Ricorso  del  Presidente  del  Consiglio   dei   ministri   (C.F.
80188230587), rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato (C.F. 80224030587) presso cui e' domiciliato in Roma,  via  dei
Portoghesi  12,  PEC:   ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it   -   fax:
06-96514000; 
    Contro la Regione Toscana in persona del Presidente pro tempore; 
    Per la dichiarazione, giusta delibera del Consiglio dei  ministri
del 6 febbraio 2020, di  illegittimita'  costituzionale  della  legge
regionale del 13 dicembre 2019,  n.  75,  pubblicata  nel  Bollettino
Ufficiale  della  Regione  Toscana  n.  58  del  13  dicembre   2019,
relativamente agli articoli 2, 3 e 4. 
    La legge regionale  in  epigrafe  detta  «Norme  per  incentivare
l'introduzione dei prodotti a chilometro zero provenienti da  filiera
corta  nelle  mense  scolastiche»  (vale  a  dire,  «per  incentivare
l'introduzione nelle mense scolastiche dei prodotti a chilometro zero
provenienti da filiera corta»). 
    L'art.  1  definisce  l'oggetto  e  le  finalita'  della   legge,
prevedendo che «La Regione, allo  scopo  di  diffondere  la  corretta
educazione  alimentare,  la  cultura  del  cibo  e  delle  tradizioni
alimentari toscane e la lotta allo  spreco  alimentare,  promuove  il
consumo  di  prodotti   agricoli,   di   prodotti   della   pesca   e
dell'acquacoltura e alimentari toscani a chilometro zero, provenienti
da filiera corta, nell'ambito dei servizi di refezione scolastica nei
nidi d'infanzia, nelle scuole dell'infanzia, nelle scuole primarie  e
nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado». 
    Questa disposizione non forma oggetto della presente impugnazione
anche se, isolatamente considerata, in quanto compresa ex  art.  117,
comma 3, della Costituzione nella  competenza  regionale  concorrente
relativa alla materia «alimentazione», potrebbe  suscitare  dubbi  di
incompetenza: manca infatti una legislazione statale che stabilisca i
principi  fondamentali  in  merito  alla   promozione   del   consumo
alimentare «a chilometro zero» (1) . 
    Le sole  norme  statali  «cornice»  a  cui  riferire  l'attivita'
regionale di  promozione  del  consumo  alimentare  in  qualche  modo
analogo  a  quello  considerato   dalla   legge   impugnata   possono
attualmente ravvisarsi: 
        a)  nell'art.  11  della  legge  6  ottobbre  2017,  n.  158,
intitolato alla «Promozione dei prodotti provenienti da filiera corta
o a chilometro utile», giusta il quale «1. I  piccoli  comuni,  anche
allo scopo di accrescere la sostenibilita' ambientale del consumo dei
prodotti agricoli e alimentari, possono promuovere,  anche  in  forma
associata, il consumo e la commercializzazione dei prodotti  agricoli
e alimentari provenienti da filiera corta e dei prodotti  agricoli  e
alimentari a chilometro utile, come definiti al comma 2,  favorendone
l'impiego da parte dei gestori dei servizi di ristorazione collettiva
pubblica. 
        2. Ai fini e per gli effetti della presente legge: 
a) per «prodotti agricoli e alimentari provenienti da filiera  corta»
si intendono i prodotti agricoli  e  alimentari  provenienti  da  una
filiera di  approvvigionamento  formata  da  un  numero  limitato  di
operatori economici che si impegnano a promuovere la cooperazione, lo
sviluppo economico locale e stretti rapporti  socio-territoriali  tra
produttori, trasformatori e consumatori; 
b) per  «prodotti  agricoli  e  alimentari  a  chilometro  utile»  si
intendono i prodotti agricoli di cui all'allegato I al  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea e  i  prodotti  alimentari  di  cui
all'art. 2 del regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo  e
del Consiglio, del 28  gennaio  2002,  provenienti  da  un  luogo  di
produzione o da un luogo di coltivazione e allevamento della  materia
prima agricola primaria utilizzata nella trasformazione dei prodotti,
situato entro un raggio di settanta chilometri dal luogo di  vendita,
nonche' i prodotti per i quali  e'  dimostrato  un  limitato  apporto
delle emissioni inquinanti derivanti dal trasporto,  calcolato  dalla
fase di produzione fino al momento del consumo finale. Ai fini  della
dimostrazione del limitato apporto  delle  emissioni  inquinanti,  il
Ministero dell'ambiente e della tutela del  territorio  e  del  mare,
d'intesa con il  Ministero  delle  politiche  agricole  alimentari  e
forestali, stabilisce i  criteri  e  i  parametri  che  i  produttori
agricoli e agroalimentari devono osservare per attestare il  possesso
di tale requisito da parte delle  relative  produzioni  a  chilometro
utile. 
        3. Nei bandi di gara per gli appalti pubblici di servizi o di
forniture  di  prodotti  alimentari   destinati   alla   ristorazione
collettiva,  indetti  dai  piccoli  comuni,  fermo  restando   quanto
previsto dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n.  50,  costituisce
titolo preferenziale per l'aggiudicazione  l'utilizzo,  in  quantita'
superiori ai criteri minimi ambientali stabiliti dai paragrafi  5.3.1
e 6.3.1 dell'allegato I annesso al decreto del Ministro dell'ambiente
e della tutela  del  territorio  e  del  mare  del  25  luglio  2011,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 220 del 21 settembre 2011, dei
prodotti agricoli e alimentari  provenienti  da  filiera  corta  o  a
chilometro utile e  dei  prodotti  agricoli  e  alimentari  biologici
provenienti da filiera corta o a chilometro utile. 
