UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI TARANTO Il Giudice di pace - Giudice del dibattimento penale Il giudice di pace di Taranto, avvocato Nicola Russo, visti gli atti del procedimento nei confronti di P . . . D . . . nato a . . . il . . . , RG PM n. 20l8/000396 ed RG GDP n. 2018/000606, in cui risponde del reato di cui all'art. 633 del codice penale «per aver abusivamente abitato e dunque occupato l'immobile di . . . nr. . . di proprieta' degli eredi di S . . . F . . . . In . . . , fino al . . . - Recidiva reiterata. Ha emesso la seguente ordinanza; L'imputato, sottoposto al giudizio dinanzi all'odierno giudicante per il reato di cui in epigrafe, potrebbe essere condannato alla fine del dibattimento penale, e, quindi, potrebbe essere sottoposto con sentenza all'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 52 e segg. del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, di competenza del giudice di pace, attesa la contestata recidiva infra quinquennale, che potrebbe determinare, in particolare, l'applicazione della sanzione della permanenza domiciliare, ed altro, oltre alla conseguente attivita' dello stesso giudice di pace in qualita' di giudice dell'esecuzione, giusto articoli 40 e 55 del citato decreto legislativo n. 274/2000, tenendo presente che appare paradossale considerare la competenza del giudice di pace nell'applicare nel caso di specie (eventualmente) in sentenza la permanenza domiciliare per effetto della contestata recidiva reiterata infra quinquennale (art. 52, comma 3, decreto legislativo n. 274/2000) e non essere competente in sede di esecuzione, ad adottare a titolo di riconversione delle pena - la medesima sanzione (art. 55 cit. decreto legislativo n. 274/2000), pur non essendo stata quest'ultima normativa abrogata, attese le vicende giurisprudenziali e legislative in appresso evidenziate. Invero, dato che si rende necessario prevenire in dibattimento eventuale conflitto di competenze, nell'applicazione e riconversione della eventuale condanna dell'imputato alla pena pecuniaria o alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilita' o alla permanenza domiciliare in caso di recidiva reiterata infraquinquennale, va evidenziato che, con sentenza depositata in data 24 aprile 2019, n. 17595. La Corte di Cassazione pen. - sezione I -, nel decidere sul conflitto di competenza tra il giudice di pace di Alessandria ( in funzione di giudice dell'esecuzione) e il Magistrato di sorveglianza di Alessandria, in tema di conversione della pena pecuniaria, ha ritenuto la competenza in materia del Magistrato di sorveglianza. Ritiene l'odierno giudicante che il regime normativa vigente in virtu' del quale e' stata riconosciuta la competenza del Magistrato di sorveglianza a decidere in ordine ad una richiesta di conversione per insolvibilita' di pena pecuniaria irrogata dal giudice di pace, sia il frutto di un intervento del legislatore delegato affetto da eccesso di delega e dunque in violazione dell'art. 76 della Costituzione. La Corte di Cassazione ha ricostruito l'attuale stato normativo che regola l'attribuzione di competenza in materia di conversione di pene pecuniarie per insolvibilita', si che pare esaustivo riportare i passaggi essenziali della sentenza: «Osserva il Collegio che si verte, con certezza, in una ipotesi di conflitto negativo di competenza a norma dell'art. 28 del codice di procedura penale poiche' due organi giurisdizionali hanno ritenuto che la competenza a provvedere spettasse all'altro. Giova richiamare la norme del decreto legislativo n. 274 del 2000 che vengono prese in considerazione dai due giudici sopra indicati, e cioe': l'art 55 ("Per i reati di competenza del giudice di pace, la pena pecuniaria non eseguita per insolvibilita' del condannato si converte, a richiesta del condannato, in lavoro sostitutivo da svolgere per un periodo non inferiore ad un mese e non superiore a sei mesi con le modalita' indicate nell'art. 54."»), l'art. 62 («Le sanzioni sostitutive previste dagli articoli 53 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689, non si applicano ai reati di competenza del giudice di pace.» ), l'art 42 («Le condanne a pena pecuniaria si eseguono a norma dell'art. 660 del codice di procedura penale, ma l'accertamento della effettiva insolvibilita' del condannato