TRIBUNALE CIVILE E PENALE VERONA 
           Ufficio del giudice per le indagini preliminari 
 
    Ricorso alla Corte costituzionale per conflitto  di  attribuzione
tra poteri dello Stato - art. 134 della Costituzione e art.  37 legge
n. 87/1953.  
    Il giudice per l'udienza preliminare dott.ssa  Livia  Magri,  nel
procedimento n. 3638/18 RG G.I.P. - n.  11985/17  RGNR  pendente  nei
confronti di Bonfrisco Anna Cinzia, nata  a  Riva  del  Garda  il  12
ottobre 1962, residente in Peschiera del Garda, via Umbria n. 7,  con
domicilio dichiarato ivi, difesa dall'avv. Paolo Maruzzo del Foro  di
Verona e dall'avv. Emanuele Fragasso del Foro di Padova imputata «Del
reato p. e p. dagli articoli 416 primo comma,  318,  321  del  codice
penale perche' Bonfrisco Cinzia Anna, in qualita' di senatrice  della
Repubblica, per l'esercizio delle sue funzioni  e  dei  suoi  poteri,
indebitamente accettava la promessa, ricevendo per se'  e  per  altri
denaro e altre utilita' da Zoccatelli Gaetano, direttore generale del
CEV  (Consorzio  energia  veneto,  raggruppante  oltre  mille  comuni
italiani) nonche' amministratore delegato di Global Power  S.p.a.  ed
E-Global  Service  S.p.a.,  con  cio'  la  senatrice  promuovendo   e
rafforzando il  sodalizio  criminoso  costituito  dal  CEV  e  quindi
fornendo appoggio politico allo stesso, al cui apice, vi era  Gaetano
Zoccatelli (gia' condannato in forza di sentenza di applicazione pena
GIP Verona n. 1736/16, unitamente a  Riboli  Luca  ad  alle  societa'
Global Power S.p.a. ed E-Global Service, per  i  reati  di  cui  agli
articoli  416  del  codice  penale,  24-ter  decreto  legislativo  n.
231/2001, Zoccatelli Gaetano in qualita' di  capo  dell'associazione,
353-353 bis, 476 - 479 del codice penale per  fatti  coinvolgenti  il
CEV e le societa' citate sub RGNR 15386/14; fatti  per  cui  sono  ad
oggi  imputati  altre  cinque  persone  Monici  Francesco,  Righzetti
Alessio, Pertoldi Flavio, Zerbaro Luciano e Libanora Marco, fatto  di
cui al reato sub art. 416, primo comma  del  codice  penale  per  cui
Gaetano Zoccatelli non e'  imputato  nel  presente  procedimento  per
essere stato gia' giudicato come sopra esposto). 
    In particolare la senatrice Bonfrisco Cinzia  Anna  indebitamente
riceveva: 
        1. il pagamento dell'intero soggiorno da parte di  Zoccatelli
Gaetano dal 10 al 23  agosto  2015,  in  Costa  Smeralda,  presso  il
Villaggio  Tanca  Manna,  per  lei  oltre  tre  persone,  sua   madre
Carrafiello Angela, suo nipote Bonfrisco Alessandro ed una sua  amica
Ballini Donatella, soggiorno gia' curato e  prenotato  da  Zoccatelli
Gaetano nel mese di luglio; 
        2. l'assunzione, dietro sua  richiesta,  di  Roberta  Ferrara
presso la E-Global Service S.p.a. il cui  legale  rappresentante  era
Zocatelli Gaetano; 
        3. la corresponsione  dietro  sua  richiesta,  per  conto  di
Bendinelli Davide, di un bonifico pari ad  euro  4.000,  disposto  in
data 26 maggio 2015 da Gaetano Zocatelli, per finanziare la  campagna
elettorale del predetto Bendinelli alle elezioni  amministrative  per
il consiglio regionale del Veneto (votazioni svoltesi  il  31  maggio
2015). 
    Il tutto a fronte della promozione da parte della senatrice della
Repubblica Bonfrisco Cinzia Anna del sodalizio  criminale  costituito
dal CEV consistita nel costante e continuo appoggio politico  fornito
in favore di Gaetano Zoccatelli rappresentato in particolare: 
        1. dal concreto interessamento circa l'iter  legislativo  che
consentisse al CEV di rientrare  tra  i  35  soggetti  aggregatori  a
livello  nazionale  (cioe'  le   35   grandi   stazioni   appaltanti)
presentando un emendamento a suo firma a tal fine,  nonche'  parlando
personalmente con la relatrice per il disegno di legge  in  questione
onorevole  Raffaella  Mariani  al  fine  di  garantire  le  modifiche
favorevoli al CEV e, conseguentemente,  alle  societa'  Global  Power
S.p.a. ed E-Global Service S.p.a. sempre illecitamente aggiudicatarie
in via automatica delle gare bandite dal CEV  (come  da  sentenza  di
applicazione pena GIP Verona n. 1736/16 sopra citata); 
        2. dall'ottenimento del  passaggio  dell'emendamento  da  lei
presentato portando conseguentemente il CEV ad essere ricompreso  tra
i 35 soggetti aggregatori. 
    Con tale condotta la senatrice promuoveva il sodalizio  criminoso
fornendo  un  contributo  decisivo   allo   sviluppo   del   CEV   ed
all'espansione dello stesso; sodalizio  criminoso  rappresentato  dal
CEV e dalle societa' Global Power S.p.a. ed E-Global  Service  S.p.a.
al cui apice vi era per tutte Gaetano Zoccatelli. 
    Sodalizio criminoso costituito da Zoccatelli Gaetano al  fine  di
garantire che tutte  le  gare  bandite  dal  CEV  (Consorzio  energia
Veneto),  di  cui  era  direttore  generale  lui  stesso,   venissero
illecitamente aggiudicate in  via  automatica  alle  societa'  Global
Power S.p.a. ed E-Global Service S.p.a. di cui sempre lui stesso  era
legale rappresentante  (come  da  sentenza  di  applicazione  pena  e
relativa imputazione, cui si rimanda integralmente, gia' allegata  in
atti). 
    Con il suo supporto politico, come sopra descritto, la  senatrice
della Repubblica Bonfrisco Cinzia Anna promuoveva, rafforzandolo,  il
consorzio CEV ed il suo operato essendo stato inserito il CEV, grazie
al decisivo contributo da lei apportato in sede parlamentare, tra  le
trentacinque grandi stazioni appaltanti nazionali. 
    In Verona, da circa il novembre 2014 all'ottobre 2015»; 
 
                               Propone 
 
    Ricorso alla Corte costituzionale per conflitto  di  attribuzione
tra poteri dello stato nei confronti del Senato della Repubblica, con
riferimento alla deliberazione del  Senato  della  Repubblica  del  9
gennaio 2019 che, in conformita' alla proposta adottata a maggioranza
dalla giunta per le elezioni e le immunita' parlamentari, ha negato a
questa Autorita' giudiziaria - investita di  richiesta  di  rinvio  a
giudizio nei confronti di Gaetano Zoccatelli e della  senatrice  Anna
Cinzia Bonfrisco nel  procedimento  penale  n.  11985/15  RGNR  -  n.
3638/18 RG GIP - L'autorizzazione a  procedere  nei  confronti  della
senatrice Anna Cinzia Bonfrisco in ordine al reato a lei ascritto  di
cui all'art.  318  del  codice  penale  (e,  di  riflesso,  per  come
strutturata l'imputazione sopra trascritta, in ordine al reato di cui
all'art. 416 del codice penale.). 
