LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                        Prima Sezione Penale 
 
    Composta da: 
        Mariastefania Di Tomassi, Presidente; 
        Rosa Anna Saraceno; 
        Filippo Casa; 
        Antonio Minchella; 
        Giuseppe Santalucia, relatore. 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da:  V.
G. nato a ... il ..., detenuto. 
    Avverso  l'ordinanza  del  7  marzo   2019   del   Tribunale   di
sorveglianza di Bologna. 
    Udita la relazione svolta dal Consigliere Giuseppe Santalucia; 
    Lette/sentite le conclusioni del PG dott.ssa A. Picardi,  che  ha
chiesto l'annullamento senza rinvio. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.  Il  Tribunale  di  sorveglianza  di  Bologna  ha   dichiarato
l'inammissibilita' del reclamo di G. V. avverso il provvedimento  con
cui il Magistrato di sorveglianza ha rigettato la  sua  richiesta  di
permesso premio di un giorno, finalizzata a poter trascorrere qualche
ora insieme ai suoi familiari a ... . 
    Ha infatti rilevato la tardivita' del reclamo, in quanto proposto
oltre le ventiquattro ore, termine stabilito dall'art. 30,  comma  3,
ordinanza penale: il provvedimento di rigetto, infatti, gli e'  stato
comunicato il 13 novembre 2018 alle ore 8,16 e il  reclamo  e'  stato
depositato il giorno successivo alle ore 8,44. 
    2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il difensore di G.  V.
che ha articolato piu' motivi. 
    2.1. Con il primo motivo  ha  dedotto  vizio  di  violazione  di'
legge. E' irragionevole, oltre che lesivo dei diritti di  difesa,  il
computo del termine di  minuti.  Esso  contrasta  con  la  disciplina
processuale  in  materia,  e  specificamente  con   quanto   disposto
dall'art. 172 codice penale, secondo cui il termine ad ore  inizia  a
decorrere dall'ora successiva a quella  in  cui  ne  e'  iniziata  la
decorrenza e non vanno computate le frazioni  di  ora.  Peraltro,  il
termine di impugnazione deve  tener  conto  dell'orario  di  apertura
dell'ufficio presso il quale l'atto deve essere presentato, nel  caso
di' specie l'Ufficio matricola del carcere  in  cui  i  detenuti  non
possono accedere autonomamente, occorrendo a tal fine una  domanda  e
l'autorizzazione all'uscita dalla cella detentiva. 
    Si   e'   allora   prospettata    questione    di    legittimita'
costituzionale, per violazione dell'art. 111 cost., dell'art. 30-bis,
comma terzo, ordinanza penale, nella parte  in  cui  individua  quale
termine per la presentazione del reclamo avverso i  provvedimenti  in
materia   di   permessi   quello   di   ventiquattro   ore,   termine
eccessivamente breve per predisporre la propria difesa. 
    2.2. Con il secondo motivo ha dedotto difetto di motivazione, dal
momento  che  il  Tribunale  di  sorveglianza  non  ha  svolto  alcun
accertamento in ordine alla possibilita' del reclamante di presentare
il reclamo in orario antecedente a quello delle ore 8,44  del  giorno
successivo a quello di notifica. Nell'istituto penitenziario  ove  G.
V. e' ristretto, il regolamento interno prevede che  le  celle  siano
chiuse fino alle ore 9,00 del mattino, orario dal quale  iniziano  le
varie attivita' socio-ricreative, rieducative e lavorative. Prima  di
quell'orario  e'  impossibile  uscire  dalla  cella  e   accedere   a
qualsivoglia    altro    locale    dell'istituto    senza    apposita
autorizzazione. 
    3. Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta,
ha chiesto l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. Col  primo  motivo  il  ricorrente  denuncia  l'illegittimita'
costituzionale della norma che  assegna  un  termine  particolarmente
breve, di ventiquattro ore, per la proposizione del reclamo contro  i
provvedimenti emessi in materia di permessi premio  di  cui  all'art.
30-ter ord. pen. Viene in  gioco  la  disposizione  di  cui  all'art.
30-ter, comma 7, ord. pen., secondo cui «il provvedimento relativo ai
permessi premio e' soggetto al reclamo al Tribunale di  sorveglianza,
secondo le procedure di cui all'art. 30-bis», ove si prevede appunto,
in  riferimento  diretto  ai  cd.  permessi  di  necessita',  che  il
provvedimento e' comunicato senza formalita' al pubblico ministero  e
all'interessato,   «i   quali,   entro   ventiquattro    ore    dalla
comunicazione, possono proporre reclamo...». 