e' svolto dal giudice di pace competente per l'esecuzione che adotta altresi' i provvedimenti in ordine alla rateizzazione, ovvero alla conversione della pena pecuniaria») e l'art. 40 («Salvo diversa disposizione di legge, competente a conoscere dell'esecuzione di un provvedimento e' il giudice di pace che l'ha emesso»). Cio' va tenuto presente nella ricostruzione storica dell'evoluzione dell'istituto de quo: l'esecuzione delle pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace era disciplinata dall'art. 42 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il quale stabiliva che essa aveva luogo ai sensi dell'art. 660 del codice di procedura penale; tuttavia, per scelta legislativa di concentrazione delle competenze in executivis, si era previsto che l'accertamento della effettiva insolvibilita' del condannato fosse svolto dal giudice di pace competente per l'esecuzione, il quale adottava anche i provvedimenti in ordine alla rateizzazione o alla conversione della pena pecuniaria; in ordine al meccanismo di conversione delle pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace, conseguente alla loro mancata esecuzione per insolvibilita' del condannato, l'art. 55 dei citato decreto legislativo n. 274 del 2000 prevede in prima istanza il ricorso alla sanzione del lavoro sostitutivo per la durata e con le modalita' regolate dallo stesso articolo: qualora sia violato l'obbligo del lavoro sostitutivo (o se esso non sia stato chiesto dal condannato), la parte residua della pena pecuniaria non eseguita mediante tale sanzione si converte in permanenza domiciliare. Tuttavia, l'art. 299 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 (cd. testo unico delle spese di giustizia) ha abrogato l'art. 42 sopra menzionato, stabilendo che le condanne a pena pecuniaria, a seguito della entrata in vigore della nuova normativa, dovevano eseguirsi a norma degli articoli 235, 237, 238 e 241 del testo unico: secondo tali disposizioni, le somme dovute erano recuperate dall'ufficio incaricato della gestione delle attivita' connesse alla riscossione (con la notifica dell'invito di pagamento si fissava il termine per l'adempimento, scaduto il quale si procedeva ad iscrizione a ruolo ed al recupero per il tramite del concessionario). Si trattava di una previsione inserita in piu' vasto ambito di attribuzione, in via generale, dei procedimenti di conversione delle pene pecuniarie al giudice dell'esecuzione: ed infatti, la norma prima indicata abrogava anche l'art. 660 del codice di procedura penale, il quale stabiliva appunto la competenza del Magistrato di sorveglianza per la conversione delle sanzioni pecuniarie inflitte dagli altri giudici. 2. Questa nuova disciplina, pero', non ha superato il vaglio della Corte costituzionale, la quale, con sentenza 18 giugno 2003 n. 212, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale degli articoli 238 e 299 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, per eccesso di delega, nella parte in cui veniva abrogato l'art. 660 del codice di procedura penale. Scriveva la Corte costituzionale nella citata sentenza che la delega conferita atteneva al procedimento di gestione e di alienazione dei beni sequestrati e confiscati, al procedimento relativo alle spese di giustizia ed ai procedimenti per l'iscrizione a ruolo e il rilascio di copie di atti in materia tributaria e in sede giurisdizionale, compresi i procedimenti in camera di consiglio, gli affari non contenziosi e le esecuzioni mobiliari ed immobiliari: in definitiva, era una delega che riguardava l'intera materia delle spese di giustizia; di conseguenza, notava che il legislatore delegato aveva ritenuto esistesse una sostanziale comunanza della materia delle pene pecuniarie con quella delle spese di giustizia, poiche' aveva riformato anche la disciplina del procedimento giurisdizionale di conversione delle pene pecuniarie, con particolare riguardo alla nuova competenza, sottratta al Magistrato di sorveglianza per essere attribuita, in via, generale, al giudice dell'esecuzione. Questa valutazione non veniva pero' condivisa dalla Corte costituzionale, in quanto l'esistenza di una delega in materia coperta da riserva assoluta di legge - quale appunto quella della competenza del giudice, ex art. 25 della Costituzione - non poteva essere desunta da