TRIBUNALE DI SPOLETO Il Giudice monocratico, premesso che con decreto di citazione a giudizio del 18 aprile 2016, M.M. (nato a ... il .... ed ivi residente e domiciliato in Frazione ...) veniva chiamato a rispondere, davanti al Tribunale di Spoleto, del reato p. e p. dall'art. 635, comma 2 del codice penale (per avere, mediante l'utilizzo di una mazzetta edile, danneggiato e reso inservibile, in data 15 giugno 2013, il distributore di sigarette esposto alla pubblica fede davanti alla tabaccheria, sita in ..., di proprieta' di O.A.); Alla prima udienza svoltasi al cospetto di questo Giudice, il 12 settembre 2017, il difensore di fiducia munito di procura speciale - avv. Antonia Marucci del Foro di Spoleto - richiedeva la sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato, depositando documentazione a sostegno dell'istanza; Alla successiva udienza del 24 ottobre 2017, il Tribunale, pur ritenendo sussistenti le condizioni generali ex lege richieste per l'ammissione dell'istituto prescelto dalla difesa (ed in specie, il rispetto del limite di pena detentiva, essendo il delitto contestato punito con pena della reclusione fino ad un massimo di tre anni; il mancato precedente accesso allo stesso rito; e, l'assenza delle altre cause ostative previste dall'art. 168-bis del codice penale), reputava opportuno, prima di determinarsi in merito, procedere all'audizione della persona offesa dal reato non comparsa; Si addiveniva cosi' all'udienza del 6 marzo 2018, laddove veniva per l'effetto esaminata la p.o. O.A. Questi, espressamente interpellato sul punto, esplicitava il suo dissenso a che l'imputato accedesse alla messa alla prova, insistendo percio' per la prosecuzione ordinaria del processo. Nello specifico, la persona offesa motivava la posizione di contrasto, rievocando in parte gli eventi occorsi («... come risulta dalle immagini registrate dal sistema di videosorveglianza che ha ripreso il fatto, il M ... ha sfondato completamente il distributore di sigarette... tanto che ho dovuto poi buttarlo via e sostituirlo con un altro...per il vero, non e' la prima volta che il M. .... commette un simile gesto ... non si rende conto di cio' che fa e va aiutato...») e ribadendo di avere subito un ingente danno («...pari a 20.000 euro ... non risarcito dall'assicurazione ...»). Il Giudice, sulla base di cio' e tenuto conto altresi' delle complessive risultanze processuali a propria disposizione, ovvero, del certificato del casellario giudiziale in atti (da cui risultava a carico del prevenuto una sentenza di condanna - poi condonata - per rissa ed una di patteggiamento con pena sospesa - irrevocabile il 1° ottobre 2010 - per il reato di cui all'art. 73, comma 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90), degli esiti della relazione di indagine sociale effettuata dall'UEPE competente (laddove si riportano dichiarazioni dell'imputato in parte inverosimili - il danneggiamento del distributore e' stato fatto per rabbia perche' non restituiva il resto dei soldi introdotti all'interno di esso... - e in parte non comprovate - delitto e' stato commesso in un periodo di difficolta' economica e familiare... -), nonche', del contenuto del programma di trattamento elaborato (che non prevedeva alcun intervento in favore della persona offesa dal reato), rigettava la richiesta di sospensione del processo con messa alla prova del prevenuto. Nell'ordinanza di rigetto il Tribunale si soffermava sul rilievo dato al dissenso della p.o. ai fini dell'adottata decisione, motivando il raggiunto convincimento, in assenza di norme espresse sullo specifico punto, attraverso una interpretazione sistematica delle altre disposizioni codicistiche interessate. Si richiamava infatti - anche attraverso il rinvio a precedente ordinanza assunta dal Giudice nel corso del medesimo procedimento - il contenuto dell'art. 464-bis, comma 4 del codice di procedura penale (secondo cui il programma di trattamento deve prevedere, se possibile, il risarcimento del danno e/o condotte riparatorie in favore della persona offesa dal reato e comunque promuovere la mediazione con la stessa p.o.), dell'art. 464-quater, comma 1 del codice di procedura