1. Ricostruzione della vicenda processuale. 
    Il pubblico ministero presso il Tribunale di Verona, in  data  21
luglio 2017, ha  richiesto  il  rinvio  a  giudizio  di  Anna  Cinzia
Bonfrisco (senatrice della Repubblica all'epoca dei fatti,  ma  anche
ad oggi) e di Gaetano Zoccatelli - nel procedimento n. 11985/15 RGNR;
4994/16 RG GIP - in  ordine  all'imputazione  sopra  riportata  (come
precisata/modificata all'udienza preliminare del 28 febbraio 2018); 
    L'imputata Anna Cinzia Bonfrisco, con dichiarazione del 5 gennaio
2018 dalla stessa sottoscritta (allegata sub 1 alla memoria difensiva
depositata il giorno 8 gennaio 2018),  ha  eccepito  l'applicabilita'
dell'art. 68, comma 1, della  Costituzione  in  relazione  «ai  fatti
posti ad oggetto delle imputazioni enunciate dal  pubblico  ministero
con l'azione penale esercitata il 21 luglio 2017». 
    All'udienza preliminare del 25 gennaio 2018, dichiarata l'assenza
degli imputati, il pubblico ministero ha operato alcune  precisazioni
rispetto all'originaria imputazione e ha chiesto un differimento  per
ulteriormente integrare l'imputazione; alla successiva udienza del 28
febbraio 2018 il pubblico ministero ha modificato l'imputazione,  nei
termini riportati in esordio del presente ricorso e, in  accoglimento
dell'istanza della difesa Bonfrisco (che ha richiesto  un  rinvio  di
cortesia in quanto l'imputata era candidata al Senato nel collegio di
Pesaro e le elezioni erano imminenti), il processo e' stato differito
a prescrizione sospesa al 26 aprile 2018; 
    All'udienza  preliminare  del  26  aprile  2018  le  parti  hanno
discusso la  questione  sollevata  dalla  difesa  Bonfrisco  relativa
all'eccezione  di   applicabilita'   dell'art.   68   comma 1   della
Costituzione; in particolare la difesa  Bonfrisco  ha  insistito  per
l'accoglimento delle conclusioni formulate nella  memoria  depositata
in data 8  gennaio  2018,  instando  quindi  in  via  principale  per
l'emissione di sentenza ex art. 129 del codice di procedura penale  e
in via subordinata per la rimessione della questione al Senato  della
Repubblica, mentre il P.M.,  ritenendo  infondata  la  questione,  ha
chiesto la trasmissione degli atti al Senato; 
    Questo G.U.P., nella medesima udienza del  26  aprile  2018,  ha,
innanzi  tutto,  disposto,  a  fronte  del  rilievo  della   suddetta
eccezione   di   insindacabilita',   l'immediata   separazione    del
procedimento a carico dell'imputata Bonfrisco, ex art.  3,  comma  2,
della legge 20 giugno 2003,  n.  140,  rispetto  alla  posizione  del
coimputato Zoccatelli (cosicche' il procedimento Bonfrisco ha assunto
il n. 3638/18 RG GIP riportato  in  epigrafe);  inoltre,  sulla  base
dell'art. 3, commi 3 e 4, della legge 20 giugno 2003 n. 140  (secondo
cui  il  giudice,  laddove  ritenga  di  accogliere  l'eccezione   di
insindacabilita', pronuncia sentenza di proscioglimento ex  art.  129
del codice di  procedura  penale,  mentre,  laddove  ritenga  di  non
accogliere l'eccezione, «provvede senza  ritardo  con  ordinanza  non
impugnabile, trasmettendo direttamente copia degli atti  alla  Camera
alla quale il membro  del  Parlamento  appartiene  o  apparteneva  al
momento del fatto»), ha emesso ordinanza non impugnabile ex  art.  3,
comma 4, legge 140 del 2003, trasmettendo copia degli atti al  Senato
della Repubblica, ritenendo assolutamente  infondata  l'eccezione  di
insindacabilita', per le motivazioni che qui si riportano: 
        «ritenuto  che,  nel   caso   di   specie,   l'eccezione   di
insindacabilita' risulti infondata e non meritevole di accoglimento; 
          ritenuto,  al  riguardo,  che  debba  senza  dubbio  essere
condiviso l'autorevole e argomentato orientamento espresso dal S.  C.
nella recente sentenza n. 36769, Sez. 6, del 6 giugno 2017, massimata
come segue: «L'immunita' prevista dall'art. 68 della Costituzione non
preclude la perseguibilita' del delitto di corruzione per l'esercizio
della funzione, di cui all'art. 318 del codice penale,  configurabile
nei  confronti  di  un  membro  del  Parlamento  in   relazione   sia
all'attivita' svolta nella predetta veste,  sia  a  quella  espletata
quale  rappresentante  italiano   nell'assemblea   parlamentare   del
Consiglio d'Europa» (sentenza con la quale il S. C. ha annullato  una
sentenza di non luogo a procedere emessa dal  giudice  per  l'udienza
preliminare  del  Tribunale  di  Milano  che,  in  presenza  di   una
contestazione relativa al  reato  di  cui  all'art.  318  del  codice
penale, aveva ritenuto operante l'immunita' parlamentare invocata); 
          rilevato, infatti, che, come sottolineato dallo  stesso  S.
C. nella richiamata sentenza, la fattispecie di cui all'art. 318  del
codice  penale  non  implica  alcun  sindacato  sull'esercizio  della
funzione (a differenza di quanto avviene nel delitto di cui  all'art.
319 del codice penale in relazione all'«atto» del pubblico  ufficiale
che si assume contrario ai doveri d'ufficio), limitandosi a postulare
che la dazione o promessa di dazione  indebita  rivolta  al  pubblico
ufficiale abbia ad oggetto «l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi
poteri»,  senza  null'altro  aggiungere   (risultando   indifferente,
quindi, ai fini delle valutazioni del  giudice  penale,  l'effettivo,
successivo esercizio di tali funzioni e  risultando  indifferente  il
contenuto  intrinseco  dell'atto   o   dell'attivita'   eventualmente
compiuti  in  forza  dell'accordo  illecito,   posto   che   assumono
significato  solo  la  ricezione  della  promessa  o  della   dazione
finalizzate al compimento dell'atto o dell'attivita' o  a  remunerare
l'attivita' gia' compiuta); 
          ritenuto, peraltro, che l'attivita' svolta dal  membro  del
Parlamento, in  particolare  l'attivita'  di  produzione  legislativa
(quale quella che avrebbe posto in essere l'imputata Bonfrisco dietro
remunerazione di Zoccatelli  secondo  il  capo  di  imputazione)  sia
sicuramente sussumibile (e su questo non vi e' discussione neppure da
parte  della  difesa)  nell'ambito  dell'«esercizio  delle  pubbliche
funzioni» (non foss'altro che per il fatto che l'art. 357 del  codice
penale contempla anche la funzione legislativa), in linea, del resto,
con quanto valutato dalla Corte costituzionale sin dalla sentenza  n.
379 del 1996, in cui si era ipotizzata la configurabilita' del  reato
di corruzione in relazione all'attivita' dei  membri  del  Parlamento
italiano; 
          ritenuto, pertanto, che si debba ritenere, in linea con  il
richiamato insegnamento del S.C., che sia inapplicabile  la  garanzia
dell'immunita' nell'ipotesi in cui si proceda  nei  confronti  di  un
parlamentare  per  il  reato  di  corruzione  per  l'esercizio  della
funzione; 
          ritenuto, per l'effetto, che debba essere disposta,  quanto
alla posizione dell'imputata  Bonfrisco,  la  trasmissione  di  copia
degli atti del procedimento  al  Senato  della  Repubblica  affinche'
adotti  la  deliberazione  di  competenza  sulla  questione  relativa
all'applicabilita', nel caso di specie, dell'immunita' invocata;  con
l'effetto che, ai sensi dell'art. 3, comma 5, legge 140 del 2003,  il
procedimento, relativamente alla posizione  dell'imputata  Bonfrisco,
resta sospeso fino alla deliberazione della  Camera  e  comunque  non
oltre il termine di novanta giorni  dalla  ricezione  degli  atti  da
parte della Camera interessata, salvo  proroga  di  ulteriori  trenta
giorni disposta dalla Camera stessa; 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 68, comma 1, della  Costituzione,  3  comma  4
della legge 20 giugno 2013, n. 140, 
        dispone  la   separazione   della   posizione   dell'imputata
Bonfrisco Anna Cinzia da quella dell'imputato Zoccatelli Gaetano; 
        dispone, quanto alla posizione Bonfrisco, la trasmissione  di
copia degli atti del presente procedimento al Senato della Repubblica
affinche' deliberi in merito alla  questione  relativa  all'immunita'
parlamentare invocata dall'imputata Bonfrisco Anna Cinzia  in  ordine
al   delitto   di   cui   all'art.   318 del codice   penale,    come
dettagliatamente descritto nel capo d'imputazione sopra richiamato; 
        dispone  la  sospensione  del  procedimento   nei   confronti
dell'imputata Bonfrisco; 
        quanto alla posizione Zoccatelli, si provvede come da verbale
di udienza». 