una mora connessione con l'oggetto della delega stessa: doveva quindi ritenersi che il legislatore delegato fosse privo del potere di dettare una disciplina del procedimento di conversione delle pene pecuniarie che comportasse una radicale modifica delle regole di competenza. Pertanto, veniva dichiarata, fra l'altro, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 299 del citato testo unico nella parte in cui aveva abrogato l'art. 660 del codice di procedura penale. Di conseguenza, l'intera materia della conversione delle pene pecuniarie confluiva nelle competenze del Magistrato di sorveglianza. Ed invero, avendo la Corte costituzionale abrogato il menzionato art. 299 soltanto parzialmente, restava salva l'efficacia abrogativa che tale norma operava dell'art. 42 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il quale aveva attribuito la conversione delle pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace a questo stesso giudice. A questa efficacia abrogativa va aggiunto un altro effetto della decisione menzionata: la Corte costituzionale ha anche abrogato, e per intero, l'art. 238 del citato testo unico, il quale articolo attribuiva in via generale la competenza per la conversione al giudice dell'esecuzione competente. Questo principio generale, dunque, non trova piu' applicazione all'istituto della conversione delle pene pecuniarie. Ulteriore conseguenza e' quella per cui, difettando una norma che attribuisca al giudice di pace la competenza alla conversione delle pene pecuniarie (o specificamente o quale giudice dell'esecuzione), non sussiste piu' una norma di legge che attribuisca al giudice di pace la materia della conversione delle pene pecuniarie inflitte con le sue sentenze. In questa materia, unica norma residuata, e con portata generale, e' l'art. 660 del codice di procedura penale, che contempla una competenza specifica del Magistrato di sorveglianza. 4. In dottrina, non isolati commenti hanno auspicato un nuovo intervento del legislatore che torni ad assegnare formalmente tale attribuzione al giudice di pace. Ma, allo stato, va preso atto della normativa vigente, cosi come risultante dall'intervento delta Corte costituzionale sopra indicato. Va tuttavia precisato che detto intervento ha determinato una situazione normativa che non puo' dirsi irragionevole o non equilibrata: esso ha fatto riprendere vigenza ad una norma (e cioe' l'art. 660 del codice di procedura penale) la quale si prestava comunque a disciplinare, in via generale, l'intera materia della conversione delle pene pecuniarie, per cui risulta eliminata soltanto la competenza derogatoria del giudice di pace. Ma il complesso normativo non e' rimasto privo di una disciplina organica, giacche l'art. 660 del codice di procedura penale, al suo comma 1, prevede appunto in via generale che la conversione delle pene pecuniarie e' eseguita nei modi stabiliti dalle leggi e dai regolamenti: pertanto, e' pienamente rispondente a questo dettato normativo che sussista una competenza giurisdizionale alla conversione delle pene pecuniarie che sia distinta da quella del giudice dell'esecuzione; parimenti e' rispondente a questo dettato normativo che le pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace (per il quale sussiste un apposito corpus normativo che tiene conto delle sue peculiarita') siano convertite in sanzioni differenti da quelle che convertono le pene pecuniarie inflitte dagli altri giudici (lavoro sostitutivo ex art. 55 del decreto legislativo n. 274 del 2000 o permanenza domiciliare, in luogo della liberta' controllata o del lavoro sostitutivo ex art. 102 della legge n. 689 del 1981); non viola questo dettato normativo il fatto che tali sanzioni siano applicate dal Magistrato di sorveglianza anziche' dal giudice di pace, in applicazione del comma 1 dell'art. 660 del codice di procedura penale, poiche' la mena collocazione dell'art. 55 citato nel testo citato quale indicazione delle sanzioni applicabili dal giudice di pace non puo' significare che esse debbono essere applicate soltanto dal giudice di pace, considerato il mutamento del quadro normativo complessivo. Va infine considerato che il Magistrato di sorveglianza gia' e' competente per la conversione delle pene pecuniarie inflitte da tutti gli altri giudici, per cui l'attribuzione anche di tale