penale (a mente del quale la decisione e' presa dal Giudice dopo avere sentito le parti e la persona offesa) e dell'art. 464-quater, comma 7 del codice di procedura penale (ove si riconosce alla persona offesa dal reato sia il diritto di sollecitare il pubblico ministero ad impugnare l'ordinanza che decide sulla richiesta di messa alla prova dell'imputato sia il potere autonomo di ricorrere per cassazione avverso siffatta ordinanza nelle ipotesi in cui non le sia stata consentita la partecipazione all'udienza o non sia stata essa sentita una volta comparsa). In definitiva, il Tribunale riteneva che, nell'ambito della procedura che ci occupa, la persona offesa, lungi dal dovere essere relegata al ruolo di soggetto meramente passivo, dovesse invece assumere la parte di protagonista. Nel rigettare la richiesta di messa alla prova, pertanto, veniva riconosciuta piena incidenza al dissenso espresso, in punto di ammissione, dalla p.o., valendo anche la sua opinione ad escludere ogni automatismo nell'accesso all'istituto de quo. Concludeva il Giudice asserendo che, a diversamente opinare, si trascurerebbero senza ragione le finalita' riparatorie sottese alla messa alla prova (in uno con quelle primarie di deflazione del carico processuale) in armonia con le linee guida dettate in materia a livello europeo (secondo la nota direttiva UE n. 29/2012). Preso atto del rigetto, il difensore chiedeva un rinvio per valutare la praticabilita' di altri riti alternativi ed il Tribunale lo concedeva anche al fine di meglio approfondire il tema della eventuale sopravvenuta propria incompatibilita' all'ulteriore corso del giudizio; All'udienza del 18 settembre 2018, la difesa non prospettava alcun nuovo rito speciale, ma, in accordo con il pubblico ministero, eccepiva la dianzi prospettata incompatibilita' del Giudice ab origine adito e conseguentemente sollevava questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2 del codice di procedura penale nella parte in cui una simile incompatibilita' (dopo il rigetto della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova) non e' stata prevista; Il Tribunale si riservava di provvedere in successiva udienza all'uopo fissata, invitando il difensore al deposito - poi intervenuto in data 23 maggio 2019 - di memoria illustrativa dell'interposta questione di costituzionalita'. Considerato che Analoga questione, nell'auspicio di una ennesima pronuncia additiva in funzione integratrice della norma di riferimento, era gia' stata sollevata dinnanzi alla Corte costituzionale, ipotizzandosi un presunto contrasto dell'art. 34, comma 2 del codice di procedura penale (contenente l'elenco dei tassativi casi di incompatibilita' del Giudice determinata da atti compiuti nel procedimento) con i precetti di cui agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione, nella parte in cui non viene ivi prevista (anche) l'incompatibilita' a partecipare e/o procedere al (successivo) giudizio (ordinario) del Giudice del dibattimento che ha rigettato la richiesta di sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato; La suddetta questione e' stata dichiarata inammissibile con ordinanza n. 19 del 2017; La dichiarazione di inammissibilita' si e' pero' fondata su un argomento di mera natura procedurale, ovvero, sul fatto che il giudice a quo non aveva nell'ordinanza di rimessione degli atti (autonomamente) motivato le ragioni per cui riteneva fondata la questione medesima; Pertanto, nulla impedisce una rivisitazione del tema, demandandosi alla Corte costituzionale una verifica estesa al merito della questione, dopo avere illustrato le ragioni per le quali la si ritiene ammissibile, rilevante e fondata; Osserva La questione di costituzionalita' sollevata dalla difesa dell'imputato appare anzitutto rilevante, poiche' il giudizio radicatosi davanti al Tribunale in composizione monocratica di Spoleto non puo' essere ragionevolmente definito a prescindere dalla risoluzione della questione medesima. Ed invero, la decisione da rimettersi alla Corte costituzionale sul tema della supposta incompatibilita' del Giudice risulta, da un lato, preliminare rispetto ad ogni altro provvedimento inerente