 
    La terzieta' e la neutralita' della Corte dei conti, infatti,  e'
stata riconosciuta anche rispetto al sistema  delle  autonomie:  essa
non esercita competenze di natura amministrativa,  ma  e'  organo  al
sevizio del principio di legalita' repubblicana  e  del  suo  sistema
istituzionale multilivello (art. 114 Cost.): infatti,  parallelamente
alla riforma del Titolo V, la Consulta ha evidenziato  che  la  Corte
dei conti non e' espressione organizzativa dello Stato,  bensi'  essa
e'  organo  dello  Stato-comunita'  (sentenza  n.  29/1995)  e  dello
Stato-ordinamento (sentenza n.  sentenze  n.  267/2006;  nonche'  nn.
179/2007, 37/2011, 198/2012). 
    Del resto, la Corte dei  conti,  nel  procedimento  di  controllo
sugli equilibri del bilancio delle autonomie e delle  loro  appendici
organizzative e' «super partes», ossia e' doppiamente neutrale: lo e'
rispetto allo Stato-ordinamento (art. 114 Cost.), nella  sua  plurale
articolazione (Corte cost. sentenze n.  29/1995,  n.  470/1997  e  n.
60/2013);  ma  lo  e'  soprattutto  rispetto  alla   «comunita'»   di
riferimento e agli interessi afferenti al bene della vita che tramite
il  controllo  ricevono  tutela  obiettiva  (il  bilancio  come  bene
pubblico). Si tratta, infatti e segnatamente, di interessi finanziari
adespoti alla congruita' delle  risorse  per  l'erogazione  dei  LEA,
afferenti ai membri della collettivita' di riferimento. Quest'ultimi,
infatti, entrano in una relazione (soltanto) «mediata» col  bilancio:
di conseguenza, gli «interessati»  al  bilancio  non  sono  solo  gli
amministratori, ma anche (ed ancor prima) i cittadini utenti, nonche'
il «mercato» che interagisce col bilancio, fornendo beni e servizi. 
    La  Corte,   quindi,   si   interpone   tra   l'interesse   degli
amministratori pro tempore e quelli della comunita'  di  riferimento,
la quale aspira ad uno strumento adeguato di gestione  delle  risorse
per l'erogazione dei servizi. Tale conflitto  di  interessi  e'  gia'
stato evidenziato dalla Corte costituzionale quando  ha  sottolineato
che  «l'incuria  del[lo]   squilibrio   strutturale   [dei   bilanci]
interromp[e] - in virtu' di una  presunzione  assoluta  -  il  legame
fiduciario che caratterizza il mandato elettorale e la rappresentanza
democratica degli eletti» (sentenza n. 228/2017). 
    Il carattere pubblico degli scopi che il bilancio e'  chiamato  a
perseguire, attraverso l'adeguatezza delle risorse e, in  ultimo,  il
suo equilibrio rendono lo stesso bilancio un «bene pubblico». Esso e'
pubblico nel senso che la  verifica  degli  equilibri,  da  un  lato,
consente  la  accountability  dei  funzionari   pubblici   che   sono
selezionati   attraverso   meccanismi   diretti   o   indiretti    di
responsabilita'  democratica  (C.  cost.   sentenza   n.   184/2016),
dall'altro, consente l'uguaglianza sostanziale  dei  cittadini  nella
percezione e godimento di prestazioni  costituzionalmente  necessarie
(C. cost. sentenza n. 10/2016). 
    Detto in altri  termini,  l'interesse  degli  amministratori  pro
tempore del bilancio, si pone potenzialmente in conflitto con  quelli
della  comunita'  territoriale  di  riferimento,  non  solo  per   le
responsabilita' politiche e giuridiche che ne  potrebbero  conseguire
(sia in  termini  di  decadenza  del  management,  che  in  punto  di
sindacato diffuso degli organizzatori del servizio), ma anche per gli
obblighi giuridici che sorgono  in  caso  di  evidenziazione  di  uno
squilibrio strutturale. 
    In tale caso,  infatti,  la  Corte  dei  conti  si  pone  in  una
posizione neutrale rispetto a piu' soggetti (dalla azienda  sanitaria
allo Stato, passando dalla regione),  verificando  ed  accertando  la
«sincerita'» dei dati di bilancio  e  dei  suoi  saldi,  e  con  essa
ponendo le premesse per l'adempimento  dei  conseguenti  obblighi  di
legge e costituzionali, ai sensi degli articoli 2, 3, 32, e 117 comma
2, lettera n, 119 e 120 Cost., con particolare riferimento i LEA. 
    3.2. Quanto al requisito oggettivo (»giudizio»), nel procedimento
di controllo in corso sussistono tutti  gli  elementi  del  «test  di
giurisdizionalita'» elaborato dallo stesso Giudice  delle  leggi  per
l'accesso  incidentale  alla  giustizia  costituzionale  in  sede  di
controllo. 
    Segnatamente (sent. Corte  costituzionale  n.  89/2017,  §  2  in
diritto): 
        «a) applicazione di parametri normativi. E' da  sottolineare,
in proposito, come nel procedimento di parifica il prevalente  quadro
normativo di riferimento sia quello del decreto  legislativo  n.  118
del 2011 e come l'esito del procedimento sia dicotomico nel senso  di
ammettere od escludere dalla parifica le singole partite di  spesa  e
di entrata che compongono  il  bilancio  (sull'esito  dicotomico  dei
controlli  di  legittimità-regolarita'   sui   bilanci   degli   enti
territoriali, sentenza n. 40 del 2014); 
        b)  giustiziabilita'  del  provvedimento   in   relazione   a
situazioni soggettive dell'ente territoriale eventualmente coinvolte.
Infatti, l'art. 1, comma 12, del decreto-legge 10  ottobre  2012,  n.
174 [...], convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  7  dicembre
2012, n. 213, come modificato dall'art.  33,  comma  2,  lettera  a),
numero 3),  del  decreto-legge  del  24  giugno  2014,  n.  91  [...]
-convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014,  n.  116,
dispone che avverso le delibere della Sezione regionale di  controllo
della Corte dei conti - tra le quali, appunto,  quella  afferenti  al
giudizio di parificazione - «e' ammessa l'impugnazione  alle  Sezioni
riunite della Corte dei conti in speciale composizione, con le  forme
e i  termini  di  cui  all'art.  243-quater,  comma  5,  del  decreto
legislativo 18 agosto 2000, numero 267»; 
        c) pieno contraddittorio  sia  nell'ambito  del  giudizio  di
parifica esercitato dalla sezione di controllo della Corte dei conti,
sia nell'eventuale giudizio ad istanza di parte, qualora quest'ultimo
venga avviato dall'ente territoriale cui si rivolge la  parifica.  In
entrambe le  ipotesi  e'  contemplato  anche  il  coinvolgimento  del
pubblico ministero a tutela dell'interesse generale  oggettivo  della
regolarita'  della  gestione  finanziaria  e  patrimoniale  dell'ente
territoriale (art. 243-quater, comma 5, del  decreto  legislativo  18
agosto 2000, n. 267, [...]; articoli 53 e seguenti del regolamento di
procedura di cui al regio decreto 13 agosto 1933, n.  1038,  [...]  ,
ora sostituiti dagli articoli 172  e  seguenti  dell'allegato  1  del
decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174»).  In  definitiva,  anche
nel procedimento di parifica «e' garantita la  possibilita'  che  gli
interessi ed il punto di vista dell'amministrazione, nelle sue  varie
articolazioni, siano fatti valere nel corso del  procedimento.  [...]
D'altronde,  sul  piano  sostanziale,  il  riconoscimento   di   tale
legittimazione [al giudizio costituzionale] si giustifica  anche  con
l'esigenza di ammettere al sindacato della Corte costituzionale leggi
che, come nella fattispecie in esame, piu' difficilmente  verrebbero,
per altra via, ad essa sottoposte» (sentenza n. 226 del 1976)». 
    3.2.1. L'odierno giudizio, infatti, e' certamente un controllo di
legittimità-regolarita'. 
    Esso  viene  svolto  ai  sensi  dell'art.   1,   comma   3,   del
decreto-legge n. 174/2012, il quale riproduce la  formulazione  ed  i
contenuti dell'art. 148-bis TUEL (introdotto dall'art.  3,  comma  1,
lettera e), del decreto-legge n. 174/2012  e  definito  controllo  di
legittimità-regolarita' nella  sentenza  n.  40/2014),  con  la  sola
differenza  che  si  espleta  sugli  enti  del   Servizio   sanitario
nazionale, con una contabilita' di tipo  economico-patrimoniale,  che
non prevede  un  bilancio  preventivo  autorizzatorio,  ma  con  sola
finalita' di indirizzo e programmazione. 
    Del  resto,  con  riguardo  agli  Enti  del  Servizio   sanitario
nazionale, gia' con la sentenza n. 39/2014, la  Corte  costituzionale
aveva  avuto  modo  di  affermare  che  «il   controllo   finanziario
attribuito alla Corte dei conti e, in particolare, quello che  questa
e' chiamata a  svolgere  sui  bilanci  preventivi  e  sui  rendiconti
consuntivi degli enti locali e  degli  enti  del  Servizio  sanitario
nazionale, va ascritto alla categoria del sindacato di legalita' e di
regolarita' - da intendere  come  verifica  della  conformita'  delle
(complessive)  gestioni  di  detti  enti  alle  regole  contabili   e
finanziarie - e ha lo scopo, in  una  prospettiva  non  piu'  statica
(com'era  il  tradizionale  controllo  di  legalità-regolarita'),  ma
dinamica, di finalizzare il confronto  tra  fattispecie  e  parametro
normativo all'adozione di effettive misure correttive,  funzionali  a
garantire l'equilibrio  del  bilancio  e  il  rispetto  delle  regole
contabili e finanziarie» (enfasi aggiunta). 
    E' evidente che non si e' dunque  in  presenza  di  un  controllo
meramente    «collaborativo»,    sia     per     la     definitivita'
dell'accertamento, sia per gli effetti di legge che vi  conseguono  e
che si impongono all'ente  controllato  e  talvolta  a  terzi  (fermo
restando il loro diritto di azione ai sensi dell'art.  11,  comma  6,
lettera e) del Codice di giustizia contabile). 
    3.2.2.   Sotto   il   primo   profilo   (contenuto    decisorio),
l'accertamento  di  controllo  ha  la  sostanza  di   una   decisione
giurisdizionale,  in  quanto  definisce  con  certezza  i  saldi  del
bilancio, rispetto al diritto e al fatto, ad una certa data,  e  allo
stesso tempo partecipa della «definitivita'» tipica dei provvedimenti
emessi in un processo contenzioso. 
    Costituisce infatti ormai diritto vivente il riconoscimento della
idoneita' della decisione di controllo sugli equilibri di bilancio  a
dare stabilita' giuridica ai contenuti accertati alla stregua  di  un
provvedimento  emesso  in  sede  giurisdizionale.  Tanto   e'   stato
affermato dalle Sezioni riunite spec. composizione  di  questa  Corte
nella  sentenza  n.  7/2018/EL,  in  ordine  a  pronunce  emesse  nei
procedimenti di controllo  sul  modello  dell'art.  148-bis  TUEL  (e
quindi dell'odierno procedimento); similiter, per pronunce emesse per
i piani di riequilibrio finanziario pluriennali (art. 243-bis  e  ss.
TUEL), con la sentenza dello stesso giudice  n.  64/2015/EL.  Per  il
giudizio di parifica, inoltre, si richiama  la  deliberazione  SS.RR.
controllo n. 7/2013/QMIG, in particolare, § 5, ampiamente  richiamata
da Sez. delle Autonomie n. 14/2014/INPR. 
