UFFICIO DI SORVEGLIANZA DI SPOLETO Il Magistrato di sorveglianza rilevato che, ai sensi dell'art. 2 decreto-legge 10 maggio 2020 n. 29, e' iscritto procedimento relativo a L.T. M., nato a M... il..., gia' ristretto presso la Casa circondariale di T..., in esecuzione della pena di cui alla sentenza Corte Appello Napoli 30 ottobre 2014, irrevocabile il 21 luglio 2017, per anni cinque di reclusione, per la rivalutazione del provvedimento con il quale il Magistrato di sorveglianza di Spoleto gli ha provvisoriamente concesso la detenzione domiciliare di cui all'art. 47-ter, comma 1-ter, ord. penit., surrogatoria della sospensione della pena di cui all'art. 147 del codice penale; decorrenza pena: 23 luglio 2017; fine pena: 28 giugno 2021 (tenuto conto della liberazione anticipata concessagli e della fungibilita' riconosciutagli); vista la documentazione in atti; acquisito il parere del Procuratore Distrettuale antimafia di Napoli; Osserva Con provvedimento in data 21 marzo 2020 il magistrato di sorveglianza di Spoleto concedeva provvisoriamente al L. T. la sospensione della pena ex art. 147 del codice penale nelle forme di cui alla detenzione domiciliare ex art. 47-ter comma 1-ter ord. penit., secondo le disposizioni contenute negli articoli 684 del codice di procedura penale e 47-ter comma 1-quater ord. penit. (come novellato con decreto-legge n. 146/2013, poi convertito il legge 21 febbraio 2014, n. 10). Nelle motivazioni di quel provvedimento si leggono i seguenti elementi: L. T. espia la pena m relazione ad una condanna per associazione a delinquere di stampo mafioso con condotte realizzate tra il 1998 ed il 1999, per la quale gli sono stati comminati anni cinque di reclusione. Segnatamente, e' attestata la sua partecipazione ad un gruppo camorristico denominato clan «L T», a marcata connotazione familiare. Il ruolo ricoperto dall'interessato e' descritto come di primo piano, quale braccio destro di L. T. A., in particolare nel settore della esazione di tangenti, predisposizione degli stipendi agli associati e verifica dell'afflusso dei proventi illeciti nelle casse del gruppo. Le sue condizioni di salute sono state piu' volte valutate dalla competente magistratura di sorveglianza, sino al provvedimento di marzo 2020, con giudizio di compatibilita' con la prosecuzione dell'espiazione pena in carcere, pur rilevandosene la gravita', ma evidenziandosi pure la possibilita' di fare accesso ai presidi sanitari anche sul territorio mediante autorizzazioni ex art. 11 ord. penit. Nelle relazioni sanitarie pervenute per la valutazione sul differimento della pena di marzo scorso si legge che il detenuto e' affetto da esiti di trapianto di fegato del '96 per pregressa cirrosi, in buon riscontro clinico ma con necessita' di continuare il trattamento con immunosoppressore e immunoglobuline anti-HBV, diabete mellito tipo II, portatore di pacemaker, ipertensione arteriosa sistemica. A novembre 2019 risultava sottoposto a visita dermatologica per pregresso epitelioma vasocellulare superficiale alla coscia destra, gia' curato con terapia farmacologica in grado di far regredire la lesione, mentre si procedeva ad asportazione con crioterapia di una cheratosi seborroica del torace. Con l'ultima relazione sanitaria del 20 marzo 2020, il responsabile medico affermava che il condannato, pur non presentando situazioni di attuale incompatibilita' con il regime carcerario, in considerazione delle patologie da cui e' affetto, in particolare l'immunodeficienza, potrebbe essere particolarmente a rischio in caso di contagio da Covid-19. Nella sua istanza la difesa chiedeva in quella sede un provvedimento urgente, anche ricordando la pendenza presso il Tribunale di sorveglianza di Perugia di un procedimento per l'eventuale differimento della pena rinviato per l'effettuazione di perizia, che l'emergenza sanitaria in corso impediva di ultimare in tempi brevi, attese le restrizioni all'ingresso di tutti gli esterni al penitenziario per ridurre il rischio di diffusione del contagio, e comunque evidenziandosi i tempi lunghi di attesa, incompatibili con l'emergenza. In atti era inoltre pervenuta nota dell'area trattamentale che documentava come il condannato, di anni , ristretto nella sezione Alta Sicurezza 3 dell'istituto penitenziario, mantenesse buona condotta, seppur limitata dalle condizioni patologiche che vive. Si allegavano riferimenti anche al coeso nucleo familiare, che lo ha sempre supportato nel corso della detenzione. Veniva indicata la disponibilita' domiciliare della moglie dell'interessato, B. R. , in M., via D. degli A. n. 175. I Carabinieri di M. attestavano l'idoneita' del domicilio, anche dal punto di vista della sorvegliabilita' da parte delle forze dell'ordine preposte ai controlli e confermavano la disponibilita' della congiunta e della famiglia a dargli ospitalita'. l familiari, aggiungevano le forze dell'ordine, sono immuni da precedenti o pendenze penali. In ulteriori note di p.s., pure in atti in relazione a pregresse decisioni, ne veniva evidenziata la pericolosita' sociale deducibile dal reato commesso e dal carisma esercitato in passato dal fratello, esponente della locale criminalita' organizzata, ma si aggiungeva pure che, pur non potendosi escludere in relazione al curriculum criminale, non erano in atti elementi per dedurne collegamenti attuali con la criminalita' organizzata. In altra nota si diceva che la compagine di appartenenza risultava disfatta a seguito di arresti e collaborazioni con la giustizia, anche se alcuni componenti erano stati attinti da ordinanze di custodia cautelare ancora nel 2014. Sulla base del descritto compendio istruttorio il Magistrato di sorveglianza disponeva, per come gia' ricordato, la detenzione domiciliare surrogatoria della sospensione dell'esecuzione della pena per gravi motivi di salute, con la seguente motivazione: «tenuto conto delle informazioni pervenute dall'area sanitaria di T., nonche' della sussistenza dell'emergenza epidemiologica legata al Covid-19, appare a questo magistrato di sorveglianza che sia necessario disporre il differimento facoltativo della pena in favore del