all'ulteriore corso del processo, e, dall'altro lato, determinante ed immediatamente applicabile al caso di specie. Parimenti la questione va ritenuta fondata, essendo certo meritevoli di una piu' approfondita verifica i dubbi interpretativi prospettati dal difensore nell'applicazione della norma dettata dall'art. 34 del codice di procedura penale in rapporto alla complessiva disciplina codicistica della messa alla prova. Nel dettaglio, dandosi momentaneamente per conosciuti i principi elaborati dalla giurisprudenza in punto di individuazione delle condizioni atte a determinare l'incompatibilita' del Giudice adito, conviene far partire l'analisi dalla puntuale disamina dei poteri cognitivi e valutativi in astratto riconosciuti al Tribunale nella fase della decisione sull'ammissione dell'imputato alla prova e nel caso concreto dal Giudice del dibattimento esercitati per addivenirsi al rigetto della correlata richiesta difensiva di sospensione del processo. L'art. 464-quater, comma 1 del codice di procedura penale esordisce statuendo che il Giudice si pronuncia con ordinanza sulla richiesta di messa alla prova dell'imputato sempre che non debba pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell'art. 129 del codice di procedura penale Mutatis mutandi, cio' equivale a dire che al Tribunale, investito di un'istanza di sospensione del processo con messa alla prova, e' imposta - esattamente come nell'ipotesi di richiesta di applicazione pena su accordo delle parti - una preliminare delibazione sulla non ricorrenza delle condizioni ex lege previste per un immediato proscioglimento dell'imputato, o, se si preferisce, un seppur sommario positivo giudizio (almeno) sulle seguenti circostanze (alla base di qualsivoglia rimprovero penale): che il fatto sussista, che sia stato commesso dall'imputato, che costituisca reato, che sia previsto dalla legge come reato, che abbia dato vita ad un reato ancora procedibile e non gia' estinto. Ed allora, apparendo oltremodo illogico accordare la messa alla prova ad un imputato che risulti innocente o per altro motivo non punibile, ne discende, come inevitabile assioma, che il Giudice, posto dinnanzi all'alternativa fra procedere oltre nel giudizio o sospendere il processo in forza del prescelto istituto in esame, deve, in prima battuta, valutare i presupposti della colpevolezza del prevenuto rispetto ad un reato sussistente in tutti i suoi elementi costitutivi e soggettivamente riferibile all'imputato medesimo. Con una verifica che - secondo quanto riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale (cfr., sentenza n. 131 del 2019) - va estesa persino alla correttezza della qualificazione giuridica attribuita al fatto da parte del pubblico ministero. Del resto, che la commissione di un reato ad opera dell'imputato stia alla base della sospensione del processo per messa alla prova trova indiretta conferma sistematica nel disposto dell'art. 168-quater del codice penale (secondo il quale, la predetta sospensione viene revocata se l'imputato, durante il periodo della prova, «commette» un «nuovo delitto» non colposo o un «reato» della stessa indole di «quello» per cui si procede), dell'art. 464-quater, comma 3 del codice di procedura penale (ove si legge che la sospensione de qua viene concessa se il giudice ritiene che l'imputato si asterra' dal «commettere ulteriori reati») e, per quel che interessa, anche dell'art. 464-septies del codice di procedura penale, ricollegando tale norma all'esito positivo della prova la pronuncia di una sentenza dichiarativa di estinzione del reato (evidentemente prima commesso). Proseguendosi nell'analisi dei poteri discrezionali al Tribunale riconosciuti ed esercitatili nella fase di ammissione della messa alla prova, onde valutarne gli eventuali effetti pregiudizievoli in termini di incompatibilita', preme richiamare l'art. 464-quater, comma 3 del codice di procedura penale, nella parte in cui, non a caso, si richiede al Giudice di accertare, in base ai parametri dettati dall'art. 133 del codice penale, l'idoneita' del programma di trattamento proposto ed il pericolo di recidiva. Il riferimento ai criteri stabiliti dal codice penale per