    In tal modo il ricorrente indica un vizio di violazione di  legge
del provvedimento impugnato che,  facendo  applicazione  della  norma
della cui costituzionalita' dubita, ha conculcato i suoi  diritti  di
intervento difensivo. 
    2. La questione,  oltre  che,  come  si  dira'  in  seguito,  non
manifestamente infondata, e' rilevante perche', ove  la  norma  fosse
dichiarata incostituzionale,  si  determinerebbe  una  situazione  di
indubbio vantaggio per il ricorrente, il cui reclamo dovrebbe  essere
esaminato nel merito invece che essere  dichiarato,  come  e'  stato,
inammissibile -v., in tal senso, Sez. 1, n. 409 del 10 dicembre 2008,
dep.  2009,  Sardelli,  Rv.  242456,  secondo  cui  «il  ricorso  per
cassazione  puo'  avere  ad  oggetto   anche   soltanto   l'eccezione
d'illegittimita'  costituzionale  della  disposizione  applicata  dal
giudice di  merito,  in  quanto  comporta  comunque  una  censura  di
violazione di legge riferita al provvedimento impugnato,  sempre  che
sussista la rilevanza della questione, nel  senso  che  dall'invocata
dichiarazione  d'illegittimita'  possa   conseguire   una   pronuncia
favorevole  in  termini  di  annullamento,  totale  o  parziale,  del
provvedimento» - nella stessa direzione  Sez.  1,  n.  45511  dell'11
novembre 2009, Papandrea, Rv. 245509 e, in  precedenza,  Sez.  6,  n.
6121 del 16 marzo 2000, pubblico ministero e Santinello ed altro, Rv.
220524. 
    3. Ancora in riferimento al profilo di rilevanza della  questione
si   osserva   che,   in   applicazione   della   norma   della   cui
costituzionalita'  si  dubita,  il  reclamo  e'  stato  correttamente
dichiarato inammissibile. 
    3.1.  Il  ricorrente  ebbe  comunicazione  del  provvedimento  di
diniego del permesso premio alle ore 8,16  del  13  novembre  2018  e
presento' reclamo il giorno successivo, alle ore 8,44, pertanto oltre
il termine di scadenza. 
    Secondo  quanto  stabilito  dall'art.  172  codice  di  procedura
penale, che esclude dal computo l'ora - nel caso  di  specie  le  ore
8,16 - in cui ha avuto inizio la decorrenza, il termine e'  andato  a
scadere alle ore 8,16 del giorno successivo. 
    Il computo ad ore, si' come regolato  dalla  disposizione  appena
richiamata, non impone di  considerare  soltanto  l'ora  piena  e  di
trascurare  le  sue  frazioni,  come  invece  sembra   sostenere   il
ricorrente. 
    Se la comunicazione del provvedimento e'  stata  fatta  alle  ore
8,16, il computo del termine di ventiquattro ore non puo' ignorare la
frazione  aggiuntiva  rispetto  alle  ore  8,00   e   deve   pertanto
commisurare le ore successive, al fine di calcolare  il  decorso  del
termine di reclamo, muovendo  da  quel  termine  iniziale  nella  sua
compiuta specificazione, sia dell'ora che  dell'aggiuntiva  frazione,
ma senza tener conto, come gia' ricordato, dell'ora in cui  ha  avuto
inizio la decorrenza. 
    E' quindi corretta l'affermazione  contenuta  nella  requisitoria
del Procuratore generale che, nel caso in esame,  occorre  effettuare
il computo dalle ore 9,16 del 13 novembre 2018; ma e' proprio in  tal
modo che si apprezza che il  termine  di  ventiquattro  ore  ando'  a
scadere alle ore 8,16 del giorno successivo, contrariamente a  quanto
invece sostenuto nella menzionata requisitoria, ove invece  si  legge
che, se l'ora di decorrenza e' fissata alle ore 9,16 del 13 dicembre,
allora il reclamo e' da ritenersi tempestivo. 
    Per questa ragione non e' errata la decisione impugnata,  che  ha
decretato l'inammissibilita' del reclamo per tardiva proposizione. 