L. T., almeno per il tempo dell'emergenza sanitaria e fino a valutazione del competente Tribunale di sorveglianza, in presenza di condannato con patologie gravi e necessitanti costanti contatti con le aree sanitarie territoriali per tenere sotto controllo i valori relativi, che allo stato appare, per come evincibile dall'ultima relazione sanitaria pervenuta il 20 marzo 2020, particolarmente a rischio per la condizione di immunodeficienza collegata al trapianto di fegato, nel caso auspicabilmente scongiurato di una diffusione del Covid-19 nel contesto penitenziario. D'altra parte l'interessato e' ristretto in sezione detentiva dove e' difficile mantenere il distanziamento sociale richiesto dalle disposizioni emanate per la prevenzione del contagio e rispetto ai contatti con le aree sanitarie esterne vede inevitabilmente ridotta la possibilita' di farvi accesso, e' inoltre dato drammaticamente noto che l'incidenza sugli adulti ultrasessantacinquenni (come l'interessato), di tale epidemia e' negativa, ove all'eta' si associno alcune delle patologie da cui il L. T. e' affetto». La misura ha avuto regolarmente inizio e sono pervenute, anche in occasione dell'odierno procedimento, note dai Carabinieri di M. che attestano una condotta in tutto corrispondente alle stringenti prescrizioni proprie della misura domiciliare impostagli (autorizzato ad allontanarsi dall'abitazione esclusivamente per il tempo strettamente necessario a recarsi presso i presidi sanitari territoriali, con l'accompagnamento di un familiare, dando notizia dell'allontanamento alle forze dell'ordine preposte ai controlli). Il decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 ha previsto nel suo art. 2, per quanto qui di interesse, che quando un condannato per uno dei delitti ivi puntualmente indicati, trai quali figura anche la partecipazione ad associazione a delinquere di stampo mafioso, reato commesso dall'odierno interessato, e' ammesso alla detenzione domiciliare o usufruisce del differimento della pena per motivi connessi all'emergenza sanitaria da Covid-19, il Magistrato di sorveglianza (come nel caso di specie) o il tribunale di sorveglianza che ha adottato il provvedimento, acquisito il parere del Procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui e' stato commesso il reato, valuta la permanenza dei motivi legati all'emergenza sanitaria entro il termine di quindici giorni dall'adozione del provvedimento e, successivamente, con cadenza mensile. La valutazione e' effettuata immediatamente, anche prima della decorrenza dei termini sopra indicati, nel caso in cui il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria comunica la disponibilita' di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto o dell'internato ammesso alla detenzione domiciliare o ad usufruire del differimento della pena. Sotto il profilo istruttorio si precisa che, prima di provvedere l'autorita' giudiziaria sente l'autorita' sanitaria regionale, in persona del Presidente della Giunta della Regione, sulla situazione sanitaria locale e acquisisce dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria informazioni in ordine all'eventuale disponibilita' di strutture penitenziarie o di reparti di Medicina protetta in cui il condannato o l'internato ammesso alla detenzione domiciliare o ad usufruire del differimento della pena puo' riprendere la detenzione o l'internamento senza pregiudizio per le sue condizioni di salute. La decisione dell'autorita' giudiziaria e' assunta sulla base della valutazione relativa alla permanenza dei motivi che hanno giustificato l'adozione del provvedimento di ammissione alla detenzione domiciliare o al differimento di pena, nonche' alla disponibilita' di altre strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta idonei ad evitare il pregiudizio per la salute del detenuto. Il provvedimento con cui l'autorita' giudiziaria revoca la detenzione domiciliare o il differimento della pena e' immediatamente esecutivo. L'art. 5 del decreto-legge prevede poi alcune disposizioni transitorie, alla luce delle quali la rivalutazione predetta deve essere effettuata anche circa le misure domiciliari gia' assunte per motivi connessi all'emergenza Covid-19 a far data dal 23 febbraio 2020, con decorrenza dei quindici giorni per la prima rivalutazione dal giorno dell'entrata in vigore del decreto-legge, avvenuta l'11 maggio 2020. Considerati i gia' succinti contenuti del provvedimento di detenzione domiciliare surrogatoria concessa al L. T. nonche' della data di emissione, il magistrato di sorveglianza di S. ha dunque proceduto alle richieste istruttorie ai fini dell'odierna rivalutazione, mediante l'acquisizione di una relazione sanitaria aggiornata richiesta per il tramite dei Carabinieri di M., luogo dove si e' stabilito in misura il condannato, di una nota sull'attuale condizione epidemiologica in Umbria presso la Regione, interpretata la disposizione di cui all'art. 2 decreto-legge n. 29/2020 come riferibile al luogo nel quale l'interessato era ristretto, cd ove, in mancanza di diverse proposte del Dap, potrebbe essere ricollocato in caso di eventuale revoca del provvedimento, di una nota dal Dap sui contenuti richiesti dalla disposizione normativa, cd infine mediante acquisizione di parere da parte della Procura Distrettuale antimafia competente, cui e' stata fatta pervenire la documentazione in precedenza acquisita, ai fini della elaborazione di un atto motivato, effettivamente poi trasmesso all'ufficio di sorveglianza. Il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, con nota pervenuta il 20 maggio 2020, ha attestato che l'interessato, secondo il sanitario del Dipartimento, e' persona in buone condizioni di salute, ma comunque ad elevato rischio di contagio quale trapiantato di fegato. Per questi motivi, in caso di ripristino della detenzione, dovrebbe essere allocato in una struttura dotata di SAI (Assistenza Intensiva) per assicurargli un ambiente maggiormente controllato dal punto di vista igienico. Non puo' pero', si aggiunge, indicarsi anticipatamente con precisione il luogo, poiche' le presenze in tali istituti variano