    Gli atti, quindi, quanto alla posizione Bonfrisco, separata, sono
stati trasmessi al Senato della Repubblica, atti ricevuti dal  Senato
il 17 luglio 2018. 
    In assenza di decisione da parte del Senato, lo scrivente G.U.P.,
con decreto depositato il 4 dicembre 2018 - richiamato  il  contenuto
dell'art. 3, comma 5, legge 140 del 2003, preso  atto  che  risultava
ampiamente decorso il termine  di  novanta  giorni  ed  anche  quello
eventualmente prorogato di ulteriori trenta  giorni  (fermo  restando
che non era stata comunicata alcuna  proroga  da  parte  del  Senato)
previsto dal citato comma 5 dell'art. 3 legge 140 del 2003 senza  che
fosse  intervenuta  alcuna  delibera  da  parte  del   Senato   della
Repubblica - ha fissato l'udienza preliminare nei confronti  di  Anna
Cinzia Bonfrisco per il giorno 30 gennaio 2019. 
    Nelle more, con deliberazione del 9  gennaio  2019,  trasmessa  a
questo ufficio il 17  gennaio  2019,  il  Senato  della  Repubblica -
esaminata la relazione, assunta a maggioranza (doc. IV-ter  n.  5-A),
con la quale la giunta delle elezioni e delle immunita'  parlamentari
ha proposto  «di  deliberare  che  le  dichiarazioni  espresse  dalla
senatrice Anna Cinzia Bonfrisco costituiscono opinioni espresse da un
membro del Parlamento nell'esercizio delle sue  funzioni  e  ricadono
pertanto  nell'ipotesi  di  cui  all'art.  68   primo   comma   della
Costituzione; sentito il relatore, senatore Durnwalder - ha approvato
la proposta della giunta di cui sopra,  negando  a  questa  Autorita'
giudiziaria l'autorizzazione a procedere. 
    All'udienza preliminare del 30 gennaio 2019,  si  e'  preso  atto
della trasmissione da parte del Senato della citata  relazione  della
giunta e del resoconto stenografico della seduta del 9  gennaio  2019
(v. per maggiori dettagli  il  verbale  di  udienza),  si  sono  date
disposizioni per la ricostituzione  del  fascicolo,  si  e'  discusso
dell'opportunita'/necessita' di acquisizione di notizie in ordine  ad
un presunto conflitto di attribuzioni gia' sollevato dal Senato della
Repubblica a richiesta della senatrice Bonfrisco con  riferimento  al
presente procedimento (v. infra, par. 2) nonche' della  necessita'  o
opportunita' di acquisire alcuni documenti. 
    Inoltre  il  pubblico  ministero  ha  invitato  questo  G.U.P.  a
sollevare conflitto di attribuzione tra  poteri  dello  Stato  avanti
alla  Corte  costituzionale  avverso  la  delibera  di   diniego   di
autorizzazione a procedere,  per  le  ragioni  esposte  in  una  nota
contestualmente depositata. I difensori hanno chiesto un termine  per
poter fornire le notizie e i documenti oggetto di discussione  e  per
esaminare la nota depositata dal P.M.; il processo  e'  stato  quindi
differito all'udienza del 16 aprile 2019. 
    All'udienza preliminare del 16 aprile 2019 si e' preso atto della
produzione documentale effettuata dalla difesa in  data  27  febbraio
2019, si e' trattato del tema dell'eventuale ulteriore conflitto gia'
pendente (v. infra par. 2) e, in ordine alla richiesta  del  pubblico
ministero a che il giudice sollevasse conflitto di  attribuzione  tra
poteri dello Stato,  la  difesa  ha  dichiarato  di  rimettersi  alla
decisione del giudice. 
    All'esito  della  discussione  al  riguardo,  questo  G.U.P.   ha
deliberato di sollevare  conflitto  di  attribuzione,  riservando  la
motivazione del ricorso. Motivazione esposta nell'ambito del presente
provvedimento. 
2.  La  presunta  «pendenza  di  altro  conflitto  di   attribuzione»
sollevato dal Senato della Repubblica  a  seguito  dell'approvazione,
nella seduta del 23  dicembre  2017,  della  corrispondente  proposta
della giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari. 
    Occorre preliminarmente fare chiarezza sulla presunta pendenza di
altro conflitto di  attribuzione  che,  secondo  la  relazione  della
giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari (Doc. IV-ter  n.
5-A  sopra  citato)  -  sulla  cui   base   il   Senato   ha   negato
l'autorizzazione a procedere - dovrebbe essere  stato  sollevato  dal
Senato nella presente vicenda. 
    La predetta relazione della giunta, nel paragrafo contraddistinto
con la lettera a), intitolato «Fatto» (ultimi tre capoversi)  riporta
che, «nel corso della XVII legislatura,  ed  in  merito  alla  stessa
vicenda, il Presidente del Senato, con nota del 12 dicembre 2017,  ha
trasmesso alla giunta  la  richiesta  della  senatrice  Bonfrisco  di
declaratoria di insindacabilita' della propria attivita' parlamentare
ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione». Prosegue  la
relazione  riportando  che  «la  giunta  ha   reputato   -   in   via
pregiudiziale - di  proporre  all'assemblea  il  sollevamento  di  un
conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato ai  sensi  dell'art.
134 della Costituzione, motivato dalla  constatazione  "dell'emergere
di una sorta di «sindacabilita' indiretta» per via giudiziaria  anche
dell'attivita'   piu'   squisitamente   parlamentare   come    quella
legislativa" (doc. XVI, n. 2)» [v. doc.3 bis  prodotto  dalla  difesa
Bonfrisco con la memoria depositata in data 8 gennaio 2018]. «In data
23 dicembre 2017 l'assemblea del Senato ha approvato  tale  proposta.
Nonostante la pendenza del predetto  conflitto  di  attribuzione,  il
Giudice per  le  indagini  preliminari  ha  trasmesso  al  Senato  la
richiesta in esame». 
    Orbene,  e'  doveroso  porre   in   chiaro   che,   in   realta',
contrariamente a quanto esposto nella  relazione  della  giunta,  non
risulta essere stato sollevato alcun  conflitto  di  attribuzione  da
parte del Senato nella presente vicenda. 
    Infatti, sin dall'udienza preliminare del 30 gennaio 2019  si  e'
dato atto che, dalla consultazione del  sito  ufficiale  della  Corte
costituzionale, non era dato rintracciare alcun  riferimento  a  tale
conflitto sollevato dal Senato nella  vicenda  Bonfrisco,  menzionato
nella relazione della giunta di cui al doc. IV ter n. 5-A. 
    Questo giudicante ha quindi chiesto  ai  difensori  dell'imputata
se, per quanto a loro  conoscenza,  a  seguito  dell'approvazione  da
parte  del  Senato  della  proposta  della  giunta  di  sollevare  il
conflitto (approvazione avvenuta, si  ripete,  nella  seduta  del  23
dicembre 2017: v. resoconto stenografico  della  seduta  922  del  23
dicembre 2017 prodotto dalla difesa in una con la memoria  depositata
l'8  gennaio  2018),  il  conflitto  fosse  stato  poi  concretamente
sollevato (il resoconto stenografico si conclude  con  l'approvazione
del Senato, dopo di che e' scritto  che  «La  presidenza  si  intende
pertanto autorizzata a dare mandato a uno o piu' avvocati del  libero
foro»). 
