TRIBUNALE DI SIRACUSA  
                     in composizione monocratica 
 
    Il  Giudice,  dott.  Liborio  Mazziotta,  all'esito  dell'odierna
camera di consiglio, ha pronunciato la seguente ordinanza (ex art. 23
legge 11 marzo 1953, n. 87) nel procedimento a carico di V. G.,  nato
a ..., il ..., attualmente sottoposto  alla  misura  cautelare  degli
arresti domiciliari per questa causa, imputato in concorso con D.  M.
A., nato a ... il ... (per il quale si procede  separatamente),  «del
reato di cui agli artt. 110,  624  e  625  n.  2  c.p.,  perche',  in
concorso fra  loro,  al  fine  di  profitto,  dopo  aver  forzato  la
saracinesca del garage  ove  era  custodito,  si  impossessavano  del
motociclo marca modello, di colore targato e del casco di  proprieta'
di M. A. Con l'aggravante di avere commesso con violenza sulle  cose,
avendo forzato la saracinesca del garage. In Siracusa, il  30  maggio
2019. Recidiva reiterata specifica infraquinquennale  per  entrambi»,
per il quale e' stato arrestato in flagranza di reato. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    In data 30 maggio 2019, V. G. e  D.  M.  A.  venivano  tratti  in
arresto da personale del NOR dei CC di Siracusa  e  presentati  nella
medesima  data  per  la  convalida   dell'arresto   e   il   giudizio
direttissimo per il reato di furto aggravato. 
    In sede di convalida V.  G.  ammetteva  parzialmente  l'addebito,
cioe' di aver sottratto il motociclo,  ma  di  non  aver  forzato  la
saracinesca,   addebitando   a   se'   stesso   la    responsabilita'
dell'accaduto; D. M. A.,  invece,  negava  l'addebito,  dichiarandosi
estraneo al furto, ma di essere intervenuto in un momento successivo. 
    Il giudice convalidava l'arresto e, non accogliendo la  richiesta
del pubblico ministero, applicava la misura degli arresti domiciliaci
per V. G. e alcuna per D. M. A. , concedendo poi il richiesto termine
a difesa. 
    All'udienza del 20 giugno 2019 i  difensori,  muniti  di  procura
speciale, chiedevano procedersi con rito abbreviato e  il  Tribunale,
ammesso il rito, rinviava per discussione. 
    All'odierna  udienza  il  Tribunale,  acquisito   preliminarmente
certificazione dal quale  risulta  lo  stato  di  tossico  dipendenza
dell'imputato V. G.  con  riferimento  a  cocaina  e  benzodiazepine,
sentite le conclusioni  delle  parti,  stralciava  la  posizione  del
coimputato D. M. A. per il quale veniva pronunciata sentenza mediante
lettura del dispositivo per il reato di ricettazione di cui  all'art.
648 c.p., cosi' riqualificato il fatto allo stesso ascritto. 
    Per quanto attiene  alla  posizione  di  V.  G.,  dall'esame  del
fascicolo  del  pubblico  ministero,  acquisito  al   fascicolo   del
dibattimento, stante la  volonta'  di  definizione  del  procedimento
mediante rito abbreviato, risulta pienamente provata  la  sua  penale
responsabilita' per il reato di furto monoaggravato, cosi come a  lui
contestato. 
    In particolare: 
        in data 30 maggio 2019 alle ore 3,15 circa,  l'attenzione  di
operanti del NOR dei CC di Siracusa,  mentre  effettuavano  controlli
finalizzati  alla  prevenzione  e  repressione  di  reati  contro  il
patrimonio e la persona, veniva attirata da due soggetti a  bordo  di
un motociclo di colore targato,  i  quali,  non  appena  avvistati  i
Carabinieri, attuavano delle manovre repentine al fine di eludere  il
controllo; 
        dopo una brevissima  fuga,  i  due  lasciavano  il  motociclo
all'interno del cortile condominiale di ... e tentavano di darsi alla
fuga nascondendosi dietro dei veicoli in sosta; 
        raggiunti i due soggetti, gli operanti chiedevano spiegazioni
in merito al possesso del motociclo, senza,  pero',  che  ne  venisse
data alcuna. Veniva  accertato  nell'immediatezza  che  il  motociclo
presentava  la  rottura  del  bloccasterzo  e  del   cilindretto   di
accensione; 
        i due soggetti venivano identificati in V. G. e D. M. A.; 
        veniva individuato il proprietario del motociclo in M. A., il
quale, dopo aver accertato che la saracinesca con apertura a  comando
elettronico del suo garage sito  al  piano  terra  dello  stabile  di
... era stata forzata e che erano stati asportati il motociclo  e  il
casco,  raggiungeva  gli  operanti  e  riconosceva  senza  dubbio  il
motociclo e il casco; 
        sia  il  motociclo,  sia  il  casco  venivano  immediatamente
riconsegnati al legittimo proprietario; 
        infine, era necessario l'ausilio di un carro attrezzi per  il
recupero  del  motociclo,  essendo  impossibile  inserire  la  chiave
all'interno del blocchetto di accensione, a causa della sua rottura. 