        4. Per i fini di cui al comma 3, l'utilizzo dei  prodotti  di
cui al comma 2, lettere a) e b), in quantita'  superiori  ai  criteri
minimi stabiliti dal citato  decreto  del  Ministro  dell'ambiente  e
della tutela del territorio  e  del  mare  luglio  2011  deve  essere
adeguatamente  documentato  attraverso  fatture   di   acquisto   che
riportino anche le indicazioni  relative  all'origine,  alla  natura,
alla qualita' e alla quantita' dei prodotti acquistati.»; 
        b) nell'art. 12 della medesima legge, intitolato «Misure  per
favorire la vendita dei prodotti provenienti da  filiera  corta  o  a
chilometro utile», giusta il quale «1. I piccoli comuni,  nell'ambito
del proprio territorio, sulla base delle disposizioni  emanate  dalle
regioni e dalle province autonome,  destinano  specifiche  aree  alla
realizzazione dei mercati agricoli per la vendita  diretta  ai  sensi
del decreto  del  Ministro  delle  politiche  agricole  alimentari  e
forestali 20 novembre 2007, pubblicato nella  Gazzetta  Ufficiale  n.
301 del 29 dicembre 2007. 
        2. Nei mercati istituiti o autorizzati ai sensi del comma  1,
i piccoli comuni, sulla base delle disposizioni emanate dalle regioni
e dalle province autonome, riservano prioritariamente i posteggi agli
imprenditori agricoli che esercitano la vendita diretta dei  prodotti
agricoli di cui all'art. 11, comma 2, lettere a) e b), della presente
legge. 
        3. Al fine di favorire il consumo  e  la  commercializzazione
dei prodotti di cui all'art. 11, comma 2,  lettere  a)  e  b),  della
presente legge, sulla base delle disposizioni emanate dalle regioni e
dalle province autonome,  gli  esercizi  della  grande  distribuzione
commerciale possono destinare una congrua  percentuale  dei  prodotti
agricoli e alimentari da acquistare annualmente, calcolata in termini
di valore, all'acquisto di prodotti provenienti da filiera corta o  a
chilometro utile.  Al  fine  di  favorire  la  vendita  dei  medesimi
prodotti, negli esercizi commerciali di cui al periodo precedente  e'
destinato ad essi uno spazio apposito, allestito in snodo da  rendere
adeguatamente  visibili  e  identificabili  le  caratteristiche   dei
prodotti stessi. 
        4. E'  fatta  salva,  in  ogni  caso,  per  gli  imprenditori
agricoli la facolta' di svolgere l'attivita' di  vendita  diretta  ai
sensi dell'art. 4 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228.» 
        c) nell'art. 95, comma 13,  decreto  legislativo  n.  50/2016
(codice dei contratti pubblici), come  modificato  dall'art.  49  del
decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 convertito in legge 19 dicembre
2019, n. 157, giusta il quale «13.  Compatibilmente  con  il  diritto
dell'Unione europea e con i principi di parita' di  trattamento,  non
discriminazione, trasparenza e proporzionalita',  le  amministrazioni
aggiudicatrici indicano nel bando di gara, nell'avviso o  nell'invito
(. .  .  .)  altresi'  il  maggiore  punteggio  relativo  all'offerta
concernente beni, lavori o servizi che presentano un  minore  impatto
sulla salute e sull'ambiente, ivi compresi i beni  o  i  prodotti  da
filiera corta o a chilometro zero». 
    Come  si  vede,  manca  ancora  una  definizione  legislativa  di
«prodotto alimentare a chilometro zero», e,  quanto  ai  prodotti  «a
filiera corta» e «a chilometro  utile»,  le  definizioni  legislative
vengono utilizzate solo al fine di regolare, in  sostanza,  eventuali
criteri di aggiudicazione di appalti pubblici, o di  realizzazione  o
assegnazione di spazi commerciali; ma tutto cio' sempre e soltanto  a
livello di «piccoli comuni» (vale a dire «i  comuni  con  popolazione
residente fino a 5.000 abitanti nonche' i Comuni istituiti a  seguito
di fusione tra  Comuni  aventi  ciascuno  popolazione  fino  a  5.000
abitanti»: art. 1 della legge n. 158/2017 cit.). 
    La sola previsione che menzioni  il  prodotto  agroalimentare  «a
chilometro zero», senza peraltro definirlo, e' l'art. 95,  comma  13,
del  codice  dei  contratti   pubblici,   citato   sub   c).   Questa
disposizione, relativa anch'essa  alle  aggiudicazioni  di  contratti
pubblici, si rivolge a tutte le amministrazioni  aggiudicatrici,  non
solo, quindi, ai piccoli comuni. Ma, giova subito avvertire, con  due
significativi  presupposti   limitativi:   i)   in   ogni   caso   le
amministrazioni debbono applicare  la  disposizione  «compatibilmente
con il diritto dell'Unione europea e con i  principi  di  parita'  di
trattamento, non discriminazione,  trasparenza  e  proporzionalita'»;
ii) il «favor» per i prodotti «a filiera corta» e «a chilometro zero»
(la disposizione non  menziona,  invece,  i  prodotti  «a  chilometro
utile») non e' fine a se stesso, ma e' condizionato alla  circostanza
che l'impiego di tali prodotti faccia si' che il bene o  il  servizio
offerto  in  gara  comporti  «un  minore  impatto  sulla   salute   e
sull'ambiente». 
