TRIBUNALE CIVILE E PENALE VERONA Ufficio del giudice per le indagini preliminari Ricorso alla Corte costituzionale per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato - art. 134 della Costituzione e art. 37 legge n. 87/1953. Il giudice per l'udienza preliminare dott.ssa Livia Magri, nel procedimento n. 3638/18 RG G.I.P. - n. 11985/17 RGNR pendente nei confronti di Bonfrisco Anna Cinzia, nata a Riva del Garda il 12 ottobre 1962, residente in Peschiera del Garda, via Umbria n. 7, con domicilio dichiarato ivi, difesa dall'avv. Paolo Maruzzo del Foro di Verona e dall'avv. Emanuele Fragasso del Foro di Padova imputata «Del reato p. e p. dagli articoli 416 primo comma, 318, 321 del codice penale perche' Bonfrisco Cinzia Anna, in qualita' di senatrice della Repubblica, per l'esercizio delle sue funzioni e dei suoi poteri, indebitamente accettava la promessa, ricevendo per se' e per altri denaro e altre utilita' da Zoccatelli Gaetano, direttore generale del CEV (Consorzio energia veneto, raggruppante oltre mille comuni italiani) nonche' amministratore delegato di Global Power S.p.a. ed E-Global Service S.p.a., con cio' la senatrice promuovendo e rafforzando il sodalizio criminoso costituito dal CEV e quindi fornendo appoggio politico allo stesso, al cui apice, vi era Gaetano Zoccatelli (gia' condannato in forza di sentenza di applicazione pena GIP Verona n. 1736/16, unitamente a Riboli Luca ad alle societa' Global Power S.p.a. ed E-Global Service, per i reati di cui agli articoli 416 del codice penale, 24-ter decreto legislativo n. 231/2001, Zoccatelli Gaetano in qualita' di capo dell'associazione, 353-353 bis, 476 - 479 del codice penale per fatti coinvolgenti il CEV e le societa' citate sub RGNR 15386/14; fatti per cui sono ad oggi imputati altre cinque persone Monici Francesco, Righzetti Alessio, Pertoldi Flavio, Zerbaro Luciano e Libanora Marco, fatto di cui al reato sub art. 416, primo comma del codice penale per cui Gaetano Zoccatelli non e' imputato nel presente procedimento per essere stato gia' giudicato come sopra esposto). In particolare la senatrice Bonfrisco Cinzia Anna indebitamente riceveva: 1. il pagamento dell'intero soggiorno da parte di Zoccatelli Gaetano dal 10 al 23 agosto 2015, in Costa Smeralda, presso il Villaggio Tanca Manna, per lei oltre tre persone, sua madre Carrafiello Angela, suo nipote Bonfrisco Alessandro ed una sua amica Ballini Donatella, soggiorno gia' curato e prenotato da Zoccatelli Gaetano nel mese di luglio; 2. l'assunzione, dietro sua richiesta, di Roberta Ferrara presso la E-Global Service S.p.a. il cui legale rappresentante era Zocatelli Gaetano; 3. la corresponsione dietro sua richiesta, per conto di Bendinelli Davide, di un bonifico pari ad euro 4.000, disposto in data 26 maggio 2015 da Gaetano Zocatelli, per finanziare la campagna elettorale del predetto Bendinelli alle elezioni amministrative per il consiglio regionale del Veneto (votazioni svoltesi il 31 maggio 2015). Il tutto a fronte della promozione da parte della senatrice della Repubblica Bonfrisco Cinzia Anna del sodalizio criminale costituito dal CEV consistita nel costante e continuo appoggio politico fornito in favore di Gaetano Zoccatelli rappresentato in particolare: 1. dal concreto interessamento circa l'iter legislativo che consentisse al CEV di rientrare tra i 35 soggetti aggregatori a livello nazionale (cioe' le 35 grandi stazioni appaltanti) presentando un emendamento a suo firma a tal fine, nonche' parlando personalmente con la relatrice per il disegno di legge in questione onorevole Raffaella Mariani al fine di garantire le modifiche favorevoli al CEV e, conseguentemente, alle societa' Global Power S.p.a. ed E-Global Service S.p.a. sempre illecitamente aggiudicatarie in via automatica delle gare bandite dal CEV (come da sentenza di applicazione pena GIP Verona n. 1736/16 sopra citata); 2. dall'ottenimento del passaggio dell'emendamento da lei presentato portando conseguentemente il CEV ad essere ricompreso tra i 35 soggetti aggregatori. Con tale condotta la senatrice promuoveva il sodalizio criminoso fornendo un contributo decisivo allo sviluppo del CEV ed all'espansione dello stesso; sodalizio criminoso rappresentato dal CEV e dalle societa' Global Power S.p.a. ed E-Global Service S.p.a. al cui apice vi era per tutte Gaetano Zoccatelli. Sodalizio criminoso costituito da Zoccatelli Gaetano al fine di garantire che tutte le gare bandite dal CEV (Consorzio energia Veneto), di cui era direttore generale lui stesso, venissero illecitamente aggiudicate in via automatica alle societa' Global Power S.p.a. ed E-Global Service S.p.a. di cui sempre lui stesso era legale rappresentante (come da sentenza di applicazione pena e relativa imputazione, cui si rimanda integralmente, gia' allegata in atti). Con il suo supporto politico, come sopra descritto, la senatrice della Repubblica Bonfrisco Cinzia Anna promuoveva, rafforzandolo, il consorzio CEV ed il suo operato essendo stato inserito il CEV, grazie al decisivo contributo da lei apportato in sede parlamentare, tra le trentacinque grandi stazioni appaltanti nazionali. In Verona, da circa il novembre 2014 all'ottobre 2015»; Propone Ricorso alla Corte costituzionale per conflitto di attribuzione tra poteri dello stato nei confronti del Senato della Repubblica, con riferimento alla deliberazione del Senato della Repubblica del 9 gennaio 2019 che, in conformita' alla proposta adottata a maggioranza dalla giunta per le elezioni e le immunita' parlamentari, ha negato a questa Autorita' giudiziaria - investita di richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Gaetano Zoccatelli e della senatrice Anna Cinzia Bonfrisco nel procedimento penale n. 11985/15 RGNR - n. 3638/18 RG GIP - L'autorizzazione a procedere nei confronti della senatrice Anna Cinzia Bonfrisco in ordine al reato a lei ascritto di cui all'art. 318 del codice penale (e, di riflesso, per come strutturata l'imputazione sopra trascritta, in ordine al reato di cui all'art. 416 del codice penale.). 