    La Consulta, dal canto suo, ha messo in evidenza come le funzioni
del controllo e quella giurisdizionale in senso stretto (inteso  come
processo tra parti) siano strettamente correlate, grazie al  «sistema
giustiziale»     realizzato     attraverso     la      ricorribilita'
dell'accertamento  dinanzi   alle   Sezioni   Riunite   in   speciale
composizione (art. 11, comma 6, lettera e) del Codice della Giustizia
contabile), tramite cui la decisione  di  controllo  puo'  acquistare
«definitivita'»: «In sostanza, il  sistema  giustiziale  inerente  al
controllo  di  legittimita'  sui  bilanci   si   connota   di   norme
sostanziali, procedurali e  processuali  che,  attraverso  reciproche
interconnessioni, mirano [...]» ad assicurare la necessaria  certezza
sullo  stato  di  equilibri  e  programmare  le   necessarie   azioni
correttive  a  tutela  degli  equilibri  di  bilancio,  delimando  il
contrasto sulla interpretazione del diritto o sulla verita' del fatto
che possono interessare il conto.  Per  questa  ragione,  sebbene  lo
stesso Giudice delle leggi abbia  evidenziato  che  il  giudizio  sul
bilancio, emesso in sede di controllo, sia  simile  alla  «volontaria
giurisdizione», limitatamente al fatto che non vi e' «la lite  o  non
vi [e'] contraddittorio tra le parti» (sentenza  n.  129/1957),  allo
stesso tempo se ne discosta  (sent.  n.  138/2019),  in  ragione  del
carattere decisorio evidenziato dal diritto vivente. 
    La decisione di controllo, infatti, non integra la volonta' della
pubblica amministrazione  ed  il  suo  procedimento  decisionale,  ma
arbitra interessi attorno alla corretta interpretazione  delle  norme
del «diritto sul bilancio» e alla verita'  dei  fatti  sottostanti  e
puo', invero, innescare un «ricorso ad istanza di parte» dinanzi alle
Sezioni riunite in speciale composizione. 
    Il carattere  decisorio  e  giurisdizionale  delle  decisioni  di
controllo  sugli  equilibri  di  bilancio,  del   resto,   e'   stato
espressamente riconosciuto dalla Corte costituzionale gia' nel  2012,
con precipuo riferimento al giudizio di parificazione del  rendiconto
regionale (Corte costituzionale,  sentenza  n.  72/2012,  §  2.3.  in
diritto). 
    3.2.2.1. In ordine alle regole e allo standard di contraddittorio
seguito, oltre a farsi applicazione analogica delle norme a suo tempo
adottate dal legislatore per il controllo preventivo di  legittimita'
(e gia' ritenute sufficienti, al tempo,  per  superare  il  «test  di
legittimazione per l'accesso alla Corte», cfr. sentenza n. 226/1976),
la Corte dei conti, nel procedimento di controllo di cui  si  tratta,
valorizza la norma costituzionale sul  «giusto  processo»  (art.  111
Cost., commi 1 e 2),  assicurando  il  contraddittorio  su  tutte  le
risultanze istruttorie e  la  garanzia  dell'adunanza  pubblica  (che
consente  di'  discutere   oralmente   le   memorie   scritte   sulle
contestazioni  che  vengono  preliminarmente  portate  a   conoscenza
dell'ente controllato). 
    Sull'odierna questione, sollevata  d'ufficio,  e'  infatti  stato
consentito all'Amministrazione controllata di presentare  le  proprie
osservazioni   e   deduzioni,   previa   ordinanza   specifica    (n.
106/2019/PRSP),  emessa  applicando   analogicamente   il   principio
generale espresso anche  dall'art.  7,  comma  2,  del  Codice  della
giustizia contabile (il quale rinvia all'art. 101, comma  2  c.p.c.),
che impone al giudice di segnalare alle parti le questioni rilevabili
d'ufficio, al fine di provocare la discussione tra le parti stesse  e
le consequenziali attivita' assertive e  probatorie  (cfr.  Corte  di
cassazione, Sez. II, con la sentenza 11 dicembre 2013, n. 27631). 
    3.3. Sussistono dunque i requisiti  di  accesso  al  giudizio  di
costituzionalita',  sintetizzati  nel  «test  di  giurisdizionalita'»
dallo stesso Giudice delle leggi, ai limitati fini  della  remissione
delle questioni incidentali di legittimita'. 
    Come e' evidente tutti i suelencati' requisiti  sono  soddisfatti
nel procedimento di controllo ai sensi dell'art. 243-quater, comma 7,
TUEL. Infatti: 
        a)  come  gia'  evidenziato  nella   sentenza   della   Corte
costituzionale  n.  39/2014,   si   tratta   di   un   controllo   di
legalità-regolarita'; 
        b) l'accertamento e' giustiziabile ai sensi e per gli effetti
dell'art.  11,  comma  6,  lettera  e)  del  Codice  della  giustizia
contabile (decreto legislativo n. 174/2016); 
        c)  e'  assicurato  ampio  contraddittorio  con  il  soggetto
controllato, al quale si applica in via diretta, l'art. 111, commi  1
e 2 Cost.,  e,  in  via  analogica,  le  norme  sui  procedimenti  di
controllo previsti dal vigente testo  unico  della  Corte  dei  conti
(T.U. 1214 del 1934) e quelli del Codice di giustizia contabile (art.
7). 
    3.4. Pur ritenendo che le considerazioni  sin  qui  svolte  siano
sufficienti a giustificare la legittimazione di questa Magistratura a
sollevare incidentalmente questioni  di  legittimita'  costituzionale
nell'odierno  procedimento  di  controllo,  si  ravvisa  altresi'  la
peculiarita' della «zona d'ombra», per cui la Corte costituzionale ha
piu' volte ritenuto di interpretare estensivamente  l'ambito  di  una
simile legittimazione (sent. n. 1/2014; n. 18/2019;  n.  105/2019)  e
del paramento costituzionale giustiziabile (sentt. n. 196/2018  e  n.
138/2019). 
    Nell'ottica della formazione di  pericolose  «zone  franche»  non
meno rilevante e' la decisione della Consulta  n.  107/2016,  con  la
quale e' stato evidenziato l'importanza del giudizio incidentale  per
la verifica imparziale degli equilibri  finanziari,  a  fronte  delle
possibili inefficienze  e  del  difetto  di  imparzialita'  che  puo'
affliggere l'iniziativa processuale dello Stato (e  mutatis  mutandis
delle  regioni  stesse,  all'esito  di   mediazioni   politiche   che
sacrificano il rispetto  del  principio  di  costituzionalita'  delle
leggi).  Infatti,  i  soggetti  che  sono  investiti  del  potere  di
impugnare in via principale le  leggi  devono  «tenere  comportamenti
imparziali e coerenti  per  evitare  che  eventuali  patologie  nella
legislazione e nella gestione dei bilanci [...] possano  riverberarsi
in  senso  negativo  sugli  equilibri   complessivi   della   finanza
pubblica». Diversamente, nei giudizi in via incidentate, la  presenza
di un  giudice,  soggetto  soltanto  alla  legge  (art.  108  Cost.),
assicura   un   filtro   neutrale   di   eventuali    questioni    di
costituzionalita'; la Consulta ha evocato  quindi,  in  modo  nemmeno
tanto implicito, il ruolo della Corte dei conti, di cui piu' volte ha
sottolineato il carattere di «magistratura neutrale ed  indipendente,
garante imparziale dell'equilibrio economico-finanziario del  settore
pubblico» (cfr. ex multis Corte costituzionale sentenza n. 60/2013). 
    Questo  comportamento  imparziale,  infatti,  e'  necessario  per
tutelare le autonomie e allo stesso tempo  i  valori  di  uguaglianza
(articoli 5 e 119  Cost.)  tra  i  cittadini  nelle  varie  comunita'
territoriali. 
    Cio' detto, e' del tutto evidente che le norme considerate  hanno
una natura particolare (C. cost. sentenza n. 1/2014)  in  quanto,  al
netto delle ipotesi di impugnazione in via principale, le  norme  che
questo giudice e' chiamato ad applicare nell'esercizio della funzione
di  controllo  sui  bilanci  delle   ASL,   sarebbero   difficilmente
sottoponibili altrimenti al controllo di legittimita'  costituzionale
in via incidentale, in quanto la Corte dei conti e' l'unico  soggetto
competente  a  verificarne  la   corretta   applicazione,   tutelando
interessi adespoti in posizione di terzieta'. 
    Solo in  sede  di  sindacato  di  controllo  (e  in  via  mediata
nell'eventuale, successivo sindacato  giurisdizionale)  e'  possibile
verificare, da parte di un giudice terzo, la  legalita'  ordinaria  e
costituzionale nella determinazione dei contenuti del «bene  pubblico
bilancio». Legalita' che viene  posta  a  presidio  di  interessi  in
potenziale (e  spesso  in  concreto)  conflitto  con  quelli  di  chi
predispone il bilancio (l'organo esecutivo dell'ente pubblico), quali
gli  interessi  della  comunita'  di  riferimento  e   quelli   delle
generazioni  future,  a  carico  delle  quali  si  puo'   «scaricare»
l'indebitamento, se non addirittura  l'impossibilita'  di  proseguire
l'erogazione del servizio. 
    Il «diritto sul bilancio», infatti,  consiste  nella  definizione
dei limiti  alla  determinazione  dei  contenuti  della  fondamentale
funzione  di  allocazione  delle  risorse   pubbliche,   rimesse   al
legislatore   e   all'Amministrazione,   nel   ciclo   continuo    di
rendicontazione e previsione che esso comporta. 
    Infatti,  oggetto  del  giudizio  contabile  non  e'   un   atto,
un'attivita' o un rapporto sottostante con soggetti determinati  (per
cui rilevano direttamente situazioni giuridiche  soggettive,  tipiche
della giurisdizione amministrativa o  ordinaria,  caratterizzate  dal
principio dispositivo e/o a situazioni giuridiche soggettive  in  cui
si struttura il  rapporto  con  la  p.a.),  ma  e'  il  «processo  di
bilancio», fortemente intriso  dall'elemento  temporale  e  collegato
alla tutela di interessi finanziari adespoti: esso  non  si  sviluppa
linearmente, secondo un inizio ed una fine, ma in modo ciclico, senza
soluzione di continuita', tra rendicontazione e  programmazione,  per
garantire, appunto, l'«inderogabile principio di continuita' tra  gli
esercizi  finanziari»  (Corte  costituzionale  n.   274/2017   e   n.
105/2019). 
    Ora,  e'  evidente  che  la  disciplina  sul  bilancio,   ed   in
particolare quella dei suoi saldi, non interferendo direttamente  con
situazioni giuridiche di diritto soggettivo e di interesse legittimo,
difficilmente  verrebbe  alla  cognizione  del  Giudice  delle  leggi
nell'ambito di un «processo»  dispositivo.  Si  correrebbe  cosi'  il
rischio di collocare in «zone d'ombra» (sent. n. 196/2018 e  nn.  18,
138  e  146/2019),  sottratte  al  sindacato  di   costituzionalita',
importanti norme statali e regionali che disciplinano  la  formazione
dei contenuti del bene pubblico bilancio, con l'effetto  di  lasciare
prive di presidio giudiziale aree importanti dell'ordinamento in  cui
sono regolati interessi di sicuro rilievo costituzionale. 
    Rispetto a tali norme e alla loro corretta applicazione, infatti,
si dispiegano fondamentalmente  interessi  finanziari  adespoti,  non
anche  interessi  e  situazioni  giuridiche  soggettive,  veicolabili
attraverso il processo dispositivo ai sensi degli articoli 24  o  113
Cost., se non nel caso in cui vengano lesi gli interessi soggetti  di
amministratori pro tempore o  di  altri  soggetti  qualificati  (cfr.
Sezioni riunite spec. composizione numeri 8, 16 e 17/2019/EL). 
    Tali  interessi  finanziari  e  adespoti,   infatti,   non   sono
personificati  e  veicolati  direttamente   da   «parti»,   se   non,
occasionalmente,  dalla  stessa  amministrazione  pro  tempore   che,
semmai, si  trova  in  condizione  di  potenziale  conflitto  con  la
comunita' di riferimento, rispetto alla quale e' tenuta ad  osservare
il principio di rendicontazione (Corte cost. sentenza n. 18/2019). 