    In questo quadro  normativo  ancora  incompleto  e  frammentario,
potrebbe dunque dubitarsi della competenza legislativa  regionale  ad
attribuire alla  Regione  stessa  il  compito  di  una  generalizzata
promozione   del   consumo   nell'ambito   scolastico   di   prodotti
agroalimentari «a chilometro zero» o «da filiera corta». 
    Tuttavia, il problema  appare  superabile  se  non  si  considera
isolatamente l'art. 1 della legge impugnata, ma lo  si  collega  alle
disposizioni  che  seguono,  attraverso  le  quali   il   legislatore
regionale ha  inteso  concretizzare  quella  genericamente  enunciata
finalita' di promozione. 
    Se si guarda  all'essenziale  di  queste  disposizioni,  si  vede
infatti che tutta la disciplina introdotta si compendia nell'incidere
sull'aggiudicazione  degli  appalti  di  fornitura  dei  servizi   di
refezione scolastica o dei  prodotti  da  utilizzare  nell'erogazione
diretta di tali servizi da parte del sistema scolastico pubblico. 
    L'art. 2, infatti, definisce i prodotti «a chilometro zero» e «da
filiera corta» (commi 1 e 2); l'art.  3,  che  costituisce  il  punto
nodale dell'intervento normativo regionale,  individua  in  «progetti
pilota»  da  presentarsi  da  «soggetti  pubblici   appaltanti»,   lo
strumento  mediante  il  quale   promuovere   i   prodotti   suddetti
nell'aggiudicazione dei servizi di «refezione collettiva  scolastica»
o nell'erogazione diretta (o «in house») di tali servizi (commi  1  e
2).  L'art.  4,  infine,  finanzia  con  500.000,00  euro  annui   il
versamento a carico del bilancio regionale  dei  contributi  con  cui
finanziare i progetti pilota. 
    Cosi' stando le cose, si  vede  che  l'intervento  regionale  non
vuole, in  realta',  costituire  una  forma  di  disciplina  generale
incentivante il consumo alimentare di prodotti «a chilometro zero»  o
«da filiera corta». L'intervento regionale  vuole,  come  si  diceva,
incidere sulle modalita' di aggiudicazione dei contratti di fornitura
dei beni o servizi necessari alla refezione collettiva  nelle  scuole
pubbliche toscane. 
    Ma allora, se in tal modo si superano, o si accantonano, i  dubbi
di   competenza   legislativa   riferiti   alla   materia    generale
«alimentazione», sorgono e si  sostanziano  dubbi  ben  piu'  corposi
riguardo agli articoli  2,  3,  4,  riferiti  ai  seguenti  parametri
costituzionali: art. 117,  primo  comma,  della  Costituzione,  nella
parte in cui obbliga il legislatore regionale ad operare nel rispetto
dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea; art.  120
della  Costituzione,  nella  parte  in  cui  vieta  alle  Regioni  di
ostacolare la libera circolazione delle persone o delle  cose,  o  di
limitare l'esercizio del  diritto  al  lavoro;  art.  117,  comma  2,
lettera e), nella parte in cui attribuisce  alla  competenza  statale
esclusiva la legislazione in materia di tutela della concorrenza. 
    Ancora in premessa,  va  richiamato  l'orientamento  costante  di
codesta Corte costituzionale, espressosi a  proposito  di  interventi
normativi similari, nelle sentenze  209/2013  e  292/2013.  La  legge
regionale oggi impugnata non supera le censure gia' ritenute  fondate
in tali precedenti, come si illustra nei seguenti motivi. 
1.  Violazione  degli  articoli  117,  primo  comma,  e   120   della
Costituzione, in relazione agli articoli 34, 35 e 36 del Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea. 
    Si deve muovere dall'art. 2, commi 1 e 2, della legge  impugnata,
giusta i quali (sottolineatura aggiunta) «1. Ai fini  della  presente
legge  si  intendono  per  prodotti  a  chilometro  zero  i  prodotti
agricoli, i prodotti della pesca e dell'acquacoltura e alimentari, la
cui produzione e trasformazione  della  materia,  o  dell'ingrediente
primario presente in misura superiore al cinquanta per cento, avviene
entro i confini amministrativi  della  Regione  Toscana.  I  prodotti
freschi della pesca in mare sono a chilometro zero se provenienti  da
punti di sbarco  situati  in  Toscana  e  catturati  da  imbarcazioni
iscritte nel  registro  delle  imprese  di  pesca  dei  compartimenti
marittimi regionali. I prodotti  freschi  dell'acquacoltura  in  mare
sono a chilometro zero se provenienti  da  impianti  collocali  nelle
acque costiere regionali. 
    2. Ai  fini  della  presente  legge  si  intendono  per  prodotti
provenienti  da  filiera  corta  quelli  che  provengono  da  filiere
produttive caratterizzate al  massimo  da  un  intermediario  tra  il
produttore e la stazione appaltante.» 