        in sede di interrogatorio di garanzia  sono  emersi  elementi
che permettono di affermare che V.  G.  e'  l'autore  del  furto  del
motociclo. Quest'ultimo, infatti,  ammetteva  pacificamente  di  aver
sottratto il motociclo dal garage in cui veniva custodito, di  averlo
fatto da solo e di aver incontrato solo in un momento  successivo  D.
M.  A.  ,  il  quale  saliva  a  bordo  del  motociclo   D.   M.   A.
sostanzialmente confermava la  versione  di  V.  G.,  dichiarando  di
essere  uscito  dalla  propria  dimora  durante  la  notte,  di  aver
incontrato V. G. casualmente, di essere salito a bordo del motociclo. 
    Va rilevato  che  nemmeno  la  difesa  ha  contestato  la  penale
responsabilita'  dell'imputato  in  ordine   al   reato   contestato,
formulando  come  richiesta  finale  quella  della  condanna  a  pena
edittale contenuta, previo riconoscimento delle attenuanti  generiche
con giudizio di equivalenza sulle contestate aggravanti. 
    Quanto all'aggravante dell'aver commesso il  fatto  con  violenza
sulle cose (art. 625, comma 1, n. 2 c.p.), questa si ritiene provata,
nonostante la negazione dell'imputato in sede di interrogatorio,  dal
momento che M. (persona offesa dal  reato)  dichiarava,  in  sede  di
denuncia-querela, di essersi accorto che «la saracinesca dello stesso
[il garage], la cui apertura, comandata elettronicamente,  era  stata
forzata e dall'interno mancava proprio il motociclo in disamina ed il
casco di mia proprieta' di colore blu che ho lasciato sul motociclo».
Non  ci  sono  motivi  per  non  credere  a  quanto   dichiarato   da
quest'ultimo, peraltro neppure costituitosi parte civile nell'odierno
procedimento e, quindi, privo di alcuna pretesa di tipo economica. 
    A tal proposito appare del tutto  inverosimile  la  ricostruzione
fornita dall'imputato V. G., secondo la quale la saracinesca fosse in
parte gia' aperta e che lo stesso si  fosse  limitato  a  sollevarla.
Sarebbe del tutto illogico custodire un motociclo all'interno  di  un
garage, con apertura automatica, e  lasciare  la  saracinesca  aperta
durante la notte. 
    Per quanto attiene alle circostanze  attenuanti  generiche,  esse
non possono essere concesse, dal momento che  non  emergono  elementi
significativi in tal senso, non potendo la confessione, peraltro  nel
caso di arresto in flagranza di  reato,  per  cio'  solo  fondare  la
concessione  delle  predette,   senza,   inoltre,   dimenticare   che
l'imputato non ammetteva di aver forzato  la  saracinesca,  cosi'  di
fatto  negando  la  sussistenza  dell'aggravante  contestata  e   non
manifestava alcuna volonta' di risarcire il danno cagionato. Inoltre,
la documentazione medica  prodotta  all'odierna  non  puo'  ritenersi
significativa  in  tal  senso,  dal  momento  che  -  come   peraltro
perfettamente sostenuto dalla difesa - lo stato di  tossicodipendenza
non puo' fungere da giustificazione alla commissione di delitti e che
non vi e' prova alcuna che al momento della commissione del fatto  V.
G.  fosse  in  stato  di  astinenza   dall'assunzione   di   sostanze
stupefacenti. 
    Quanto  alla  recidiva  contestata,   si   ritiene   di   doverla
riconoscere. L'imputato, infatti,  ha  riportato  numerose  condanne,
anche per reati della stessa  indole  (danneggiamento  e  rapina)  e,
pertanto, si tratta di soggetto che non ha dimostrato, nel corso  del
suo percorso di vita, di voler tenersi lontano dal  circuito  penale,
ma anzi con cadenza regolare ricade nel delitto, per  giunta  delitti
non bagatellari, che ledono in  maniera  intensa  il  bene  giuridico
tutelato, accentuando la pericolosita'  della  condotta  oggetto  del
presente procedimento. 