1. Ricostruzione della vicenda processuale. Il pubblico ministero presso il Tribunale di Verona, in data 21 luglio 2017, ha richiesto il rinvio a giudizio di Anna Cinzia Bonfrisco (senatrice della Repubblica all'epoca dei fatti, ma anche ad oggi) e di Gaetano Zoccatelli - nel procedimento n. 11985/15 RGNR; 4994/16 RG GIP - in ordine all'imputazione sopra riportata (come precisata/modificata all'udienza preliminare del 28 febbraio 2018); L'imputata Anna Cinzia Bonfrisco, con dichiarazione del 5 gennaio 2018 dalla stessa sottoscritta (allegata sub 1 alla memoria difensiva depositata il giorno 8 gennaio 2018), ha eccepito l'applicabilita' dell'art. 68, comma 1, della Costituzione in relazione «ai fatti posti ad oggetto delle imputazioni enunciate dal pubblico ministero con l'azione penale esercitata il 21 luglio 2017». All'udienza preliminare del 25 gennaio 2018, dichiarata l'assenza degli imputati, il pubblico ministero ha operato alcune precisazioni rispetto all'originaria imputazione e ha chiesto un differimento per ulteriormente integrare l'imputazione; alla successiva udienza del 28 febbraio 2018 il pubblico ministero ha modificato l'imputazione, nei termini riportati in esordio del presente ricorso e, in accoglimento dell'istanza della difesa Bonfrisco (che ha richiesto un rinvio di cortesia in quanto l'imputata era candidata al Senato nel collegio di Pesaro e le elezioni erano imminenti), il processo e' stato differito a prescrizione sospesa al 26 aprile 2018; All'udienza preliminare del 26 aprile 2018 le parti hanno discusso la questione sollevata dalla difesa Bonfrisco relativa all'eccezione di applicabilita' dell'art. 68 comma 1 della Costituzione; in particolare la difesa Bonfrisco ha insistito per l'accoglimento delle conclusioni formulate nella memoria depositata in data 8 gennaio 2018, instando quindi in via principale per l'emissione di sentenza ex art. 129 del codice di procedura penale e in via subordinata per la rimessione della questione al Senato della Repubblica, mentre il P.M., ritenendo infondata la questione, ha chiesto la trasmissione degli atti al Senato; Questo G.U.P., nella medesima udienza del 26 aprile 2018, ha, innanzi tutto, disposto, a fronte del rilievo della suddetta eccezione di insindacabilita', l'immediata separazione del procedimento a carico dell'imputata Bonfrisco, ex art. 3, comma 2, della legge 20 giugno 2003, n. 140, rispetto alla posizione del coimputato Zoccatelli (cosicche' il procedimento Bonfrisco ha assunto il n. 3638/18 RG GIP riportato in epigrafe); inoltre, sulla base dell'art. 3, commi 3 e 4, della legge 20 giugno 2003 n. 140 (secondo cui il giudice, laddove ritenga di accogliere l'eccezione di insindacabilita', pronuncia sentenza di proscioglimento ex art. 129 del codice di procedura penale, mentre, laddove ritenga di non accogliere l'eccezione, «provvede senza ritardo con ordinanza non impugnabile, trasmettendo direttamente copia degli atti alla Camera alla quale il membro del Parlamento appartiene o apparteneva al momento del fatto»), ha emesso ordinanza non impugnabile ex art. 3, comma 4, legge 140 del 2003, trasmettendo copia degli atti al Senato della Repubblica, ritenendo assolutamente infondata l'eccezione di insindacabilita', per le motivazioni che qui si riportano: «ritenuto che, nel caso di specie, l'eccezione di insindacabilita' risulti infondata e non meritevole di accoglimento; ritenuto, al riguardo, che debba senza dubbio essere condiviso l'autorevole e argomentato orientamento espresso dal S. C. nella recente sentenza n. 36769, Sez. 6, del 6 giugno 2017, massimata come segue: «L'immunita' prevista dall'art. 68 della Costituzione non preclude la perseguibilita' del delitto di corruzione per l'esercizio della funzione, di cui all'art. 318 del codice penale, configurabile nei confronti di un membro del Parlamento in relazione sia all'attivita' svolta nella predetta veste, sia a quella espletata quale rappresentante italiano nell'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa» (sentenza con la quale il S. C. ha annullato una sentenza di non luogo a procedere emessa dal giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Milano che, in presenza di una contestazione relativa al reato di cui all'art. 318 del codice penale, aveva ritenuto operante l'immunita' parlamentare invocata); rilevato, infatti, che, come sottolineato dallo stesso S. C. nella richiamata sentenza, la fattispecie di cui all'art. 318 del codice penale non implica alcun sindacato sull'esercizio della funzione (a differenza di quanto avviene nel delitto di cui all'art. 319 del codice penale in relazione all'«atto» del pubblico ufficiale che si assume contrario ai doveri d'ufficio), limitandosi a postulare che la dazione o promessa di dazione indebita rivolta al pubblico ufficiale abbia ad oggetto «l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri», senza null'altro aggiungere (risultando indifferente, quindi, ai fini delle valutazioni del giudice penale, l'effettivo, successivo esercizio di tali funzioni e risultando indifferente il contenuto intrinseco dell'atto o dell'attivita' eventualmente compiuti in forza dell'accordo illecito, posto che assumono significato solo la ricezione della promessa o della dazione finalizzate al compimento dell'atto o dell'attivita' o a remunerare l'attivita' gia' compiuta); ritenuto, peraltro, che l'attivita' svolta dal membro del Parlamento, in particolare l'attivita' di produzione legislativa (quale quella che avrebbe posto in essere l'imputata Bonfrisco dietro remunerazione di Zoccatelli secondo il capo di imputazione) sia sicuramente sussumibile (e su questo non vi e' discussione neppure da parte della difesa) nell'ambito dell'«esercizio delle pubbliche funzioni» (non foss'altro che per il fatto che l'art. 357 del codice penale contempla anche la funzione legislativa), in linea, del resto, con quanto valutato dalla Corte costituzionale sin dalla sentenza n. 379 del 1996, in cui si era ipotizzata la configurabilita' del reato di corruzione in relazione all'attivita' dei membri del Parlamento italiano; ritenuto, pertanto, che si debba ritenere, in linea con il richiamato insegnamento del S.C., che sia inapplicabile la garanzia dell'immunita' nell'ipotesi in cui si proceda nei confronti di un parlamentare per il reato di corruzione per l'esercizio della funzione; ritenuto, per l'effetto, che debba essere disposta, quanto alla posizione dell'imputata Bonfrisco, la trasmissione di copia degli atti del procedimento al Senato della Repubblica affinche' adotti la deliberazione di competenza sulla questione relativa all'applicabilita', nel caso di specie, dell'immunita' invocata; con l'effetto che, ai sensi dell'art. 3, comma 5, legge 140 del 2003, il procedimento, relativamente alla posizione dell'imputata Bonfrisco, resta sospeso fino alla deliberazione della Camera e comunque non oltre il termine di novanta giorni dalla ricezione degli atti da parte della Camera interessata, salvo proroga di ulteriori trenta giorni disposta dalla Camera stessa; P.Q.M. Visti gli articoli 68, comma 1, della Costituzione, 3 comma 4 della legge 20 giugno 2013, n. 140, dispone la separazione della posizione dell'imputata Bonfrisco Anna Cinzia da quella dell'imputato Zoccatelli Gaetano; dispone, quanto alla posizione Bonfrisco, la trasmissione di copia degli atti del presente procedimento al Senato della Repubblica affinche' deliberi in merito alla questione relativa