l'applicazione di una pena in concreto congrua, ovvero, commisurata alla vicenda sotto giudizio, non sembra lasciare adito a dubbi. Anche per decidere sulla messa alla prova il Giudice deve tenere conto della gravita' del reato e della capacita' a delinquere dell'imputato (letteralmente meglio definito colpevole). Sul primo versante, e' percio' tenuto a considerare: le modalita' dell'azione, vagliando tipologia e forma attuativa del reato commesso (nel caso che ci occupa, si ricorda il danneggiamento integrale di un distributore di sigarette eseguito con l'uso di una mazzetta edile da ritenersi pertanto preordinato e portato alle massime conseguenze); la gravita' del danno (o del pericolo) cagionato alla persona offesa (danno qui ingente essendo stato quantificato nella somma di 20.000 euro non risarcita dall'assicurazione); ed ancora, l'intensita' del dolo (o il grado della colpa). Per altro verso, deve il Tribunale valutare: i motivi a delinquere ed il carattere del reo; precedenti penali e giudiziari nonche' condotta e vita del reo antecedenti al reato (nell'ipotesi all'esame complessivamente giudicati con valenza negativa si' da non far propendere per una occasionalita' dell'azione criminosa); la condotta contemporanea e susseguente al reato; e, da ultimo, le condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo (riprese, come per prassi, anche nella relazione di indagine preliminare stilata dall'UEPE e messa a disposizione del Giudice del dibattimento). Di particolare interesse, ai fini della presente ordinanza, e' poi l'individuazione della piattaforma conoscitiva da cui l'organo giudiziario e' abilitato a trarre gli elementi per una compiuta decisione sulla richiesta di sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato. Certamente il Tribunale monocratico puo' fare largo uso di quanto contenuto nel fascicolo del dibattimento ed in specie di ogni elemento in esso rappresentato come riferibile al prevenuto (dal certificato del casellario giudiziale alla documentazione prodotta dalla difesa a sostegno della richiesta del rito in verifica). E, cosi, anche della relazione di indagine socio-familiare eseguita dall'UEPE, comprese le dichiarazioni rilasciate dall'imputato in ordine al reato commesso ed ivi riportate (cfr., antea per il caso a processo). Inoltre, ai sensi dell'art. 464-bis, comma 5 del codice di procedura penale, e' riconosciuto al Giudice un prezioso (per quanto eccezionale per essere limitato ai soli casi necessari) potere istruttorio (in funzione della decisione sulla messa alla prova). Gli e' infatti consentito acquisire (ulteriori) informazioni (da terzi) sulle condizioni di vita dell'imputato, salvo poi il dovere di portare gli elementi probatori extraprocessuali in tale modo raccolti - siano essi documenti o dichiarazioni - a conoscenza delle parti del giudizio in corso. Ma non solo. Secondo quanto stabilito dalla Corte costituzionale (con sentenza n. 91 del 2018), sempre nell'ottica di una compiuta decisione sulla richiesta di sospensione del processo con messa alla prova, il Giudice puo' acquisire e visionare - cosi' integrando la propria sfera di cognizione - gli atti di indagine preliminare contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, fermo restando l'obbligo di restituirli all'organo di accusa nell'ipotesi di successivo rigetto della richiesta. E cio' in forza di una (non vietata) applicazione analogica dell'art. 135, disposizione di attuazione del codice di procedura penale, invero espressamente previsto per il (solo e diverso) caso della richiesta di applicazione pena rinnovata prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, ma a buon ragione estensibile alla procedura in esame sul rilievo che anche qui il dibattimento viene comunque evitato. Sulla base di queste premesse e riconducendosi ad unita' le molteplici argomentazioni sinora svolte, non si vede come si possa allora insistere in un ormai anacronistico restringimento dell'area di valutazione imposta all'organo giudiziario che finisca per optare nel senso di un rigetto dell'istanza di messa alla prova. A ben vedere ed anche a prescindersi dal ricorso (nel caso di specie non