competenza non viola principi generali o funzioni particolari. Del resto, anche prima dell'intervento della Corte costituzionale cui si e' fatto cenno, nonostante l'introduzione - all'epoca - del principio del giudice dell'esecuzione come depositario delle competenza alla conversione delle pene pecuniarie, questa Corte aveva ritenuto che fossero comunque residuate attribuzione al Magistrato di sorveglianza, cosi' scrivendo: «Non essendo state contestualmente abrogate dall'art. 299 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 le disposizioni degli articoli 107 e 108 della legge 24 novembre 1981, n. 689, attributive al magistrato e rispettivamente al tribunale di sorveglianza del compito di determinazione delle specifiche modalita' di esecuzione delle pene conseguenti alla conversione e della procedura di accertamento dell'inosservanza delle prescrizioni inerenti ad esse, questa Corte (ancor prima che la Corte costituzionale, con sentenza n. 212/2003, dichiarasse costituzionalmente illegittimi gli articoli 237, 238 e 299, in parte qua, del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, per difetto di delega in materia coperta la riserva assoluta di legge, qual e' quella riguardante la competenza del giudice ex art. 25 della Costituzione) ha ritenuto, con numerose decisioni, che sia rimasta ferma la competenza in materia del giudice di sorveglianza, pur muovendo motivate critiche alla incoerente ratio legis di una disciplina normativa (successivamente caducata per il radicale intervento del giudice delle leggi), che differenziava la competenza secondo le autonome fasi della formazione del provvedimento di conversione e dell'attuazione del medesimo». Non ignora la Corte un precedente giurisprudenziale in materia (Sezione 1, n. 29227 del 2 luglio 2013, Rv 256800), che pero' non appare sovrapponibile alla questione in esame, riguardando le modifiche ad una pena sostitutiva pronunziata dal giudice della cognizione (ed essendo inoltre risolutiva di un conflitto tra un Tribunale ed un Magistrato di sorveglianza). Essa, inoltre, cerca di pervenire al risultato opposto a quello qui sostenuto effettuando un percorso logico che pero', pur prendendo atto dell'avvenuta abrogazione dell'art. 42 del decreto legislativo n. 274 del 2000 (che stabiliva appunto la competenza del giudice di pace in questa materia), perviene alla soluzione propugnata basandosi sostanzialmente sul disposto di cui all'art. 40 del testo normativo ora citato («Salvo diversa disposizione di legge, competente a conoscere dell'esecuzione di un provvedimento e' il giudice di pace che l'ha emesso»), sostenendo trattarsi di una norma sopravvenuta all'art. 660 del codice di procedura penale e speciale rispetto ad esso: tuttavia, difettando appunto l'art. 42 citato, questa tesi finisce per risolversi nel principio che non trova piu' applicazione in questa materia e cioe' nel principio per cui sarebbe il giudice dell'esecuzione ad essere competente per la conversione della pena pecuniaria da lui inflitta in sede di cognizione. In ogni caso, poi, l'art. 40 del decreto legislativo n. 274 del 2000, per quanto sopravvenuto all'art. 660 del codice di procedura penale, non puo' considerarsi norma speciale rispetto a quest'ultimo, atteso che non disciplina la conversione di pene pecuniarie non pagate, bensi' individua il giudice dell'esecuzione relativamente ai provvedimenti concernenti i reati di competenza del giudice di pace; peraltro, nemmeno l'art. 40 ora citato consentirebbe di attribuire sempre al giudice di pace la competenza alla conversione delle pene pecuniarie, poiche' se il primo comma di esso individua il giudice dell'esecuzione nel giudice di pace che ha emesso il provvedimento, nei successivi commi 2, 3 e 4 contempla ipotesi nelle quali il giudice dell'esecuzione viene individuato diversamente e sovente viene individuato un giudice differente dal giudice di pace, di tal che la discrasia paventata si verificherebbe egualmente. Non vi e' una norma derogatoria di tal fatta, invece, al principio generale della competenza del Magistrato di sorveglianza in materia di conversione di pene pecuniarie, per come risultante dall'intervento della Corte costituzionale: e, si ribadisce, pur considerate tutte le perplessita' sollevate a motivo della ragione delle menzionata dichiarazione