Ricorso ai sensi dell'art. 127 della Costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, nei cui uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12 contro la Regione Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, per l'impugnazione della legge della Regione Calabria n. 62 del 16 dicembre 2019, pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Calabria n. 139 del 16 dicembre 2019 recante «Modifiche alla legge regionale n. 21/2010», in relazione al suo art. 1. La legge della Regione Calabria n. 62 del 2019 viene impugnata nella parte sopra richiamata giusta delibera del Consiglio dei Ministri nella seduta del 6 febbraio 2020. Con la legge regionale in esame, rubricata «Modifiche alla legge regionale n. 21/2010», la Regione Calabria intende intervenire a modificare altre norme regionali, in tema di interventi edilizi e sicurezza delle costruzioni. L'art. 1 della legge regionale, rubricato «Modifiche alla legge regionale 21/2002», dispone: «1. Il comma 1 dell' art. 6 della legge regionale 11 agosto 2010, n. 21 (Misure straordinarie a sostegno dell'attivita' edilizia finalizzata al miglioramento della qualita' del patrimonio edilizio residenziale), e' sostituito dal seguente: "1. Gli interventi previsti negli articoli 4 e 5 nonche' nel presente articolo possono essere realizzati su immobili esistenti alla data del 31 dicembre 2018, ivi comprese le unita' collabenti regolarmente accatastati presso le rispettive agenzie del territorio oppure per i quali, al momento della richiesta dell'intervento, sia in corso la procedura di accatastamento."» Si tratta di norma illegittima per i seguenti Motivi La legge regionale, che modifica il comma 1 dell'art. 6 della legge regionale 11 agosto 2010, n. 21 (Misure straordinarie a sostegno dell'attivita' edilizia finalizzata al miglioramento della qualita' del patrimonio edilizio residenziale), e' censurabile, relativamente alla disposizione contenuta nell'art. 1, per i motivi di seguito specificati, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera h) della Costituzione, relativo alla materia di «sicurezza» di competenza legislativa esclusiva dello Stato, rimessa, peraltro, allo Stato stesso anche con riguardo alle possibili forme di coordinamento con le Regioni (art. 117, secondo comma, lettera h) e 118, terzo comma, della Costituzione). In particolare, l'art. 1, comma 1, sostituisce il comma 1 dell'art. 6 della legge regionale n. 21 del 2010, gia' piu' volte modificato. La disposizione come sostituita prevede che: «1. Gli interventi previsti negli articoli 4 e 5 nonche' nel presente articolo, possono essere realizzati su immobili esistenti alla data del 31 dicembre 2018, ivi comprese le unita' collabenti regolarmente accatastati presso le rispettive agenzie del territorio oppure per i quali, al momento della richiesta dell'intervento, sia in corso la procedura di accatastamento». In disparte la circostanza che le modifiche apportate alla disposizione in commento si sono succedute in un breve lasso di tempo, potendo, cosi', condurre a distorsioni applicative, viene altresi' in rilievo la soppressione del riferimento alle norme tecniche per le costruzioni di cui al decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 17 gennaio 2018. Al riguardo, per il primo aspetto, occorre evidenziare anche nel caso di specie che in particolare, con la sentenza n. 107 del 2017, il giudice delle leggi ha avuto modo di osservare che «7.2.2 - Vero e' che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non ogni incoerenza o imprecisione di una norma puo' venire in questione ai fini dello scrutinio di costituzionalita' (sentenze n. 86 del 2017 e n. 434 del 2002). Nondimeno, la stessa e' invece censurabile, alla luce del principio di razionalita' normativa, qualora la formulazione della stessa sia tale da poter dare luogo ad applicazioni distorte (sentenza n. 10 del 1997) o ambigue (sentenza n. 200 del 2012), che contrastino, a causa dei diversi esiti che essa renda plausibili, il buon andamento della pubblica amministrazione, da intendersi quale ordinato, uniforme e prevedibile svolgimento dell'azione amministrativa, secondo principi di legalita' e di buona amministrazione». «7.2.3 - d'altro canto questa Corte ha gia' chiarito che, a differenza di quanto accade per il giudizio in via incidentale, giudizio concreto e senza parti necessarie, il giudizio in via principale puo' concernere questioni sollevate sulla base di interpretazioni prospettate dal ricorrente, come possibili (sentenza n. 412 del 2004; sentenza n. 3 del 2016). Orientamenti, questi, che sebbene elaborati in riferimento ai requisiti di ammissibilita', servono altresi' ad evidenziare che nel giudizio in via d'azione vanno tenute presenti anche le possibili distorsioni applicative di determinate disposizioni legislative; e cio' ancor di piu' nei casi in cui su una legge non si siano ancora formate prassi interpretative in grado di modellare o restringere il raggio delle sue astratte potenzialita' applicative (sentenze n. 49 del 2005, n. 412 del 2004 e n. 228 del 2003). Si e' parimenti affermato, con riferimento anche all'impugnativa regionale, che possono risultare costituzionalmente illegittime «per