    3.4.1. Inoltre, a causa  dell'assenza  strutturale  del  pubblico
ministero  contabile  nel  procedimento  di  controllo  dinanzi  alla
Sezione regionale di controllo (tranne che nel giudizio di parifica),
nei  giudizi  di  legittimità-regolarita'  sui  bilanci  dell'aziende
sanitarie non e' possibile negare la  legittimazione  del  giudice  a
sollevare d'ufficio le questioni di legittimita' costituzionale delle
norme che distorcono la rappresentazione degli equilibri di bilancio. 
    Infatti, in caso di accertamento di  controllo  conforme  ad  una
legge di  dubbia  costituzionalita',  ma  favorevole  agli  interessi
concreti del management (il quale, per cio' stesso, non ha  interesse
ad instaurare un giudizio dinanzi alle Sezioni  riunite  in  speciale
composizione),   l'interesse   al    ripristino    della    legalita'
costituzionale non potrebbe essere veicolato in  altro  modo  dinanzi
alle Sezioni giurisdizionali, in assenza di controinteressati. 
    3.4.2. Pertanto, alla luce di queste considerazioni,  ancora  una
volta occorre affermare la legittimazione della Sezione regionale  di
controllo a sollevare questione incidentale di costituzionalita',  in
ragione  della  duplice  esigenza  di  «garantire  il  principio   di
costituzionalita'» ed «evitare che si venga a creare una zona  franca
del  sistema  di  giustizia  costituzionale»  (Corte  costituzionale,
sentenza n. 1/2014, punto 2 in diritto, Corte  costituzionale  numeri
18, 105, 138 e 146/2019). 
    In tali casi, il «preminente interesse  pubblico  della  certezza
del  diritto  (che  i  dubbi  di  costituzionalita'  insidierebbero),
insieme con l'altro della osservanza  della  Costituzione»  vieta  di
ritenere esiziale la circostanza che il giudizio di controllo non  si
svolga con le formalita' tipiche della giurisdizione contenziosa,  in
quanto dalla  «distinzione  tra  le  varie  categorie  di  giudizi  e
processi  (categorie  del  resto  dai  contorni  sovente  incerti   e
contestati)»  potrebbe  derivare   la   «grave   conseguenza»   della
formazione nell'ordinamento di «zone d'ombra» o  «franche»  sottratte
al sindacato di costituzionalita' (Corte cost. sentenza n. 226/1976). 
    Cio' «giustifica  [...]  l'esigenza  di  ammettere  al  sindacato
costituzionale leggi che,  come  nella  fattispecie  in  esame,  piu'
difficilmente verrebbero per altra via, ad  essa  sottoposte»  (Corte
cost. sentenza n. 384/1991), attraverso un «giudice», pur in  assenza
delle forme del «processo» contenzioso; si tratta cioe' di  garantire
che anche la disciplina ordinaria che  presiede  alla  formazione  ed
alla  tutela  del   bilancio   possa   essere   giustiziata   secondo
Costituzione,  quando  tale  disciplina  entra  in  conflitto  con  i
fondamenti della Carta fondamentale. 
    4.  La  rilevanza.  Il   giudice   contabile,   nell'ambito   del
procedimento di controllo ai sensi dell'art.  1,  commi  3  e  7  del
decreto-legge n. 174/2012, e'  tenuto  ad  enunciare  direttamente  o
indirettamente, in che termini la  misura  del  patrimonio  netto  e'
stata modificata applicando la disciplina  contabile  generale  (art.
2424 codice civile) e speciale (art. 29 del  decreto  legislativo  n.
118/2011) all'uopo prevista. 
    Infatti, i comportamenti conformativi  che  devono  scaturire  da
tale accertamento (art. 1, comma 7, decreto-legge  n.  174/2012)  non
sono solo conseguenza della modifica degli equilibri rendicontati, ma
anche della loro misura, nel senso che il  comportamento  necessitato
puo' variare  in  funzione  del  grado  di  variazione  virtuale  che
l'irregolarita' hanno comportato  in  termini  di  patrimonio  netto,
specialmente nel caso in cui emerga un patrimonio netto negativo. 
    In buona sostanza, sussiste un rapporto di  pregiudizialita'  tra
la definizione del giudizio innanzi a questo giudice e  la  questione
di costituzionalita' delle norme che disciplinano il patrimonio netto
dell'azienda sanitaria. 
    In proposito si osserva che la disciplina  del  patrimonio  netto
delle aziende sanitarie e'  in  parte  direttamente  determinata  dal
legislatore (art. 29, decreto legislativo n. 118/2011). Segnatamente,
tale articolo comprende tra le componenti di tale saldo i «contributi
in conto capitale» (comma 1, lettera c) ) sui quali - come anticipato
- la Sezione ha  avanzato,  nel  corso  del  procedimento,  dubbi  di
costituzionalita'.  Piu'  nel  dettaglio,  la  Sezione  dubita  della
razionalita' della contemporanea classificazione di  tale  componente
nel patrimonio netto e, allo stesso tempo, del suo diretto impiego in
funzione  di  «sterilizzazione»  di  un  costo  specifico  del  conto
economico, ovvero, del costo contabile c.d. di «ammortamento». 
    In termini di  rilevanza,  cio'  comporta  che  le  irregolarita'
accertate, nel caso di incostituzionalita' della norma,  porterebbero
ad una piu' importante riduzione virtuale del patrimonio  netto,  con
la riclassificazione del patrimonio stesso in  termini,  addirittura,
negativi. 
    Conseguentemente, diversi sarebbero gli obblighi conformativi (le
c.d. «misure correttive») a valle  dell'accertamento,  non  solo  per
l'ente controllato, ma anche per gli organi tutori. 
    Per tale ragione  il  Collegio  ritiene  di  sollevare  d'ufficio
pregiudiziale questione di legittimita' costituzionale sulla speciale
disciplina, prevista per il patrimonio netto negli enti del  Servizio
sanitario nazionale (SSN), e  segnatamente  sull'art.  29,  comma  1,
lettera c), del decreto legislativo n. 118/2011 relativo alla tecnica
di contabilizzazione dei contributi in  conto  capitale  e  del  loro
impiego a «sterilizzazione» dell'ammortamento  dei  cespiti  con  gli
stessi acquistati. 
    4.1. Le criticita' evidenziate dovrebbero portare questo  Giudice
a considerare come insussistente: 
        l'attivo per  €  6.120.659,00,  per  minori  immobilizzazioni
materiali mobili (assenza di inventario); 
        crediti dell'attivo patrimoniale per € 6.539.428,49 (a  causa
dell'incongruenza tra dati di bilancio in Stato  patrimoniale,  Conto
economico, e contabilizzazione di debiti come crediti). 
    Tali irregolarita' incidono sul patrimonio netto per  circa  12,6
milioni di euro. 
    Per  l'effetto,  all'esito  di  questo  giudizio,   si   dovrebbe
accertare  l'esistenza,  comunque,  di   un   patrimonio   netto   in
diminuzione, ma positivo, nel caso in  cui  la  norma  dell'art.  29,
comma 1, lettera c) del  decreto  legislativo  n.  118/2011  ritenuta
priva di vizi di legittimita' costituzionale, e negativo, invece, nel
caso in cui la stessa norma fosse incostituzionale. 
    L'applicazione dell'art. 29, comma  1,  lettera  c)  del  decreto
legislativo n. 118/2011 e' infatti sempre rilevante nel  procedimento
di controllo sugli equilibri, perche' contribuisce a  determinare  la
effettiva dotazione  del  patrimonio  netto  (e  quindi  l'equilibrio
dinamico e complessivo tra fonti ed impieghi, nella continuita' degli
esercizi) e l'effettivo flusso  di  variazione  derivante  del  conto
economico (l'equilibrio di reddito per ciascun  esercizio  economico,
tra costi e ricavi, che agiscono in variazione del patrimonio). 
    4.2. Piu' nel dettaglio, L'ASL ha puntualmente seguito la tecnica
di  legge,  contabilizzando  il  contributo  tra  le  componenti  del
patrimonio netto  eppur  tuttavia  consentendone  il  suo  impiego  a
«finanziamento» delle sterilizzazioni degli ammortamenti. 
    Cosi'  operando  l'ASL  ha  realizzato  nell'ultimo  triennio   i
seguenti equilibri patrimoniali: 
    Nel triennio si e' assistito  ad  un  miglioramento  del  Pn,  in
quanto  la  Regione  Campania,  in  adempimento  ai   propri   doveri
istituzionali, dopo lunghi cicli economici negativi,  e'  intervenuta
progressivamente con «contributi in conto perdite». 
    4.3. Il valore effettivo del Pn risulterebbe tuttavia diverso  se
si  desse  coerente  rappresentazione  all'impiego  «reddituale»  dei
contributi in conto investimenti, i quali, impiegati per sterilizzare
gli ammortamenti dei cespiti acquistati, si comportano  alla  stregua
di una passivita'. 
    Detto in altri termini, il «contributo in  conto  capitale»,  pur
inserito nel «patrimonio netto», si comporta distonicamente  rispetto
alla natura ed alla funzione propria  di  tale  grandezza  contabile,
realizzando, piuttosto,  il  comportamento  tipico  di  un  «risconto
passivo» (art. 2424-bis, comma 6, del  codice  civile,  Voce  E,  del
passivo patrimoniale, ai sensi dell'art. 2424 c.c.). 
    Il risconto passivo  e'  infatti  una  passivita'  che  serve  ad
accantonare nello Stato patrimoniale  «proventi  percepiti  entro  la
chiusura dell'esercizio, ma di competenza di esercizi successivi». 
    Nella disciplina civilistica, normalmente, il contributo in conto
investimenti viene considerato alla stregua di un «ricavo pluriennale
straordinario» (il contributo in conto impianti)  che  potra'  essere
utilizzato a copertura di correlati «costi futuri» per  ammortamento,
nel rispetto del principio della competenza economica. 
    Pertanto, se  la  norma  fosse  dichiarata  incostituzionale,  in
ragione dell'irrazionalita' intrinseca e non paritaria  della  scelta
tecnico-contabile  compiuta  in  situazioni  simili  per  altri  enti
pubblici,  allora,  il  saldo   del   patrimonio   netto   varierebbe
profondamente. 
    4.3.1.  Qualora  -  valorizzando  il  carattere   stabile   della
contribuzione pubblica, per la sua gratuita' e non reclamabilita'  in
restituzione  -  si  ritenesse  esente  da   vizi   di   legittimita'
costituzionale  la  contabilizzazione  del   «contributo   in   conto
capitale» nel patrimonio netto ed incostituzionale il solo meccanismo
della   c.d.   «sterilizzazione   dell'ammortamento»,   il   giudizio
porterebbe, in prima battuta, ad una correzione del solo risultato di
esercizio (dell'anno di riferimento), e comunque, in seconda battuta,
ad una modifica del patrimonio  netto  finale  (del  ciclo  aziendale
complessivo). 
    Ove fosse dichiarata  incostituzionale  tale  seconda  parte  del
meccanismo  di  contabilizzazione   (l'impiego   sterilizzativo   del
contributo  in  investimenti),  il  patrimonio  netto  subirebbe  una
variazione negativa  rispetto  all'attuale  valore  registrato  nella
Tabella 1. 
    Infatti, il valore del contributo in  conto  capitale,  impiegato
nel 2016 e nel 2017 per  «sterilizzare»  gli  ammortamenti,  dovrebbe
essere  virtualmente  «stornato»  dal  conto  economico,   il   quale
registrerebbe una forte diminuzione del risultato di  esercizio.  Per
questa via, si avrebbe comunque una riduzione del  patrimonio  netto,
tramite il diverso valore della voce «utile/perdita di esercizio». Si
tratterebbe, in tal caso, di una variazione in  aumento  o  riduzione
del patrimonio netto, per effetto della performance complessiva della
gestione, con il conseguente recupero della  natura  del  contributo,
coerente  con  le  altre  componenti  del  patrimonio  netto,   quale
«capitale di rischio» a sostegno della continuita' aziendale. 
    Nel sistema attuale il «provento di sterilizzazione»  per  storno
da «patrimonio netto» viene contabilizzato alla  voce  CE,  A.7  (nel
2017, € 6.458.258,00). 