di illegittimita' costituzionale (secondo le quali il medesimo eccesso di delega avrebbe dovuto essere rilevato nella abrogazione dell'art. 42 piu' volte citato), il sistema risultante e' complessivamente fondato su di una norma a carattere generale. Ne' pare possibile avanzare un sospetto di incostituzionalita' dell'art. 299 del testo unico citato anche nella parte in cui dispone l'abrogazione di tale norma: l'abrogazione suddetta, infatti, non ha comportato di per se' una modifica delle regole della competenza precedentemente stabilite per detto giudice. In effetti, l'intervento legislativo ritenuto incostituzionale aveva operato un intervento asimmetrico che, abrogando l'art. 660 del codice di procedura penale, determinava l'attribuzione al giudice dell'esecuzione della competenza in materia di conversione di pene pecuniarie in luogo del Magistrato di sorveglianza; diversamente, con la vigenza dell'art. 42 del decreto legislativo n. 274 del 2000, quella confluenza verso il giudice dell'esecuzione era, di fatto, gia' realizzata, per cui l'abrogazione di detta norma aveva avuto l'effetto di modificare quel quadro normativa, il quale esprimeva una disciplina antitetica rispetto a quella dell'art. 660 del codice di procedura penale e la sua abrogazione rispondeva alla logica della armonizzazione della disciplina. Questo sistema, peraltro, appare rafforzato dalla recente introduzione dell'art. 238-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 ad opera del comma 473 dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2017 n. 205, che, occupandosi della procedura di attivazione della conversione delle pene pecuniarie non pagate, richiama l'art. 660 del codice di procedura penale ed espressamente la competenza unica del Magistrato di sorveglianza». Da tali complessive considerazioni la Corte di cassazione ha tratto che nel caso in esame, e piu' in generale in tutti i casi in cui si ponga una questione di conversione per insolvibilita' di pena pecuniaria irrogata da un giudice di pace, debba provvedere il Magistrato di sorveglianza territorialmente competente. A giudizio del giudice di pace remittente la esposizione del dettato normativa vigente, posta a fronte delle considerazioni e conclusioni della sentenza costituzionale 18 giugno 2003, n. 212 avrebbe dovuto condurre ad un diverso approdo, nel rispetto del principio di legalita': ovvero a ritenere che l'art. 299 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 (in questa sede si fara' riferimento al testo unico in materia di spese di giustizia, comprensivo delle disposizioni legislative, decreto legislativo n. 113/2002 che qui interessa, e di quelle regolamentari, decreto legislativo n. 114/2002) e' affetto da vizio di incostituzionalita' per eccesso di delega anche nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 del decreto legislativo n. 274/2000 norma che in virtu' di tale riconosciuta illegittimita' avrebbe dovuto (dovrebbe) essere restituita a piena vigenza (ex tunc) esattamente come l'art. 660 del codice di procedura penale cosi' da ripristinare integralmente il regime regolatore delle competenza in materia di conversione per insolvibilita' di pene pecuniarie, quale disegnato dal legislatore al momento di introdurre il giudice di pace nell'ordinamento giuridico nazionale e legittimamente in vigore antecedentemente alla introduzione del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002. Non sembra dubitabile in proposito che quando la Corte costituzionale ha lapidariamente sancito che «Il legislatore delegato - indipendentemente dall'ampiezza dei contorni che vogliano attribuirsi alla materia delle spese di giustizia - era, dunque, sicuramente privo del potere di dettare una disciplina del procedimento di conversione delle pene pecuniarie che comportasse - come quella impugnata - una radicale modifica delle regole di competenza.» ha inteso riferirsi all'intervento normativo nel sua complesso e dunque, ancorche' abbia poi limitato la portata demolitoria del suo dispositivo all'art. 299 nella parte in cui abroga l'art. 600 del codice di procedura penale anche all'art. 299 nella parte in cui abroga l'art. 42 del decreto legislativo n. 274/2000; del resto avendo dato ulteriore conferma del proprio chiaro intendimento procedendo a dichiarare incostituzionali anche