all'immunita' parlamentare invocata dall'imputata Bonfrisco Anna Cinzia in ordine al delitto di cui all'art. 318 del codice penale, come dettagliatamente descritto nel capo d'imputazione sopra richiamato; dispone la sospensione del procedimento nei confronti dell'imputata Bonfrisco; quanto alla posizione Zoccatelli, si provvede come da verbale di udienza». Gli atti, quindi, quanto alla posizione Bonfrisco, separata, sono stati trasmessi al Senato della Repubblica, atti ricevuti dal Senato il 17 luglio 2018. In assenza di decisione da parte del Senato, lo scrivente G.U.P., con decreto depositato il 4 dicembre 2018 - richiamato il contenuto dell'art. 3, comma 5, legge 140 del 2003, preso atto che risultava ampiamente decorso il termine di novanta giorni ed anche quello eventualmente prorogato di ulteriori trenta giorni (fermo restando che non era stata comunicata alcuna proroga da parte del Senato) previsto dal citato comma 5 dell'art. 3 legge 140 del 2003 senza che fosse intervenuta alcuna delibera da parte del Senato della Repubblica - ha fissato l'udienza preliminare nei confronti di Anna Cinzia Bonfrisco per il giorno 30 gennaio 2019. Nelle more, con deliberazione del 9 gennaio 2019, trasmessa a questo ufficio il 17 gennaio 2019, il Senato della Repubblica - esaminata la relazione, assunta a maggioranza (doc. IV-ter n. 5-A), con la quale la giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari ha proposto «di deliberare che le dichiarazioni espresse dalla senatrice Anna Cinzia Bonfrisco costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni e ricadono pertanto nell'ipotesi di cui all'art. 68 primo comma della Costituzione; sentito il relatore, senatore Durnwalder - ha approvato la proposta della giunta di cui sopra, negando a questa Autorita' giudiziaria l'autorizzazione a procedere. All'udienza preliminare del 30 gennaio 2019, si e' preso atto della trasmissione da parte del Senato della citata relazione della giunta e del resoconto stenografico della seduta del 9 gennaio 2019 (v. per maggiori dettagli il verbale di udienza), si sono date disposizioni per la ricostituzione del fascicolo, si e' discusso dell'opportunita'/necessita' di acquisizione di notizie in ordine ad un presunto conflitto di attribuzioni gia' sollevato dal Senato della Repubblica a richiesta della senatrice Bonfrisco con riferimento al presente procedimento (v. infra, par. 2) nonche' della necessita' o opportunita' di acquisire alcuni documenti. Inoltre il pubblico ministero ha invitato questo G.U.P. a sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato avanti alla Corte costituzionale avverso la delibera di diniego di autorizzazione a procedere, per le ragioni esposte in una nota contestualmente depositata. I difensori hanno chiesto un termine per poter fornire le notizie e i documenti oggetto di discussione e per esaminare la nota depositata dal P.M.; il processo e' stato quindi differito all'udienza del 16 aprile 2019. All'udienza preliminare del 16 aprile 2019 si e' preso atto della produzione documentale effettuata dalla difesa in data 27 febbraio 2019, si e' trattato del tema dell'eventuale ulteriore conflitto gia' pendente (v. infra par. 2) e, in ordine alla richiesta del pubblico ministero a che il giudice sollevasse conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, la difesa ha dichiarato di rimettersi alla decisione del giudice. All'esito della discussione al riguardo, questo G.U.P. ha deliberato di sollevare conflitto di attribuzione, riservando la motivazione del ricorso. Motivazione esposta nell'ambito del presente provvedimento. 2. La presunta «pendenza di altro conflitto di attribuzione» sollevato dal Senato della Repubblica a seguito dell'approvazione, nella seduta del 23 dicembre 2017, della corrispondente proposta della giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari. Occorre preliminarmente fare chiarezza sulla presunta pendenza di altro conflitto di attribuzione che, secondo la relazione della giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari (Doc. IV-ter n. 5-A sopra citato) - sulla cui base il Senato ha negato l'autorizzazione a procedere - dovrebbe essere stato sollevato dal Senato nella presente vicenda. La predetta relazione della giunta, nel paragrafo contraddistinto con la lettera a), intitolato «Fatto» (ultimi tre capoversi) riporta che, «nel corso della XVII legislatura, ed in merito alla stessa vicenda, il Presidente del Senato, con nota del 12 dicembre 2017, ha trasmesso alla giunta la richiesta della senatrice Bonfrisco di declaratoria di insindacabilita' della propria attivita' parlamentare ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione». Prosegue la relazione riportando che «la giunta ha reputato - in via pregiudiziale - di proporre all'assemblea il sollevamento di un conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato ai sensi dell'art. 134 della Costituzione, motivato dalla constatazione "dell'emergere di una sorta di «sindacabilita' indiretta» per via giudiziaria anche dell'attivita' piu' squisitamente parlamentare come quella legislativa" (doc. XVI, n. 2)» [v. doc.3 bis prodotto dalla difesa Bonfrisco con la memoria depositata in data 8 gennaio 2018]. «In data 23 dicembre 2017 l'assemblea del Senato ha approvato tale proposta. Nonostante la pendenza del predetto conflitto di attribuzione, il Giudice per le indagini preliminari ha trasmesso al Senato la richiesta in esame». Orbene, e' doveroso porre in chiaro che, in realta', contrariamente a quanto esposto nella relazione della giunta, non risulta essere stato sollevato alcun conflitto di attribuzione da parte del Senato nella presente vicenda. Infatti, sin dall'udienza preliminare del 30 gennaio 2019 si e' dato atto che, dalla consultazione del sito ufficiale della Corte costituzionale, non era dato rintracciare alcun riferimento a tale conflitto sollevato dal Senato nella vicenda Bonfrisco, menzionato nella relazione della giunta di cui al doc. IV ter n. 5-A. Questo giudicante ha quindi chiesto ai difensori dell'imputata se, per quanto a loro conoscenza, a seguito dell'approvazione da parte del Senato della proposta della giunta di sollevare il conflitto (approvazione avvenuta, si ripete, nella seduta del 23 dicembre 2017: v. resoconto stenografico della seduta 922 del 23 dicembre 2017 prodotto dalla difesa in una con la memoria depositata l'8 gennaio 2018), il conflitto fosse stato poi concretamente sollevato (il resoconto stenografico si conclude con l'approvazione del Senato, dopo di che e' scritto che «La presidenza si intende pertanto autorizzata a dare mandato a uno o piu' avvocati del libero foro»). I difensori hanno dichiarato di non essere a conoscenza della circostanza e si sono