    I difensori hanno dichiarato di non  essere  a  conoscenza  della
circostanza e si sono impegnati a cercare informazioni e a comunicare
gli esiti con nota da depositarsi in cancelleria entro il 28 febbraio
2019. 
    Nella nota depositata il 27 febbraio  2019,  tuttavia,  nulla  ha
riferito  la  difesa  Bonfrisco  a   proposito   delle   informazioni
eventualmente ottenute sul citato conflitto di attribuzione. 
    Alla successiva udienza preliminare del  16  aprile  2019  questo
G.U.P. ha nuovamente dato atto che dal  sito  ufficiale  della  Corte
costituzionale non risultava pendente alcun conflitto di attribuzione
tra poteri dello Stato  sollevato  dal  Senato  per  qualche  aspetto
inerente alla vicenda Bonfrisco oggetto del presente  procedimento  e
ha rilevato che, coerentemente, la difesa Bonfrisco, con la  nota  di
cui sopra,  non  aveva  prodotto  alcun  documento  relativo  a  tale
conflitto. 
    Un conflitto che, a questo punto,  doveva  ritenersi  inesistente
(le parti nulla hanno avuto da osservare). 
    Ebbene, da tutto quanto esposto si  deve  trarre  la  conclusione
secondo cui e' errata la relazione della giunta per le elezioni e  le
immunita'  parlamentari  (doc.  IV  ter  n.  5-A)   laddove   afferma
«Nonostante la pendenza del predetto conflitto  di  attribuzione,  il
Giudice per  le  indagini  preliminari  ha  trasmesso  al  Senato  la
richiesta in esame». Infatti, detto conflitto non  e'  mai  stato  in
concreto sollevato. E altrettanto non veritiero e' quando riferito in
assemblea dal relatore Durnwalder (v. pag. 38, resoconto stenografico
adunanza 9 gennaio 2019), laddove lo stesso, dopo aver illustrato  il
contenuto del capo di imputazione elevato dal pubblico ministero  nei
confronti della senatrice Bonfrisco, afferma «La questione  era  gia'
stata affrontata nella scorsa legislatura, quando  l'assemblea  aveva
espresso   un'autorizzazione    parziale    all'acquisizione    delle
intercettazioni telefoniche (effettivamente in fase  di  indagine  il
G.I.P. aveva chiesto al Senato l'autorizzazione all'utilizzazione  di
21 conversazioni telefoniche  intercettate  su  un'utenza  in  uso  a
Zoccatelli e che  avevano  visto  quale  interlocutore  la  senatrice
Bonfrisco:  richiesta  accolta  dal  Senato  nell'adunanza   del   13
settembre 2017 solo con riferimento alla prima in ordine  cronologico
delle  conversazioni  e  negata  per  le   successive).   L'assemblea
(prosegue  il  relatore)  aveva  anche  sollevato  un  conflitto   di
attribuzione presso la Corte costituzionale, con un giudizio  che  e'
tuttora pendente davanti alla Corte; ciononostante il giudice per  le
indagini preliminari insiste nella richiesta a procedere». 
    Lo si ribadisce: «davanti alla Corte» non pende affatto  un  tale
conflitto, perche', altrimenti, vi sarebbe traccia del conflitto  sul
sito ufficiale della Corte costituzionale, ma soprattutto perche', se
un conflitto esistesse, certamente  l'imputata  Bonfrisco  e  la  sua
difesa sarebbero state in grado di fornire notizie  e  documentazione
al riguardo. Ovviamente, questa A.G. non ha ricevuto alcuna  notifica
attinente a tale fantomatico conflitto. 
    Evidentemente, dopo la seduta del 23 dicembre 2017,  nella  quale
il Senato aveva approvato  la  proposta  della  giunta  di  sollevare
conflitto, la Presidenza, «autorizzata a dare mandato a  uno  o  piu'
avvocati del libero foro», non ha mai conferito detto mandato  oppure
il mandato e' rimasto inevaso. 
3. Le ragioni del conflitto di attribuzioni  avverso  il  diniego  di
autorizzazione a procedere. 
    A questo punto, debbono essere illustrate le ragioni per le quali
si ritiene che la deliberazione del 9 gennaio 2019, con la  quale  il
Senato  della  Repubblica  ha  negato   nel   presente   procedimento
l'autorizzazione a procedere nei confronti della senatrice  Bonfrisco
per  il  delitto  di  cui  agli  art.  318  del  codice  penale   (ma
consequenzialmente  anche  per  il  delitto  di  cui   all'art.   416
del codice penale, per come  e'  strutturata  l'imputazione,  per  la
quale l'attivita' di  promozione  della  delineata  associazione  per
delinquere sarebbe stata posta in essere  dalla  senatrice  Bonfrisco
proprio con  le  condotte  ricondotte  dall'accusa  all'art.  318-321
del codice penale), sia gravemente e palesemente invasiva della sfera
di attribuzioni riservata all'autorita'  giudiziaria  dagli  articoli
101 e 104 della Costituzione. 
    Occorre, a tal  fine,  procedersi  all'esame  della  gia'  citata
relazione della giunta delle elezioni e delle immunita'  parlamentari
(doc. IV ter n. 5-A), che ha proposto, a maggioranza,  di  deliberare
che le dichiarazioni espresse dalla senatrice Anna  Cinzia  Bonfrisco
costituiscono  opinioni  espresse  da  un   membro   del   Parlamento
nell'esercizio delle sue funzioni e ricadono pertanto nell'ipotesi di
cui all'art. 68  primo  comma  della  Costituzione.  Relazione  della
giunta alla quale il Senato ha ritenuto di aderire  con  la  delibera
qui censurata. 
    Si ritiene che tutto il percorso argomentativo che ha condotto la
giunta delle elezioni  e  delle  immunita'  parlamentari,  e  poi  il
Senato, a negare l'autorizzazione a  procedere,  tradisca  un  enorme
«vizio di fondo», esso stesso indicativo di una vistosa lesione delle
attribuzioni dell'autorita' giudiziaria. 
    Come si vedra' tra breve, infatti, la giunta (e quindi il Senato)
muove dal presupposto -  che  questa  autorita'  giudiziaria  ritiene
assolutamente errato - secondo il quale  il  Senato  investito  della
richiesta di  autorizzazione  a  procedere  sarebbe  titolare  di  un
«sindacato  di  non  implausibilita'  dell'accusa».  Sindacato   che,
invece, non puo' che spettare unicamente all'autorita' giudiziaria. 
    La relazione della giunta esordisce, al paragrafo  b.  intitolato
«Diritto», con un richiamo, operato «preliminarmente», alla  sentenza
della Corte costituzionale n. 188 del 2010, ricordando che «la Corte,
nell'ambito della citata sentenza (ultimo periodo del punto  4  della
parte in diritto) riconosce alla giunta (e al Senato) un sindacato di
«non implausibilita'», circoscritto al profilo motivatorio degli atti
giudiziari trasmessi». Prosegue la relazione affermando che «La Corte
costituzionale sancisce questo approccio metodologico in occasione di
un  conflitto  di   attribuzione   riguardante   la   materia   delle
intercettazioni, individuando quindi un limite al potere sindacatorio
delle Camere in ordine agli atti giudiziari, fissato da tale sentenza
entro i confini di non implausibilita' motivatoria degli atti». «Tale
potere - prosegue la giunta - se da un lato impone alla giunta di non
sconfinare  in  ambiti  riservati  alla   cognizione   dell'autorita'
giudiziaria (l'unica alla quale  spetta  l'accertamento  dei  fatti),
dall'altro tuttavia  attribuisce  alla  giunta  il  potere-dovere  di
espletare un sindacato di «non implausibilita'», i cui  effetti  sono
finalizzati ad individuare esclusivamente  le  situazioni  di  palese
infondatezza motivatoria  delle  richieste  e  degli  atti  trasmessi
dall'autorita' giudiziaria. 