    Cio'  posto,   dunque,   ritenuta   la   penale   responsabilita'
dell'imputato e  dovendo  il  Tribunale  emettere  una  pronuncia  di
condanna, la pena applicabile allo stesso, a seguito  della  modifica
legislativa introdotta con l'art. 1, comma 7, legge 23  giugno  2017,
n. 103, e' quella «della reclusione da due a sei anni e  della  multa
da euro 927 a euro  1.500»  (successivamente  da  aumentarsi  per  la
recidiva ai sensi dell'art. 63, comma 4 c.p. e da diminuirsi  per  la
scelta del rito). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    Ritiene il Tribunale che sussistano i presupposti  per  sollevare
la questione di legittimita' costituzionale, per  contrasto  con  gli
articoli 3 e 27 Cost., dell'art. 625,  comma  1  c.p.  -  cosi'  come
modificato dall'art. 1, comma 7, legge 23 giugno 2017, n. 103 - nella
parte in cui prevede la pena minima  edittale  della  multa  in  euro
927,00, in rapporto con la pena minima edittale della multa stabilita
dall'art. 625, comma 2 c.p. in euro 206,00. 
Rilevanza della questione. 
    La questione e' rilevante nel caso di specie, in quanto: 
        il reato contestato per il quale e' stata accertata la penale
responsabilita' dell'imputato e' quello di cui agli  articoli  624  e
625, comma 1, n. 2) c.p.; 
        la contestata e  ritenuta  recidiva  reiterata,  specifica  e
infraquinquennale e' circostanza aggravante a effetto  speciale  meno
grave di quella di cui all'art. 625, comma 1, n. 2) c.p. e, pertanto,
da' luogo a un aumento eventuale fino a un terzo, ai sensi  dell'art.
63, cc. 4 c.p., da applicarsi sulla pena di cui all'art. 625, comma 1
c.p.; 
        l'aumento per le due circostanze aggravanti non e' oggetto di
bilanciamento con alcuna circostanza attenuante, non riconosciuta nel
caso di specie per le motivazioni sopra espresse; 
        il fatto e' stato commesso in data 30 maggio 2019 e,  dunque,
successivamente all'entrata in vigore dell'art. 1. comma 7, legge  23
giugno 2017, n. 103. 
    Ne consegue che la pena base da  applicarsi  e'  quella  prevista
dall'attuale art. 625, comma 1 c.p., cioe' la reclusione da due a sei
anni e la multa da euro 927,00 a euro 1.500,00. 
    E' evidente che il minimo edittale della multa  previsto  per  il
furto monoaggravato (euro 927,00) e' significativamente  superiore  a
quello previsto  per  il  delitto  di  furto  pluriaggravato  di  cui
all'art. 625, comma 2 c.p., stabilito in euro 206,00 e, per i profili
di seguito descritti, e' da ritenersi incostituzionale. 
Non manifesta infondatezza della questione. 
    La questione si palesa non  manifestamente  infondata  sotto  due
parametri costituzionali, cioe' gli articoli 3 e 27 Cost. 
    Invero, si  ravvisa  il  difetto  di  ragionevolezza  del  minimo
edittale della multa previsto per il  meno  grave  delitto  di  furto
monoaggravato,  di  cui  all'art  625,  comma  1  c.p.,  cosi'   come
risultante dalla modifica introdotta dall'art. 1, comma 7,  legge  23
giugno 2017, n. 103, laddove lo si raffronti con il  minimo  edittale
stabilito per il piu' grave delitto di furto  pluriaggravato  di  cui
all'art. 625, comma 2 c.p. Non e', infatti, giustificato che  per  un
reato meno grave sia previsto un trattamento sanzionatorio  -  seppur
limitato alla sola pena pecuniaria - piu' oneroso, rispetto a  quello
previsto per un reato oggettivamente piu' grave. 
    Del resto, a conferma di quanto si sostiene, prima della  novella
di cui all'art. 1, comma 7,  legge  23  giugno  2017,  n.  103,  tale
disparita' di trattamento sanzionatorio non sussisteva, in quanto,  a
fronte del medesimo  minimo  edittale  per  il  furto  pluriaggravato
(stabilito in euro 206,00 e non inciso dalla novella legislativa), il
furto monoaggravato era punito nel minimo con la multa  pari  a  euro
103,00, ossia la meta' del minimo della multa prevista per  il  furto
pluriaggravato, pena da reputarsi proporzionata alla diversa e minore
gravita' del fatto. Diversamente, allo stato  attuale,  per  i  fatti
commessi dopo l'entrata in vigore dell'art.  1,  comma  7,  legge  23
giugno 2017, n. 103, sussiste un'evidente disparita'  di  trattamento
tra imputati  condannati  per  il  delitto  di  furto  pluriaggravato
rispetto a quelli condannati per il furto monoaggravato, in relazione
al minimo edittale della loro pena pecuniaria. 