    Come emerge senza possibile dubbio dalla lettera del primo comma,
i prodotti a chilometro zero sono  quelli  provenienti  da  attivita'
produttive o di trasformazione o manipolazione effettuate nei confini
amministrativi della regione toscana. 
    In questo modo, la legge  inevitabilmente  finisce  per  favorire
tali prodotti solo perche' provenienti  dalla  Toscana;  non  perche'
qualitativamente unici, o perche' espressivi di attivita'  produttive
non inquinanti. Evidente e', allora, la discriminazione a  danno  dei
prodotti  provenienti  da  tutte  le  altre  parti   del   territorio
nazionale, che non sono privilegiati solo perche' non sono «toscani». 
    In   argomento,   la   sentenza   292/2013   di   codesta   Corte
costituzionale ha chiarito: «L'art. 4, comma 5, della legge regionale
censurata prevede che, nei bandi per  l'affidamento  dei  servizi  di
ristorazione  collettiva  gli  enti   pubblici   debbano   "garantire
priorita'" ai soggetti che  utilizzino,  in  una  determinata  misura
percentuale (non meno del trentacinque per cento in  valore  rispetto
ai prodotti agricoli  complessivamente  utilizzati  su  base  annua),
prodotti agroalimentari  "da  filiera  corta",  "di  qualita'"  e  "a
chilometro  zero".  Nell'ambito  di  tale   ultima   categoria   sono
ricompresi - in forza della definizione offerta dall'art. 3, comma 1,
lettera c), della medesima legge - sia i beni per  il  cui  trasporto
dal luogo di produzione a quello di  consumo  si  producono  meno  di
venticinque  chilogrammi  di  anidride  carbonica   equivalente   per
tonnellata, sia, "e comunque", "i beni  trasportati  all'interno  del
territorio regionale". 
    Dalla combinazione  delle  due  norme  emerge,  dunque,  che  gli
utilizzatori  di  prodotti  di  origine  pugliese  fruiscono  di   un
trattamento  preferenziale  nell'aggiudicazione  degli   appalti   in
questione, indipendentemente dal livello di emissione di  gas  nocivi
che il loro trasporto comporta. 
    4.- Questa Corte, con la sentenza n. 209 del 2013, ha gia'  avuto
occasione   di   dichiarare   costituzionalmente   illegittima,   per
violazione della competenza  esclusiva  dello  Stato  in  materia  di
"tutela della concorrenza" (art. 117, secondo comma, lettera e, della
Costituzione),  una  norma  regionale  di  contenuto  sostanzialmente
analogo a quello della disposizione  combinata  oggi  denunciata.  Si
trattava, in particolare, dell'art. 2, comma  1,  della  legge  della
Regione Basilicata del 13 luglio 2012, n. 12 (Norme per  orientare  e
sostenere il consumo dei prodotti agricoli  di  origine  regionale  a
chilometri zero), ove si stabiliva che l'utilizzazione  dei  prodotti
agricoli di origine regionale costituisse  titolo  preferenziale  per
l'aggiudicazione di appalti pubblici di servizi  o  di  forniture  di
prodotti alimentari ed  agroalimentari  destinati  alla  ristorazione
collettiva. 
    Nell'occasione, la Corte ha  rilevato  come  la  legge  regionale
dianzi citata fosse volta - stando al relativo titolo - "ad orientare
e sostenere il consumo dei prodotti agricoli di origine  regionale  a
chilometri  zero".  A  fronte  della  genericita'  della  definizione
contenuta nell'art. 1, comma 1, della medesima  legge  -  definizione
che aveva riguardo alla sola natura del prodotto,  e  non  gia'  alla
distanza tra luogo di produzione e luogo di consumo - il  riferimento
ai prodotti "a chilometri zero"  rimaneva,  peraltro,  privo  di  una
concreta valenza selettiva, distinta e ulteriore  rispetto  a  quella
insita nel predicato "di origine regionale". 
    In questa prospettiva, la  norma  censurata  veniva,  dunque,  ad
imporre all'amministrazione appaltante  un  criterio  di  scelta  del
contraente   chiaramente   idoneo   ad   alterare   la   concorrenza,
incentivando gli imprenditori ad impiegare  prodotti  provenienti  da
una certa area territoriale (quella lucana) a discapito  di  prodotti
con caratteristiche similari, ancorche' provenienti da aree  poste  a
distanza uguale o minore dal luogo di consumo (come poteva  avvenire,
in specie, ove il  consumo  avvenisse  in  zone  limitrofe  ad  altre
Regioni). 
    5.- Nel caso oggi in esame, l'alterazione della concorrenza viene
in rilievo non come fonte della lesione  del  riparto  interno  delle
competenze legislative definito dal citato art. 117,  secondo  comma,
lettera e), della Costituzione - trattandosi di parametro non evocato
nel ricorso - ma come ragione di contrasto della normativa  regionale
impugnata con il diritto dell'Unione europea e, dunque, di violazione
del precetto di cui al primo comma dell'art. 117 della Costituzione. 