continuamente. La Procura dstrettuale antimafia, informata mediante due successivi invii dei contenuti istruttori raccolti, ha fatto pervenire, in data 25 maggio 2020, parere contrario alta protrazione della misura domiciliare, corredandolo di ampia nota nella quale afferma non poter esprimere un giudizio positivo di prognosi circa il pericolo di reiterazione di reati, descrivendo il L. T. come persona certamente pericolosa, che ha avuto un ruolo di rilievo in un gruppo criminale estremamente radicato nel territorio di cui trattasi e che, pur avendo visto molti suoi componenti originari tratti in arresto, si e' continuamente e sino a data recente rigenerato. Circa i rischi da Covid-19, la DDA aggiunge di aver richiesto alla Casa Circondariale di T. opportune informazioni, acquisendole con nota effettivamente poi pervenutale dall'istituto penitenziario, che le consente di affermare che, seppur il L. T. ha condiviso la stanza a T. con altri detenuti, tuttavia nell'istituto penitenziario in oggetto sono state adottate opportune misure di protezione e non si sono ad oggi riscontrati casi di positivita' ne' tra il personale ne' tra la popolazione detenuta. Dato atto dell'istruttoria documentale che e' stato necessario effettuare, il Magistrato di sorveglianza ritiene di dover sollevare questioni di legittimita' costituzionale relative alla disciplina della rivalutazione periodica frequente della detenzione domiciliare concessa a particolari categorie di condannati ex art. 47-ter comma 1-ter ord. penit. per motivi connessi all'emergenza Covid-19, come contenuta nell'art. 2 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29. In punto di rilevanza appare sufficiente richiamarsi alla ricostruzione della vicenda del L. T. per come sopra succinta, aggiungendo che allo scadere in data odierna del quindicesimo giorno dall'entrata in vigore del descritto testo normativo, e' richiesto al magistrato di sorveglianza di effettuare la rivalutazione della concessione della misura domiciliare, avendo compiuto le richieste istruttorie predette e previa adeguata considerazione del parere negativo sulla persistenza delle ragioni della concessione pervenuto dalla Procura Distrettuale competente. E' dunque questa la sede in cui il magistrato di sorveglianza e' chiamato a decidere in ordine alla rivalutazione prevista e deve percio' sollevare questione di legittimita' costituzionale, che ritiene non manifestamente infondata, dinanzi al Giudice delle leggi, dell'art. 2 del decreto-legge n. 29/2020 nella parte in cui, onerando il magistrato di sorveglianza della rivalutazione, prevede un procedimento senza spazi di adeguato formale coinvolgimento della difesa tecnica dell'interessato, senza alcuna comunicazione formale dell'apertura del procedimento e con una conseguente carenza assoluta di contraddittorio, rispetto alla parte pubblica, qui rappresentata in modo inedito dal Procuratore Distrettuale antimafia individuato in relazione al luogo del commesso reato, che deve fornire un obbligatorio, seppur non vincolante, parere sulla permanenza dei presupposti di concessione della misura. La descritta procedura appare censurabile ai sensi degli art. 24, comma 2 e 111 comma 2 Cost., in particolare appunto poiche' si svolge senza adeguato coinvolgimento della difesa e senza il necessario contradditorio delle parti in condizioni di parita'. Occorre premettere che il provvedimento che oggi si e' chiamati a rivalutare e' stato assunto dal magistrato di sorveglianza ai sensi dell'art. 684 del codice di procedura penale, in via provvisoria, in attesa che si pronunci sul differimento della pena, e la concessione eventuale della detenzione domiciliare, il competente Tribunale di sorveglianza. Il provvedimento ha dunque, secondo la ricostruzione offerta pacificamente in dottrina, natura interinale ed urgente, giustificata dalla necessita' di garantire la piu' rapida tutela del diritto fondamentale alla salute, in attesa dei piu' lunghi tempi di' fissazione dell'udienza dinanzi al Collegio. Ne risultano derogate, mediante un procedimento caratterizzato da marcati tratti di atipicita', le forme normalmente previste per il procedimento di sorveglianza dagli art. 666 e 678 del codice di procedura penale, che tuttavia contraddistinguono la procedura che successivamente si svolge dinanzi al Tribunale di sorveglianza. Il magistrato di sorveglianza, apprezzata la sussistenza di un fumus boni iuris in ordine alla sussistenza dei presupposti perche' il tribunale disponga il rinvio, nonche' di un periculum in mora per la salute dell'interessato nella protrazione dello stato detentivo, provvede de plano, senza il coinvolgimento del pubblico ministero e neppure della difesa, che tuttavia puo' aver avviato, e ordinariamente avvia (anche se e' prevista la possibilita' di una iniziativa officiosa), il procedimento mediante l'istanza, cui e' allegata la documentazione che ritiene utile. La sede per il ripristino di un contradditorio pieno, garantito dalle disposizioni tipiche del procedimento di sorveglianza, e' quella dell'udienza dinanzi al tribunale di sorveglianza, che segue necessariamente quella provvisoria, mentre il provvedimento conserva effetti fino a quella decisione, senza che il legislatore abbia imposto con l'art. 684 del codice di procedura penale al Tribunale un termine acceleratorio, entro il quale provvedere, a prescindere dall'esito eventualmente liberatorio della pronuncia interinale. Si ritiene tuttavia che, in relazione alla istanza di detenzione domiciliare surrogatoria, possa trovare applicazione il richiamo contenuto nell'art. 47-ter comma 1-quater alle disposizioni di cui all'art. 47, comma 4 ord. penit. in quanto compatibili, e tra esse la previsione di un termine acceleratorio, ma meramente ordinatorio, di sessanta giorni dall'emissione del provvedimento provvisorio, che comunque non perde efficacia fino alla decisione del tribunale di sorveglianza anche se la pronuncia giunga tardivamente. Le caratteristiche peculiari del procedimento urgente dinanzi al magistrato di sorveglianza e la natura interinale dello stesso giustificano anche l'assenza di