gli articoli 237 e 238 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002. Alla luce dunque del significato della sentenza costituzionale richiamata, tanto limpido quanto riferito esplicitamente all'intera modifica normativa dettata dal legislatore delegato del 2002 in tema di competenza a decidere in merito alle conversioni per insolvibilita' di pene pecuniarie, risulta non manifestamente infondata (rectius: ampiamente fondata) la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 299 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 del decreto legislativo n. 274/2000, per come affetto da eccesso di delega in violazione dell'art. 76 della Costituzione. Parallelamente tale questione risulta rilevante, e nei fatti decisiva nel procedimento dibattimentale in corso atteso che il suo accoglimento comportera' un elemento nuovo e risolutivo per affermare che - diversamente da quanto sancito a risoluzione del conflitto venutosi a creare - competente a valutare l'eventuale applicazione della pena pecuniaria comminata all'imputato in sede di esecuzione all'emananda sentenza, ma anche l'applicazione della pena sostitutiva, e' il giudice di pace e non il Magistrato di sorveglianza, attesa l'unicita' del rapporto tra il giudice che ha emesso la sentenza e il giudice di pace dell'esecuzione, che dev'essere quello che ha emesso proprio la sentenza, a fronte del fatto che il Magistrato di sorveglianza e' competente per la detenzione domiciliare e non per la permanenza domiciliare, dato che quest'ultima disposizione speciale vale solo per il giudice di pace (art. 55 del decreto legislativo n. 274/2000). In tal senso e per completezza espositiva puo' osservarsi che quale effetto - evidentemente non voluto della sentenza costituzionale n. 212/2003 e' stata travolta anche la legittima volonta' del legislatore che nel 2000 aveva deciso di affidare al giudice di pace, in veste di giudice dell'esecuzione, le questioni afferenti la conversione per insolvibilita' di pene pecuniarie da lui stesso irrogate, nonche' la possibilita' di applicare la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilita' (su richiesta-art. 54 del decreto legislativo n. 274/2000), o, in caso di recidiva reiterata infraquinquennale - art. 52, comma 3, del decreto legislativo cit., come sembra applicabile al caso di specie, la pena della permanenza domiciliare o del lavoro di pubblica utilita', se e in quanto necessario. L'art. 42 del decreto legislativo n. 274/2000 era stato infatti introdotto del tutto legittimamente nel contesto unitario del sistema normativa che regola il funzionamento del giudice di pace nell'ordinamento, ed in attuazione di una logica coerente tenendo in primo luogo conto dei ruoli radicalmente diversi che rivestono tale giudice onorario e il Magistrato di sorveglianza il quale ultimo vede i suoi compiti collegati esclusivamente alle vicende esecutive delle decisioni della Magistratura penale ordinaria, al cui interno si colloca quale naturale articolazione. L'art. 42 citato introduceva quindi in tema di conversione per insolvibilita' di pene pecuniarie, un'idea di competenza diversa da quella sottesa al codice di rito, fondata sull'attribuzione di tale specifica funzione al giudice dell'esecuzione trattandosi di un intervento sul titolo esecutivo allorche' se ne fosse constatata l'ineseguibilita' nelle forme originariamente stabilite nella sentenza di condanna. Il legislatore del 2002 ha quindi evidentemente inteso estendere tale opzione funzionale - in verita' assai piu' coerente con la sistematica processuale - anche alla Magistratura ordinaria, e volendo attribuire al Tribunale o alla Corte di appello in veste di giudice dell'esecuzione la procedura di conversione di pena pecuniaria inesigibile per insolvibilita', ha simultaneamente abrogato l'art. 660 del codice di procedura penale e introdotto l'art. 237 del decreto del Presidente Repubblica n. 115/2002 secondo cui «L'ufficio investe il pubblico ministero, perche' attivi la conversione presso il giudice dell'esecuzione competente, entro venti giorni dalla ricezione della prima comunicazione, da parte del concessionario, relativa all'infruttuoso esperimento del primo pignoramento su tutti i beni». Norma quest'ultima riferibile - e riferita - ad ogni giudice dell'ordinamento giuridico penale, ordinario