impegnati a cercare informazioni e a comunicare gli esiti con nota da depositarsi in cancelleria entro il 28 febbraio 2019. Nella nota depositata il 27 febbraio 2019, tuttavia, nulla ha riferito la difesa Bonfrisco a proposito delle informazioni eventualmente ottenute sul citato conflitto di attribuzione. Alla successiva udienza preliminare del 16 aprile 2019 questo G.U.P. ha nuovamente dato atto che dal sito ufficiale della Corte costituzionale non risultava pendente alcun conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Senato per qualche aspetto inerente alla vicenda Bonfrisco oggetto del presente procedimento e ha rilevato che, coerentemente, la difesa Bonfrisco, con la nota di cui sopra, non aveva prodotto alcun documento relativo a tale conflitto. Un conflitto che, a questo punto, doveva ritenersi inesistente (le parti nulla hanno avuto da osservare). Ebbene, da tutto quanto esposto si deve trarre la conclusione secondo cui e' errata la relazione della giunta per le elezioni e le immunita' parlamentari (doc. IV ter n. 5-A) laddove afferma «Nonostante la pendenza del predetto conflitto di attribuzione, il Giudice per le indagini preliminari ha trasmesso al Senato la richiesta in esame». Infatti, detto conflitto non e' mai stato in concreto sollevato. E altrettanto non veritiero e' quando riferito in assemblea dal relatore Durnwalder (v. pag. 38, resoconto stenografico adunanza 9 gennaio 2019), laddove lo stesso, dopo aver illustrato il contenuto del capo di imputazione elevato dal pubblico ministero nei confronti della senatrice Bonfrisco, afferma «La questione era gia' stata affrontata nella scorsa legislatura, quando l'assemblea aveva espresso un'autorizzazione parziale all'acquisizione delle intercettazioni telefoniche (effettivamente in fase di indagine il G.I.P. aveva chiesto al Senato l'autorizzazione all'utilizzazione di 21 conversazioni telefoniche intercettate su un'utenza in uso a Zoccatelli e che avevano visto quale interlocutore la senatrice Bonfrisco: richiesta accolta dal Senato nell'adunanza del 13 settembre 2017 solo con riferimento alla prima in ordine cronologico delle conversazioni e negata per le successive). L'assemblea (prosegue il relatore) aveva anche sollevato un conflitto di attribuzione presso la Corte costituzionale, con un giudizio che e' tuttora pendente davanti alla Corte; ciononostante il giudice per le indagini preliminari insiste nella richiesta a procedere». Lo si ribadisce: «davanti alla Corte» non pende affatto un tale conflitto, perche', altrimenti, vi sarebbe traccia del conflitto sul sito ufficiale della Corte costituzionale, ma soprattutto perche', se un conflitto esistesse, certamente l'imputata Bonfrisco e la sua difesa sarebbero state in grado di fornire notizie e documentazione al riguardo. Ovviamente, questa A.G. non ha ricevuto alcuna notifica attinente a tale fantomatico conflitto. Evidentemente, dopo la seduta del 23 dicembre 2017, nella quale il Senato aveva approvato la proposta della giunta di sollevare conflitto, la Presidenza, «autorizzata a dare mandato a uno o piu' avvocati del libero foro», non ha mai conferito detto mandato oppure il mandato e' rimasto inevaso. 3. Le ragioni del conflitto di attribuzioni avverso il diniego di autorizzazione a procedere. A questo punto, debbono essere illustrate le ragioni per le quali si ritiene che la deliberazione del 9 gennaio 2019, con la quale il Senato della Repubblica ha negato nel presente procedimento l'autorizzazione a procedere nei confronti della senatrice Bonfrisco per il delitto di cui agli art. 318 del codice penale (ma consequenzialmente anche per il delitto di cui all'art. 416 del codice penale, per come e' strutturata l'imputazione, per la quale l'attivita' di promozione della delineata associazione per delinquere sarebbe stata posta in essere dalla senatrice Bonfrisco proprio con le condotte ricondotte dall'accusa all'art. 318-321 del codice penale), sia gravemente e palesemente invasiva della sfera di attribuzioni riservata all'autorita' giudiziaria dagli articoli 101 e 104 della Costituzione. Occorre, a tal fine, procedersi all'esame della gia' citata relazione della giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari (doc. IV ter n. 5-A), che ha proposto, a maggioranza, di deliberare che le dichiarazioni espresse dalla senatrice Anna Cinzia Bonfrisco costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni e ricadono pertanto nell'ipotesi di cui all'art. 68 primo comma della Costituzione. Relazione della giunta alla quale il Senato ha ritenuto di aderire con la delibera qui censurata. Si ritiene che tutto il percorso argomentativo che ha condotto la giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari, e poi il Senato, a negare l'autorizzazione a procedere, tradisca un enorme «vizio di fondo», esso stesso indicativo di una vistosa lesione delle attribuzioni dell'autorita' giudiziaria. Come si vedra' tra breve, infatti, la giunta (e quindi il Senato) muove dal presupposto - che questa autorita' giudiziaria ritiene assolutamente errato - secondo il quale il Senato investito della richiesta di autorizzazione a procedere sarebbe titolare di un «sindacato di non implausibilita' dell'accusa». Sindacato che, invece, non puo' che spettare unicamente all'autorita' giudiziaria. La relazione della giunta esordisce, al paragrafo b. intitolato «Diritto», con un richiamo, operato «preliminarmente», alla sentenza della Corte costituzionale n. 188 del 2010, ricordando che «la Corte, nell'ambito della citata sentenza (ultimo periodo del punto 4 della parte in diritto) riconosce alla giunta (e al Senato) un sindacato di «non implausibilita'», circoscritto al profilo motivatorio degli atti giudiziari trasmessi». Prosegue la relazione affermando che «La Corte costituzionale sancisce questo approccio metodologico in occasione di un conflitto di attribuzione riguardante la materia delle intercettazioni, individuando quindi un limite al potere sindacatorio delle Camere in ordine agli atti giudiziari, fissato da tale sentenza entro i confini di non implausibilita' motivatoria degli atti». «Tale potere - prosegue la giunta - se da un lato impone alla giunta di non sconfinare in ambiti riservati alla cognizione dell'autorita' giudiziaria (l'unica alla quale spetta l'accertamento dei fatti), dall'altro tuttavia attribuisce alla giunta il potere-dovere di espletare un sindacato di «non implausibilita'», i cui effetti sono finalizzati ad individuare esclusivamente le situazioni di palese infondatezza motivatoria delle richieste e degli atti trasmessi dall'autorita' giudiziaria. Ora, in realta', la premessa teorica effettuata dalla relazione della giunta e il richiamo alla citata sentenza della Corte