    A  differenza  della  "priorita'"  accordata  ai   soggetti   che
utilizzano beni il cui trasporto determina una ridotta  quantita'  di
emissioni nocive -  "priorita'"  giustificata  dai  benefici  che  la
limitazione di tali emissioni reca in termini di tutela dell'ambiente
- la «priorita'» riconosciuta a coloro che si avvalgono  di  prodotti
trasportati  esclusivamente  all'interno  del  territorio  regionale,
indipendentemente dal livello delle emissioni, costituisce una misura
ad  effetto  equivalente  vietata  dall'art.  34  del  Trattato   sul
funzionamento dell'Unione europea - che  ricomprende  ogni  normativa
commerciale che possa ostacolare direttamente  o  indirettamente,  in
atto o in potenza, gli scambi intracomunitari - e non giustificata ai
sensi dell'art. 36 del medesimo Trattato. 
    L'art. 36 del Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea,
infatti,  lascia  impregiudicate  le  restrizioni  alle  importazioni
giustificate da motivi di "tutela della salute  e  della  vita  delle
persone e degli animali o di  preservazione  dei  vegetali",  cui  la
salvaguardia dell'ambiente e'  strettamente  connessa.  Nel  caso  in
esame, tuttavia, il mero riferimento al trasporto  all'interno  della
Regione e, dunque, alla provenienza locale dei prodotti  agricoli,  a
prescindere dalla  quantita'  di  emissioni  prodotte,  non  soddisfa
nessuna delle esigenze oggetto del regime derogatorio, ma si  risolve
in un incentivo per gli imprenditori ad  impiegare  determinati  beni
solo perche' provenienti da una certa  area  territoriale,  cosi'  da
poter  vantare  l'anzidetto  titolo   preferenziale.   A   differenza
dell'impiego dei prodotti pugliesi,  infatti,  l'utilizzo  di  quelli
trasportati da altre  localita',  ancorche'  con  un  pari  o  minore
livello di emissioni  nocive  -  e,  dunque,  con  un  equivalente  o
inferiore  impatto  ambientale  -  non  conferisce   analogo   titolo
preferenziale  nell'aggiudicazione  degli  appalti  dei  servizi   di
ristorazione collettiva e  subisce,  di  conseguenza,  degli  effetti
discriminatori.». 
    Questo punto di vista e' conforme a quanto emerso, in  proposito,
nell'ambito dell'Unione europea. E' infatti ben noto che  nel  «Libro
verde sulla modernizzazione della  politica  dell'Unione  europea  in
materia di appalti pubblici - Per una maggiore efficienza del mercato
europeo degli appalti» (COM-2011 15 definitivo) del 27 gennaio  2011,
si afferma, a proposito  di  «come  acquistare»  per  realizzare  gli
obiettivi della strategia Europa 2020, che la  previsione,  da  parte
delle amministrazioni appaltanti, del necessario acquisto di prodotti
in loco puo' essere giustificato solo in casi del  tutto  eccezionali
«in cui esigenze legittime e  obiettive  che  non  sono  associate  a
considerazioni  di  natura   puramente   economica   possono   essere
soddisfatte soltanto dai prodotti di una certa regione.» (punto  4.1.
del citato «Libro verde»). 
    In questa prospettiva, la preferenza  per  un  prodotto  «a  base
territoriale  limitata»  potrebbe  essere  giustificata  da  esigenze
ambientali, quali quelle espresse dal riferimento  al  livello  delle
emissioni di anidride carbonica durante il  trasporto;  non,  invece,
dalla mera origine  regionale  dei  beni,  la  quale,  da  sola,  non
garantisce che le merci siano realmente «a chilometri zero» e che  il
loro trasporto abbia una minore incidenza negativa sull'ambiente. 
    Ma, come si e' visto, la legge regionale toscana  oggi  impugnata
non prevede alcun sistema di calcolo  delle  emissioni  generate  dal
trasporto  dei  generi  alimentari,  e  indica  come  unico  criterio
selettivo l'origine regionale dei prodotti. Il che si traduce  in  un
ingiustificato e sproporzionato ostacolo all'ammissione  nel  mercato
toscano  della  refezione   collettiva   scolastica,   dei   prodotti
provenienti da altre aree dell'intero territorio  dell'Unione;  cioe'
una restrizione quantitativa vietata dall'art. 34  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea, e, tramite  esso,  dall'art.  117,
primo comma, della Costituzione. 
    Censure analoghe vanno mosse al comma 2 dell'art. 2,  che  tratta
dei prodotti «da filiera corta». 
    Viene  cosi'  definita  la  filiera  produttiva  costituita   «al
massimo»  da  un  intermediario  tra  il  produttore  e  la  stazione
appaltante. 
    Anche se,  teoricamente,  sia  il  prodotto  che  l'intermediario
«unico» che puo' interloquire con la stazione  appaltante  potrebbero
non essere collegati  al  territorio  toscano,  e'  evidente  che  un
requisito cosi' restrittivo favorira' in  modo  concreto  e  all'atto
pratico i prodotti e  gli  intermediari  localizzati  in  Toscana,  o
prossimi alla parte del territorio di  questa  in  cui  si  trova  la
stazione appaltante. Un singolo  produttore  agricolo  lontano  dalla
Toscana, o dalla parte del territorio di questa in cui  si  trova  la
stazione appaltante, avra' infatti maggiori difficolta' a raggiungere
con il proprio prodotto la  stazione  appaltante  stessa,  se  dovra'
servirsi di un solo intermediario  (magazzino  generale,  rivenditore
all'ingrosso, trasportatore). E, se riuscira' a farlo, cio'  avverra'
plausibilmente a costi molto maggiori (si pensi al trasporto  o  alla
conservazione)  di  quelli  che  dovranno  incontrare  i   produttori
presenti nel territorio toscano o  comunque  prossimi  alla  stazione
appaltante.  Questi  ultimi,  infatti,  incontreranno   percorsi   di
consegna e tempi di immagazzinamento dei prodotti sensibilmente  piu'
brevi. 