    Limitando   la   declinazione   di   tale   ipotesi   alle   sole
«sterilizzazioni» intervenute nel 2017, in cui si  e'  registrato  un
risultato di esercizio pari ad €  479.104,00  (cfr.  Tabella  2),  la
Sezione, nel  caso  di  incostituzionalita',  dovrebbe  accertare  un
risultato di conto economico diverso  da  quello  contabilizzato:  il
risultato  di  esercizio  effettivo  dovrebbe   essere   ridotto   di
6.458.258,00  (per  la  cancellazione  virtuale  dei   «proventi   da
sterilizzazione»), con un risultato di esercizio effettivo  e  finale
di € -5.979.154,00. 
    Al termine del giudizio, dunque, la  Sezione  dovrebbe  accertare
non un «utile», ma una «perdita», con una  riduzione  del  patrimonio
netto di pari  misura  e  l'obbligo  di  adottare  misure  correttive
diversamente  adeguate,  per  fronteggiare  in  futuro,  tramite   il
budgeting, i costi di ammortamento (art. 25, decreto  legislativo  n.
118/2011). 
    In tal caso, sarebbe evidente uno  squilibrio  strutturale  della
performance di gestione, che l'Ente sarebbe  chiamato  ad  eliminare,
provvedendo  alla  copertura  degli   ammortamenti   con   i   ricavi
dell'ordinario ciclo di gestione. 
    Sussisterebbe infatti l'obbligo dell'Ente  di  ri-organizzare  il
proprio ciclo di produzione del reddito,  in  modo  da  garantire  la
copertura piena  del  costo  degli  ammortamenti,  tramite  i  propri
ricavi. 
    Infatti, eliminata la possibilita' di  impiegare  una  componente
del  patrimonio   netto   come   fonte   diretta   di   copertura   e
sterilizzazione   degli   ammortamenti,    il    bilancio    dovrebbe
contabilmente  operare  nella   duplice   prospettiva   (tipica   del
patrimonio netto): a) che i costi di ammortamento e la loro copertura
fanno parte del rischio di gestione (al cui  presidio  e'  conferito,
appunto,  il  patrimonio  netto),  b)  che  vi  e'  incertezza  sulla
possibilita' e quantita' di nuovi «conferimenti» tramite  contribuiti
in conto capitale  (nel  presupposto  che  il  contributo  stesso  e'
straordinario, eventuale e legato alle alterne  vicende  del  sistema
della finanza pubblica allargata). 
    4.3.2. Qualora invece - considerando la contribuzione  un  evento
straordinario e una vicenda di rischio che per legge viene  sostenuta
ed affrontata dalla finanza pubblica allargata (e  non  dal  bilancio
della singola azienda sanitaria) - si dovesse  ritenere  irrazionale,
ed incostituzionale, la  «patrimonializzazione»  del  contributo  (ed
invece coerente la contabilizzazione  dello  stesso  contributo  alla
stregua di un «risconto passivo», come avviene, di norma, secondo  la
disciplina civilistica) il giudizio sulla consistenza del  patrimonio
netto, e quindi sugli  equilibri  complessivi,  porterebbe  ad  esiti
ancora diversi. 
    La simulazione degli effetti della contabilizzazione (di  seguito
riportata), alla stregua di  un  «risconto  passivo»,  porterebbe  ad
abbattere  il  patrimonio  netto  per   un   importo   corrispondente
esattamente al valore di tali contributi. 
    La Sezione ha provveduto  a  riclassificare  il  Pn  dell'Asl  di
Caserta, nettando i contributi in conto capitale; tale operazione  di
riclassificazione ha restituito i seguenti valori: 
    Ne riviene che ove la Sezione riclassificasse il patrimonio netto
considerando il contributo alla stregua della disciplina  di  diritto
comune, il patrimonio stesso  diventerebbe  negativo  ed  emergerebbe
un'esigenza di ripiano e rifinanziamento, atteso  che  le  criticita'
rilevate - come sopra descritte - sono  potenzialmente  in  grado  di
determinare una diminuzione del «netto» per  oltre  12,6  milioni,  a
fronte di un Pn riclassificato (nettato,  cioe',  del  contributo  in
conto capitale) di soli € 825 mila. 
    4.4. L'esposizione dei dati contabili nelle tabelle 1, 2 e 3,  in
definitiva,  dimostra  che  la  tecnica   di   rappresentazione   dei
contributi  in  conto  capitale   non   e'   neutra   rispetto   alla
rappresentazione     e     all'accertamento      degli      equilibri
economico-patrimoniali, attraverso il patrimonio netto. 
    Gli effetti conformativi (ex art. 1, comma 7,  del  decreto-legge
n. 174/2012), correlati all'accertamento  compiuto  dal  Giudice  (ex
art. 1 comma 3, del precitato decreto-legge), quindi, sarebbero assai
differenti, dovendosi nel caso di  incostituzionalita'  della  norma,
compiere  modifiche  piu'   profonde   delle   successive   scritture
contabilita',  ed  evidenziare  perdite  che  dovrebbero  portare   a
conseguenti azioni di ripiano, anche con il concorso della regione. 
    5. Della  non  manifesta  infondatezza.  In  via  preliminare  si
osserva che, sulla base del tenore letterale della disposizione,  non
e'  possibile   dare   della   norma   di   cui   si   fa   questione
un'interpretazione diversa, e comunque conforme al combinato disposto
degli articoli 81/97 Cost. e «con gli altri  precetti  finanziari  di
rango costituzionale» (sentenza n. 274/2017, § 4.4  in  diritto),  in
particolare l'art. 3 Cost. 
    Il Collegio e' ben consapevole  che  nell'ambito  dei  compiti  e
delle valutazioni che la legge e la Costituzione affidano al «giudice
a quo» (Corte costituzionale,  sentenza  n.  221/2015,  262/2015;  n.
45/2016; n. 95/2016; n. 240/2016) vi e' anche  quello  di  verificare
preliminarmente se non sia possibile dare una applicazione «conforme»
a  Costituzione  della  disposizione  «rilevante»,   attraverso   una
adeguata operazione esegetica  (Corte  costituzionale,  ex  plurimis,
sentenza n. 356/1996; sentt. n. 219/2008 e n. 1/2013). 
    Nel caso di specie, tuttavia, tale operazione non e' praticabile.
Cio' in quanto, la formulazione della legge e' chiara e non si presta
a  diverse  interpretazioni,  indicando  in   maniera   evidente   il
meccanismo di contabilizzazione del contributo, nelle varie fasi.  La
norma, infatti, prevede  dettagliatamente,  prima,  l'iscrizione  del
contributo nel patrimonio netto, poi illustra la tecnica  di  impiego
dello stesso nel conto  economico,  per  «sterilizzare»  i  costi  di
ammortamento. 
    Inoltre, la norma, e' uniformemente applicata da tutti  gli  enti
del sistema sanitario  nazionale  allo  stesso  modo,  ne'  risultano
interpretazioni  divergenti  da  parte  degli  organi  giudiziari  di
controllo, quasi che costituisca «diritto vivente». 
    Del resto, qualsiasi interpolazione del  testo  e'  incompatibile
con la lettera e le  finalita'  della  norma  linearmente  desumibile
dalla lettura della disposizione, la quale intende  includere  -  con
ogni evidenza - il contributo nel  patrimonio  netto  e  allo  stesso
tempo  utilizzarlo  («stornare  a  provento»)   a   copertura   degli
ammortamenti. 
    Qualsiasi interpretazione diversa della norma in riferimento,  da
quella imposta dalla sua lettera, condurrebbe percio' alla  «rottura»
del   testo   o   a   soluzioni   esegetiche   «eccentriche»   (Corte
costituzionale, sentenza n. 36/2016). 
    La disposizione, si ripete, codifica chiaramente le modalita'  di
contabilizzazione al patrimonio netto e successivamente la  riduzione
dello  stesso  per  effetto  della  «sterilizzazione»  dei  costi  di
ammortamento come se fosse  un  ricavo  pluriennale  (contabilizzato,
secondo il diritto comune, in forma di  risconto  passivo,  ai  sensi
dell'art. 2424-bis, comma 6, c.c.) da portare a  copertura  di  costi
futuri e non capitale di rischio, destinato  a  ridursi  soltanto  in
relazioni al successo o all'insuccesso (equilibrio o squilibrio)  del
conto economico. 
    Nel caso di specie,  pertanto,  nell'attuale  formulazione  della
legge, la Sezione regionale di controllo, puo' solo prendere atto del
patrimonio netto cosi'  come  ricostruito  dall'Azienda  sanitaria  e
sullo  stesso  applicare  la  correzione  virtuale  di  12,6  milioni
(corrispondente   alle   criticita'   evidenziate    nei    paragrafi
precedenti), con le  conseguenze  che  discendono  per  la  legge  in
termini di «misure correttive»;  misure  che,  ovviamente,  sarebbero
certamente   piu'   rigorose,   in   caso   di    dichiarazione    di
incostituzionalita' della norma. 
    5.1. Violazione del combinato disposto dell'art. 97, comma 1,  81
Cost. e 3 Cost.  Irragionevolezza  della  costruzione  normativa  del
saldo. La norma in  questione,  contrariamente  a  quanto  di  solito
avviene in materia contabile, contiene una disciplina puntuale  della
tecnica di rappresentazione contabile di una fonte (il contributo  in
conto capitale). 
    Giova  rammentare,  in  proposito,  che  gli  enti  del  servizio
sanitario adottano il sistema di contabilita' di diritto comune (art.
26 e art. 19 lettere b), punto i), c) e d) del comma  2  del  decreto
legislativo n. 118/2011), salvo alcune norme di diritto speciale. 
    La declinazione speciale di tale disciplina e la  diversione  dal
modello civilistico sono del resto collegate alle precipue  finalita'
della contabilita' pubblica,  che  qualificano  lo  stesso  bilancio,
(inteso come «ciclo» e non come «atto»), alla  stregua  di  un  «bene
pubblico»  (cfr.  Corte  costituzionale  sentenze  n.  184/2016,   n.
80/2017, n. 228/2017, n. 247/2017, n. 49/2018 e ordinanza n. 7/2019). 
    Tale carattere pubblico  e'  infatti  espressione  delle  diverse
finalita' che sono intestate  agli  enti  pubblici  rispetto  ad  una
azienda di diritto privato: in primo luogo, l'obbligo del bilancio di
rendere una trasparente rappresentazione degli equilibri, in  ragione
della sua diretta ancillarita' al principio democratico,  tramite  la
c.d. accountability (art. 1 Cost.); in secondo luogo,  la  necessita'
di   assicurare   la   continuita'   dell'azione    della    pubblica
amministrazione,  per  le  precipue  finalita'  di   erogazione   che
contrassegnano gli enti pubblici, in termini di  funzioni  e  servizi
(«il buon andamento», ai sensi dell'art. 97, comma 2 Cost.). 
    La continuita' viene garantita, come nei bilanci delle aziende in
contabilita' civilista, tramite la sostenibilita'  della  produzione:
ergo, tramite l'equilibrio tra  risorse  ed  impieghi,  tra  costi  e
ricavi. 
    Come   gia'   evidenziato,   la   disciplina   contabile    degli
ammortamenti,      nel      sistema       accrual       (contabilita'
economico-patrimoniale),  e'   strettamente   coessenziale   a   tale
finalita'. 
    Della  centralita'  e  della  inderogabilita'  del  principio  di
continuita' anche nella contabilita' pubblica ha piu' volte  trattato
il Giudice delle leggi (cfr. sentenze numeri 274/2017, n.  49/2018  e
n. 105/2019), cosi' come della  sua  stretta  interrelazione  con  la
clausola generale di equilibrio (sentt. n. 192/2012 e  n.  184/2016).