    3.2. il ricorrente, in particolare  con  il  secondo  motivo,  ha
lamentato che il Tribunale, ai fini del corretto computo del termine,
avrebbe dovuto in concreto verificare se sarebbe stato possibile,  in
ragione  dell'assetto  organizzativo  dell'Istituto  di  restrizione,
presentarsi presso l'Ufficio matricola  entro  le  ore  8,16  per  la
presentazione del reclamo. Ha poi dedotto che, nell'Istituto  ove  e'
detenuto, le celle, per regolamento interno, vengono aperte non prima
delle ore 9,00, in tal modo attestando che non avrebbe potuto in ogni
caso essere tempestivo nella proposizione del reclamo. 
    Si'  osserva  a  tal  proposito  che,  a   parte   l'incongruita'
dell'ultimo  rilievo  a  fronte  del  dato  che  il   reclamo   venne
effettivamente proposto alle ore 8,44 e quindi prima  dell'orario  di
apertura delle celle - e che  dunque  sembra  smentire  l'assunto  di
ricorso circa l'impossibilita' di uscire dalle celle prima delle  ore
9,00, l'accertamento di cui si lamenta la mancanza non avrebbe potuto
sortire un utile effetto. 
    Il termine di ventiquattro  ore,  infatti,  seppur  computato  al
netto dei  possibili  tempi  morti  conseguenti  alla  organizzazione
interna dell'Istituto di detenzione, appare in ogni  caso  del  tutto
inadeguato a consentire un pieno ed efficace esercizio del diritto al
reclamo. 
    3.3. Per la  stessa  ragione  la  rilevanza  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  non  viene  meno   sulla   base   della
considerazione che il ricorrente avrebbe potuto  richiedere,  e  cio'
non  ha  fatto,  la  restituzione  nel  termine,  adducendo   proprio
l'impossibilita' di rispettare il ristretto termine  di  proposizione
del  reclamo  in  conseguenza  di  fatti  e  circostanze  a  lui  non
imputabili. 
    La concessione di un nuovo  termine,  di  pari  durata  e  quindi
spiccatamente breve, non avrebbe potuto comunque assicurare un  pieno
esercizio del diritto al reclamo perche' l'eccessiva ristrettezza del
tempo dato per il reclamo non viene meno neanche provando  idealmente
a sommare il termine in cui si potrebbe essere  restituiti  a  quello
iniziale. 
    Emerge anzi, interrogandosi sui concreti effetti che la richiesta
di restituzione nel termine avrebbe potuto  avere  nella  vicenda  in
esame, un profilo ulteriore di irragionevolezza della disciplina. Per
la proposizione della richiesta di' restituzione e' infatti  dato  un
termine di dieci  giorni  a  decorrere  dalla  cessazione  del  fatto
costituente forza maggiore (o caso  fortuito),  di  gran  lunga  piu'
ampio di quello per il quale  la  richiesta,  nella  vicenda  ora  in
esame, avrebbe potuto essere avanzata. 
    4. La questione, come accennato, non e' manifestamente infondata. 
    5. La Corte costituzionale, gia' con la sentenza n. 235 del 1996,
osservo' che la previsione di un identico, e  particolarmente  breve,
termine di reclamo in tema di permessi di necessita'  e  di  permessi
premio non e' ragionevole. 
    Se, per un verso, i brevissimi termini  di  impugnazione  possono
essere giustificati in relazione ai permessi di  necessita',  per  «i
rigorosi presupposti cui la ... norma subordina la concessione» degli
stessi, non altrettanto puo' dirsi, secondo l'impostazione data dalla
Corte costituzionale, per i permessi premio che  sono,  a  differenza
dei primi,  «parte  integrante  del  trattamento  e  da  cui  possono
discendere conseguenze dirette anche al fine dell'applicazione  delle
misure alternative alla detenzione». 
    Nella giurisprudenza costituzionale, come e'  noto,  si  e'  piu'
volte affermato che il permesso premio ha «natura di misura  premiale
di incentivo  alla  collaborazione  del  detenuto  con  l'istituzione
carceraria, e di strumento esso stesso  di  rieducazione,  in  quanto
consente un  iniziale  inserimento  del  condannato  nella  societa'»
(sentenze n. 188 del 1990, n. 227 e n. 504 del 1995, n. 235 del 1996,
n. 296 del 1997, n. 450 del 1998). 