    Ma, ponendosi dal punto di vista della ipotetica  giustificazione
«ambientale», potrebbe essere anche vero l'inverso, e con cio' si  ha
la  conferma  dell'irragionevolezza,  e  quindi  della  mancanza   di
proporzionalita' (intesa come rispondenza del mezzo allo scopo) della
norma in esame. Un solo intermediario (pensiamo ad  un  trasportatore
che copra una lunghissima distanza)  potrebbe  infatti  emettere  una
quantita' di inquinanti molto maggiore di  un  numero  piu'  alto  di
intermediari che pero' si  trovino  ad  operare,  nella  filiera  del
prodotto, in un territorio (regionale o ultraregionale) ristretto. 
    Anche  il  «favor»  per  l'abbreviazione  della  filiera  in  se'
considerato, senza  alcun  necessario  e  dimostrabile  collegamento,
nella  norma,  con  benefici  ambientali  concreti,   appare   quindi
discriminatorio e sproporzionato; come tale, confliggente con  l'art.
34 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea  e  con  l'art.
117, primo comma, della Costituzione. 
    Ma, per le stesse ragioni fin qui illustrate, l'art. 2 nei  commi
1 e 2 contrasta anche con l'art. 120 della Costituzione.  L'«obbligo»
di fornire prodotti di provenienza toscana  o  trattati  da  un  solo
intermediario si traduce, infatti,  in  un  immediato  ostacolo  alla
libera circolazione nel territorio nazionale  dei  prodotti  che  non
ottemperino a questi requisiti,  e  alla  libera  circolazione  delle
imprese e dei lavoratori che  intendano  operare  nei  servizi  della
refezione collettiva scolastica. Ostacolo non giustificato da  alcuna
causale  ambientale  o  sanitaria  oggettivamente  dimostrabile,  che
infatti non e' ne' prevista ne' disciplinata dalla legge impugnata. 
    Alla dimostrata illegittimita' dell'art. 2 nei commi  1  e  2  e'
conseguenziale l'illegittimita' anche del comma 3: questo provvede ad
estendere la definizione  di  prodotto  «a  chilometro  zero»  o  «da
filiera corta» ai prodotti contemplati dalle norme europee e  interne
sulle  varie   produzioni   tutelate.   Con   cio',   le   criticita'
costituzionali insite nelle  definizioni  recate  dai  commi  1  e  2
vengono aggravate, perche' viene ostacolata la circolazione anche  di
prodotti disciplinati da normative come quelle, evocate nel comma  3,
sulle denominazioni di origine o  sulle  indicazioni  geografiche,  o
sull'etichettatura a garanzia del carattere biologico del prodotto  o
del carattere tradizionale del metodo di produzione, o  sulla  tutela
delle razze a rischio di estinzione (di cui, quindi, va  incrementata
la circolazione nel mercato interno). 
    Ora,  tali  prodotti,  proprio  perche'  oggetto  di   discipline
speciali di tutela, non dovrebbero, una  volta  riscontrati  conformi
alle  discipline   stesse,   subire   ulteriori   limitazioni   nella
circolazione di mercato. Tali limitazioni, aggiungendosi  ai  vincoli
(c.d. «disciplinari») che i produttori sono tenuti ad  osservare  per
ottenere la  conformita'  del  prodotto  alla  normativa  di  tutela,
aggraverebbero la  condizione  di  tali  produttori,  discriminandoli
rispetto  ai  produttori  di  generi  simili  ma  non   tutelati,   e
frustrerebbero le finalita' proprie delle varie normative di  tutela,
che  tendono  sempre,  con  tale  mezzo,  a   favorire   la   massima
circolazione di prodotti che, per le diverse ragioni rilevabili dalle
singole normative, se ne considerano particolarmente meritevoli. 
    Il comma 3, in sostanza, finirebbe per favorire  la  sostituzione
di prodotti generici, solo perche' «a chilometro zero» o «da  filiera
corta», ai prodotti tutelati dalle  normative  speciali  evocate  nel
comma  stesso,   di   cui   si   pregiudicherebbe   l'effetto   utile
(contraddicendo anche la finalita' di educazione  alimentare  che  la
stessa legge impugnata dichiara di voler perseguire). 
    Le illegittimita' riscontrabili nell'art. 2 acquistano, poi,  una
valenza lesiva concreta nel collegamento di questo con l'art. 3. 
    Qui si prevede che «1. Per perseguire le finalita' della presente
legge  la  Giunta  regionale,  a  partire  dall'anno   2020,   previo
esperimento di una procedura di evidenza pubblica, finanzia  progetti
pilota che devono garantire: 
        a) la fornitura di pasti nelle mense scolastiche incluse  nel
progetto preparati utilizzando  almeno  il  cinquanta  per  cento  di
prodotti a chilometro zero provenienti da filiera corta; 
        b) un'iniziativa di informazione e  sensibilizzazione  almeno
dei fruitori della refezione scolastica. 