Eppur  tuttavia,  preme  qui  evidenziare  che  l'equilibrio   e   la
continuita' evocati dall'endiadi degli articoli  81  e  97,  comma  1
Cost., se da un lato mirano all'autosostentamento e alla capacita' di
produrre   valore   sufficiente   al    rinnovo    dei    cicli    di
produzione/erogazione, come per ogni sistema  contabile  e  come  per
ogni bilancio, dall'altro lato, non mirano al profitto  o  alla  mera
creazione di valore, a differenza che nel settore privato. 
    L'equilibrio e la continuita' e, piu' a monte il corollario della
«sincerita'»  di  bilancio,  nella   contabilita'   pubblica   mirano
l'accountability del ceto politico-amministrativo, ex art.  1  Cost.,
nonche' all'uguaglianza  sostanziale  dei  cittadini  sul  territorio
nazionale e nel tempo (c.d. solidarieta' intergenerazionale), ex art.
3, comma 2, ed art. 2 Cost. 
    Allo stesso  tempo,  l'equilibrio  presuppone  piu'  a  monte  la
ragionevolezza della decisione di bilancio, vale a dire,  in  ragione
degli obiettivi citati, l'adeguatezza e la proporzione tra risorse  e
funzioni (C. cost. n. 10/2016), tra finalita' e tecniche  di  calcolo
dei saldi (sentenze numeri 247 e 274/2017):  in  buona  sostanza,  il
«diritto sul bilancio» e la decisione  di  bilancio  medesima  devono
corrispondere a scelte  razionali,  nell'ottica  del  buon  andamento
della pubblica amministrazione (art. 97, commi 1 e 2, Cost.) 
    La manipolazione del bilancio e dei  concetti  contabili,  ed  in
particolare delle regole che presidiano  la  costruzione  dei  saldi,
invero, se effettuata per via legislativa, puo' portare a trasformare
situazioni di squilibrio in forme  di  equilibrio  «simulato»  (Corte
cost. sentenze n. 274/2017 e n. 105/2019), con  cio'  vanificando  la
portata precettiva della regola costituzionale che impone al bilancio
di fornire costantemente una  rappresentazione  veritiera  e  congrua
della realta', in modo da consentire  anche  le  eventuali  modifiche
gestionali e contabili necessarie al recupero nel tempo dello  stesso
squilibrio evidenziato. 
    5.2. In questo contesto, si  sottolinea,  l'emanazione  di  norme
speciali di diritto pubblico divergenti dallo  standard  civilistico,
non solo e' ammissibile, ma e'  spesso  necessitata  dalle  peculiari
funzioni  ed  esigenze  pubbliche.  Simili  esigenze,  pero',  devono
emergere chiaramente dalla struttura della norma  e  devono  rendersi
evidenti all'interprete. 
    Cosi'  avviene  con  riguardo  all'esigenza  di  assicurare   una
misurazione omogenea ed uniforme dei fabbisogni di risorse attraverso
l'equilibrio di bilancio  (art.  117,  comma  2,  lettera  e  Cost.),
espressamente evocata dal Legislatore nell'art. 29, comma 1,  lettera
c) del decreto legislativo n. 118/2011 («garantire l'omogeneita',  la
confrontabilita'  ed  il  consolidamento  dei  bilanci  dei   servizi
sanitari  regionali»)  e  riconoscibile  nella  esigenza  di  evitare
rappresentazioni secondo opzioni alternative che  non  consentano  la
raffrontabilita' e misurabilita' dei risultati di bilancio. 
    Non  altrettanto  riconoscibile   appare   la   pur   altrettanto
dichiarata  capacita'  della  norma  oggetto   della   questione   di
soddisfare la chiarezza e sincerita' dei risultati di bilancio e  dei
suoi equilibri. 
    A volere individuare la volonta' del legislatore del  2011  negli
stessi intenti dichiarati nelle «Linee  guida»  che  congegnarono  il
meccanismo della sterilizzazione in uno con la contabilizzazione  dei
contributi in conto capitale nel patrimonio netto (Linee guida per il
bilancio delle aziende sanitarie»  della  Ragioneria  generale  dello
Stato, del 6 giugno  1995,  cfr.  supra  §  2),  se  lo  scopo  fosse
veramente (e solo) quello di evitare  un'eccessiva  crescita  del  Pn
stesso (per effetto della periodicita'  dei  ridetti  contributi)  la
scelta tecnica risulterebbe  del  tutto  sproporzionata  e  priva  di
fondamento tecnico. 
    In tali «Linee guida» si legge che l'uso di  una  componente  del
patrimonio netto per effettuare  le  sterilizzazioni  sarebbe  dipeso
dalla esigenza di evitare che  negli  anni  si  «[...]  determini  la
dilatazione del contenuto  dei  conti  Contributi  in  c/capitale  da
regione o provincia autonoma indistinti o  vincolati  e,  dall'altro,
l'esposizione di perdite di esercizio  causate  dall'incidenza  delle
suddette quote di ammortamento sui costi. Pertanto, allo scadere  del
periodo di ammortamento,  si  giungera'  all'azzeramento  dell'intero
contributo in c/capitale utilizzato [...]». 
    Se le motivazioni fossero queste, la scelta sarebbe indubbiamente
«sproporzionata»: anche senza  la  «sterilizzazione»,  il  patrimonio
netto, in base  alla  sua  generale  struttura  tassonomica,  avrebbe
dovuto ridursi,  ugualmente  e  progressivamente,  durante  tutto  il
periodo di ammortamento dei cespiti. Cio' si sarebbe infatti comunque
verificato a causa del risultato di esercizio inferiore emergente dal
conto economico, per effetto della mancata «copertura» dei  costi  di
ammortamento  che,  invece,  vengono  «sterilizzati».  I   costi   di
ammortamento, infatti, devono essere «coperti» con  un  miglioramento
dei ricavi; se questi invece vengono «annullati» col meccanismo della
sterilizzazione, si  dissimulano  perdite.  Tali  perdite,  da  sole,
consentirebbero di  realizzare  l'obiettivo  di  non  «dilatare»  una
componente del patrimonio netto,  destinata  naturalmente  ad  essere
abbattuta  tramite  i  risultati  negativi  di  esercizio   via   via
emergenti. 
    La stessa scelta, inoltre, sarebbe «priva di fondamento  tecnico»
poiche' la  «contropartita»  tassonomica  della  sterilizzazione  dei
costi di ammortamento tramite la componente contabile «contributi  in
conto capitale», infatti, e' la sua  trasformazione  da  capitale  di
rischio a passivita' certa e futura (con cio' intendendosi  l'impegno
a  «riservare»  -cioe'  conservare  -  il  provento  stesso  per   la
«copertura» dei costi di ammortamento). 
    In buona sostanza, evitare «l'esposizione di perdite di esercizio
[...] causate dall'incidenza delle suddette quote di ammortamento sui
costi» appare l'unico obiettivo chiaro e coerente del legislatore del
2011 (gia' dichiarato a suo tempo dal «regolatore tecnico» del  1995)
che rimane pero'  in  contraddizione  con  lo  scopo  di  evitare  la
«dilatazione» del patrimonio netto, per effetto della sua  componente
speciale «contributi in conto capitale». 
    In altre parole, la  contabilizzazione  nel  Pn  e  la  volonta',
anch'essa dichiarata, di evitare  una  registrazione  di  perdite  in
conto economico, hanno l'effetto paradossale di far crescere in  modo
improprio il patrimonio netto nel periodo di  ammortamento,  rendendo
opachi - e sviando dalla loro  funzione  -  entrambi  i  saldi  della
contabilita'  economico-patrimoniale:  il  patrimonio  netto  ed   il
risultato di esercizio. 
    L'opacita' che risulta dall'opzione esecutata dal legislatore  si
puo'   per   contro   rendere   evidente   mediante   un   «test   di
ragionevolezza»,  condotto   per   verificare   l'alterazione   della
tassonomia contabile. 
    Nel caso di specie, tale «test  di  ragionevolezza»  deve  essere
condotto su due versanti: 
        1) da un lato, sul terreno  della  capacita'  del  patrimonio
netto di svolgere la  funzione  contabile  sua  propria,  secondo  lo
statuto epistemologico delle scienze ragionieristico-aziendali; 
        2)   dall'altro,   sul   piano   della    coerenza    interna
dell'ordinamento contabile, verificando se  a  fronte  di  situazioni
analoghe (enti egualmente pubblici ed  in  contabilita'  civilistica)
l'ordinamento non abbia dato soluzioni diverse. 
    Sul primo versante, si tratta di verificare la scelta legislativa
in relazione al parametro costituito dall'endiadi  degli  art.  81  e
art.  97,  comma  1,  Cost.,  sotto  il   profilo   della   capacita'
dell'equilibrio  di  garantire  il  «buon  andamento  della  pubblica
amministrazione»  e  di  raggiungere   gli   scopi   precipui   della
contabilita' e del  bilancio  pubblico  (articoli  1  e  2  Cost.  in
particolare la trasparenza e la solidarieta'). Sul secondo  versante,
invece, si tratta di individuare i casi di diverso  e  ingiustificato
trattamento di situazioni similari, in violazione  del  principio  di
uguaglianza  (art.  3),  quale   l'indice   ulteriore   di   evidente
irrazionalita'. 
    Il test  viene  condotto  sotto  l'aspetto  piu'  generale  della
capacita' della  scelta  tecnica  compiuta  dall'art.  29,  comma  1,
lettera  c)  del  decreto  legislativo  n.  118/2011   di   garantire
l'obiettivo della chiarezza (corollario della  clausola  generale  di
equilibrio), precisando sin  da  subito  che  la  chiarezza  (con  la
clausola generale di cui e' espressione) e' essa stesso un  obiettivo
strumentale a valori sostanziali di rilevanza costituzionale. 
    Solo tramite l'equilibrio  e  la  «sincerita'  dei  suoi  saldi»,
infatti, e' possibile garantire l'erogazione dei  livelli  essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali  (art.  117,
secondo comma, lettera m), Cost. e art. 27 della  legge  n.  42/2009)
tramite un adeguato e possibile livello di finanziamento (cfr. in tal
senso Corte costituzionale sentenza n. 6/2019, che evidenzia come  le
prestazioni costituzionalmente necessarie rilevano tra i «criteri  di
priorita' della  spesa  pubblica»  e  quindi  dell'allocazione  delle
risorse). 
    In secondo luogo, la ragionevolezza puo' non riguardare  solo  la
legge di spesa (cfr. ex multis, sentenze n. 6/2019,  n.  10/2016,  n.
155/2015 e n. 10/2015), ma anche (ed ancora piu' a monte) il «diritto
sul bilancio» che disciplina  la  rappresentazione  dei  saldi  (cfr.
sentenze n. 247/2017, n. 274/2017 e n. 105/2019). 
    Le scelte di rappresentazione dei saldi, del  resto,  sono  state
piu' volte, sottoposte al sindacato di ragionevolezza, sub specie  di
violazione diretta degli articoli 81 e 97 Cost. Tanto e' accaduto sia
nel caso di manipolazioni e abusi della tecnica contabile  che  hanno
vanificano le finalita' del saldo di finanza  pubblica  (Corte  cost.
sentenza  n.  247/2017,  §  10  in  diritto),  sia  nel  caso   della
alterazione  della  logica  e  razionalita'  matematica  interna  del
risultato di amministrazione (sentenza n. 274/2017). 
    Esiste, in definitiva, una stretta interrelazione tra il rispetto
dell'equilibrio di bilancio e  la  ragionevolezza  del  «diritto  sul
bilancio». 
    5.3. Per effettuare il primo test di coerenza  interna,  rispetto
allo scopo di «soddisfare il principio generale  di  chiarezza  e  di
rappresentazione  veritiera  e  corretta»,  occorre   preliminarmente
ricordare che: 1) in primo luogo, il principio  di  «sincerita'»  del
bilancio e' esso stesso un  corollario,  anzi,  il  presupposto,  del
precetto  dell'equilibrio  di  bilancio;  2)  in  secondo  luogo,  la
struttura delle norme che costituiscono il «diritto sul bilancio»  e'
assai peculiare. 
    Con riguardo  al  primo  aspetto,  come  specifica  il  principio
contabile generale n. 5 dell'Allegato 1 del  decreto  legislativo  n.