previsti mezzi di impugnazione del provvedimento emesso, poiche' la sede per il piu' ampio apprezzamento delle ragioni delle parti e' considerata il procedimento che si avvia, ai sensi e con le modalita' previste dagli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale, dinanzi al Collegio. E' quella la fase nella quale si assiste al ripristino pieno del contradditorio nella parita' delle parti. Il procedimento per la rivalutazione frequente dei provvedimenti di differimento della pena, introdotto con il decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29, presenta tratti di marcata differenza rispetto a quelli sin qui descritti. E' infatti previsto che sia il magistrato di sorveglianza ad iscriverlo d'ufficio, ad acquisire l'istruttoria per come descritta, ed infine a trasmetterla per il parere sulla persistenza delle ragioni giustificative del differimento o della misura domiciliare alle competenti DDA e, nel solo caso di detenuti ristretti in regime differenziato in peius di cui all'art. 41-bis ord. penit., alla DNA. Il provvedimento di revoca, eventualmente emesso, e' immediatamente esecutivo. La competenza del magistrato di sorveglianza a rivalutare il proprio provvedimento concessi vo permane, all'evidenza, sino a che il Tribunale di sorveglianza non provveda in via definitiva e, ove sopravvenga la revoca del provvedimento interinale, non e' precisato se si incardini la competenza del Collegio e l'uso dell'espressione «revoca» sembrerebbe deporre, per la verita', in senso negativo. Se tuttavia si dovesse ritenere percorribile una soluzione affermativa, per uniformita' con l'ipotesi di rigetto di un provvedimento provvisorio favorevole, allora il Collegio sarebbe chiamato a pronunciarsi, ma ancora una volta in tempi tutt'altro che esigui (sessanta giorni), e comunque senza il presidio di un'eventuale perdita di efficacia della revoca se il provvedimento non intervenisse, a fronte dell'immediato reingresso in carcere da parte del soggetto, che aveva ottenuto per gravi motivi di salute una misura domiciliare. Dalla descrizione dei passaggi essenziali della procedura, per come sin qui riassunti, emerge all'evidenza l'assenza, che in tal senso non appare ragionevole, di qualsiasi formale coinvolgimento della difesa dell'interessato, nonostante dalla decisione del magistrato di sorveglianza derivi l'eventuale ripristino della massima privazione della liberta' rappresentata dal rientro in carcere, per altro di una persona affetta da rilevanti patologie e gia' destinataria di una misura volta -essenzialmente alla tutela del diritto alla salute art. 32 Cost.) e ad una detenzione conforme ai senso di umanita' (art. 27, comma 3, Cost.). Innanzitutto non e' previsto che sia comunicata alla parte l'instaurazione del procedimento. Nel procedimento di rivalutazione, poi, in assenza di un atto introduttivo di parte (cfr. cass. 5 novembre 2013, n. 269), potrebbe persino dubitarsi della legittimazione di quest'ultima o della sua difesa a produrre memorie e documentazione, tenuto conto della prevista assunzione della decisione senza formalita', de plano e non con lo schema minimale della Camera di consiglio. Anche volendo ammetterla tuttavia, come avvenuto nel caso di specie, in cui al fascicolo e' stata acquisita memoria del difensore (nominato nel procedimento ex art. 684 del codice di procedura penale gia' concluso dinanzi al magistrato di sorveglianza, che ha trasmesso gli atti al tribunale di sorveglianza compente per la decisione definitiva), in cui si ribadisce la necessita' di una misura domiciliare per consentire all'assistito di curarsi e si ricorda l'inadeguatezza della presa in carico da parte dell'area sanitaria di Terni, la stessa e' assolutamente all'oscuro degli clementi essenziali, acquisiti mediante l'istruttoria, e sui quali vertera' il giudizio. Non e' infatti previsto che alla difesa sia data contezza dei risultati istruttori e la stessa e' privata della facolta' di confrontarsi con i contenuti delle note pervenute: non puo' ad esempio sapere dove il DAP ritenga che cure adeguate possano essere svolte in favore dell'assistito, ed in qual modo. Non puo' verificare se queste cure siano le stesse che i medici dell'interessato considerano efficaci e risolutive. Non puo' confrontarle con quelle che, in ipotesi, abbia gia' intrapreso durante il periodo trascorso in detenzione domiciliare. Non puo', soprattutto, prendere atto dei contenuti del parere della parte pubblica, che invece ha potuto leggere l'intera istruttoria pervenuta e svolgere autonomi approfondimenti istruttori (come avvenuto nel caso di specie, ad esempio mediante nota richiesta direttamente dalla DDA alla Casa Circondariale di T.), e fornire al magistrato di sorveglianza le proprie repliche. L'intervento della Procura, mediante il suo parere, ed in assenza di una piena interlocuzione con la difesa dell'interessato, appare contraddistinguere della piu' marcata atipicita' la procedura; tanto da non avere eguali nel pur variegato panorama di modelli procedimentali, piu' o meno semplificati, previsti dinanzi alla magistratura di sorveglianza. Potrebbe in tal senso richiamarsi il procedimento in materia di liberazione anticipata ex art. 69-bis ord. penit., in cui e' comunque prevista una decisione in Camera di consiglio, ma senza la presenza delle parti e con richiesta di parere al pubblico ministero, parere che pero' puo' non essere atteso ulteriormente, se non interviene entro quindici giorni dalla richiesta. Non a caso furono sollevati dubbi su tale rito semplificato, introdotto dall'art. 1, comma. 