    2. I progetti sono presentati da soggetti pubblici appaltanti che
aggiudicano servizi di refezione collettiva scolastica, o che erogano
direttamente  il  servizio  di  refezione  collettiva  scolastica   o
mediante  societa'  a   partecipazione   pubblica   affidatarie   del
servizio.» 
    La norma prevede, in sostanza, che la  Regione  finanzi  progetti
pilota  di  promozione  dei  prodotti  di  cui  all'art.  2  che   le
istituzioni scolastiche debbono attuare in un  solo  ambito,  vale  a
dire nell'attivita' di aggiudicazione degli  appalti  di  servizi  di
refezione scolastica o  di  fornitura  dei  prodotti  necessari  alla
erogazione diretta di tale refezione. 
    E' abile lo sforzo del legislatore regionale di non incorrere nei
vizi che furono rilevati da codesta Corte nelle citate sentenze 209 e
292 del 2013. In quei casi le leggi regionali  impugnate  prevedevano
direttamente  che  l'impiego  di   prodotti   «a   chilometro   zero»
costituisse titolo preferenziale per l'aggiudicazione  dei  contratti
ad evidenza pubblica, sicche' l'incidenza  sulla  circolazione  delle
merci e sulla concorrenza era immediata. 
    Ora, si menzionano «progetti pilota» di incentivazione.  Ma  tali
progetti non possono attuarsi, per espressa previsione  dell'art.  3,
altrimenti che attraverso l'aggiudicazione degli appalti di  servizio
o di fornitura. E' quindi giocoforza ritenere che un progetto  pilota
potra' ottenere  il  finanziamento  regionale  solo  se  preveda  una
concreta,  e  non  meramente  teorica,  rilevanza  dell'impiego   dei
prodotti in questione ai fini dell'aggiudicazione del contratto. 
    Sicche', ancora  una  volta,  tutto  si  ridurra',  secondo  ogni
plausibile interpretazione (che non sia abrogativa) dell'art. 3,  nel
prevedere un criterio preferenziale di  aggiudicazione.  Con  il  che
rimane confermata l'incidenza immediata, ma non  giustificata  e  non
proporzionata,  che   la   disposizione   regionale   produce   sulla
circolazione delle merci, cosi' violando i  parametri  costituzionali
in rubrica nel modo che si e' fin qui illustrato. 
2.  Violazione  dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  e),  della
Costituzione. 
    Si richiama come  parte  integrante  anche  del  presente  motivo
l'interpretazione degli articoli 2 e 3 della legge impugnata  offerta
nel primo motivo. 
    Ne  discende  la  violazione  anche  della   competenza   statale
esclusiva in materia di tutela della concorrenza. 
    A  proposito  di  leggi   regionali   che   prevedevano   criteri
preferenziali  di  aggiudicazione  dei  contratti  pubblici  connessi
all'offerta di prodotti «a chilometro zero» o «utile» o  «da  filiera
corta», la sentenza n. 209/2013 ha gia' osservato: 
        «Al riguardo, giova premettere che  la  legge  della  Regione
Basilicata n. 12 del 2012 - stando al relativo titolo - e'  volta  ad
"orientare e sostenere il consumo dei prodotti  agricoli  di  origine
regionale a chilometri zero". 
        Nell'ambito  delle  disposizioni   della   legge   regionale,
tuttavia, la qualificazione "a chilometri zero" -  formula  che,  nel
lessico corrente, designa i prodotti consumati a breve  distanza  dal
luogo di produzione, con  connessi  benefici  in  termini  di  tutela
dell'ambiente e dei consumatori  -  rimane  priva  di  ogni  concreta
valenza selettiva, distinta e ulteriore rispetto a quella insita  nel
predicato "di origine regionale". 
        La definizione della nozione di "prodotti a chilometri zero",
offerta dall'art. 1, comma 1,  della  legge  ("prodotti  agricoli  ed
agroalimentari  destinati   all'alimentazione   umana,   ottenuti   e
trasformati"),  prima  ancora  che  generica,  si  rivela,   infatti,
eccentrica rispetto al concetto definito, in  quanto  attinente  alla
sola natura del prodotto, e non  gia'  alla  distanza  tra  luogo  di
produzione e luogo di consumo. Negli ulteriori commi  dell'art.  1  e
nelle successive disposizioni della legge e', per converso,  costante
la limitazione delle prefigurate misure di sostegno  ai  prodotti  di
provenienza lucana. 
        La legge regionale  -  e,  in  particolare,  le  disposizioni
impugnate - risultano volte, dunque, ad incentivare  il  consumo  dei
soli prodotti  di  origine  regionale  come  tali,  indipendentemente
dall'ubicazione  del  luogo  di  produzione  o  dalla   presenza   di
particolari qualita', senza che la tutela si estenda a  prodotti  con
caratteristiche analoghe,  ancorche'  provenienti  da  aree  poste  a
distanza uguale o minore dal luogo di consumo (come puo' avvenire, in
specie, ove il consumo avvenga in zone limitrofe ad altre Regioni). 