o onorario, e regolatrice della competenza funzionale tanto del Tribunale e della Corte di appello quanto del giudice di pace, per il quale ultimo confermava la scelta gia' adottata a suo tempo nel 2000, cosi' che nessuna variazione sostanziale determinava per tale parte atteso che il giudice di pace rimaneva competente, come in precedenza, per vagliare le richieste di conversione per insolvibilita' di pene pecuniarie che aveva comminato. Con il venir meno dell'art. 237 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 per effetto della sentenza costituzionale che andava ad affiancare la gia' occorsa abrogazione dell'art. 42 del decreto legislativo n. 274/2000, ad opera dell'art. 299 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 nella parte qui oggi impugnata dinanzi al giudice delle leggi, si e' dunque cassata senza motivo la volonta' del legislatore del 2000 che era stata espressa in modo assolutamente conforme a Costituzione, e che la legge delega n. 50/1999 non aveva autorizzato a modificare. L'odierna questione di costituzionalita', allorche' accolta, consentira' dunque di ripristinare quella disposizione che e' stata posta nell'ordinamento in modo pienamente legittimo, tenendo presente, tra l'altro, che la Corte costituzionale, con le sentenze gemelle del 27 giugno 2012, n. 162 e 9 aprile 2014, n. 94, ha statuito il ripristino delle disposizioni illegittimamente abrogate in seguito alla violazione della legge delega (Cosi' anche la sentenza della Corte costituzionale del 23 gennaio 2014, n. 5 e la sentenza del Consiglio di Stato, sezione VI, 19 marzo 2015, n. 1412), dato che il Governo non aveva e non ha il potere di disporre, conseguentemente, l'abrogazione dell'art. 42 del decreto legislativo n. 274/2000, in violazione dell'art. 25 della Costituzione. Parimenti, per gli stessi motivi di cui sopra, va detto che e' rilevante e costituzionalmente illegittimo l'art. 1, comma 473, del della legge n. 205 del 27 dicembre 2017 (Legge di bilancio per l'anno 2018), che ha introdotto nel decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 l'art. 238-bis, altrettanto costituzionalmente illegittimo (L'articolo citato 238-bis cosi' recita: «Attivazione delle procedure di conversione delle pene pecuniarie non pagate). - 1. Entro la fine di ogni mese l'agente della riscossione trasmette all'ufficio, anche in via telematica, le informazioni relative allo svolgimento del servizio e all'andamento delle riscossioni delle pene pecuniarie effettuate nel mese precedente. L'agente della riscossione che viola la disposizione del presente comma e' soggetto alla sanzione amministrativa di cui all'art. 53 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, e si applicano le disposizioni di cui agli articoli 54, 55 e 56 del predetto decreto. 2. L'ufficio investe il pubblico ministero perche' attivi la conversione presso il magistrato di sorveglianza competente, entro venti giorni dalla ricezione della prima comunicazione da parte dell'agente della riscossione, relativa all'infruttuoso esperimento del primo pignoramento su tutti i beni. 3. Ai medesimi fini di cui al comma 2, l'ufficio investe, altresi', il pubblico ministero se, decorsi ventiquattro mesi dalla presa in carico del ruolo da parte dell'agente della riscossione e in mancanza della comunicazione di cui al comma 2, non risulti esperita alcuna attivita' esecutiva ovvero se gli esiti di quella esperita siano indicativi dell'impossibilita' di esazione della pena pecuniaria o di una rata di essa. 4. Nei casi di cui ai commi 2 e 3, sono trasmessi al pubblico ministero tutti i dati acquisiti che siano rilevanti ai fini dell'accertamento dell'impossibilita' di esazione. 5. L'articolo di ruolo relativo alle pene pecuniarie e' sospeso dalla data in cui il pubblico ministero trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza competente. 6. Il Magistrato di sorveglianza, al fine di accertare l'effettiva insolvibilita' del debitore, puo' disporre le opportune indagini nel luogo del domicilio o della residenza, ovvero dove si abbia ragione di ritenere che lo stesso possieda altri beni o cespiti di reddito e richiede, se necessario, informazioni agli organi finanziari. 7. Quando il Magistrato di sorveglianza competente accerta la solvibilita' del debitore, l'agente della riscossione riavvia le attivita' di competenza sullo stesso articolo di ruolo. 