2, della legge 19 dicembre 2002, n. 277, dinanzi alla Corte costituzionale, che li ha sciolti con ordinanze di manifesta infondatezza delle questioni, evidenziando sostanzialmente che la descritta carenza di contraddittorio, o meglio il sacrificio del diritto di difesa dell'interessato, doveva considerarsi, a fronte di una successiva fase, seppur eventuale, di reclamo a contraddittorio pieno, compatibile con il principio di cui all'art. 24, comma 2 Cost. poiche' rispondente ad «esigenze di snellimento procedurale fortemente sentite nella prassi, tenuto conto anche dell'elevato numero delle istanze di cui si discute», a fronte di una istanza di parte che avvia il procedimento e comunque di un numero molto elevato di accoglimenti (cfr. ord. 5 dicembre 2003, n. 352). Soprattutto, i giudici della Consulta riconoscevano che il procedimento avesse un oggetto peculiare: «traducendosi in una mera riduzione quantitativa della pena, finalizzata a «premiare» il condannato che abbia dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione, cui non si accompagna alcun regime «alternativo» a quello carcerario» (cfr. ord. 19 luglio 2005, n. 291). Sembra dunque che nel caso che ci occupa i rilievi fatti propri dalla Corte costituzionale per escludere una incompatibilita' della disposizione con il diritto di difesa non trovino spazio in questa sede, sia perche' il procedimento di rivalutazione ex decreto-legge n. 29/2020 non interviene a istanza di parte, ed anzi senza alcun avviso alla stessa, sia perche' le richieste istruttorie previste, restringendo il campo della valutazione del magistrato di sorveglianza alla sussistenza di una struttura penitenziaria o di un reparto di medicina protetta in cui possa riprendere l'esecuzione penale intramuraria dell'interessato senza pregiudizio per la sua salute, sollecita evidentemente verso la revoca, incidendo in senso restrittivo rispetto al perimetro valutativo e al giudizio di bilanciamento sotteso al disposto dell'art. 147 del codice di procedura penale, sia infine perche' in questione non e' una mera mutazione favorevole del quantum di pena, come premio di una condotta partecipativa, ma un drammatico nuovo cambiamento nelle modalita' di esecuzione della pena, che per altro non conduce dal "dentro" al "fuori", ma in direzione opposta. Proseguendo nella ricognizione dei molteplici riti che, nel susseguirsi delle modifiche normative, possono leggersi nella materia della sorveglianza, si incontrano diversi profili semplificatori, a volte dettati da esigenze di celerita' connesse agli endemici problemi di sovraffollamento ed alle difficolta' dei tribunali di sorveglianza a far fronte alla mole di lavoro. Anche se su alcuni di essi la dottrina da tempo discute della compatibilita' con i principi costituzionali, tema che esula dall'orizzonte della presente questione, puo' apprezzarsi come gli stessi presentino sempre caratteri piu' garantiti del procedimento disegnato dal decreto-legge n. 29/2020, in particolare se si controverte de libertate, e salvo forse soltanto quando ci si occupi di questioni che comunque non incidono su quell'area di indefettibile contraddittorio, che e' proprio quella delle revoche di misure alternative al carcere. Nell'ambito particolarmente presidiato dal rito di cui agli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale, dopo le novelle che hanno introdotto gli art. 35-bis e ter ord. pen. del procedimento in materia di tutela dei diritti, e' previsto ad esempio il meccanismo, per altro assai criticato in dottrina, di cui all'art. 666, comma 2 del codice di procedura penale. Il giudice, a fronte di una richiesta che appaia manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge o perche' mera riproposizione di una richiesta gia' rigettata, provvede de plano alla declaratoria di inammissibilita', sentito solo il pubblico ministero. Tuttavia intanto il provvedimento e' qui assunto su impulso della parte e comunque avverso il decreto emesso e' proponibile ricorso per cassazione. Inoltre, la S.C. con giurisprudenza consolidata, ha chiarito che "le cadenze procedurali previste dall'art. 35-bis ord. pen. e la scelta legislativa del contraddittorio nel doppio grado di merito impongono, percio', «di considerare come la possibilita' per il Magistrato di sorveglianza di emettere un provvedimento fuori dal modello partecipato sia limitata alla sola eccezione prevista dallo stesso art. 35-bis, comma 1, ord. pen. laddove fa salvi i casi di "manifesta inammissibilita' della richiesta a norma dell'art. 666, comma 2,"» e «soltanto nei casi in cui risulti che la richiesta e' "manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge ovvero costituisce mera riproposizione di una richiesta gia' rigettata, basata sui medesimi elementi», il magistrato di sorveglianza potra' dichiarare con decreto de plano il reclamo inammissibile.» In altri termini, «l'esercizio da parte del magistrato di sorveglianza del potere di cui all'art. 666, comma 2, del codice di procedura penale deve essere limitato alle ipotesi in cui la "presa d'atto" dell'assenza delle condizioni di legge non richieda accertamenti di tipo cognitivo, ne' Valutazioni discrezionali» e «la dichiarazione di inammissibilita' risulta possibile solo quando facciano difetto nell'istanza i requisiti posti direttamente dalla legge che non implicano alcuna valutazione discrezionale (Sez. 1, n. 277 del 13 gennaio 2000, rv. 215368).» Sicche', onde evitare il «pericolo che la ricognizione dei presupposti di ammissibilita' della domanda involga una implicita valutazione del merito con la adozione di provvedimenti di sostanziale rigetto in assenza della esplicazione del regolare contraddittorio», «la carenza delle condizioni di legge deve essere rilevabile ictu oculi, non deve comportare valutazioni discrezionali, ne' valutazioni negative fondate su argomentazioni complesse o rese opinabili da possibili differenti ricostruzioni della situazione di fatto posta a base della richiesta». (cass. 16 luglio 2015, n. 876/2016). E piu' di recente, sempre la Suprema Corte ha affermato che le carenze che sole giustificano l'inammissibilita' della domanda debbono risiedere "nella palmare evidenza di tali difetti nel senso che il loro accertamento non deve richiedere alcun giudizio di merito e apprezzamento discrezionale, ne' implicare la soluzione di questioni controverse (si confrontino, in linea con l'orientamento qui espresso: Sez. 1, n. 35045 del 18 aprile 2013, Giuffrida, Rv. 257017; Sez. 1, n. 277 del 13 gennaio 2000, Angemi, Rv. 215368; Sez. 1, n. 2058 del 29 marzo 1996, Silvestri, Rv. 204688; Sez. 3, n. 2886 del 3 novembre 1994, Sforza, Rv. 200724). Laddove, invece, non sia