    Ora, in realta', la premessa teorica effettuata  dalla  relazione
della  giunta  e  il  richiamo  alla  citata  sentenza  della   Corte
costituzionale, n. 188 del 2010, ultimo periodo  del  punto  4  della
parte  in   diritto,   pur   corretta   in   astratto,   non   appare
particolarmente pertinente (fermo restando che, come si vedra'  nello
sviluppo della trattazione, la giunta risulta avere  attribuito  alla
richiamata   sentenza   della    Corte    costituzionale    contenuti
inesistenti). 
    Infatti, la sentenza della Corte costituzionale n. 188 del  2010,
sulla quale ha fatto leva la giunta per giustificare  il  diniego  di
autorizzazione a procedere, riguardava un conflitto  di  attribuzione
non gia' in materia di autorizzazione a procedere (in particolare, in
questo caso,  per  il  delitto  di  corruzione  nell'esercizio  della
funzione), rispetto  alla  quale,  come  noto,  trovano  applicazione
l'art. 68, comma 1, della Costituzione e le norme  attuative  di  cui
all'art. 3 (e 5) legge n.  140/2003,  bensi'  in  materia  del  tutto
diversa, attinente all'acquisizione di tabulati  telefonici  relativi
sia ad utenze in  uso  ad  un  soggetto  che  risultava  avere  avuto
contatti con un parlamentare,  sia  ad  utenze  in  uso  allo  stesso
parlamentare, rispetto alla quale  trovano  applicazione  l'art.  68,
comma 3, della Costituzione e le norme attuative di cui all'art. 4, e
6 (e 5)  della  citata  legge  n.  140/2003  (l'art.  5  riguarda  il
contenuto dell'ordinanza di cui all'art. 3 comma 4 e della  richiesta
di cui all'art. 4 ed e' quindi norma che si applica  ad  entrambe  le
situazioni). 
    E' evidente  che  la  valutazione  che  compete  alla  camera  di
appartenenza del parlamentare e', nelle  due  ipotesi,  completamente
diversa. 
    Nella  valutazione  riguardante  l'autorizzazione  ad   acquisire
tabulati telefonici o ad utilizzare intercettazioni  telefoniche,  in
particolare  disposte  nei  confronti   di   soggetti   diversi   dal
parlamentare (art. 6 legge 140 del 2003),  infatti  -  come  chiarito
dalla sentenza della Corte costituzionale 188 del 2010  citata  -  la
camera di appartenenza dell'interessato investita della richiesta  di
utilizzazione e' legittimata a  sindacare  la  «non  implausibilita'»
della motivazione dell'autorita'  giudiziaria  richiedente  sotto  il
profilo della «necessita'» dell'atto investigativo, necessita' la cui
valutazione  spetta,   peraltro,   all'autorita'   giudiziaria.   Per
utilizzare  le  parole  della   Corte   costituzionale,   l'autorita'
giudiziaria e' tenuta, sulla base  delle  disposizioni  di  cui  agli
articoli 5 e 6 legge 140 del 2003, ad indicare nella  richiesta  «gli
elementi su cui essa si fonda»,  ovvero  ad  indicare  le  specifiche
emergenze probatorie fino  a  quel  momento  disponibili  e  la  loro
attitudine a far sorgere la necessita'  di  utilizzazione  anche  nei
confronti del parlamentare di quell'atto investigativo; e  la  camera
di appartenenza del  parlamentare  deve  poter  rilevare,  dall'esame
della richiesta (e degli eventuali allegati) che  sussistono  sia  il
requisito, per cosi' dire, «negativo» dell'assenza  di  ogni  intento
persecutorio o strumentale della richiesta,  sia  quello,  per  cosi'
dire, «positivo» della affermata «necessita'» dell'atto, motivata  in
termini di non implausibilita'». 
    Dunque, la valutazione della camera di appartenenza, nel caso  di
richiesta di utilizzazione  di  un  atto  investigativo  «intrusivo»,
necessariamente puo' e deve confrontarsi con le emergenze  probatorie
fino a  quel  momento  disponibili,  come  illustrate  dall'autorita'
giudiziaria richiedente, al fine di operare il  descritto  vaglio  di
non  implausibilita'  della  motivazione  dell'autorita'  giudiziaria
sotto il profilo della «necessita'» dell'atto investigativo. 
    Questa tematica, peraltro, non ha  nulla  a  che  vedere  con  il
diverso  argomento  dell'ambito  del  sindacato   della   camera   di
appartenenza   dell'interessato   investita   della   richiesta    di
autorizzazione a procedere da parte dell'autorita'  giudiziaria,  che
e' quello del quale si sarebbe dovuta occupare la giunta  nell'ambito
della relazione qui in esame. 
    Completamente differente e', infatti, la valutazione che  compete
alla camera di appartenenza del parlamentare che sia investita,  come
nel caso di specie, di una richiesta  dell'autorita'  giudiziaria  di
autorizzazione  a  procedere  per  fatti  che,  secondo   l'autorita'
giudiziaria,  esulano  dall'ambito  di  operativita'   dell'immunita'
prevista dall'art.  68  della  Costituzione.  E,  rispetto  a  questa
diversa valutazione della camera di  appartenenza  del  parlamentare,
pare francamente ben poco pertinente il  terna  del  sindacato  della
camera  di  appartenenza  circa  la  «non  implausibilita'  dell'atto
motivatorio», sviscerato dalla Corte  costituzionale  con  la  citata
sentenza n. 188/2010 in tema di richiesta dell'autorita'  giudiziaria
di utilizzazione di tabulati telefonici coinvolgenti un parlamentare,
che si riferisce, si ripete, allo specifico profilo della «necessita'
dell'atto  investigativo»  nel  complessivo  quadro  delle  emergenze
probatorie acquisite. 
    La camera di  appartenenza  dell'interessato,  investita  di  una
richiesta di autorizzazione a procedere, deve «limitarsi» a  valutare
se il membro del Parlamento sia chiamato a rispondere «delle opinioni
espresse e dei voti dati nell'esercizio delle sue funzioni»  (tenendo
conto delle specificazioni fornite  dall'art.  3  legge  n.  140/2003
circa i casi in cui trova applicazione  l'art.  68,  comma  1,  della
Costituzione)  e,  in  caso   affermativo,   puo'   e   deve   negare
l'autorizzazione a procedere, stante  l'operativita'  dell'immunita',
accordando, per contro, l'autorizzazione laddove il parlamentare  sia
chiamato  a  rispondere  di  condotte  che  non  si  presentano  come
funzionalmente collegate alla sua attivita' di parlamentare. 
    Si tratta, in sostanza, di una valutazione che ha ad  oggetto  il
contenuto  della  contestazione  sollevata  al  parlamentare   e   la
sussistenza o insussistenza del  nesso  funzionale  tra  la  condotta
contestata e l'attivita' parlamentare del soggetto. 
    In questo ben preciso ambito  -  beninteso -  non  si  vuole  qui
escludere che la camera  di  appartenenza  dell'interessato  possa  e
debba  confrontarsi  con  la   motivazione   addotta   dall'autorita'
giudiziaria a sostegno della richiesta di autorizzazione a  procedere
(negando  l'autorizzazione  se  la  motivazione  della  richiesta  di
autorizzazione  a  procedere  e'  macroscopicamente   insensata   nel
valutare che la condotta contestata al parlamentare  non  costituisca
espressione della sua funzione). Ma non e' questo, evidentemente,  il
senso  dell'affermazione  del  principio   sul   sindacato   di   non
implausibilita'   degli   atti   motivatori   dettato   dalla   Corte
costituzionale con la citata sentenza n. 188/2010, che si  riferisce,
lo  si  ripete   ancora   una   volta,   alla   motivazione   addotta
dall'autorita' giudiziaria  a  sostegno  della  necessita'  dell'atto
investigativo  «intrusivo»  nel  quadro  complessivo  degli  elementi
probatori raccolti (nel caso di specie la Corte costituzionale  aveva
ritenuto carente la  motivazione  dell'autorita'  giudiziaria  -  sia
pubblico ministero sia giudice per  le  indagini  preliminari  -  che
aveva sollevato conflitto e aveva quindi ritenuto che  la  camera  di
appartenenza del  parlamentare  avesse  correttamente  esercitato  il
potere di negare l'autorizzazione  all'acquisizione/utilizzazione  di
tabulati telefonici, sindacando, come  era  suo  potere,  la  carenza
motivatoria sul profilo della «necessita'» dell'atto). 