118/2011: «il sistema di bilancio deve essere  comprensibile  e  deve
percio' presentare una chiara classificazione delle voci finanziarie,
economiche   e   patrimoniali   (principio    della    chiarezza    o
comprensibilita'). Il principio della chiarezza o comprensibilita' e'
rafforzativo  del  principio  base  della  veridicita'.  Al  fine  di
consentire una  rappresentazione  chiara  dell'attivita'  svolta,  le
registrazioni contabili  ed  i  documenti  di  bilancio  adottano  il
sistema di  classificazione  previsto  dall'ordinamento  contabile  e
finanziario, uniformandosi alle  istruzioni  dei  relativi  glossari.
L'articolazione  del  sistema  di  bilancio  deve  essere   tale   da
facilitarne  -  tra  l'altro  -  la  comprensione  e  permetterne  la
consultazione  rendendo  evidenti   le   informazioni   previsionali,
gestionali e di rendicontazione in esso contenute». 
    I principi di  chiarezza,  comprensibilita'  e  veridicita'  sono
quindi sinteticamente ascrivibili ad un piu'  generale  principio  di
«sincerita' del bilancio», che si pone come evidente declinazione del
precetto costituzionale dell'equilibrio  (articoli  81  e  97  Cost.)
perche' consente di verificarne la sua effettiva sussistenza. 
    In secondo luogo, lo stesso  principio  di  sincerita'  declinato
nella richiamata disposizione del  decreto  legislativo  n.  118/2011
(assurgendo a parametro interposto di  costituzionalita')  presuppone
infatti un rigoroso  rispetto  della  tassonomia  contabile  espressa
dalla scientia artis di riferimento. In generale, infatti,  le  norme
contabili e il «diritto sul bilancio» fanno ampio rinvio alla scienza
tecnica (ovvero le scienze ragionieristico-aziendali), la quale offre
una  serie  di  principi  logici,  talvolta  codificati  in  apposite
raccolte di standards di comportamento e  rappresentazione  (le  c.d.
best practices), da parte di categorie ed associazioni professionali. 
    Tali principi logici e tali  raccolte  di  «normazioni  tecniche»
assumono rilevanza, rispetto alle norme giuridiche che  hanno  titolo
nelle fonti del diritto ed in particolare  in  legge  o  atti  aventi
forza di legge,  alla  stregua  di  «fonti-fatto»,  fatti  notori,  o
precomprensioni concettuali, la cui  struttura  deontica  integra  la
fattispecie normativa  delle  fonti  del  diritto  in  senso  stretto
(fonti-atto). 
    Le discipline tecniche contenute in tali «fonti-fatto» (OIC, IAS,
IPSAS) - ed in generale quelle della c.d. «normazione tecnica»  (come
e'  stato  evidenziato   in   dottrina)   -   hanno   una   struttura
ipotetico-prescrittiva (se si vuole B, si deve porre in essere A) che
lascia aperta la  scelta  nel  caso  concreto,  rispetto  agli  scopi
perseguibili. 
    Nel  rispetto  della   discrezionalita'   politica   rimessa   al
legislatore (art. 28, legge  n.  87/1953)  le  norme  giuridiche  che
compiono direttamente la scelta tra  queste  opzioni  rappresentative
possibili non possono porsi in contrasto con gli scopi costituzionali
cui  si  e'  fatto  cenno,  alla  stregua  della  peculiare  funzione
dell'equilibrio    nei    bilanci    pubblici.    Un    difetto    di
sincerita'/chiarezza,   infatti,   preclude    l'attivazione    delle
conseguenze giuridiche a presidio dell'effettiva erogazione dei LEA e
delle responsabilita' manageriali a seguito della accountability. 
    Ferma  restando,  dunque,  la   discrezionalita'   politica   del
legislatore (art. 28 della legge n. 87/1953),  le  scelte  da  questo
compiute,  nel  rispetto  del  principio  di  costituzionalita',  non
possono sottrarsi  ad  un  «test  di  proporzionalita'»  (cfr.  Corte
costituzionale n. 1/2014 e n. 272/2015). 
    Nel caso della  norma  in  riferimento  occorre  in  primo  luogo
considerare che  le  opzioni  offerte  dalla  tecnica  consentono  di
scegliere   tra   due   modalita'   di   rappresentazione   contabile
alternative, giammai cumulative. 
    Del resto,  gli  standards  di  rappresentazione  contabile,  cui
rinvia la disciplina civilistica, costituiscono un indice  minimo  di
coerenza   sistematica   e   di   chiarezza   secondo    l'«episteme»
ragionieristico-aziendale.   Infatti,    codificati    in    raccolte
provenienti da associazioni di categoria professionali (segnatamente,
gli OIC, gli  IAS,  gli  IPSAS),  tali  standards  esprimono  ipotesi
coerenti di applicazione dello statuto epistemologico  delle  scienze
ragionieristiche aziendali, che costituiscono la precomprensione alla
base delle  norme  giuridiche  che  dispongono  l'applicazione  della
contabilita' civilistica. Le norme sono quelle piu' volte evocate del
decreto legislativo n. 118/2011,  che  a  loro  volta  richiamano  la
struttura e la logica del  bilancio  in  partita  doppia  e  di  tipo
economico-patrimoniale, adottato dalla disciplina di  diritto  comune
(art. 2424 c.c.). 
    5.3.1. Tanto premesso, le valutazioni critiche  della  sospettata
norma,  espresse  in  termini  di  incoerenza  ed  inconciliabilita',
trovano conferma nelle elaborazioni codificate dalla  scientia  artis
in appositi standards contabili. 
    Come gia' evidenziato, l'art. 29, comma 1, lettera c) del decreto
legislativo n. 118/2011, per la contabilizzazione dei  contributi  in
conto capitale, cumula il  «metodo  patrimoniale»  (contabilizzazione
del contributo stesso nel patrimonio netto) ed il «metodo reddituale»
(contabilizzazione del ridetto contributo come «ricavo  pluriennale»,
utilizzabile per annullare, recte «sterilizzare», i costi pluriennali
di ammortamento negli anni successivi). 
    I paradigmi logici e matematici per la costruzione del patrimonio
netto e dell'equilibrio di gestione (risultato di esercizio)  offerti
dalla scientia  artis,  presupposti  dalla  contabilita'  civilistica
(richiamata dagli art. 26 e art. 19, lettere b), punto i),  c)  e  d)
del  comma  2  del  decreto  legislativo  n.  118/2011),  evidenziano
l'impossibilita' di cumulare le due tecniche,  sebbene  restituiscano
l'evidenza   della   possibilita'   di   due   scelte    alternative,
tendenzialmente privilegiando il metodo reddituale (cfr. OIC  n.  16,
dallo IAS n. 20 e dall'IPSAS n. 23). 
    Secondo l'OIC n. 16, spec. punto nn. 86, 87 e 88, infatti, per  i
contributi pubblici a  fondo  perduto,  commisurati  al  costo  delle
immobilizzazioni materiali (c.d.  «contributi  in  conto  impianti»),
occorre accendere  sul  conto  economico  un  costo  per  «risconto»,
tramite  cui  accantonare  un   importo   equivalente   nello   stato
patrimoniale  (alimentando  la   voce   «risconto   passivo»).   Tale
accantonamento si traduce in  una  riserva  vincolata  ad  uno  scopo
specifico, la quale puo' essere portata  a  «provento»,  di  anno  in
anno, man mano che maturano gli ammortamenti  dell'attivo  correlato,
sterilizzando l'impatto economico negli esercizi successivi. 
    Analoga tecnica  contabile  e'  prevista  dallo  IAS  n.  20  (in
particolare dal punto 24 al punto 28). 
    OIC e IAS, dunque, considerano il «contributo in conto  impianti»
alla  stregua  di  un  «ricavo  pluriennale»,  accantonabile  in  una
passivita' dello stato patrimoniale, a fronte di futuri e certi costi
pluriennali di ammortamento. 
    Tutti  gli  istituti  della  contabilita'  economico-patrimoniale
finora considerati («risconto passivo», «debito pluriennale»,  ecc.),
quindi, finiscono tendenzialmente per tradurre il contributo in conto
impianti in un ricavo pluriennale e poi in una  passivita'  contabile
pluriennale, da utilizzare per sincronizzare i costi  pluriennali  di
ammortamento con i ricavi pluriennali,  nel  rispetto  del  principio
della competenza economica. 
    Peraltro, in passato, lo stesso IAS  n.  20  (in  una  precedente
formulazione), al paragrafo 15,  prevedeva  la  possibilita'  di  una
contabilizzazione diretta al «patrimonio  netto»  del  contributo  in
conto investimenti. Esso, in alternativa al risconto passivo,  poteva
essere considerato come apposita riserva - ben distinta - tra le voci
del patrimonio netto medesimo («metodo patrimoniale diretto»).  Anche
in tale caso, pero', non era previsto che il contributo (iscritto  al
patrimonio netto)  servisse  anche  per  «sterilizzare»  i  costi  di
ammortamento, attesa la natura di capitale di rischio che in tal caso
si conferiva al contributo. Cio' costituiva  evidenza  del  carattere
alternativo delle due principali  impostazioni  di  contabilizzazione
dei contributi pubblici. 
    Per il vero, la letteratura dello IAS n. 20,  paragrafo  27,  non
esclude altresi' il  c.d.  «metodo  patrimoniale  indiretto»,  basato
sulla detrazione del valore del  contributo  dal  costo  dei  cespiti
acquistati, a mo' di «fondo  svalutazione  crediti»,  che  riduce  il
valore  dei  crediti  dubbi.  Tuttavia,  anche  con   questo   metodo
(«patrimoniale indiretto») si separa  chiaramente  la  vicenda  della
determinazione del valore  del  patrimonio  netto,  commisurato  alla
differenza  attivita'  e   passivita',   e   la   vicenda   contabile
dell'ammortamento: l'eventuale ammortamento del valore  residuo  (per
la parte netta del valore dei cespiti acquistati) non  viene  infatti
sterilizzato, ne'  parallelamente  il  patrimonio  netto  aumenta  in
ragione del contributo.  Infatti,  per  effetto  della  compensazione
diretta tra attivo e valore del contributo, che opera alla stregua di
un «fondo di  ammortamento»,  il  contributo  si  comporta  come  una
passivita' che viene subito scontata sulle attivita'. 
    Nel settore pubblico internazionale, infine, gli  IPSAS  (n.  23,
punti 37 e 38) - laddove venga adottata la contabilita' accrual e  la
partita  doppia  -  si  limitano  a  prescrivere  la  necessita'   di
verificare se il trasferimento ha le caratteristiche di un «provento»
o di un «conferimento di proprieta'», con  le  conseguenze  contabili
che ne derivano. Sulla base di tale disamina l'IPSAS n. 23 autorizza,
impliciter, ad adottare il  metodo  reddituale  (accendendo  analoghi
meccanismi di riserva tra le passivita' per garantire il rispetto del
principio  della  competenza   economica,   anche   con   un   debito
pluriennale) ovvero il metodo patrimoniale  (ponendolo  a  patrimonio
netto), senza in nessun modo  procedere  a  commistione  tra  le  due
differenti tecniche  contabili  che  le  due  scelte  rappresentative
presuppongono. 