rilevabile ictu oculi l'infondatezza della domanda, il decreto di inammissibilita' rischierebbe di soppiantare l'ordinanza camerate di rigetto in tutti i casi, anche complessi e delicati, di mancato accoglimento della richiesta, con evidente violazione dei diritti di contraddittorio e di difesa previsti dall'art. 666, commi 3 e 4 del codice di procedura penale.. (...) (Le) considerazioni implicanti giudizi di merito e apprezzamenti discrezionali non sono consentiti nel provvedimento di inammissibilita', emesso ai sensi dell'art. 666, comma 2 del codice di procedura penale, senza fissare l'udienza camerale e, quindi, eludendo il procedimento in contraddittorio previsto dall'art. 666, commi 3 e 4 del codice di procedura penale, interamente richiamato dall'art. 35-bis ord. gen. in tema di reclamo proposto a norma dell'art. 69, comma 6, ord. pen.." (cass. 23 marzo 2018, n. 43241). Dunque assai ristretto rispetto a quello di cui all'istituto oggi in esame e' il perimetro minimale in cui un sacrificio del contraddittorio (realizzato in forma meramente cartolare, comunque nel confronto tra l'istanza di parte e il parere del P.M.) e' in tale contesto consentito, limitato ai casi in cui non vi siano da svolgere accertamenti cognitivi di sorta ne' debbano compiersi valutazioni discrezionali. Anche il rito previsto nell'art. 678, comma 1, ult. parte e comma 1-bis del codice di procedura penale, mediante il richiamo all'art. 667, comma 4 del codice di procedura penale, appare assai differente, perche' e' assente il coinvolgimento di entrambe le parti nella prima fase del procedimento, che precede la valutazione de plano, e dunque permane una parita' delle armi tra difesa e parte pubblica e perche' le materie sulle quali e' consentito alla magistratura di sorveglianza il ricorso a tale procedura semplificata e' evidentemente ritagliato sulle fattispecie (si vedano ad esempio le ipotesi di differimento della pena ai sensi dell'art. 146, comma 1 n. 1 e 2) in cui il merito della decisione e' legato a valutazioni a bassissimo tasso di discrezionalita' oppure e' largamente maggioritaria una valutazione di segno favorevole (si veda l'utilizzabilita' del rito semplificato per la valutazione circa la declaratoria di estinzione pena per positivo esito dell'affidamento, che si giustifica in connessione con l'elevatissimo tasso di successo di quella misura alternativa, per la capacita' degli affidati di rispettare le prescrizioni ed evitare la recidiva nel reato). Ad ogni modo, per le ipotesi in cui non si pervenga ad una soluzione favorevole all'interessato, vale la regola generale per la quale le ordinanze de plano adottate ai sensi dell'art. 667, comma 4, in assenza della deroga generale prevista nell'art. 666, comma 7 del codice di procedura penale al principio di cui all'art. 588, comma 1 del codice di procedura penale, non sono immediatamente esecutive e, in caso di mancata opposizione, lo diventano alla scadenza del termine di quindici giorni previsto dalla seconda parte dell'art. 667, comma 4 del codice di procedura penale (cfr. cass. 18 giugno 2015, 36754). Cosi' non e', con ogni conseguenza in termini di ragionevolezza, tenuto conto della materia sensibilissima di cui si parla, per la revoca del provvedimento concessivo della misura domiciliare per motivi di salute, immediatamente esecutiva, attesa l'espressa previsione contenuta nell'art. 2 decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29. Il rito previsto nell'art. 678 comma 1-ter del codice di procedura penale, recentemente introdotto con decreto legislativo n. 123/2018, in relazione a peculiari ipotesi di valutazione dell'eventuale concessione di misure alternative alla detenzione nei confronti di persone non ristrette in carcere che debbano espiare pene non superiori a diciotto mesi, consente pure l'emissione di una ordinanza provvisoria da parte del magistrato relatore individuato dal Tribunale di sorveglianza, ma ancora una volta l'emissione del provvedimento (che solo se concessiva di una misura alternativa al carcere e' comunque suscettibile di essere adottato in questa forma semplificata) segue una istanza della parte, si riscontra l'assenza di contradditorio nel decidere riferibile alla difesa e alla parte pubblica, ma sono previste opportune successive comunicazioni e termini per proporre l'opposizione, in cui viene ripristinato l'ordinario rito a contraddittorio pieno di cui all'art. 666, comma 4 del codice di procedura penale, con esecuzione sospesa dell'ordinanza fino alla pronuncia sulla stessa da parte del tribunale di sorveglianza, cori il rito pienamente garantito. La decisione inaudita altera parte ai sensi dell'art. 51-bis ord. pen. in presenza di sopravvenuti nuovi titoli di privazione della liberta' sembra trovare giustificazione nella mera valutazione aritmetica che il magistrato di sorveglianza deve compiere, su richiesta del pubblico ministero, tenuto conto del cumulo delle pene sopravvenuto, circa la permanenza delle condizioni di applicabilita' della misura in esecuzione, e dunque anche in questo caso con un quasi inesistente tasso di discrezionalita' residua. La procedura ai sensi dell'ad. 51-ter ord. pen. (rubricato sospensione cautelativa delle misure alternative) e' rivolta ai casi in cui la persona in misura alternativa ponga in essere comportamenti suscettibili di determinarne la revoca e prevede, per altro, per come costruita all'esito della novellazione avvenuta con il decreto legislativo n. 123/2018, che in tali casi il magistrato di sorveglianza dia comunicazione al tribunale di sorveglianza affinche' decida, nel contradditorio delle parti, sulla prosecuzione, sostituzione o revoca della misura. Soltanto eventualmente, e residualmente, si direbbe, puo' essere disposta, con decreto motivato, la provvisoria sospensione della misura alternativa e ordinato l'accompagnamento in istituto del trasgressore, ma con provvedimento che comunque perde efficacia se la decisione del tribunale non interviene entro trenta giorni dalla ricezione degli atti. Si apprezza in questi casi residuali, dunque, da un lato la necessita' particolarmente spiccata di