costituzionale, n. 188 del 2010, ultimo periodo del punto 4 della parte in diritto, pur corretta in astratto, non appare particolarmente pertinente (fermo restando che, come si vedra' nello sviluppo della trattazione, la giunta risulta avere attribuito alla richiamata sentenza della Corte costituzionale contenuti inesistenti). Infatti, la sentenza della Corte costituzionale n. 188 del 2010, sulla quale ha fatto leva la giunta per giustificare il diniego di autorizzazione a procedere, riguardava un conflitto di attribuzione non gia' in materia di autorizzazione a procedere (in particolare, in questo caso, per il delitto di corruzione nell'esercizio della funzione), rispetto alla quale, come noto, trovano applicazione l'art. 68, comma 1, della Costituzione e le norme attuative di cui all'art. 3 (e 5) legge n. 140/2003, bensi' in materia del tutto diversa, attinente all'acquisizione di tabulati telefonici relativi sia ad utenze in uso ad un soggetto che risultava avere avuto contatti con un parlamentare, sia ad utenze in uso allo stesso parlamentare, rispetto alla quale trovano applicazione l'art. 68, comma 3, della Costituzione e le norme attuative di cui all'art. 4, e 6 (e 5) della citata legge n. 140/2003 (l'art. 5 riguarda il contenuto dell'ordinanza di cui all'art. 3 comma 4 e della richiesta di cui all'art. 4 ed e' quindi norma che si applica ad entrambe le situazioni). E' evidente che la valutazione che compete alla camera di appartenenza del parlamentare e', nelle due ipotesi, completamente diversa. Nella valutazione riguardante l'autorizzazione ad acquisire tabulati telefonici o ad utilizzare intercettazioni telefoniche, in particolare disposte nei confronti di soggetti diversi dal parlamentare (art. 6 legge 140 del 2003), infatti - come chiarito dalla sentenza della Corte costituzionale 188 del 2010 citata - la camera di appartenenza dell'interessato investita della richiesta di utilizzazione e' legittimata a sindacare la «non implausibilita'» della motivazione dell'autorita' giudiziaria richiedente sotto il profilo della «necessita'» dell'atto investigativo, necessita' la cui valutazione spetta, peraltro, all'autorita' giudiziaria. Per utilizzare le parole della Corte costituzionale, l'autorita' giudiziaria e' tenuta, sulla base delle disposizioni di cui agli articoli 5 e 6 legge 140 del 2003, ad indicare nella richiesta «gli elementi su cui essa si fonda», ovvero ad indicare le specifiche emergenze probatorie fino a quel momento disponibili e la loro attitudine a far sorgere la necessita' di utilizzazione anche nei confronti del parlamentare di quell'atto investigativo; e la camera di appartenenza del parlamentare deve poter rilevare, dall'esame della richiesta (e degli eventuali allegati) che sussistono sia il requisito, per cosi' dire, «negativo» dell'assenza di ogni intento persecutorio o strumentale della richiesta, sia quello, per cosi' dire, «positivo» della affermata «necessita'» dell'atto, motivata in termini di non implausibilita'». Dunque, la valutazione della camera di appartenenza, nel caso di richiesta di utilizzazione di un atto investigativo «intrusivo», necessariamente puo' e deve confrontarsi con le emergenze probatorie fino a quel momento disponibili, come illustrate dall'autorita' giudiziaria richiedente, al fine di operare il descritto vaglio di non implausibilita' della motivazione dell'autorita' giudiziaria sotto il profilo della «necessita'» dell'atto investigativo. Questa tematica, peraltro, non ha nulla a che vedere con il diverso argomento dell'ambito del sindacato della camera di appartenenza dell'interessato investita della richiesta di autorizzazione a procedere da parte dell'autorita' giudiziaria, che e' quello del quale si sarebbe dovuta occupare la giunta nell'ambito della relazione qui in esame. Completamente differente e', infatti, la valutazione che compete alla camera di appartenenza del parlamentare che sia investita, come nel caso di specie, di una richiesta dell'autorita' giudiziaria di autorizzazione a procedere per fatti che, secondo l'autorita' giudiziaria, esulano dall'ambito di operativita' dell'immunita' prevista dall'art. 68 della Costituzione. E, rispetto a questa diversa valutazione della camera di appartenenza del parlamentare, pare francamente ben poco pertinente il terna del sindacato della camera di appartenenza circa la «non implausibilita' dell'atto motivatorio», sviscerato dalla Corte costituzionale con la citata sentenza n. 188/2010 in tema di richiesta dell'autorita' giudiziaria di utilizzazione di tabulati telefonici coinvolgenti un parlamentare, che si riferisce, si ripete, allo specifico profilo della «necessita' dell'atto investigativo» nel complessivo quadro delle emergenze probatorie acquisite. La camera di appartenenza dell'interessato, investita di una richiesta di autorizzazione a procedere, deve «limitarsi» a valutare se il membro del Parlamento sia chiamato a rispondere «delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle sue funzioni» (tenendo conto delle specificazioni fornite dall'art. 3 legge n. 140/2003 circa i casi in cui trova applicazione l'art. 68, comma 1, della Costituzione) e, in caso affermativo, puo' e deve negare l'autorizzazione a procedere, stante l'operativita' dell'immunita', accordando, per contro, l'autorizzazione laddove il parlamentare sia chiamato a rispondere di condotte che non si presentano come funzionalmente collegate alla sua attivita' di parlamentare. Si tratta, in sostanza, di una valutazione che ha ad oggetto il contenuto della contestazione sollevata al parlamentare e la sussistenza o insussistenza del nesso funzionale tra la condotta contestata e l'attivita' parlamentare del soggetto. In questo ben preciso ambito - beninteso - non si vuole qui escludere che la camera di appartenenza dell'interessato possa e debba confrontarsi con la motivazione addotta dall'autorita' giudiziaria a sostegno della richiesta di autorizzazione a procedere (negando l'autorizzazione se la motivazione della richiesta di autorizzazione a procedere e' macroscopicamente insensata nel valutare che la condotta contestata al parlamentare non costituisca espressione della sua funzione). Ma non e' questo, evidentemente, il senso dell'affermazione del principio sul sindacato di non implausibilita' degli atti motivatori dettato dalla Corte costituzionale con la citata sentenza n. 188/2010, che si riferisce, lo si ripete ancora una volta, alla motivazione addotta dall'autorita' giudiziaria a sostegno della necessita' dell'atto investigativo «intrusivo» nel quadro complessivo degli elementi probatori raccolti (nel caso di specie la Corte costituzionale aveva ritenuto carente la motivazione dell'autorita' giudiziaria - sia pubblico ministero