irragionevolezza [. . .] norme statali dal significato ambiguo, tali da porre le regioni in una condizione di obiettiva incertezza, allorche' a norme siffatte esse debbano attenersi nell'esercizio delle proprie prerogative di autonomia» (sentenza n. 160 del 2016). Cio' vale, a maggior ragione, nel caso in cui l'ambiguita' semantica riguardi una disposizione regionale foriera di sostanziali dubbi interpretativi che rendono concreto il rischio di un'elusione del principio fondamentale stabilito dalla norma statale. In questa ipotesi, l'esigenza unitaria sottesa al principio fondamentale e' pregiudicata dal significato precettivo non irragionevolmente desumibile dalla disposizione regionale: lungi dal tradursi in un mero inconveniente di atto, l'eventuale distonia interpretativa, contraddittoria rispetto alla norma statale, costituisce conseguenza diretta della modalita' di formulazione della disposizione, che deve essere dichiarata, dunque, incostituzionalmente illegittima.». Infine, nella sentenza n. 89 del 2019, la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare che «[. . .] "possono trovare ingresso, nel giudizio in via principale, questioni promosse in via cautelativa ed ipotetica, sulla base di interpretazioni prospettate soltanto come possibili, purche' non implausibili e comunque ragionevolmente desumibili dalle disposizioni impugnate" (ex multis, sentenza n. 103 del 2018, punto 4.1. del Considerato in diritto). Nel giudizio in via principale possono dunque essere dedotte "anche le lesioni in ipotesi derivanti da distorsioni interpretative delle disposizioni impugnate" (sentenza n. 270 del 2017, punto 4.2. del Considerato in diritto).». Quanto al secondo dei profili cui si e' accennato, la soppressione del riferimento alle norme tecniche per le costruzioni, di cui al decreto del ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 17 gennaio 2018, induce a ritenere che la volonta' del legislatore regionale sia quella di consentire la realizzabilita' degli interventi a prescindere dal rispetto del predetto decreto. In proposito, ritenendo, anche per tale aspetto, valide le considerazioni espresse dalla Consulta nelle sentenze sopra richiamate, si rappresenta altresi', che la citata disciplina ministeriale fornisce i criteri generali di sicurezza, precisa le azioni che devono essere utilizzate nel progetto, definisce le caratteristiche dei materiali e dei prodotti e, piu' in generale, tratta gli aspetti attinenti alla sicurezza strutturale delle opere (cfr. capitolo I, punto 1.1, paragrafo 2). Le norme tecniche per le costruzioni, pertanto, attengono ad aspetti che riguardano la «sicurezza» delle costruzioni e non possono che avere applicazione uniforme sull'intero territorio nazionale, essendo ispirate alla tutela di interessi unitari dell'ordinamento. In particolare, con la sentenza n. 21 del 2010, il giudice delle leggi ha per la prima volta, ed espressamente, affermato che la materia della sicurezza, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera h) della Costituzione, non si esaurisce nell'adozione di misure relative alla prevenzione e repressione dei reati, ma comprende la tutela dell'interesse generale all'incolumita' delle persone. In tal sede, e' stato argomentato che una disciplina che attenga a profili di sicurezza delle costruzioni, collegati ad aspetti di pubblica incolumita' e' riconducibile alla materia della sicurezza di cui all'art. 117, secondo comma, lettera h) della Costituzione. Significativo, al riguardo, e' il passaggio della citata sentenza, laddove la Corte costituzionale giunge ad affermare che «La norma impugnata non trova posto invece nella materia del governo del territorio nel cui ambito rientrano gli usi ammissibili del territorio e la localizzazione di impianti o attivita' (Sentenze n. 307 del 2003, n. 336 e 383 del 2005, n. 237 del 2009), ma non la sicurezza delle costruzioni; e neppure nella materia della "tutela della salute", per quanto questa abbia assunto, dopo la riforma del Titolo V della parte II della Costituzione, un significato piu' ampio rispetto alla precedente materia dell'assistenza sanitaria e ospedaliera, giacche' il profilo della pubblica incolumita' si differenzia concettualmente da quello della prevenzione sanitaria». A cio' si, aggiunga che la Corte costituzionale ha affermato che potere di riconoscere le ragioni particolari che impediscono il rispetto delle norme tecniche e' affidato al Ministro per le infrastrutture e trasporti (art. 88 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001) in quanto in questi ambito, «il legislatore ha inteso dettare una disciplina unitaria a tutela dell'incolumita' pubblica, mirando a garantire, per ragioni di sussidiarieta' e di adeguatezza, una normativa unica, valida per tutto il territorio nazionale, in un settore nel quale entrano in gioco sia l'alta tecnicita' dei provvedimenti in questione sia l'esigenza di una valutazione uniforme dei casi di deroga» (sentenza n. 254 del 2010). Per quanto detto, la legge regionale in esame, limitatamente alla norma indicata, deve essere impugnata ai sensi dell'art. 127 della Costituzione per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera h) della Costituzione.