    Altre sono, invece, la natura  e  la  funzione  del  permesso  di
necessita',  misura  eccezionale  che   risponde   esclusivamente   a
finalita' di umanizzazione della pena,  consentendo  al  detenuto  di
stare vicino ai congiunti e di adoperarsi per loro  in  occasione  di
particolare avverse vicende della vita familiare - Sez. 1,  n.  15953
del 27 novembre 2015, dep. 2016, Vitale, Rv. 267210-11. 
    L'identita' del termine per la proposizione del  reclamo  avverso
provvedimenti che attengono all'una e all'altra tipologia di permessi
esalta esclusivamente un  dato  di  natura  meramente  nominalistica,
posto che il Legislatore menziona entrambe le misure  come  permessi,
che pero' restano segnati da una strutturale  eterogeneita'  -  Corte
costituzionale, n. 235 del 1996. 
    L'irragionevolezza della previsione si risolve  pertanto  in  una
violazione dell'art. 3 Cost., perche' la norma  equipara,  quanto  al
termine concesso per il reclamo, situazioni profondamente diverse. 
    5.1. Essa, peraltro, si pone in violazione  dell'art.  27  Cost.,
specificamente del principio rieducativo della pena, perche' ostacola
un  effettivo  e  serio  controllo  sul  provvedimento  adottato  dal
Magistrato di sorveglianza relativo ad  «uno  strumento  cruciale  ai
fini del trattamento», momento iniziale della progressivita' premiale
in esplicazione di una  importante  funzione  «pedagogico-propulsiva»
che  da'   modo   di   saggiare,   quale   primo   esperimento,   «la
risocializzazione in ambito extramurario ...» - Corte costituzionale,
n. 188 del 1990 e Corte costituzionale, n. 227 del 1995. 
    6. Altri sono ancora i parametri di costituzionalita' rilevanti. 
    6.1.  E'  orientamento  consolidato   nella   giurisprudenza   di
legittimita' che il reclamo avverso i  provvedimenti  in  materia  di
permessi premio costituisca un mezzo di impugnazione e  quindi  debba
essere corredato, pena l'inammissibilita', da specifici motivi -  v.,
in tal senso, tra le altre, Sez.  1,  n.  2593  del  30  marzo  1999,
Arrigo, Rv. 213488; Sez. 1, n. 648 del 28  gennaio  2000  Sasso,  Rv.
215388; Sez. 1, n. 16254 del 23 marzo 2006, Costantino,  Rv.  234299;
Sez. 1, n. 37332 del 26 settembre 2007, Esposito, Rv. 237505; Sez. 1,
n. 15982 del 17 settembre 2013, dep. 2014, Greco, Rv. 261989;). 
    Si  e'  a  tal  proposito  affermato  che,  compiuta   la   piena
giurisdizionalizzazione dell'istituto - a seguito della pronuncia  n.
53   del   1993   con   cui   la   Corte   costituzionale   dichiaro'
l'illegittimita' delle  norme  che  non  consentivano  l'applicazione
delle disposizioni di cui agli articoli 666 e 678 codice di procedura
penale al procedimento di reclamo avverso il  decreto  di  esclusione
dal computo della detenzione del periodo trascorso in permesso premio
-, l'obbligo di presentazione di motivi  contestualmente  al  reclamo
discende  inevitabilmente  dal  carattere  giurisdizionale,   e   non
amministrativo, del procedimento in  cui  esso  si  innesta  e  delle
decisioni che sono assunte in materia. 
    Si e'  pure  chiarito  come  non  possa  affermarsi  l'esclusione
dell'obbligo   di   presentazione    dei    motivi    facendo    leva
sull'osservazione che il procedimento e' modellato su quello relativo
alle questioni di esecuzione, per la ragione che, mentre  la  domanda
con cui si  prospettano  questioni  relative  all'esecuzione  non  ha
natura di impugnazione, lo  stesso  non  puo'  essere  detto  per  il
reclamo avverso il provvedimento in materia di permesso  premio,  che
all'evidenza ha natura di impugnazione, dando luogo ad un giudizio di
controllo che non puo'  che  svolgersi  sulla  base  di  doglianze  e
censure specificamente prospettate. 