effettuato) allo strumento operativo di cui all'art. 135, disposizione di attuazione del codice di procedura penale, il Giudice chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di sospensione del processo compie un ampio e non meramente formale accertamento sul fatto reato al prevenuto ascritto e sulla persona stessa dell'imputato (qui ad esempio anche attraverso l'audizione diretta della persona offesa). E l'attento esame delle risultanze acquisite si orienta in una duplice e solo apparentemente antitetica direzione, dovendo il Tribunale, da un lato e in via primaria, verificare sostenibilita' dell'accusa e colpevolezza dell'imputato (pena una non ammissione «fisiologica» dell'istituto della messa alla prova), e, dall'altro lato, a seguito di positivo riscontro della antecedente analisi, valutare se il reo risulti in concreto meritevole dell'accesso alla prova in assenza di condizioni giustificative di un rigetto altrimenti «patologico» della richiesta. Ne discende che la decisione del Giudice in materia non puo' qualificarsi come puramente procedurale e/o interlocutoria ne' tantomeno frutto di un esercizio «accademico» della discrezionalita' giurisdizionale. Anzi, nell'evenienza di mancato accoglimento della richiesta di messa alla prova, e' certo il contrario, ovvero che la pronuncia assume il carattere proprio della definizione di una delicata fase - quale e' quella degli atti introduttivi al dibattimento - con valutazioni necessariamente di merito sulla fondatezza dell'ipotesi accusatoria. Simile ricostruzione dogmatica peraltro ben si concilia con la natura ibrida dell'istituto sotto osservazione che si caratterizza invero per una fisionomia sostanziale unita ad un'intrinseca dimensione processuale valevole ad elevarlo al rango di un nuovo rito speciale alternativo al dibattimento. Si tratta infatti di un procedimento in tutto equiparabile all'applicazione concordata della pena su richiesta delle parti per la predominante base consensuale, atteso che, in entrambi i casi, l'imputato, in cambio dell'ottenimento di benefici sanzionatori, non contesta l'accusa, ovvero, rinuncia al pieno esercizio del diritto di difesa coessenziale al rito ordinario. Ed allora, cio' rappresenta un (decisivo) motivo in piu' per ritenere che, nell'ipotesi di rigetto della richiesta di sospensione del processo con messa alla prova, il Giudice diventa incompatibile con l'ulteriore corso del giudizio di merito. Sostenere il contrario non puo' che dare adito a seri dubbi di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2 del codice di procedura penale in relazione ai diversi aspetti implicati dalla questione. Sarebbe, in primis, violato il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge ex art. 3 della Costituzione, per l'evidente disparita' di trattamento che si realizzerebbe fra situazioni analoghe, non avendo giustificazione alcuna differenziare la disciplina processuale del caso in esame rispetto a quella garantita per i (paritetici) casi espressamente previsti dal citato art. 34 e/o per quelli (similari) introdotti nel tempo dalla Corte Costituzionale con i suoi interventi additivi. In secondo luogo, violato sarebbe anche l'invece inviolabile diritto di difesa riconosciuto a tutti i cittadini in ogni stato e grado del procedimento ai sensi dell'art. 24, comma 2 della Costituzione, atteso che le conseguenze negative dipendenti dalla scelta del rito speciale si tradurrebbero in ripercussioni pregiudizievoli inerenti ad una modalita' di esercizio dello stesso diritto di difesa. Da ultimo - ma non per importanza - sarebbe violato uno dei principi cardine fissati per l'esercizio della giurisdizione secondo le regole legali del giusto processo. Contraddicendosi quanto statuito dall'art. 111, comma 2 della Costituzione, infatti, il processo che dovesse proseguire con l'apertura del dibattimento davanti allo stesso magistrato che ha rigettato la richiesta di messa alla prova sarebbe inevitabilmente condizionato dalle valutazioni - negative per la posizione dell'imputato - da questi in precedenza espresse per la formazione del proprio convincimento, con grave compromissione di imparzialita' e terzieta' del Giudice.