    In definitiva, alla luce degli standards contabili: 
        a)  se  si  fa  prevalere  la   prospettiva   della   stabile
destinazione  all'attivita'  aziendale  del   contributo   in   conto
capitale,  (specie  dopo  l'adempimento  del   dovere   pubblico   di
destinazione, con l'acquisto del  bene  al  quale  il  contributo  e'
destinato) occorre considerare il contributo stesso come «capitale di
rischio»   (a   carattere   straordinario)   e,   nell'ottica   della
solidarieta' intergenerazionale  e  della  continuita'  aziendale,  a
garanzia  della  continuita'  aziendale,  il  conto  economico   deve
registrare «ricavi» sufficienti ad auto-finanziare l'acquisto  futuro
di altri cespiti della stessa  natura,  tramite  la  «copertura»  dei
costi di ammortamento. Cio' anche in considerazione di  due  dati  di
realta': a) il valore dei  cespiti  decade  col  tempo  e  con  l'uso
(ammortamento); b) data la limitatezza delle  risorse  pubbliche  che
forniscono «il  contributo  in  conto  impianti»,  non  c'e'  nessuna
garanzia che tale elargizione pubblica  in  futuro  sara'  nuovamente
erogata; 
        b) per contro, se si intende valorizzare la destinazione  del
contributo all'acquisto del cespite ed  il  carattere  «esterno»  del
finanziamento,   allora   occorre   considerare   che   tramite    la
«sterilizzazione» la fonte dell'acquisto si  collega  direttamente  a
costi e debiti «reali», relativi all'ammortamento. In tal  caso,  non
e' ammissibile la contabilizzazione diretta a «patrimonio netto»  del
contributo, in quanto - cosi' facendo - si  aumenta  direttamente  la
consistenza patrimoniale mediante una  componente  che  si  comporta,
invece ed in tutto, come una passivita'. 
    5.3.2. Nella logica  del  rispetto  dell'intrinseca  razionalita'
delle regole che presiedono la contabilita' economica, dunque, non e'
possibile  «cumulare»  l'iscrizione  del  contributo  al  «patrimonio
netto»,  per  acquisto  di  beni  ammortizzabili,  e  contestualmente
utilizzare il medesimo  contributo  per  la  «sterilizzazione»  degli
ammortamenti relativi allo  stesso  bene  con  esso  acquistato.  Una
simile  esposizione  contabile,   com'e'   evidente,   sottende   una
duplicazione di impieghi della medesima risorsa,  con  risultati  non
rispondenti a canoni di «sincerita'», di «rappresentazione veritiera»
e, in ultima analisi, di reale equilibrio. 
    Se,   infatti,   si   cumulano    classificazione    a    Pn    e
«sterilizzazione», come fa l'art. 29, comma 1, lettera c) del decreto
legislativo n. 118/2011: 
        a) il Pn si accresce indebitamente di  risorse  che  sono  ab
orgine stabilmente destinate al servizio della copertura dei costi di
ammortamento e che comunque nel tempo sono «certamente»  destinate  a
sparire, in quanto elemento del ciclo di reddito di esercizi  futuri.
In questo modo, il contributo in  conto  capitale,  che  per  la  sua
relazione con costi specifici si comporta come una passivita', va  ad
accrescere indebitamente il Pn finale; 
        b) il conto economico (CE) non e'  in  grado  di  evidenziare
l'eventuale  incapacita'  dei  ricavi  di  sostenere  la  continuita'
aziendale e il rinnovo degli impieghi. In pratica, il CE non consente
di verificare l'economicita' della gestione. Del  resto,  non  vi  e'
nessuna garanzia che in futuro i beni  ad  utilita'  pluriennale  che
costituiscono investimento (le immobilizzazioni)  e  che  generano  i
ricavi  di  produzione/erogazione  siano  finanziati   da   nuovi   e
successivi contributi pubblici. 
    La struttura normativa dell'art. 29, comma  1,  lettera  c),  del
decreto legislativo n. 118/2011, dunque, rivela che  l'unico  effetto
prodotto e' quello paradossale di una contemporanea sopravvalutazione
dei risultati di esercizio e del patrimonio netto, in pieno e diretto
contrasto rispetto agli scopi della contabilita' pubblica, per giunta
dichiarati in esordio dal legislatore nell'art. 29, comma  1  decreto
legislativo n. 118/2011. 
    Appare evidente la contraddizione della scelta compiuta  rispetto
allo scopo dichiarato, ovvero, «soddisfare il principio  generale  di
chiarezza e di rappresentazione veritiera e  corretta»,  determinando
un vizio  di  ragionevolezza  della  scelta  tecnica  effettuata  dal
legislatore. 
    Pertanto, ad avviso di  questo  giudice,  la  tecnica  «ibridata»
elaborata dal legislatore, appare intrinsecamente irrazionale  ed  in
contrasto con il precetto dell'equilibrio  e  con  gli  scopi  stessi
della contabilita' pubblica e del bilancio  come  bene  pubblico,  in
quanto mina la capacita' del Pn di dare trasparente  rappresentazione
degli equilibri economico-patrimoniali. 
    5.4. La stessa scelta tecnica compiuta dal legislatore,  inoltre,
appare discriminatoria e incoerente «esternamente»,  con  riferimento
cioe' al trattamento normativo previsto  dall'ordinamento  per  altri
enti pubblici in contabilita' civilistica. 
    Il riferimento, in particolare, e' al sistema delle  universita',
ai sensi dell'articoli  16,  17  e  18  del  decreto  legislativo  n.
91/2011,  nonche',  ai  sensi  degli  articoli  1  e  7  del  decreto
legislativo n. 18/2012. 
    Anche le Universita', invero,  sono  in  regime  di  contabilita'
civilistica, vale a dire in «contabilita' economico-patrimoniale». 
    La disciplina di dettaglio, per le Universita', e' rimessa ad una
normazione secondaria, emanata ai sensi degli  articoli  2  e  9  del
medesimo decreto legislativo  n.  18/2012,  che  rinvia  ad  appositi
decreti ministeriali di concerto tra MIUR e MEF. 
    Con il decreto interministeriale 14 gennaio 2014, n. 19 (Ministro
dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, di concerto con il
Ministro dell'economia  e  delle  finanze),  sono  stati  adottati  i
«Principi  contabili   e   schemi   di   bilancio   in   contabilita'
economico-patrimoniale per le universita'». 
    In particolare, il relativo art. 8 prevede la  predisposizione  e
l'aggiornamento periodico di un «Manuale  tecnico  operativo»  (fonte
terziaria) a  supporto  delle  attivita'  gestionali,  da  parte  del
Ministero  dell'istruzione,   dell'universita'   e   della   ricerca,
avvalendosi  della  Commissione  di  cui  all'art.  9   del   decreto
legislativo 27 gennaio 2012, n. 18. 
    Il legislatore, non  avendo  fatto  una  scelta  diretta,  ha  in
realta' presupposto il  sistema  di  contabilizzazione  previsto  dai
vigenti standards, in virtu' del  rinvio  all'art.  2424  del  codice
civile, richiamato dalla normativa primaria sulla contabilita'  degli
enti universitari. Tale sistema prevede la «sterilizzazione» mediante
la tecnica del «risconto passivo» o di una  passivita'  patrimoniale,
senza  comunque  determinare  un  surrettizio  aumento  diretto   del
patrimonio netto. 
    Ed infatti, gli organi ministeriali tecnici, delegati alla scelta
del metodo  di  contabilizzazione  in  conformita'  alla  legge,  nel
«manuale tecnico  operativo»  (adottato  con  decreto  direttoriale),
hanno  optato  per  la  «sterilizzazione»  attraverso  il   «risconto
passivo»  (decreto  direttoriale  n.  1055  del  30  maggio  2019   e
conformemente anche il precedente decreto direttoriale n. 1841 del 26
luglio   2017)   senza   prevedere   alcuna   «ibridizzazione»    tra
contabilizzazione al Pn e sterilizzazione degli ammortamenti. 
    5.5. In conclusione, l'excursus ed il test di coerenza interna ed
esterna, sin qui svolti,  evidenziano  che  la  scelta  compiuta  dal
legislatore  con  la  sospettata  norma  e'  incompatibile   con   la
tassonomia  della  contabilita'  economico-patrimoniale,  secondo  la
scienza  ragionieristico   aziendale,   presupposta   dalla   decreto
legislativo n. 118/2011 e dal codice civile, richiamato dal  medesimo
decreto legislativo n. 118/2011, in quanto  stravolge  significato  e
funzione del patrimonio netto. 
    Come  si  e'  gia'  brevemente  accennato,  la   «sterilizzazione
reddituale» dell'ammortamento corrisponde all'idea di fondo  che  non
e' onere del bilancio dell'azienda sanitaria reperire le risorse,  in
autofinanziamento, per il rinnovo e  l'acquisto  del  comparto  «beni
durevoli»  (investimenti),  poiche'  a   tale   incombenza   provvede
regolarmente la finanza derivata statale e regionale. 
    In questa ottica (metodo reddituale) il  contributo  puo'  essere
considerato un «ricavo pluriennale» impiegabile per «dare  copertura»
ai costi futuri e certi di ammortamento. 
    Di conseguenza lo stesso contributo non  puo'  incidere,  ne'  in
aumento ne' in diminuzione sulla dotazione  patrimoniale  (patrimonio
netto), perche' non e' ricchezza stabilmente affidata  all'azienda  a
copertura di eventuali e future  perdite,  ma  a  servizio  di  costi
specifici, certi e futuri. 
    Per altro verso, pero', la gratuita' e non  reclamabilita'  della
restituzione del «contributo in  conto  capitale»,  soprattutto  dopo
l'effettuazione dell'acquisto del cespite, ben potrebbe indurre a far
considerare il contributo stesso come parte stabile del  capitale  di
destinazione ed aumento della ricchezza disponibile. 
    Entrambi gli scopi concreti, correlati alle caratteristiche della
gestione degli enti del Servizio sanitario nazionale e dei contributi
in  conto  investimenti,  sarebbero  compatibili  con  quelli   della
contabilita'  pubblica  ed  in  particolare  con  il   principio   di
sincerita'; cionondimeno, la commistione contabile delle due tecniche
porta  ad  effetti  inconciliabili,  denaturando  la   funzione   del
patrimonio netto. 
    Considerare  il  contributo  in  capitale   come   elemento   del
patrimonio netto (metodo patrimoniale), in  ragione  dell'aumento  di
ricchezza  che  determina,  presuppone  che  esso   sia   considerato
«capitale di rischio»  e  per  l'effetto  che  possa  diminuire  solo
all'esito della gestione complessiva. 
    Cio' comporta, peraltro, che il conto economico deve farsi carico
pienamente dei costi di ammortamento. 
    Questa opzione ha un duplice effetto di trasparenza: da un  lato,
costringe il  conto  economico  ad  evidenziare  se  ha  un'effettiva
capacita' di produrre ricavi sufficienti alla copertura  di  tutti  i
costi, compreso quello «naturale» di ammortamento;  dall'altro  lato,
in caso di  perdite,  rende  isolabile,  all'interno  del  patrimonio
netto, la «componente» perdita da quella del contributo. 
    Una siffatta trasparenza consente, dal canto suo, di isolare,  al
momento della decisione sui trasferimenti  da  parte  del  principale
stakeholder (la regione) quali sono i diversi fabbisogni:  quello  da
ripiano  e  quello  da  finanziamento  dell'acquisto  di  nuovi  beni
durevoli. 
    Diversamente ragionando, gli stessi contributi in conto  capitale
rischierebbero di essere destinati a  finanziarie  il  pagamento  dei
debiti pregressi, compensando il pregresso deficit di risorse,  senza
essere destinati, per cassa, allo scopo per cui sono stati erogati. 
    Questo duplice  effetto  di  trasparenza  viene  frustrato  dalla
scelta contabile dell'art.  29,  comma  1,  lettera  c)  del  decreto
legislativo n. 118/2011, che consente di usare  il  patrimonio  netto
per  le  sterilizzazioni  degli  ammortamenti:  il  conto  economico,
infatti, non restituisce l'informazione sulla sua  reale  efficienza,
ed il patrimonio netto, invece, viene  sovrastimato  da  un  elemento
periodico (il contributo in conto  capitale)  che  si  comporta  alla
stregua di una passivita' e che non  e'  destinata  ad  assorbire  le
perdite,  ma  costi  di  un  tipo  specifico,  certi  e  futuri  (gli
ammortamenti). 
    I due scopi rappresentativi (evidenziare il carattere esterno del
finanziamento; evidenziare l'aumento della  ricchezza  patrimoniale),
pertanto,  portano  a  scelte   contabili   inconciliabili,   poiche'
sovrapporre  il  primo  scopo  al  secondo  significa  denaturare  il
patrimonio netto e la sua capacita' di misurare  la  ricchezza  e  la
performance aziendale. 