    6.2. E' appena ora il caso di evidenziare che, sotto  la  vigenza
del precedente codice di rito, la disposizione su  un  termine  cosi'
breve per la proposizione del  reclamo  aveva,  in  ragione  di  quel
sistema di impugnazioni, una incidenza negativa meno rilevante  sulla
posizione del soggetto che intendeva dolersi del provvedimento. 
    In quel sistema, come e' noto, l'impugnazione  si  proponeva  con
dichiarazione,  nella  quale  si  dovevano   indicare   soltanto   il
provvedimento impugnato, la data del  medesimo,  il  giudice  che  Io
aveva emesso e il procedimento al quale si riferiva  -  art.  197;  i
termini di impugnazione, posti a pena di decadenza,  erano  calibrati
sulla dichiarazione di impugnazione - art. 199, mentre  i  motivi  di
impugnazione, pur potendo essere enunciati nello  stesso  atto  della
dichiarazione, dovevano essere presentati per iscritto,  a  pena  di'
decadenza, in un termine diverso e ampio di giorni venti a  far  data
dalla comunicazione  o  notificazione  dell'avviso  di  deposito  del
provvedimento - art. 201. 
    E' agevole rilevare che la previsione del termine di ventiquattro
ore per la proposizione del reclamo consentiva,  in  misura  maggiore
rispetto all'attuale, un utile  esercizio  del  diritto  al  reclamo,
coordinandosi  con  un  modello  di  impugnazione  incentrato   sulla
diversificazione,  anche  e  soprattutto  d'ordine   temporale,   tra
dichiarazione e motivi di impugnazione. 
    6.3. Il vigente codice di rito,  non  soltanto  ha  eliminato  la
distinzione  tra  dichiarazione  e  motivi,  imponendo,  a  pena   di
inammissibilita', che entro l'unico  termine  di  impugnazione  siano
proposti entrambi, ma da ultimo, in forza ella recente novella di cui
alla legge n. 103 del 2017, ha aggravato gli oneri  di  specificita',
che ora  attengono  oltre  che  all'articolazione  dei  motivi,  alle
richieste, anche istruttorie,  alle  indicazione  delle  prove  delle
quali si deduce  l'inesistenza,  l'omessa  assunzione  o  l'omessa  o
erronea valutazione, all'indicazione dei capi o punti della decisione
ai quali si riferisce l'impugnazione - art. 581. 
    6.4. Non puo' dunque essere condivisa la posizione reiteratamente
espressa nella giurisprudenza  di  legittimita'  circa  la  manifesta
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale  che  ora
si prospetta, in forza dell'assunto  che  il  «Tribunale  adito  deve
comunque  decidere,  atteso  il   carattere   giurisdizionale   della
procedura, nelle forme dell'udienza camerale  nel  cui  ambito  nulla
impedisce il dispiegarsi di una difesa personale ovvero  affidata  ad
un difensore di fiducia» - Sez. 1, n. 13395  del  19  febbraio  2013,
Zanda, Rv. 255645; e che, siccome il procedimento «e'  regolato,  per
la particolarita' della materia stessa,  in  modo  da  assicurare  la
massima speditezza  con  comunicazioni  senza  formalita'  e  cadenze
temporali ristrette», allora un termine di reclamo cosi' ristretto e'
giustificabile,  anche  alla  luce  della  considerazione   che   «il
carattere giurisdizionale della procedura non impone di  per  se'  la
pienezza del contraddittorio,  conoscendo  il  sistema  provvedimenti
giurisdizionali emessi de plano» - Sez. 1,  n.  244  del  13  gennaio
2000, Forcieri, Rv. 215202. 
    Queste precedenti posizioni hanno trascurato dati  di  importanza
centrale, e cioe' che la semplificazione delle forme, per esigenze di
speditezza, non puo' in ogni caso andare  a  detrimento  del  diritto
delle parti di rappresentare  compiutamente  le  proprie  ragioni  al
giudice del controllo e che la possibilita' di esplicarle nella  fase
del contraddittorio camerale e' subordinata alla preliminare verifica
di ammissibilita' del reclamo. Se  questo  viene  infatti  dichiarato
inammissibile  per  una  affrettata  articolazione  dei  motivi,   le
possibilita' di recupero nel  contraddittorio  camerale  restano  del
tutto vanificate: 
    6.5. Occorre poi considerare lo squilibrio che si realizza tra le
opportunita' di' impugnazione riservate  alla  parte  pubblica  e  al
detenuto, rispetto al quale un termine  di  reclamo  cosi'  ristretto
comprime in misura irragionevolmente maggiore il diritto  di  difesa.