una azione urgente da parte del magistrato di sorveglianza, in correlazione con comportamenti del tutto incompatibili con la prosecuzione della misura posti in essere dal condannato, l'assenza di interventi della parte privata e di quella pubblica, in parita', prima del provvedimento di eventuale sospensione, e comunque l'imposizione di uno stringente termine acceleratorio per la valutazione, nel pieno contraddittorio delle parti, dinanzi al Tribunale di sorveglianza, il cui mancato rispetto comporta la perdita di efficacia del provvedimento di sospensione emesso. Non a caso, per altro, il legislatore utilizza la nozione di sospensione, che rinvia alla natura interinale del provvedimento, in attesa del pieno ripristino del contraddittorio, e che e' ben diversa da quella utilizzata nell'art. 2 del decreto-legge n. 29/2020, in cui si parla di revoca e che del carattere di quest'ultima ha una certa stabilita' senza garanzie di un sollecito, immancabile, sversarsi nella valutazione del tribunale di sorveglianza. D'altra parte il campo delle revoche di misure alternative alla detenzione e' proprio quello in cui la pienezza del contraddittorio appare caratteristica indefettibile. Le si evince, ancora una volta, da ultimo, dalle indicazioni contenute nella legge delega 23 giugno 2017, n. 103, nella parte in cui, nell'art. 1 comma 85, indirizzava gli interventi di modifica dell'ordinamento penitenziario, poi solo in parte attuati anche per come sopra significativamente ricordato, prevedendo che si approntasse una «semplificazione delle procedure, anche con la previsione del contraddittorio differito ed eventuale, per le decisioni di competenza del magistrato e del Tribunale di sorveglianza, fatta eccezione per quelle relative alla revoca delle misure alternative alla detenzione». Per queste ultime la garanzia fornita dalla valutazione operata esclusivamente dal Tribunale di sorveglianza e' infatti sia connessa alla collegialita' del giudicante, con la sua piu' ampia e ponderata capacita' di apprezzamento, sia determinata dallo spazio pieno che vi trova il contraddittorio nella parita' delle parti e innanzitutto il ruolo indefettibile della difesa, presidiato dal rito di cui agli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale e dalla nullita' assoluta che interviene a fulminare il provvedimento assunto in presenza di vicende patologiche che l'abbiano in qualche modo compromesso (cfr., tra le altre, cass. 24 settembre 2018, n. 50475 e cass. 18 settembre 2019, n. 43854). Dalla disamina di queste differenti ipotesi emerge l'assoluta atipicita' della procedura oggi disegnata dal decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29, che per altro dispiega i suoi effetti anche retroattivamente, per quanto impone l'art. 5 (disposizioni transitorie). Ne deriva che un condannato per particolari tipologie di reati che, come l'odierno interessato, abbia ottenuto un provvedimento di sospensione dell'esecuzione della pena nelle forme della detenzione domiciliare per gravi motivi di salute connessi all'emergenza sanitaria Covid-19, e che sia stato percio' reimmesso in luogo esterno di cura o presso la propria abitazione, ritenuti luoghi idonei alla miglior cura delle proprie condizioni patologiche, possa oggi vedersi revocato il provvedimento accordato, senza essere stato neppure formalmente informato dell'apertura di questo procedimento, che deriva da una disposizione normativa sopravvenuta alla sua fuoriuscita dal carcere e che sconvolge la prospettiva descritta nel provvedimento concessivo del magistrato di sorveglianza. Il provvedimento provvisorio di concessione prevedeva infatti espressamente che la sua posizione sarebbe stata rivalutata, ed eventualmente confermata, dinanzi al Tribunale di sorveglianza nel pieno contraddittorio delle parti. Oggi invece, con l'odierno procedimento, una rivalutazione avviene senza che lui stesso e la sua difesa abbiano preso cognizione dei contenuti istruttori raccolti e soprattutto del parere obbligatorio richiesto alla Procura distrettuale antimafia, e senza aver potuto adeguatamente interloquire in modo conseguente. Non ignora il magistrato di sorveglianza rimettente l'insegnamento della Corte costituzionale relativo alla piena compatibilita' con il diritto di difesa dei «modelli processuali a contraddittorio eventuale e differito, caratterizzati cioe' - in ossequio a criteri di economia processuale e di massima speditezza - da una decisione de plano seguita da una fase a contraddittorio pieno» (cfr., in questo senso, ex plurimis, ordinanze n. 292 del 2004; n. 257, n. 132, n. 131 e n. 32 del 2003) «e cio' conformemente al consolidato principio per cui il diritto di difesa puo' essere regolato in modo diverso, onde adattarlo alle esigenze ed alle specifiche caratteristiche dei singoli procedimenti, purche' di tale diritto siano assicurati lo scopo e la funzione» (cfr. ord. 19 luglio 2005, n. 291). Nel caso di specie tuttavia si apprezza l'innesto di una ulteriore nuova fase, per altro dai tratti urgenti e provvisori dubbi, in una sequenza che ha gia' attraversato una fase interinale del procedimento avente ad oggetto la concessione di una misura di sospensione dell'esecuzione della pena, anche nelle forme della detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1-ter, ord. penit., e che avrebbe trovato il suo naturale sbocco nella successiva fase, a contraddittorio pieno, dinanzi al tribunale di sorveglianza, con salvezza delle sue conseguenze, in senso reiettivo o concessivo, sino a quel momento. Questa fase di nuova introduzione, in cui fa accesso, per la prima volta, con un suo parere obbligatorio, la parte pubblica, senza alcuna possibilita' di replica della controparte, sfocia in un provvedimento che sembra persino caratterizzato da stabilita', portando il nome di revoca del provvedimento inizialmente emesso, invece che di sospensione, e che ha in ogni caso l'effetto dirompente di ricondurre in vinculis il condannato, che era stato ammesso alla misura extramuraria. Tale quadro mostra elementi di carente tutela, sol che si riporti alla mente che, anche a voler estendere a tale