sia giudice per le indagini preliminari - che aveva sollevato conflitto e aveva quindi ritenuto che la camera di appartenenza del parlamentare avesse correttamente esercitato il potere di negare l'autorizzazione all'acquisizione/utilizzazione di tabulati telefonici, sindacando, come era suo potere, la carenza motivatoria sul profilo della «necessita'» dell'atto). La prosecuzione della lettura della relazione della giunta di cui al doc. IV ter n. 5-A permette di comprendere per quale ragione sia stata utilizzata, a sostegno dell'iter argomentativo, proprio la sentenza della Corte costituzionale n. 188 del 2010 concernente materia non pertinente (un conflitto di attribuzione in materia di richiesta di autorizzazione all'espletamento/utilizzo di un atto investigativo «intrusivo», in quel caso tabulati telefonici). Ebbene, la giunta, anziche' esaminare e confrontarsi con l'unico «atto motivatorio» dell'autorita' giudiziaria che le sarebbe dovuto interessare - ossia la richiesta di autorizzazione a procedere avanzata da questo giudicante con ordinanza del 26 aprile 2018 (sopra riportata per intero) - si e' concentrata su un diverso provvedimento, assolutamente non rilevante rispetto alla valutazione circa il rilascio o il diniego dell'autorizzazione a procedere: l'ordinanza adottata in fase di indagine in data 26 maggio 2017 dal G.I.P. presso questo Tribunale ai sensi dell'art. 6 comma 2 legge n. 140/2003, con la quale era stata richiesta l'autorizzazione all'utilizzazione delle intercettazioni telefoniche su utenze di Gaetano Zoccatelli che avevano visto partecipe, quale interlocutore di Zoccatelli, la senatrice Bonfrisco. Richiesta di autorizzazione negata dal Senato con la delibera del 13 settembre 2017 di cui e' agli atti il resoconto stenografico. Ed invero, la giunta per le elezioni, nella citata relazione (paragrafo 2, diritto), dopo aver operato la citata premessa sul «sindacato di non implausibilita' degli atti motivatori» (riconosciuto in realta' alla camera di appartenenza del parlamentare dalla Corte costituzionale in materia di «atti investigativi intrusivi»), ha fatto espresso riferimento al «contenuto degli atti trasmessi in senato la scorsa legislatura, in occasione della richiesta di autorizzazione all'utilizzo delle intercettazioni nei confronti della senatrice Bonfrisco» e, come si vedra' meglio nel prosieguo, ha dato una propria «lettura» - peraltro del tutto parziale - delle risultanze investigative, avvalendosi a tal fine del contenuto dell'ordinanza del G.I.P. del 26 maggio 2017 di richiesta di autorizzazione all'utilizzo delle intercettazioni (tra l'altro curiosamente utilizzando proprio le conversazioni telefoniche intercettate delle quali Io stesso Senato aveva negato l'utilizzazione al G.I.P. nell'adunanza del 13.9.2017: v. infra conflitto sub B), per giungere ad escludere il dolo del reato di corruzione in capo alla senatrice Bonfrisco, cosi', evidentemente, sindacando in maniera penetrante il merito dell'accusa, sostituendosi all'autorita' giudiziaria. Piu' nel dettaglio, a proposito dell'accusa secondo la quale la senatrice Bonfrisco avrebbe ricevuto da Zoccatelli, direttore generale del CEV (Consorzio Energia Veneto) nonche' amministratore delegato di Global Power S.p.a. e E-Global Service S.p.a., il pagamento di un soggiorno in Costa Smeralda, la giunta afferma di avere «l'onere di espletare il citato sindacato di non implausibilita' degli atti sotto il profilo motivatorio» e, in questa prospettiva, afferma che «appare palese ed evidente che l'autorita' giudiziaria (da intendersi come GIP nell'ordinanza di richiesta di utilizzo delle intercettazioni del 26 maggio 2017) prospetta una motivazione totalmente implausibile rispetto a tale «dazione corruttiva», atteso che sempre dal contenuto degli atti trasmessi al Senato la scorsa legislatura, in occasione della richiesta di autorizzazione all'utilizzo delle intercettazioni nei confronti della senatrice Bonfrisco, non si fornisce alcuna spiegazione plausibile circa la circostanza (emersa per acta dalle intercettazioni trasmesse a suo tempo in Senato e in particolare nella intercettazione del 22 agosto 2015) dell'insistenza della senatrice per effettuare il pagamento della vacanza effettuata nella struttura turistica di proprieta' del signor Zoccatelli. Tale pagamento fu impedito (prosegue la giunta) nonostante le insistenze della senatrice, dallo stesso Zoccatelli (vedi sunto della citata conversazione riportata dal Giudice per le indagini preliminari nella domanda di autorizzazione, rinvenibile a pagina 15 del Doc. IV, n. 15 della XVII legislatura: «All'atto di effettuare il checkout, la senatrice Bonfrisco «realizza» che il corrispettivo e' gia' stato pagato, chiama allora l'amico Zoccatelli chiedendo almeno di poter contribuire alla spesa. L'indagato tronca il discorso rispondendo: «Il contributo l'hai gia' dato con la tua presenza»). La giunta prosegue - con argomentazioni teoriche che ben potrebbero essere quelle utilizzate da un giudice nell'ambito di una sentenza di assoluzione - sostenendo l'inesistenza, nel caso di specie, del reato di corruzione, in particolare sotto il profilo dell'elemento soggettivo: «La corruzione, come qualsivoglia delitto, presuppone l'elemento doloso e volontaristico, non potendo sicuramente configurarsi una corruzione contra volutatem e conseguentemente appare del tutto implausibile, a fronte di una verifica sugli atti e sulle motivazioni degli stessi, un'accusa di corruzione incentrata su un beneficio conferito contra voluntatem...omissis». Si badi bene che, come agevole notare, nell'evolvere del percorso argomentativo della giunta,quello che veniva poco prima definito, con richiamo alla citata sentenza della Corte costituzionale n. 188/2010, un «sindacato di non implausibilita' degli atti motivatori», si trasforma e trasmoda (al di la' della retorica riproposizione della locuzione «verifica sugli atti e sulle motivazioni degli stessi») in un sindacato «di non implausibilita' dell'accusa», che non rientra di certo nell'ambito delle attribuzioni della camera di appartenenza del parlamentare investita della richiesta di autorizzazione a procedere, un sindacato al quale non fa, ovviamente, alcun riferimento la sentenza della Corte costituzionale 188/2010 citata dalla giunta a sostegno delle proprie argomentazioni. Ora, non vi e' chi non veda come la giunta (e poi il Senato che ha ratificato la proposta della giunta) - anziche' occuparsi della valutazione di sua competenza, riguardante (stante la richiesta di autorizzazione a procedere) l'esistenza o inesistenza di un nesso funzionale tra le condotte contestate alla senatrice Bonfrico nell'imputazione e la sua funzione di parlamentare (valutazione che avrebbe