    La prosecuzione della lettura della relazione della giunta di cui
al doc. IV ter n. 5-A permette di comprendere per quale  ragione  sia
stata utilizzata, a  sostegno  dell'iter  argomentativo,  proprio  la
sentenza della Corte  costituzionale  n.  188  del  2010  concernente
materia non pertinente (un conflitto di attribuzione  in  materia  di
richiesta di  autorizzazione  all'espletamento/utilizzo  di  un  atto
investigativo «intrusivo», in quel caso tabulati telefonici). 
    Ebbene, la giunta, anziche' esaminare e confrontarsi con  l'unico
«atto motivatorio» dell'autorita' giudiziaria che le  sarebbe  dovuto
interessare -  ossia  la  richiesta  di  autorizzazione  a  procedere
avanzata da questo giudicante con ordinanza del 26 aprile 2018 (sopra
riportata  per  intero)  -  si   e'   concentrata   su   un   diverso
provvedimento, assolutamente non rilevante rispetto alla  valutazione
circa il rilascio  o  il  diniego  dell'autorizzazione  a  procedere:
l'ordinanza adottata in fase di indagine in data 26 maggio  2017  dal
G.I.P. presso questo Tribunale ai sensi dell'art. 6 comma 2 legge  n.
140/2003,  con  la  quale  era   stata   richiesta   l'autorizzazione
all'utilizzazione delle  intercettazioni  telefoniche  su  utenze  di
Gaetano Zoccatelli che avevano visto partecipe,  quale  interlocutore
di Zoccatelli, la senatrice Bonfrisco.  Richiesta  di  autorizzazione
negata dal Senato con la delibera del 13 settembre  2017  di  cui  e'
agli atti il resoconto stenografico. 
    Ed invero, la giunta per  le  elezioni,  nella  citata  relazione
(paragrafo 2, diritto), dopo aver  operato  la  citata  premessa  sul
«sindacato   di   non   implausibilita'   degli   atti    motivatori»
(riconosciuto in realta' alla camera di appartenenza del parlamentare
dalla  Corte  costituzionale  in  materia  di   «atti   investigativi
intrusivi»), ha fatto espresso riferimento al «contenuto  degli  atti
trasmessi  in  senato  la  scorsa  legislatura,  in  occasione  della
richiesta di autorizzazione all'utilizzo  delle  intercettazioni  nei
confronti della senatrice Bonfrisco» e, come  si  vedra'  meglio  nel
prosieguo, ha  dato  una  propria  «lettura»  -  peraltro  del  tutto
parziale - delle risultanze investigative, avvalendosi a tal fine del
contenuto dell'ordinanza del G.I.P. del 26 maggio 2017  di  richiesta
di autorizzazione all'utilizzo  delle  intercettazioni  (tra  l'altro
curiosamente  utilizzando  proprio   le   conversazioni   telefoniche
intercettate   delle   quali   Io   stesso   Senato   aveva    negato
l'utilizzazione al  G.I.P.  nell'adunanza  del  13.9.2017:  v.  infra
conflitto sub B), per giungere ad escludere  il  dolo  del  reato  di
corruzione in capo alla senatrice  Bonfrisco,  cosi',  evidentemente,
sindacando in maniera penetrante il merito dell'accusa, sostituendosi
all'autorita' giudiziaria. 
    Piu' nel dettaglio, a proposito dell'accusa secondo la  quale  la
senatrice  Bonfrisco  avrebbe  ricevuto  da   Zoccatelli,   direttore
generale del CEV (Consorzio Energia  Veneto)  nonche'  amministratore
delegato di  Global  Power  S.p.a.  e  E-Global  Service  S.p.a.,  il
pagamento di un soggiorno in Costa Smeralda,  la  giunta  afferma  di
avere  «l'onere   di   espletare   il   citato   sindacato   di   non
implausibilita' degli atti sotto il profilo motivatorio» e, in questa
prospettiva, afferma che «appare palese ed evidente  che  l'autorita'
giudiziaria (da intendersi come GIP nell'ordinanza  di  richiesta  di
utilizzo delle intercettazioni del  26  maggio  2017)  prospetta  una
motivazione  totalmente  implausibile  rispetto   a   tale   «dazione
corruttiva», atteso che sempre dal contenuto degli atti trasmessi  al
Senato  la  scorsa  legislatura,  in  occasione  della  richiesta  di
autorizzazione all'utilizzo delle intercettazioni nei confronti della
senatrice Bonfrisco, non si fornisce  alcuna  spiegazione  plausibile
circa la circostanza (emersa per acta dalle intercettazioni trasmesse
a suo tempo in Senato e in particolare nella intercettazione  del  22
agosto  2015)  dell'insistenza  della  senatrice  per  effettuare  il
pagamento della  vacanza  effettuata  nella  struttura  turistica  di
proprieta'  del  signor  Zoccatelli.  Tale  pagamento   fu   impedito
(prosegue la giunta) nonostante le insistenze della senatrice,  dallo
stesso Zoccatelli (vedi sunto della  citata  conversazione  riportata
dal  Giudice  per  le   indagini   preliminari   nella   domanda   di
autorizzazione, rinvenibile a pagina 15 del Doc. IV, n. 15 della XVII
legislatura:  «All'atto  di  effettuare  il  checkout,  la  senatrice
Bonfrisco «realizza» che  il  corrispettivo  e'  gia'  stato  pagato,
chiama  allora  l'amico  Zoccatelli   chiedendo   almeno   di   poter
contribuire alla spesa. L'indagato tronca  il  discorso  rispondendo:
«Il contributo l'hai gia' dato con la tua presenza»). 
    La  giunta  prosegue  -  con  argomentazioni  teoriche  che   ben
potrebbero essere quelle utilizzate da un giudice nell'ambito di  una
sentenza di assoluzione  -  sostenendo  l'inesistenza,  nel  caso  di
specie, del reato di corruzione,  in  particolare  sotto  il  profilo
dell'elemento soggettivo: «La corruzione, come qualsivoglia  delitto,
presuppone  l'elemento   doloso   e   volontaristico,   non   potendo
sicuramente  configurarsi   una   corruzione   contra   volutatem   e
conseguentemente appare del  tutto  implausibile,  a  fronte  di  una
verifica sugli atti e sulle motivazioni degli  stessi,  un'accusa  di
corruzione   incentrata   su   un    beneficio    conferito    contra
voluntatem...omissis». 
    Si badi bene che, come agevole notare, nell'evolvere del percorso
argomentativo della giunta,quello che veniva poco prima definito, con
richiamo alla citata sentenza della Corte costituzionale n. 188/2010,
un «sindacato di  non  implausibilita'  degli  atti  motivatori»,  si
trasforma e trasmoda (al di la' della retorica  riproposizione  della
locuzione «verifica sugli atti e sulle motivazioni degli stessi»)  in
un sindacato «di non implausibilita' dell'accusa», che non rientra di
certo nell'ambito delle attribuzioni della camera di appartenenza del
parlamentare investita della richiesta di autorizzazione a procedere,
un sindacato al  quale  non  fa,  ovviamente,  alcun  riferimento  la
sentenza della Corte costituzionale 188/2010 citata  dalla  giunta  a
sostegno delle proprie argomentazioni. 