Questi, per evitare il rischio di una pronuncia di  inammissibilita',
necessita dell'assistenza di un difensore, pur non imposta per legge,
e pero'  l'effettivita'  dell'assistenza  e'  fortemente  compromessa
dalla spiccata brevita' del termine concesso per il  reclamo.  Da  un
lato il sistema consente all'interessato di richiedere l'intervento e
l'assistenza  della  difesa  tecnica,  e  dall'altro  non   pone   le
condizioni affinche' questa facolta' possa pienamente esplicarsi. 
    Per quanto sino ad ora argomentato il termine di ventiquattro ore
per la proposizione del reclamo si rivela incapace di assicurare alla
parte, che intenda dolersi della decisione, di  un  tempo  utile  per
articolare  i  rilievi  critici  da  sottoporre   al   Tribunale   di
sorveglianza. La norma non si sottrae cosi' ad un fondato  dubbio  di
incostituzionalita' per violazione degli articoli 24,  compromettendo
le concrete ed effettive possibilita' di difesa,  e  111  Cost.,  per
eccentricita' rispetto al modello di giusto processo  costituzionale,
che impone tra l'altro condizioni di parita' tra le parti  di  fronte
al giudice. 
    7. Con la sentenza  n.  235  del  1996  la  Corte  costituzionale
dichiaro' inammissibile  la  questione  -  che  ora  si  ripropone  -
soprattutto  perche'  rilevo'   l'impossibilita'   di   «rintracciare
nell'ordinamento una conclusione costituzionalmente obbligata»,  tale
da consentire alla stessa Corte di porre rimedio  alla  brevita'  del
termine «rideterminandolo essa stessa»; e per tale ragione auspico un
rapido intervento legislativo per la fissazione di un  nuovo  termine
capace di contemperare «la  tutela  del  diritto  di  difesa  con  le
ragioni di speditezza della procedura». 
    Il monito della Corte costituzionale non ha avuto effetto  e  nel
frattempo, pero', il sistema di tutela si e'  evoluto  con  la  piena
giurisdizionalizzazione    del    reclamo    avverso     gli     atti
dell'Amministrazione penitenziaria asseritamente lesivi di diritti  -
art. 35-bis ordinanza pen. introdotto dal decreto-legge  n.  146  del
2013, conv., con modif., in legge n. 10 del 2014 -  e  specificamente
con  la  previsione  di  un  termine  di  quindici  giorni   per   la
proposizione del  reclamo  contro  la  decisione  del  Magistrato  di
sorveglianza. 
    La disposizione da ultimo  citata  puo'  ora  costituire  un  ben
preciso  punto  di  riferimento  idoneo,  nella  prospettiva  di  una
pronuncia additiva, ad  evitare  un  vuoto  di  previsione  colmabile
soltanto attraverso un esercizio della discrezionalita' legislativa -
v., da ultimo, Corte cast. n.  222  del  2018,  secondo  cui  non  e'
necessario   «che   esista,   nel   sistema,    un'unica    soluzione
costituzionalmente vincolata», potendo bastare che il  sistema  offra
«precisi  punti  di  riferimento  e  soluzioni  gia'  esistenti»  per
consentire alla Corte costituzionale di porre rimedio al  deficit  di
tutela. 
    8. Le considerazioni esposte impongono di dichiarare rilevante  e
non manifestamente infondata, con riferimento agli  articoli  3,  24,
27,  1,  111  della  Costituzione,  la  questione  di'   legittimita'
costituzionale dell'art. 30-bis, comma terzo, in  relazione  all'art.
30-ter, comma 7, legge  del  26  luglio  1975,  n.  354  (Ordinamento
penitenziario), nella  parte  in  cui  prevede  che  il  termine  per
proporre  reclamo  avverso  il  provvedimento   del   Magistrato   di
sorveglianza in tema di permesso premio e' pari a 24 ore. 
    A norma dall'art. 23 legge 11 marzo  1953,  n.  87,  deve  essere
dichiarata la sospensione del presente procedimento, con  l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    La cancelleria, infine, provvedera' alla notifica di copia  della
presente ordinanza alle parti  e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri e alla comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera
dei deputati e del Senato della Repubblica.