    5.6. Ridondanza della irragionevolezza delle scelte  tecniche  in
tema di equilibri (articoli 81, 97, Cost. 3, comma  1,  Cost.)  sulla
violazione dell'articoli  97,  comma  2  (buon  andamento),  e  degli
articoli 1, 3, comma 2, nonche' degli  articoli  2  e  32.  Cost.  In
definitiva, in  ragione  delle  evidenze  di  incoerenza  interna  ed
esterna sopra passate in rassegna, l'art. 29, comma 1, lettera c) del
decreto legislativo n. 118/2011 appare  porsi  in  contrasto  con  la
clausola generale dell'equilibrio  di  bilancio  (articoli  81  e  97
Cost.), nella misura in cui ne viola i presupposti,  consistenti:  a)
nella ragionevolezza delle scelte  del  legislatore,  in  termini  di
tassonomia contabile  e  quindi  b)  nella  «sincerita'»  stessa  del
bilancio (e dei suoi saldi) e di conseguenza nei  suoi  stessi  scopi
fondamentali. 
    Segnatamente, il difetto di  ragionevolezza,  misurabile  tramite
gli indici  di  (in)coerenza  interna,  di  cui  si  e'  fatto  ampio
richiamo, esonda in un difetto di chiarezza  e  coerenza  tassonomica
dei saldi. 
    La   violazione   dei    presupposti    stessi    del    precetto
dell'equilibrio,   determina   la   lesione   di   valori   e   scopi
costituzionali, in una relazione  di  intrinseca  strumentalita'  del
primo ai secondi: la clausola generale  dell'equilibrio  dei  bilanci
pubblici,   infatti,   come   evidenziato   nella   sentenza    Corte
costituzionale n. 18/2019, implica ex se la necessita'  del  rispetto
di  fondamentali  valori  costituzionali,   quali   la   riconduzione
dell'esercizio del potere alla  legittimazione  democratica,  tramite
l'accountability, e  la  solidarieta'  intra  e  inter-generazionale.
Nella piu' recente sentenza  n.  146/2019  ancora  si  evidenzia  che
l'equilibrio (codificato negli articoli 81 e 97 Cost.) e' un precetto
costituzionale   collegato   a   «beni-valori»,   configurando    tra
l'equilibrio  (ed  il  bene  pubblico  «strumentale»  costituito  dal
bilancio) e tali valori (beni finali) un rapporto di «mezzo a fine». 
    Tali valori e la capacita' del  «diritto  sul  bilancio»  di  non
pregiudicarli, costituiscono dunque il paramento del «buon andamento»
della pubblica amministrazione, non a caso  menzionato  nel  comma  2
dell'art.  97   Cost.   Si   configura   cosi'   una   relazione   di
protasi-apodosi tra il comma 1 (che impone l'equilibrio del bilancio)
ed il comma  2  dell'art.  97  Cost.  («buon  andamento»).  In  buona
sostanza, ove il «diritto sul bilancio», a causa  di  una  violazione
del precetto  dell'equilibrio,  si  riveli  inefficiente  rispetto  a
questi obiettivi, esso implica altresi' una violazione dell'art.  97,
comma 2, Cost. 
    E' infatti ormai jus receptum che, dopo la riforma costituzionale
del 2012, l'equilibrio  di  bilancio  costituisce,  anche  sul  piano
sistematico-normativo, premessa (art. 97, comma 1, Cost.)  del  «buon
andamento» (art. 97, comma 2, Cost.). 
    In questa ottica, il  giudice  delle  leggi  non  ha  mancato  di
evidenziare come l'equilibrio dei bilanci  sia  «prodromico  al  buon
andamento»  (v.  sentenza  n.  247/2017,  §  8.5  in  diritto),   per
realizzare il quale, del resto, sono necessari trasferimenti adeguati
alle prestazioni pubbliche essenziali da  rendere  ai  cittadini.  La
mancanza di una siffatta adeguatezza, mina alle basi la funzione e la
ragionevolezza del trasferimento stesso, per difetto  di  equilibrio,
con impossibilita' - in concreto  -  di  realizzare  un  qualsivoglia
«buon andamento» amministrativo (v. Corte costituzionale sentenza  n.
188/2015, § 5.2 e n. 10/2016, § 6.1 in diritto). 
    Fermo quanto sopra,  nel  caso  di  specie,  si  assume  sussista
altresi'  una  violazione  dell'art.  3  Cost.,  sia  come  parametro
(insieme al buon andamento)  della  necessaria  ragionevolezza  della
legge, sia come principio che impone l'uguaglianza delle  prestazioni
costituzionalmente necessarie. 
    Mentre, ad avviso di questo giudice a quo, appare ormai chiaro il
fondamento della violazione del principio di ragionevolezza,  occorre
evidenziare che la sospettata norma  determina  altresi'  un  diretto
pregiudizio alla capacita' del bilancio di  assicurare  l'uguaglianza
sostanziale e di garantire l'adempimento dei doveri  di  solidarieta'
al servizio del diritto alla salute (articoli 2 e  32  Cost.),  sulla
base di un'eziologia che di seguito si espone. 
    La predetta norma, per espresso richiamo dell'art.  29,  comma  1
del decreto legislativo n. 118/2011, si applica sia ai bilanci  delle
singole aziende sanitarie  (art.  19  comma  2,  lettera  c)  decreto
legislativo n. 118/2011) e sia al bilancio della GSA (art. 19,  comma
2, lettera b), e sotto lettera i)). 
    Il difetto di chiarezza di tali bilanci, derivante dalla ripetuta
norma, ha un effetto negativo  sinergico,  perche'  da  un  lato  non
consente alle regioni di avere immediata e piena contezza del momento
in cui  e'  necessaria  un'azione  di  ripiano  e,  dall'altro,  pone
problemi generali  di  tenuta,  in  termini  di  effettiva  resa  del
servizio  sanitario  (per  quantita'  e  qualita'  delle  prestazioni
costituzionalmente necessarie, ex  art.  117,  comma  2,  lettera  m)
Cost.). 
    La  chiarezza  e  ragionevolezza  della  disciplina  dei   saldi,
infatti, e' la premessa per l'intrapresa di azioni positive da  parte
dello  Stato  e  delle  regioni,  volte  a   garantire   il   diritto
fondamentale alla salute (art. 32 Cost.), in modo uniforme  su  tutto
il territorio nazionale (articoli 3 e 117, comma 2, lettera m) Cost.)
e  secondo  il  principio  della   sostenibilita'   dei   costi   per
l'organizzazione del servizio sanitario (che  e'  garanzia  di  lungo
periodo della stabile ed effettiva erogazione dei LEA, in  condizioni
di efficienza e di equilibrio economico-finanziario).  Cio'  anche  e
soprattutto in un sistema di  relazioni  fra  enti  territoriali  che
valorizza le autonomie ed il principio costituzionale di solidarieta'
(articoli 2, 3 comma 2, 5, 114, 117, comma 2, lettera m), 119 Cost.). 
    Si soggiunge, che il non colto difetto di risorse, non  rimediato
con  azioni  finanziarie  positive  della   regione   interessata   e
indirettamente dallo Stato, costituisce esso  stesso  un  fattore  di
probabile ulteriore deterioramento del bilancio. 
    La carenza strutturale di risorse,  infatti  (dissimulata  da  un
patrimonio netto solo apparentemente  positivo  per  effetto  di  una
irragionevole   tassonomia),   si   traduce   inevitabilmente   nella
incapacita' dell'azienda sanitaria di assicurare standard dei servizi
e dei LEA quantitativamente e qualitativamente adeguati. 
    Il peggioramento della qualita' e quantita' dei LEA, a sua volta,
favorisce  la  «mobilita'  passiva»  verso  regioni  che   non   sono
storicamente affette da simili difficolta'. 
    Cio' comporta,  prospetticamente,  una  riduzione  ulteriore  dei
ricavi delle regioni affette da  deficit  strutturali  e,  con  essi,
dalla capacita' di assicurare una performance  adeguata,  secondo  la
legge e la Costituzione, in  termini  di  qualita'  e  quantita'  dei
servizi. Conseguentemente, anche il patrimonio netto, in prospettiva,
e' destinato a subire gli effetti  di  una  ulteriore  riduzione  dei
risultati di esercizio. 
    In definitiva, il difetto di ragionevolezza e chiarezza dei saldi
si traduce  in  un  fattore  di  inefficienza  dei  sistemi  sanitari
regionali, che espone prima il diritto  alla  salute  al  rischio  di
prestazioni sotto il minimum standard, poi, col tempo, alla  erosione
ulteriore degli equilibri di bilancio (per difetto di competitivita',
con aumento della mobilita passiva e riduzione dei ricavi)  e  quindi
alla certezza della erogazione dei LEA  non  eguale  e  garantita  su
tutto il territorio nazionale. 
    Non ultimo, la mancanza di chiarezza sugli equilibri effettivi di
bilancio degli enti del Servizio Sanitario  impedisce  anche  di  far
valere i meccanismi della contabilita' di mandato (art. 1 Cost.)  nei
confronti di tutti i  soggetti  interessati  dall'organizzazione  del
sistema sanitario a beneficio dei cittadini. 
    5.7. In conclusione, la disciplina «ibrida» dell'art.  29,  comma
1, lettera c) del decreto legislativo n. 118/2011 contiene una scelta
tecnico legislativa  irrazionale  che,  oltre  a  tradire  la  logica
generale  della  contabilita'  economico-patrimoniale,  si  pone   in
contrasto con le fondamentali funzioni della  contabilita'  pubblica,
non consentendo di verificare se sussistono effettivamente le risorse
nello stato patrimoniale e gli equilibri di conto economico, in grado
di garantire,  nella  continuita'  degli  esercizi,  la  prosecuzione
dell'attivita' aziendale e l'erogazione dei LEA. 
    Infatti, come gia' detto  dalla  Consulta  per  il  risultato  di
amministrazione nella contabilita' pubblica finanziaria, anche per il
patrimonio  netto,  la  mancanza  di   «chiarezza   tassonomica   del
legislatore [..] «l'assenza di  un  [saldo  univoco],  l'incongruita'
degli  elementi  aggregati  per  il  suo  calcolo  e   l'inderogabile
principio di  continuita'  tra  gli  esercizi  finanziari  [...]  non
essendo utilmente  scindibili  gli  elementi  che  ne  compongono  la
struttura [...], pregiudicano irrimediabilmente  l'armonia  logica  e
matematica   che   caratterizza   funzionalmente   il   perseguimento
dell'equilibrio del bilancio» (sentenza  n.  274  del  2017;  in  tal
senso, sentenza n. 49 del 2018)» (sent. n. 105/2019). 
    Il  meccanismo  di  rappresentazione  e  impiego  prescelto   dal
legislatore per i contributi in conto capitale  (art.  29,  comma  1,
lettera  c)  del  decreto  legislativo  n.  118/2011),  innesca   una
contraddizione insanabile: utilizzando lo stesso contributo come  una
riserva   al   servizio   di   specifici   costi   futuri   e   certi
(l'ammortamento), la ricchezza di cui si tratta non si comporta  piu'
come un saldo residuale (quale e' il patrimonio netto,  inteso  quale
saldo differenziale tra attivita' e passivita'), ma come una  riserva
gia' impegnata al servizio di  una  passivita'  (costi  pluriennali),
economicamente neutra che non puo' quindi  andare  ad  accrescere  il
valore del patrimonio netto. 
    In tal modo il saldo del patrimonio netto viene irrimediabilmente
alterato, precludendo l'esatta misurazione degli equilibri.  Trattasi
di una preclusione che ha un evidente impatto, in una prospettiva  di
medio-lungo periodo, sull'equilibrio del bilancio regionale  e  sulla
effettiva garanzia del diritto  fondamentale  alla  salute  (art.  32
Cost.). 
    Per  tale  ragione,  preliminarmente,  occorre  sollecitare   una
pronuncia del Giudice delle leggi sul dubbio di costituzionalita'  di
questo  giudice  sull'art.  29,  comma  1,  lettera  c)  del  decreto
legislativo n. 118/2011.