    Ora, non vi e' chi non veda come la giunta (e poi il  Senato  che
ha ratificato la proposta della giunta) -  anziche'  occuparsi  della
valutazione di sua competenza, riguardante (stante  la  richiesta  di
autorizzazione a procedere) l'esistenza o  inesistenza  di  un  nesso
funzionale  tra  le  condotte  contestate  alla  senatrice   Bonfrico
nell'imputazione e la sua funzione di parlamentare  (valutazione  che
avrebbe  dovuto  inevitabilmente  portare  alla  conclusione,  invero
piuttosto ovvia, dell'inoperativita' dell'immunita' ex art. 68  della
Costituzione) - si sia spinta ad esaminare le risultanze  degli  atti
di  indagine,  ritenendo,  sulla  base  della   propria   «personale»
valutazione  delle  risultanze  investigative   (invero   del   tutto
parziale, ma poco importa), l'infondatezza dell'impianto  accusatorio
(in  particolare,  per  la  parte  sin  qui  riportata,  in   ragione
dell'assenza  di  una  «voluntas   accipiendi»   del   corrotto:   si
tratterebbe di una sentenza di assoluzione con la formula perche'  il
fatto non costituisce reato!). 
    Per questo aspetto la giunta  conclude  la  sua  «sentenza»  come
segue: «In mancanza di dado (rectius in mancanza palese  di  voluntas
accipiendi)  resta  in  campo  solo  l'attivita'   emendativa   della
senatrice, in quanto tale insindacabile ai sensi dell'art.  68  della
Costituzione». 
    Ora, la violazione della  sfera  di  attribuzioni  dell'autorita'
giudiziaria appare davvero macroscopica. 
    Non sono esaurite, peraltro, le valutazioni riguardanti il merito
dell'accusa, sulla cui base la  giunta  ha  proposto  il  diniego  di
autorizzazione a procedere, ottenendo l'avallo del Senato. 
    La giunta, infatti, analizza  anche  le  ulteriori  contestazioni
contenute nel capo di imputazione e prosegue: «D'altra parte,  sempre
con riferimento all'implausibilita' dell'imputazione (si noti che, di
nuovo, non e' piu' questione di «implausibilita' della motivazione di
un atto», ma diviene questione di «implausibilita' dell'imputazione»,
cioe', in altri termini, di  ritenuta  infondatezza  dell'accusa)  si
osserva ulteriormente che l'attivita' emendativa  (profilo  che,  con
riguardo al caso in esame, viene approfondito nella terza parte della
presente relazione) del singolo  senatore  non  ha  alcuna  incidenza
diretta e immediata su un  testo  legislativo,  occorrendo  che  tale
proposta emendativa sia approvata dall'assemblea del Senato, organo a
valenza collegiale e non certamente individuale». 
    La giunta prosegue, finalmente venendo a toccare, anzi  sfiorare,
per la prima  e  unica  volta,  la  motivazione  della  richiesta  di
autorizzazione a  procedere:  «In  ogni  caso,  a  prescindere  dalla
configurabilita' o meno in astratto della corruzione per  l'esercizio
di attivita' legislative (questione attualmente  pendente  di  fronte
alla  Corte  costituzionale  a  seguito  del  citato   conflitto   di
attribuzioni sollevato dal Senato [si torna a  dire  che  per  quanto
consta tale conflitto e' inesistente]) e quindi  impregiudicata  ogni
valutazione su  tale  profilo,  si  deve  comunque  ritenere  che  la
sentenza della Cassazione n. 36769/17,  citata  dal  Giudice  per  le
indagini preliminari (i cui  principi  sono  stati  confermati  anche
dalla  sentenza  della  Cassazione   penale   n.   40347/2018),   sia
applicabile in tutti quei casi nei quali, ad un  esame  condotto  per
acta dalla Camera competente, risulti  non  palesemente  implausibile
un'accusa  di  corruzione   e   conseguentemente   si   sancisce   la
sindacabilita'  dell'atto  parlamentare   da   parte   dell'autorita'
giudiziaria  qualora  lo  stesso  si  inquadri   in   un'ipotesi   di
corruzione. Diversamente, quando da un esame condotto per acta  dalla
Camera competente emergano  elementi  di  palese  implausibilita'  in
ordine alla configurabilita' di un'ipotesi accusatoria di corruzione,
il sindacato dell'autorita' giudiziaria non  si  giustifica  ed  anzi
appare in contrasto con l'art. 68, primo comma, della Costituzione». 
    Questo passaggio merita particolare attenzione. 
    Va rilevato che la giunta  si  confronta  solo  apparentemente  e
frettolosamente, con la motivazione posta a sostegno della  richiesta
di autorizzazione a procedere, l'unico  «atto  motivatorio»  che,  si
ribadisce, la giunta e il Senato avrebbero dovuto esaminare,  che  si
imperniava proprio sui principi affermati dalla Corte  di  cassazione
n. 36769/2017 . 
    La relazione, in effetti, non spiega assolutamente quale  sia  il
principio dettato dalla  sentenza  della  Cassazione  n.  36769/2017,
ribadito dalla sentenza 40347/2018. 
    E, non a caso, il relatore Durnwalder - che si e' preoccupato  di
riferire  all'assemblea  che  «la  Corte  costituzionale  impone   un
giudizio sulla plausibilita' dell'accusa», richiamando la sentenza n.
188/2010 (che, in realta', come gia' detto, non  ammette  affatto,  e
men che meno «impone», un giudizio della camera sulla  «plausibilita'
dell'accusa», ma semmai sulla plausibilita' degli atti motivatori  di
richiesta  di  utilizzazione/acquisizione   di   atti   investigativi
«intrusivi») - ha taciuto completamente in ordine  alle  recentissime
autorevoli pronunce  della  Cassazione,  riguardanti  esattamente  la
fattispecie  posta  all'attenzione  del  Senato,  per  le  quali,  in
presenza della contestazione del reato di  corruzione  nell'esercizio
della funzione di cui  all'art.  318  del codice  penale,  non  viene
minimamente in gioco l'art. 68, comma 1, del codice penale e  non  si
puo'   assolutamente   ipotizzare   l'applicabilita'   dell'immunita'
parlamentare (si richiamano le motivazioni, sopra trascritte, poste a
sostegno della richiesta di autorizzazione a  procedere,  su  cui  si
tornera' anche oltre). 
    Come si e' visto, la relazione della giunta fa solo un vago cenno
ai principi dettati dalla  «sentenza  della  cassazione  n.  36769/17
richiamata  dal  giudice  per  le  indagini  preliminari»   -   senza
enunciarne il  contenuto  -  per  sostenere,  in  maniera  del  tutto
fantasiosa ed in patente violazione del limiti delle attribuzioni del
Senato, che detti principi non troverebbero applicazione  laddove  la
camera di appartenenza del parlamentare, accusato del  reato  di  cui
all'art. 318 del codice penale, valutasse, «ad un esame condotto  per
acta» («acta» che non sono stati affatto esaminati dalla  camera  nel
caso di specie), implausibile l'accusa. 
    L'ardita tesi, lo si ripete ancora una volta, non trova il minimo
supporto (checche' ne dica il  relatore  Durnwalder)  nella  sentenza
della Corte costituzionale 188 del 2010. 
    Solo all'autorita' giudiziaria spetta il potere  di  valutare  la
fondatezza dell'accusa: un potere che, peraltro, la stessa  autorita'
giudiziaria  puo'  esercitare  solo  all'esito  del   processo   (una
delibazione di «non implausibilita' dell'accusa» e', a ben vedere, in
un certo senso, simile a quella  demandata  al  giudice  dell'udienza
preliminare investito della richiesta di rinvio a giudizio). 