        4.- Cio' puntualizzato, per quel che  concerne  il  parametro
costituzionale evocato, la giurisprudenza di questa Corte e' costante
nell'affermare che la nozione di "concorrenza",  di  cui  al  secondo
comma, lettera e), dell'art. 117 della Costituzione, riflette  quella
operante in ambito comunitario.  Essa  comprende,  pertanto,  sia  le
misure legislative di tutela in senso proprio, intese  a  contrastare
gli atti e i comportamenti delle imprese che  incidono  negativamente
sull'assetto concorrenziale dei mercati; sia le misure legislative di
promozione,  volte  ad  eliminare  limiti  e  vincoli   alla   libera
esplicazione della capacita' imprenditoriale e della competizione tra
imprese (concorrenza "nel mercato"), ovvero a  prefigurare  procedure
concorsuali di garanzia che assicurino la  piu'  ampia  apertura  del
mercato  a  tutti  gli  operatori  economici  (concorrenza  "per   il
mercato") (ex plurimis, sentenze n. 291 e n. 200 del 2012, n. 45  del
2010). In questa  seconda  accezione,  attraverso  la  "tutela  della
concorrenza", vengono perseguite finalita' di  ampliamento  dell'area
di libera scelta dei cittadini e delle imprese, queste  ultime  anche
quali fruitrici, a loro volta, di beni e di servizi (sentenze n.  299
del 2012 e n. 401 del 2007). 
        Ove  la  suddetta  materia,  considerato  il  suo   carattere
finalistico  e  "trasversale",   interferisse   anche   con   materie
attribuite alla competenza legislativa delle Regioni,  queste  ultime
potrebbero dettare una disciplina con  "effetti  pro-concorrenziali",
purche' tali effetti siano indiretti e marginali e non si pongano  in
contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che tutelano  e
promuovono la concorrenza (sentenze n. 43  del  2011  e  n.  431  del
2007). 
        5.- Alla concorrenza "per il mercato" e,  dunque,  all'ambito
materiale della "tutela della concorrenza" questa Corte  ha,  d'altro
canto, gia' ascritto la disciplina delle procedure di  selezione  dei
concorrenti e dei criteri di aggiudicazione  degli  appalti  pubblici
(tra le ultime, sentenze n. 52 del 2012, n. 339 e n. 184 del 2011). 
        Si colloca, pertanto, in tale ambito anche  l'impugnato  art.
2, comma 1, della legge regionale, il quale stabilisce che l'utilizzo
dei  prodotti  agricoli  di   origine   lucana   costituisce   titolo
preferenziale per l'aggiudicazione di appalti pubblici di  servizi  o
di forniture di prodotti alimentari ed agroalimentari destinati  alla
ristorazione collettiva. 
        In tal modo, viene imposto all'amministrazione appaltante  un
criterio di scelta del contraente diverso e ulteriore  rispetto  alle
previsioni  della  legislazione  statale  e,  in  particolare,  degli
articoli 81 e seguenti del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163
(Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture
in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE): criterio  che
non solo non favorisce la  concorrenza,  ma  chiaramente  la  altera,
risolvendosi in un favor per gli imprenditori che impiegano  prodotti
provenienti da una certa area territoriale (quella lucana), cosi'  da
poter vantare il titolo preferenziale in questione.» 
    Non resta che applicare questi concetti anche agli articoli 2 e 3
della legge oggi impugnata, per come sopra illustrati e interpretati. 
    3. Non  potrebbe  invocarsi,  a  confutazione  dei  motivi  sopra
svolti, la disciplina statale di  cui  all'art.  95,  comma  13,  del
codice dei contratti pubblici, riportato sub c). 
    Come gia' avvertito, questa disposizione, relativa anch'essa alle
aggiudicazioni  di  contratti  pubblici,  si  rivolge  a   tutte   le
amministrazioni  aggiudicatrici.  Ma  prescrive   due   significativi
presupposti limitativi: i) in ogni caso  le  amministrazioni  debbono
applicare la disposizione «compatibilmente con il diritto dell'Unione
europea  e  con  i  principi   di   parita'   di   trattamento,   non
discriminazione, trasparenza e proporzionalita'»; ii) il «favor»  per
i prodotti «a filiera corta» e «a chilometro zero»  (la  disposizione
non menziona, invece, i prodotti «a chilometro utile») non e' fine  a
se stesso, ma e' condizionato alla circostanza che l'impiego di  tali
prodotti faccia si' che  il  bene  o  il  servizio  offerto  in  gara
comporti «un minore impatto sulla salute e sull'ambiente». 
    Sono proprio questi due presupposti  (la  proporzionalita'  e  la
dimostrata utilita' per la tutela della salute e  dell'ambiente)  che
difettano  nell'intervento  legislativo  regionale  oggi   impugnato,
sicche' l'incidenza  limitativa  sulla  parita'  di  trattamento  tra
operatori economici non e' giustificata. 
    4. Alla  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  degli
articoli  2  e  3  conseguira'  anche  quella  dell'art.  4,  che  ne
costituisce la necessaria appendice applicativa, contenendo la  norma
di copertura finanziaria degli oneri derivanti dal finanziamento  dei
«progetti pilota». 

(1) La materia e' oggetto del disegno di legge approvato dalla Camera
    il 18 ottobre 2018 (A.C.183) e attualmente all'esame  del  Senato
    (A.S. 878)