8. Nei casi di conversione della pena pecuniaria o di rateizzazione della stessa o di differimento della conversione di cui all'art. 660, comma 3, del codice di procedura penale, l'ufficio ne da' comunicazione all'agente della riscossione, anche ai fini del discarico per l'articolo di ruolo relativo. 9. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 trovano applicazione anche per le partite di credito per le quali si e' gia' provveduto all'iscrizione a ruolo alla data di entrata in vigore delle medesime»), in violazione dell'art. 76 della Costituzione, nonche' articoli 25, 97, comma primo, e 111 della Costituzione, e, in via subordinata, dell'art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi - legge di semplificazione 1998), con riferimento all'art. 76 della Costituzione. Invero, fermo restando che e' di rango rango legislativo solo il decreto legislativo n. 113 del 2002, stante la natura meramente compilativa del successivo decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, cosi' come affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 213/2003, e fermo restando che va rilevata anche in questo caso la violazione dell'art. art. 7, comma 1, della legge n. 50 del 1999 per eccesso di delega, nell'aver il citato decreto legislativo n. 113/2002 erroneamente equiparato le spese processuali alle pene pecuniarie, mancando del tutto una valida delega a disciplinare anche la materia relativa alle sanzioni pecuniarie, a fronte dell'emanato e citato art. 238-bis che attiene solo al procedimento di riscossione, va detto che proprio l'art. 1, comma 473 della legge n. 205/2017 inserisce nel decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 citato art. 238-bis in seguito ad illegittimita' costituzionali derivate, cosi come evidenziate ovvero sulla base del decreto legislativo n. 113/2002 inficiato di illegittimita' costituzionale, in violazione della legge delega n. 50/1999, art. 7., cosi come sempre sopra evidenziato, tenendo presente, La Corte costituzionale, con la dichiarata incostituzionalita' delle richiamate norme inficiate di illegittimita', potra' riabilitare il principio di legalita' (art. 25 della Costituzione) in materia, attesa la piena validita' degli articoli 40 e 55 del decreto legislativo n. 274/2000, ancora in vigore e mai abrogate, riferite rispettivamente alle funzioni di giudice di pace in qualita' di giudice dell'esecuzione e alla competenza del giudice di pace nell'applicare la sanzione della permanenza domiciliare, pur se a determinate condizioni, come giudice naturale. Va da se' che la dichiarata incostituzionalita' dell'art. 299 del decreto legislativo n. 113/2002, nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 del decreto legislativo n. 274/2000, con conseguente reviviscenza di tale ultima norma (come statuito dalle citate sentenze gemelle del 27 giugno 2012, n. 162 e 9 aprile 2014, n. 94 della Corte costituzionale (Cosi' anche la sentenza della Corte costituzionale del 23 gennaio 2014, n. 5 e la sentenza del Consiglio di Stato, sezione VI, 19 marzo 2015, n. 1412.), in eventuale connubio con l'attuale art. 1, comma 473, della legge n. 205 del 27 dicembre 2017, e, quindi, con l'art. 238-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, porterebbe a considerare e valutare o una sorta di antinomia tra le due norme, con evidente primato della prima, in quanto rispettosa degli articoli 76, 97 e 25 della Costituzione, nonche' dell'art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Carta di Nizza), direttamente applicabile dal giudice nazionale, giusta sentenza della Corte di Cassazione penale, sezione VI, sentenza 15 novembre 2016 (dep. 21 dicembre 2016), n. 54467, in applicazione dell'art. 6, paragrafo 1 del Trattato sull'Unione europea, con conseguente disapplicazione dell'art. 238-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, o delineare, nel rispetto dell'art. 25 e 97 della Costituzione e degli articoli 40 e 55 del decreto legislativo n. 274/2000, ancora in vigore, la competenza del giudice di pace, in qualita' di giudice dell'esecuzione, per la riconversione delle pene pecuniarie per i reati di appartenenza, e, nel contempo, la competenza del Magistrato di sorveglianza per i reati di competenza del Tribunale.