    A quanto pare, invece, il Senato ha ritenuto di  poter  sindacare
in  maniera  penetrante  il  merito   dell'accusa,   valutandone   la
fondatezza, anche prima e a prescindere da un processo, semplicemente
esaminando e valutando secondo la propria sensibilita', ed in maniera
del tutto parziale, le  risultanze  degli  atti  di  indagine  (nella
fattispecie  valutando  e  valorizzando  esclusivamente  una  singola
conversazione telefonica intercettata - della  quale  peraltro  aveva
vietato con precedente  delibera  l'utilizzazione  al  GIP  -  in  un
contesto investigativo ben piu' ampio, viste le approfondite indagini
svolte anche dopo la cessazione delle intercettazioni, con escussione
di numerose  persone  informate,  acquisizioni  documentali  copiose;
ignorando   le   altre   conversazioni   telefoniche    oggetto    di
intercettazione, di cui alcune intercorse tra Zoccatelli  e  soggetti
diversi  dalla  senatrice  Bonfrisco,  potenzialmente  rilevanti  per
lumeggiare il ruolo della parlamentare; ed occupandosi, tra  l'altro,
di una soltanto  delle  «utilita'»  che,  secondo  l'imputazione,  la
senatrice avrebbe conseguito in forza dell'accordo correttivo,  ossia
la vacanza in Sardegna per se' e il proprio  entourage,  tralasciando
completamente qualsivoglia considerazione in  ordine  alle  ulteriori
utilita' conseguite secondo l'imputazione  in  cambio  dell'esercizio
della funzione di parlamentare in  senso  favorevole  al  corruttore,
oggetto dei punti 2 e 3: l'assunzione di Roberta  Ferrara  presso  la
E-Global Service Spa; il bonifico di 4000 euro  a  favore  di  Davide
Bendinelli per finanziarne la campagna elettorale). 
4. Considerazioni conclusive 
    In    conclusione,    la     valutazione     delle     risultanze
investigative/istruttorie, ai fini della valutazione della fondatezza
o  infondatezza  dell'accusa  (in  particolare   sotto   il   profilo
dell'elemento soggettivo doloso proprio della  corruzione,  ma  anche
sotto gli ulteriori  profili  valutati  dalla  giunta:  v.  anche  il
paragrafo   c   intitolato   «Ulteriori   profili   motivatori    (ad
abundantiam)», sui quali non vale la pena di soffermarsi),  spetta  -
e' sin troppo ovvio - soltanto all'autorita' giudiziaria (e  soltanto
all'esito del processo penale). 
    Non  esiste  un  potere  della   camera   di   appartenenza   del
parlamentare,  investita  della   richiesta   di   autorizzazione   a
procedere,   di   sindacare   la   «non   manifesta   implausibilita'
dell'accusa».  Ed   e'   completamente   destituita   di   fondamento
l'affermazione per  la  quale  i  principi  dettati  dalla  Corte  di
cassazione con le due citate sentenze del  36769/2017  e  40347/2018,
per  le  quali  non  puo'  configurarsi  l'immunita'   in   caso   di
contestazione del reato  di  cui  all'art.  318  del  codice  penale,
troverebbero applicazione soltanto laddove la camera di  appartenenza
del parlamentare valutasse positivamente, ad un «esame per acta»,  la
«plausibilita' dell'accusa». 
    Ecco, allora, che si deve ritornare  ai  principi,  assolutamente
condivisibili e certamente validi nel caso in esame, affermati  dalla
Corte di cassazione con la piu' volte citata  sentenza  n.  36769/17,
ribaditi,  come  ricordato  dalla  stessa  giunta,  con  sentenza  n.
40347/18. 
    «L'immunita'  prevista  dall'art.  68  della   Costituzione   non
preclude la perseguibilita' del delitto di corruzione per l'esercizio
della funzione, di cui all'art. 318 del codice penale,  configurabile
nei  confronti  di  un  membro  del  Parlamento  in   relazione   sia
all'attivita' svolta nella predetta veste,  sia  a  quella  espletata
quale  rappresentante  italiano   nell'assemblea   parlamentare   del
Consiglio d'Europa» 
    Infatti, come chiarito con argomentazioni  del  tutto  logiche  e
incontestabili dalla Suprema Corte di cassazione, la  fattispecie  di
cui all'art. 318  del  codice  penale  non  implica  alcun  sindacato
sull'esercizio della funzione (a differenza  di  quanto  avviene  nel
delitto di cui all'art. 319 del codice penale in relazione all'«atto»
del pubblico ufficiale che si assume contrario ai doveri  d'ufficio),
limitandosi a postulare che la dazione o promessa di dazione indebita
rivolta al pubblico ufficiale abbia ad oggetto «l'esercizio delle sue
funzioni o dei suoi poteri», senza null'altro aggiungere,  risultando
indifferente, quindi, ai fini delle valutazioni del  giudice  penale,
l'effettivo, successivo  esercizio  di  tali  funzioni  e  risultando
indifferente  il  contenuto  intrinseco  dell'atto  o  dell'attivita'
eventualmente compiuti in  forza  dell'accordo  illecito,  posto  che
assumono significato solo la ricezione della promessa o della dazione
finalizzate al compimento dell'atto o dell'attivita' o  a  remunerare
l'attivita' gia' compiuta. 
    Questa tematica, che e' di puro diritto e  che  e'  evidentemente
decisiva (e che, di fatto, e' l'unica affrontata nella  richiesta  di
autorizzazione    a    procedere),    e'    stata    totalmente    (e
significativamente) ignorata dal relatore Durnwalder nel corso  della
discussione  del  Senato  che  e'  culminata  con   il   diniego   di
autorizzazione a procedere. 
    Ebbene, se si fosse confrontato  con  le  argomentazioni  di  cui
sopra, autorevolmente sostenute dalla Corte di cassazione, il Senato,
verosimilmente, non avrebbe potuto che  concludere  che  la  condotta
penalmente  rilevante  attribuita  nel  capo  di   imputazione   alla
senatrice Bonfrisco - che consiste, quanto al delitto di cui all'art.
318 del codice  penale,  nell'aver  ricevuto  da  Gaetano  Zoccatelli
regalie/remunerazioni/utilita' per l'esercizio della sua funzione  di
parlamentare (condotta inopinatamente etichettata nella delibera  qui
censurata con il termine di «dichiarazioni espresse» dalla  senatrice
Bonfrisco, che costituirebbero «opinioni espresse da  un  membro  del
parlamento nell'esercizio delle sue funzioni») - esula  completamente
dall'ambito di applicazione dell'art. 68 comma 1  della  Costituzione
(e dell'art. 3 comma  1  della  legge  n.  140  del  2003).  Presidio
costituzionale  che  non  puo'  certo  essere  strumentalizzato   per
impedire all'autorita' giudiziaria di sindacare  condotte  corruttive
dei  parlamentari  sussumibili  nel  disposto  di  cui  all'art.  318
del codice penale. 
    Mai e poi  mai  si  potrebbe  ragionevolmente  sostenere  che  la
ricezione di dazioni corruttive (finalizzate al  compimento  di  atti
del parlamentare o a remunerare atti  gia'  compiuti)  si  ponga  «in
qualificato nesso con l'esercizio della funzione  parlamentare»  (per
utilizzare una terminologia adottata dalla  Corte  costituzionale  in
varie  pronunce  sul   tema)   e,   come   tale,   sia   coperta   da
insindacabilita'. Mai e poi mai si potrebbe ragionevolmente affermare
che la ricezione di una  «tangente»  da  parte  di  un  parlamentare,
correlata  all'esercizio  delle  sue  funzioni  di  parlamentare,  e'
«identificabile  come   espressione   dell'esercizio   di   attivita'
parlamentari» e, come tale, coperta da insindacabilita'. 
    E non esiste, si ripete, un potere della Camera  di  appartenenza
del   parlamentare   imputato,   investita   della    richiesta    di
autorizzazione a procedere, di sindacare la  fondatezza  dell'accusa,
la «non implausibilita' dell'accusa». 
    Deve dunque concludersi  che  il  Senato  della  Repubblica,  nel
votare per la insindacabilita' delle «dichiarazioni  espresse»  dalla
senatrice Bonfrisco - che «dichiarazioni» non  sono  -,  ha  leso  le
attribuzioni dell'autorita' giudiziaria,  esercitando  il  potere  di
qualificare come «insindacabili» condotte contestate nell'imputazione
al di fuori delle ipotesi  previste  dall'art.  68,  comma  1,  della
Costituzione.