revoca la garanzia di un passaggio obbligatorio dinanzi al Tribunale di sorveglianza, in analogia con quanto previsto per la pronuncia emessa ex art. 684 cod. proc. pen., cio' avviene in un tempo lungo (sessanta giorni, ove applicabile il termine richiamato dagli articoli 47-ter, comma 1-quater e 47 comma 4 ord. penit.) e senza che il provvedimento che ha inciso la liberta' personale subisca alcuna inefficacia, ove tale tempistica non sia rispettata. E cio' senza aggiungere che assai dubbio finisce per diventare l'oggetto della valutazione collegiale, chiamata ad abbracciare tanto l'iniziale provvisoria concessione della misura, quanto la sua revoca. Tali criticita', costituzionalmente rilevanti alla luce degli articoli 24, comma 2, e 111 comma 2 Cost., sembrano configurare vulnera al diritto alla difesa tecnica ed al principio del contradditorio nella parita' delle parti imposti perche' si configuri un giusto processo, non ragionevoli e particolarmente gravi perche' cio' accade in relazione ad un procedimento di rivalutazione che puo' condurre alla revoca di una misura extramuraria concessa per motivi di salute ed al ripristino della privazione della liberta' in carcere. Se cio' determina dunque dubbi di costituzionalita' che il rimettente non puo' che sottoporre al vaglio del Giudice delle leggi, e che si pongono anche rispetto a provvedimenti di provvisoria concessione della misura domiciliare concessi dal magistrato di sorveglianza a partire dall'entrata in vigore del decreto-legge, l'11 maggio 2020, per le ragioni sopra enunciate, le gravi carenze descritte si appalesano ancor piu' critiche con riferimento alle rivalutazioni che intervengano su provvedimenti gia' emessi, come pure previsto dalla disposizione transitoria di cui all'art. 5, decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29, poiche' in tali casi si determina l'azzeramento della previsione che il condannato destinatario doveva farsi, prima dell'entrata in vigore del decreto legge, di una rivalutazione piu' ampia della sua posizione, unicamente dinanzi al Tribunale di sorveglianza nel pieno contraddittorio delle parti. Deve dunque porsi all'esame della Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29, nella parte in cui prevede che proceda a rivalutazione del provvedimento di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena per motivi connessi all'emergenza sanitaria da Covid-19, il magistrato di sorveglianza che lo ha emesso, anche in data antecedente all'entrata in vigore del decreto-legge, alterando, con i descritti vulnera al diritto di difesa ed al contraddittorio in condizioni di parita', l'ordinaria scansione procedimentale che richiede che, alla fase interinale, segua quella dinanzi al Tribunale di sorveglianza con le garanzie previste dal rito di cui agli articoli 666 e 678 cod. proc. pen. Si apprezza sotto tale profilo anche un contrasto con l'art. 3 Cost., nella misura in cui il condannato ammesso alla detenzione domiciliare surrogatoria subisce il procedimento di frequentissima rivalutazione con rito a contraddittorio pieno, oppure senza alcuna possibilita' di replica sui contenuti istruttori per se' e per la sua difesa, soltanto in base al dato del tutto casuale che rispetto alla pronuncia interinale del magistrato di sorveglianza sia gia' intervenuta la decisione in via definitiva dinanzi al tribunale di sorveglianza, oppure la stessa risulti calendarizzata in tempi successivi, in connessione ad esempio con ruoli d'udienza particolarmente gravati. Il contrasto con l'art. 3 Cost, d'altra parte, sembra porsi anche con riferimento ai perimetro soggettivo di tali rivalutazioni, concernenti i soli provvedimenti ammissivi connessi all'emergenza COVID19, quando riferiti ai condannati per alcune tipologie di delitti, secondo un elenco, per altro diverso da quello di cui all'art. 4-bis ord. penit., contenuto nell'art. 2, decreto-legge n. 29/2020 (i condannati e gli internati per i delitti di cui agli articoli 270, 270-bis, 416-bis cod. pen. e 74, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, o per un delitto commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l'associazione mafiosa, o per un delitto commesso con finalita' di terrorismo ai sensi dell'art. 270-sexies cod. pen., nonche' i condannati e gli internati sottoposti al regime previsto dall'art. 41-bis ord. penit.). Pur essendo stati tutti adottati dal magistrato di sorveglianza sulla base di un giudizio di bilanciamento, previsto dall'art. 147 cod. pen., tra esigenze di cura in connessione con l'emergenza sanitaria e profili di pericolosita' concreta, soltanto i provvedimenti concessivi relativi ai condannati per i gravi reati rientranti nell'elenco da ultimo citato dovranno essere frequentemente rivalutati, con le carenze di contraddittorio sin qui evidenziate, e sino a che il tribunale di sorveglianza non si pronunci. In tal senso non puo' non rilevarsi come questa opzione normativa finisca per assegnare ad alcuni autori di reato soltanto, senza che questa cernita si colleghi in alcun modo ad una speciale incidenza sugli stessi dell'emergenza sanitaria da Covid-19, e con scelta della cui ragionevolezza si dubita, un procedimento meno garantito e fortemente orientato verso il ripristino della detenzione, attribuendo alla presunzione di speciale pericolosita' derivante dalla commissione di un certo reato (in un ambito che per altro non concerne il trattamento, ma la tutela del diritto fondamentale alla salute ex art. 32 Cost. e alla umanita' delle pene ex art. 27, comma 3, Cost.) una portata che finisce per travalicare il giudizio in concreto gia' compiuto sul punto, in modo individualizzato, nel provvedimento provvisorio emesso dal magistrato di sorveglianza. Ad avviso del magistrato di sorveglianza scrivente, sussiste dunque contrasto dell'art. 2, decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29, per come sin qui illustrato, con gli articoli 3, 24, comma 2 e 111 comma 2 Cost. e pertanto, presuppostane la rilevanza per l'odierno procedimento, deve sollevarsi questione di legittimita' costituzionale che si ritiene non manifestamente infondata.