    Ne deriva che il minimo edittale della multa attualmente previsto
per  il   furto   monoaggravato   non   e'   adeguato   all'effettiva
responsabilita' penale dell'autore di  tale  delitto  e  non  svolge,
dunque, la funzione rieducativa di cui all'art. 27 Cost.,  risultando
sproporzionato   rispetto   a   quello   previsto   per   il    furto
pluriaggravato. 
    Va  rilevato  che  l'intervento  che  si  richiede   alla   Corte
costituzionale  non  e'  quello  di  sostituirsi  alle   scelte   del
legislatore in materia sanzionatoria penale, bensi'  di  emendare  le
scelte di quest'ultimo in riferimento a  grandezze  gia'  rinvenibili
nell'ordinamento. E' noto che tale  intervento  e'  legittimato  solo
mediante l'indicazione di un tertium comparationis, da  cui  evincere
la manifesta arbitrarieta' e  irragionevolezza  della  norma  la  cui
costituzionalita' e' in discussione. (Corte Cost.  148/2016  e  Corte
Cost. 22/2007). 
    Nel caso  di  specie  il  metro  di  paragone,  da  cui  evincere
l'arbitrarieta' e l'irragionevolezza  del  trattamento  sanzionatorio
del furto monoaggravato, e' dato dall'art. 625, comma 2 c.p., che per
un reato oggettivamente piu' grave prevede, in  relazione  al  minimo
della pena pecuniaria, un piu' favorevole trattamento sanzionatorio. 
    Si ritiene,  quindi,  che  la  soluzione  conforme  ai  parametri
costituzionali  sia  quella  di  ripristinare  il  previgente  minimo
edittale della multa previsto per il delitto  di  cui  all'art.  625,
comma 1 c.p. stabilito in euro 103,00. 
    E'  necessaria,  pertanto,   la   trasmissione   della   presente
ordinanza,  unitamente  agli   atti   del   fascicolo,   alla   Corte
costituzionale,  cui  consegue  la  sospensione   del   procedimento.
Sospensione che non deve  riguardare  anche  i  termini  di  custodia
cautelare  in  corso  di  esecuzione,  cosi'  come  affermato   dalla
giurisprudenza  di  legittimita',  secondo  cui   «la   pregiudiziale
costituzionale, per espressa previsione  normativa  (legge  11  marzo
1953, n. 87,  art.  23,  secondo  comma),  determina  la  sospensione
obbligatoria del procedimento che priva il  giudice  della  «potestas
decidendi» fino alla definizione della  pregiudiziale  medesima,  ne'
alle parti  e'  attribuito  alcun  potere  di  rimuovere  tale  stasi
processuale, essendo immodificabili ed insindacabili sia  l'ordinanza
di rimessione degli atti alla Corte costituzionale sia il  pedissequo
provvedimento di sospensione; tuttavia,  nell'ipotesi  in  cui  venga
obbligatoriamente sospeso un procedimento in  cui  sia  in  corso  di
applicazione una misura cautelare, il soggetto ad essa sottoposto che
ritenga di  aver  maturato  il  diritto  a  riacquistare  lo  «status
libertatis» per il verificarsi  di  una  delle  cause  estintive  del
provvedimento coercitivo di cui all'art. 306 codice procedura  penale
, non incontra alcun ostacolo a far valere la sua pretesa in giudizio
e  puo'  quindi  promuovere  davanti  al  giudice  per  le   indagini
preliminari, o ad uno dei giudici competenti  per  i  vari  gradi  ai
sensi  dell'art.  279  codice  di procedura  penale,   un'azione   di
accertamento  finalizzata  alla   declaratoria   della   sopravvenuta
caducazione  della  misura  ed  all'ottenimento   dell'ordinanza   di
immediata liberazione o di cessazione della misura  estinta,  secondo
quanto dispongono rispettivamente, il primo e il  secondo  comma  del
predetto art. 306 codice di procedura penale;  trattasi,  invero,  di
azione di natura dichiarativa, rivolta  alla  tutela  di  un  diritto
assoluto ed inviolabile, esperibile in ogni  tempo  salvo  il  limite
della preclusione ove la questione  abbia  gia'  formato  oggetto  di
giudicato cautelare nelle sedi proprie» (Cass. SSUU,  sentenza  n.  8
del 17 aprile 1996 (dep. 3 luglio 1996) Rv. 205258).