dovuto inevitabilmente portare alla conclusione, invero piuttosto ovvia, dell'inoperativita' dell'immunita' ex art. 68 della Costituzione) - si sia spinta ad esaminare le risultanze degli atti di indagine, ritenendo, sulla base della propria «personale» valutazione delle risultanze investigative (invero del tutto parziale, ma poco importa), l'infondatezza dell'impianto accusatorio (in particolare, per la parte sin qui riportata, in ragione dell'assenza di una «voluntas accipiendi» del corrotto: si tratterebbe di una sentenza di assoluzione con la formula perche' il fatto non costituisce reato!). Per questo aspetto la giunta conclude la sua «sentenza» come segue: «In mancanza di dado (rectius in mancanza palese di voluntas accipiendi) resta in campo solo l'attivita' emendativa della senatrice, in quanto tale insindacabile ai sensi dell'art. 68 della Costituzione». Ora, la violazione della sfera di attribuzioni dell'autorita' giudiziaria appare davvero macroscopica. Non sono esaurite, peraltro, le valutazioni riguardanti il merito dell'accusa, sulla cui base la giunta ha proposto il diniego di autorizzazione a procedere, ottenendo l'avallo del Senato. La giunta, infatti, analizza anche le ulteriori contestazioni contenute nel capo di imputazione e prosegue: «D'altra parte, sempre con riferimento all'implausibilita' dell'imputazione (si noti che, di nuovo, non e' piu' questione di «implausibilita' della motivazione di un atto», ma diviene questione di «implausibilita' dell'imputazione», cioe', in altri termini, di ritenuta infondatezza dell'accusa) si osserva ulteriormente che l'attivita' emendativa (profilo che, con riguardo al caso in esame, viene approfondito nella terza parte della presente relazione) del singolo senatore non ha alcuna incidenza diretta e immediata su un testo legislativo, occorrendo che tale proposta emendativa sia approvata dall'assemblea del Senato, organo a valenza collegiale e non certamente individuale». La giunta prosegue, finalmente venendo a toccare, anzi sfiorare, per la prima e unica volta, la motivazione della richiesta di autorizzazione a procedere: «In ogni caso, a prescindere dalla configurabilita' o meno in astratto della corruzione per l'esercizio di attivita' legislative (questione attualmente pendente di fronte alla Corte costituzionale a seguito del citato conflitto di attribuzioni sollevato dal Senato [si torna a dire che per quanto consta tale conflitto e' inesistente]) e quindi impregiudicata ogni valutazione su tale profilo, si deve comunque ritenere che la sentenza della Cassazione n. 36769/17, citata dal Giudice per le indagini preliminari (i cui principi sono stati confermati anche dalla sentenza della Cassazione penale n. 40347/2018), sia applicabile in tutti quei casi nei quali, ad un esame condotto per acta dalla Camera competente, risulti non palesemente implausibile un'accusa di corruzione e conseguentemente si sancisce la sindacabilita' dell'atto parlamentare da parte dell'autorita' giudiziaria qualora lo stesso si inquadri in un'ipotesi di corruzione. Diversamente, quando da un esame condotto per acta dalla Camera competente emergano elementi di palese implausibilita' in ordine alla configurabilita' di un'ipotesi accusatoria di corruzione, il sindacato dell'autorita' giudiziaria non si giustifica ed anzi appare in contrasto con l'art. 68, primo comma, della Costituzione». Questo passaggio merita particolare attenzione. Va rilevato che la giunta si confronta solo apparentemente e frettolosamente, con la motivazione posta a sostegno della richiesta di autorizzazione a procedere, l'unico «atto motivatorio» che, si ribadisce, la giunta e il Senato avrebbero dovuto esaminare, che si imperniava proprio sui principi affermati dalla Corte di cassazione n. 36769/2017 . La relazione, in effetti, non spiega assolutamente quale sia il principio dettato dalla sentenza della Cassazione n. 36769/2017, ribadito dalla sentenza 40347/2018. E, non a caso, il relatore Durnwalder - che si e' preoccupato di riferire all'assemblea che «la Corte costituzionale impone un giudizio sulla plausibilita' dell'accusa», richiamando la sentenza n. 188/2010 (che, in realta', come gia' detto, non ammette affatto, e men che meno «impone», un giudizio della camera sulla «plausibilita' dell'accusa», ma semmai sulla plausibilita' degli atti motivatori di richiesta di utilizzazione/acquisizione di atti investigativi «intrusivi») - ha taciuto completamente in ordine alle recentissime autorevoli pronunce della Cassazione, riguardanti esattamente la fattispecie posta all'attenzione del Senato, per le quali, in presenza della contestazione del reato di corruzione nell'esercizio della funzione di cui all'art. 318 del codice penale, non viene minimamente in gioco l'art. 68, comma 1, del codice penale e non si puo' assolutamente ipotizzare l'applicabilita' dell'immunita' parlamentare (si richiamano le motivazioni, sopra trascritte, poste a sostegno della richiesta di autorizzazione a procedere, su cui si tornera' anche oltre). Come si e' visto, la relazione della giunta fa solo un vago cenno ai principi dettati dalla «sentenza della cassazione n. 36769/17 richiamata dal giudice per le indagini preliminari» - senza enunciarne il contenuto - per sostenere, in maniera del tutto fantasiosa ed in patente violazione del limiti delle attribuzioni del Senato, che detti principi non troverebbero applicazione laddove la camera di appartenenza del parlamentare, accusato del reato di cui all'art. 318 del codice penale, valutasse, «ad un esame condotto per acta» («acta» che non sono stati affatto esaminati dalla camera nel caso di specie), implausibile l'accusa. L'ardita tesi, lo si ripete ancora una volta, non trova il minimo supporto (checche' ne dica il relatore Durnwalder) nella sentenza della Corte costituzionale 188 del 2010. Solo all'autorita' giudiziaria spetta il potere di valutare la fondatezza dell'accusa: un potere che, peraltro, la stessa autorita' giudiziaria puo' esercitare solo all'esito del processo (una delibazione di «non implausibilita' dell'accusa» e', a ben vedere, in un certo senso, simile a quella demandata al giudice dell'udienza preliminare investito della richiesta di rinvio a giudizio). A quanto pare, invece, il Senato ha ritenuto di poter sindacare in maniera penetrante il merito dell'accusa, valutandone la fondatezza, anche prima e a prescindere da un processo, semplicemente esaminando e valutando secondo la propria sensibilita', ed in maniera del tutto parziale, le risultanze degli atti di indagine (nella fattispecie valutando e valorizzando esclusivamente una singola conversazione telefonica intercettata - della quale peraltro aveva vietato con precedente delibera l'utilizzazione al GIP - in un contesto investigativo ben piu' ampio, viste le approfondite indagini svolte anche dopo la cessazione delle intercettazioni, con escussione di numerose persone informate, acquisizioni documentali copiose; ignorando le altre conversazioni telefoniche oggetto di intercettazione, di cui alcune intercorse tra Zoccatelli e soggetti diversi dalla senatrice Bonfrisco, potenzialmente rilevanti per lumeggiare il ruolo della parlamentare; ed occupandosi, tra l'altro, di una soltanto delle «utilita'» che, secondo l'imputazione, la senatrice avrebbe conseguito in forza dell'accordo correttivo, ossia la vacanza in Sardegna per se' e il proprio entourage, tralasciando completamente qualsivoglia considerazione in ordine alle ulteriori utilita' conseguite secondo l'imputazione in cambio dell'esercizio della funzione di parlamentare in senso favorevole al corruttore, oggetto dei punti 2 e 3: l'assunzione di Roberta Ferrara presso la E-Global Service Spa; il bonifico di 4000 euro a favore di Davide Bendinelli per finanziarne la campagna elettorale). 4. Considerazioni conclusive In conclusione, la valutazione delle risultanze investigative/istruttorie, ai fini della valutazione della fondatezza o infondatezza dell'accusa (in particolare sotto il profilo dell'elemento soggettivo doloso proprio della corruzione, ma anche sotto gli ulteriori profili valutati dalla giunta: v. anche il paragrafo c intitolato «Ulteriori profili motivatori (ad abundantiam)», sui quali non vale la pena di soffermarsi), spetta - e' sin troppo ovvio - soltanto all'autorita' giudiziaria (e soltanto all'esito del processo penale). Non esiste un potere della camera di appartenenza del parlamentare, investita della richiesta di autorizzazione a procedere, di sindacare la «non manifesta implausibilita' dell'accusa». Ed e' completamente destituita di fondamento l'affermazione per la quale i principi dettati dalla Corte di cassazione con le due citate sentenze del 36769/2017 e 40347/2018, per le quali non puo' configurarsi l'immunita' in caso di contestazione del reato di cui all'art. 318 del codice penale, troverebbero applicazione soltanto laddove la camera di appartenenza del parlamentare valutasse positivamente, ad un «esame per acta», la «plausibilita' dell'accusa». Ecco, allora, che si deve ritornare ai principi, assolutamente condivisibili e certamente validi nel caso in esame, affermati dalla Corte di cassazione con la piu' volte citata sentenza n. 36769/17, ribaditi, come ricordato dalla stessa giunta, con sentenza n. 40347/18. «L'immunita' prevista dall'art. 68 della Costituzione non preclude la perseguibilita' del delitto di corruzione per l'esercizio della funzione, di cui all'art. 318 del codice penale, configurabile nei confronti di un membro del Parlamento in relazione sia all'attivita' svolta nella predetta veste, sia a quella espletata quale rappresentante italiano nell'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa» Infatti, come chiarito con argomentazioni del tutto logiche e incontestabili dalla Suprema Corte di cassazione, la fattispecie di cui all'art. 318 del codice penale non implica alcun sindacato sull'esercizio della funzione (a differenza di quanto avviene nel delitto di cui all'art. 319 del codice penale in relazione all'«atto» del pubblico ufficiale che si assume contrario ai doveri d'ufficio), limitandosi a postulare che la dazione o promessa di dazione indebita rivolta al pubblico ufficiale abbia ad oggetto «l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri», senza null'altro aggiungere, risultando indifferente, quindi, ai fini delle valutazioni del giudice penale, l'effettivo, successivo esercizio di tali funzioni e risultando indifferente il contenuto intrinseco dell'atto o dell'attivita' eventualmente compiuti in forza dell'accordo illecito, posto che assumono significato solo la ricezione della promessa o della dazione finalizzate al compimento dell'atto o dell'attivita' o a remunerare l'attivita' gia' compiuta. Questa tematica, che e' di puro diritto e che e' evidentemente decisiva (e che, di fatto, e' l'unica affrontata nella richiesta di autorizzazione a procedere), e' stata totalmente (e significativamente) ignorata dal relatore Durnwalder nel corso della discussione del Senato che e' culminata con il diniego di autorizzazione a procedere. Ebbene, se si fosse confrontato con le argomentazioni di cui sopra, autorevolmente sostenute dalla Corte di cassazione, il Senato, verosimilmente, non avrebbe potuto che concludere che la condotta penalmente rilevante attribuita nel capo di imputazione alla senatrice Bonfrisco - che consiste, quanto al delitto di cui all'art. 318 del codice penale, nell'aver ricevuto da Gaetano Zoccatelli regalie/remunerazioni/utilita' per l'esercizio della sua funzione di parlamentare (condotta inopinatamente etichettata nella delibera qui censurata con il termine di «dichiarazioni espresse» dalla senatrice Bonfrisco, che costituirebbero «opinioni espresse da un membro del parlamento nell'esercizio delle sue funzioni») - esula completamente dall'ambito di applicazione dell'art. 68 comma 1 della Costituzione (e dell'art. 3 comma 1 della legge n. 140 del 2003). Presidio costituzionale che non puo' certo essere strumentalizzato per impedire all'autorita' giudiziaria di sindacare condotte corruttive dei parlamentari sussumibili nel disposto di cui all'art. 318 del codice penale. Mai e poi mai si potrebbe ragionevolmente sostenere che la ricezione di dazioni corruttive (finalizzate al compimento di atti del parlamentare o a remunerare atti gia' compiuti) si ponga «in qualificato nesso con l'esercizio della funzione parlamentare» (per utilizzare una terminologia adottata dalla Corte costituzionale in varie pronunce sul tema) e, come tale, sia coperta da insindacabilita'. Mai e poi mai si potrebbe ragionevolmente affermare che la ricezione di una «tangente» da parte di un parlamentare, correlata all'esercizio delle sue funzioni di parlamentare, e' «identificabile come espressione dell'esercizio di attivita' parlamentari» e, come tale, coperta da insindacabilita'. E non esiste, si ripete, un potere della Camera di appartenenza del parlamentare imputato, investita della richiesta di autorizzazione a procedere, di sindacare la fondatezza dell'accusa, la «non implausibilita' dell'accusa». Deve dunque concludersi che il Senato della Repubblica, nel votare per la insindacabilita' delle «dichiarazioni espresse» dalla senatrice Bonfrisco - che «dichiarazioni» non sono -, ha leso le attribuzioni dell'autorita' giudiziaria, esercitando il potere di qualificare come «insindacabili» condotte contestate nell'imputazione al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 68, comma 1, della Costituzione.