IL CONSIGLIO DI STATO in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 9110 del 2019, proposto da Villari Maurizio, Villari Riccardo, Villari Emilia, Villari Maria Giulia, rappresentati e difesi dall'avvocato Maria Laura Sodano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della giustizia, Ministero dell'economia e finanze, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (Sezione Prima) n. 1307 del 2019, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 febbraio 2020 il Cons. Elena Quadri e udito per le parti l'avvocato Sodano Maria Laura; Fatto I signori Villari Maurizio, Riccardo, Emilia e Maria Giulia rivestono la qualita' di eredi legittimi della dottoressa Di Somma, gia' magistrato in servizio presso la Corte di Appello di Napoli, con funzioni di Presidente di Sezione, dove si era insediata nel marzo del 2010, dopo un lungo incarico al Tribunale di Torre Annunziata. Alla data del suo insediamento presso il nuovo ufficio, la dottoressa Di Somma aveva gia' maturato, per espressa dichiarazione della Corte d'Appello, un residuo di congedo ordinario di giorni totali 57. Tale residuo di ferie si giustificava per la permanente carenza di organico in cui versava il Tribunale di provenienza, per cui le esigenze di servizio impedivano ai magistrati il godimento integrale dei giorni di riposo che si erano accumulati nel numero di 57. A tale residuo tra il 2010 e il 2011 si aggiungevano altri 14 giorni, sino alla data dell'interruzione del rapporto di lavoro, dovuta al suo improvviso decesso, avvenuto il 15 agosto 2011. Alla richiesta degli eredi di vedersi riconosciuta in via integrale l'indennita' sostitutiva per le suddette ferie non godute per un totale di 71 giorni, l'11 settembre 2014 il Ministero della Giustizia rispondeva negativamente prendendo in considerazione soltanto gli ultimi due anni, il che portava a soli 14 i giorni di ferie non godute indennizzabili. I signori Villari, ritenendo illegittima e ingiustificata la quantificazione dei giorni di ferie non godute operata dal Ministero, impugnavano innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania il provvedimento dallo stesso emesso. Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania respingeva il ricorso con sentenza n. 1307 del 2019, contro la quale i signori Villari hanno proposto appello, affidato ai seguenti motivi di diritto: I) falsa interpretazione/applicazione della circolare del Consiglio Superiore della Magistratura n. 10588/2011; violazione dell'art. 2-octies della legge n. 241 del 1990, mancata o falsa applicazione degli artt. 36 e 117 della Costituzione, nonche' dell'art. 31 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dell'art. 7 della direttiva 2003/88/UE; superamento dei limiti esterni della giurisdizione, error in iudicando e error in procedendo. Per gli appellanti la sentenza sarebbe stata emessa in violazione e falsa applicazione di legge in quanto non avrebbe correttamente interpretato ed applicato la normativa vigente, nonche' in violazione dei citati principi costituzionali e delle norme europee. L'Amministrazione intimata non si e' costituita in giudizio. All'udienza pubblica del 27 febbraio 2020 l'appello e' stato trattenuto in decisione. Diritto Deve rilevarsi, in via preliminare, che il ricorso in appello e' stato notificato al Ministero della giustizia e al Ministero dell'economia e finanze presso gli uffici dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli, e non presso gli uffici dell'Avvocatura generale dello Stato, in violazione degli artt. 11 r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 (Approvazione del T.U. delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato) e 25 c.p.c., e che le Amministrazioni intimate non si sono costituite in giudizio. Per il disposto delle norme succitate, nonche' per il pacifico orientamento della giurisprudenza di questo Consiglio, deve considerarsi nulla la notifica dell'appello proposto nei confronti di Amministrazioni statali e di enti pubblici patrocinati dall'Avvocatura dello Stato, avverso la sentenza di un Tribunale amministrativo regionale, che ha avuto luogo presso l'Avvocatura dello Stato del distretto in cui ha sede il Tribunale e non presso l'Avvocatura generale dello Stato, con sede a Roma, con conseguente inammissibilita' dell'appello stesso, ove l'Amministrazione evocata non abbia sanato tale nullita' con la propria costituzione in giudizio trovando applicazione, sotto quest'ultimo profilo, il principio di conservazione degli atti processuali, una volta che sia stato comunque conseguito lo scopo a cui gli stessi erano preordinati, ai sensi dell'art. 156 c.p.c. L'art. 44, comma 4, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), prevede che: «Nei casi in cui sia nulla la notificazione e il destinatario non si costituisca in giudizio, il giudice, se ritiene che l'esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante, fissa al ricorrente un termine perentorio per rinnovarla. La rinnovazione impedisce ogni decadenza». Nel caso di specie non puo' essere ravvisata la scusabilita' dell'errore prevista dalla suddetta disposizione, in considerazione del chiaro dettato normativo, concernente l'individuazione dell'Avvocatura dello Stato competente a ricevere la notifica. Il Collegio ritiene che l'art. 44, comma 4, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, limitatamente alle parole «se ritiene che l'esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante», presenti profili di illegittimita' rispetto agli artt. 3, 24, 76, 111, 113 e 117, comma l, della Carta fondamentale, alla luce dei quali si impone la rimessione alla Corte costituzionale delle relative questioni, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale). La disposizione in questione e' innanzitutto rilevante nel presente giudizio. In vero, accertato che la notifica dell'appello e' nulla, che l 'Amministrazione intimata non si e' costituita in giudizio e che non e' possibile ritenere che l'esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante, l'applicazione della norma porterebbe alla inesorabile declaratoria di inammissibilita' dell'appello, con preclusione dell'esame nel merito delle censure proposte e conseguente consolidamento dell'atto impugnato. In caso di accoglimento della questione di legittimita' costituzionale sollevata, potrebbe, invece, ordinarsi la rinnovazione della notificazione del ricorso, che sanerebbe la nullita' e permetterebbe di esaminare nel merito le censure proposte. Riguardo al presupposto della non manifesta infondatezza, il primo parametro costituzionale che il Collegio ritiene violato e' costituito dall'art. 76 della Costituzione per eccesso di delega. L'art. 44, comma l, della legge 18 giugno 2009, n. 69, che reca la delega al codice, dispone che «il Governo e' delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o piu' decreti legislativi per il riassetto del processo avanti ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato, al fine di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di principi generali e di assicurare la concentrazione delle tutele» e, al comma 2, indica, tra i principi ed i criteri direttivi da seguire, quello di assicurare «l'effettivita' della tutela». Tenuto conto della giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di eccesso di delega il Collegio ritiene che la disposizione con cui il legislatore delegato ha innovativamente limitato l'operativita' dell'efficacia sanante della rinnovazione in caso di nullita' della notificazione imponendo al giudice il preliminare vaglio dell'esistenza dell'errore scusabile («se ritiene che l'esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante»), diversamente da quanto avveniva prima del codice del processo amministrativo ed avviene tutt'ora nel processo civile, nel processo tributario e nel processo contabile, non possa essere qualificato da nessun punto di vista come un coerente sviluppo o un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, dato che si pone in espresso contrasto con la finalita' di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di principi generali e di assicurare il principio di effettivita' della tutela giurisdizionale. Ed in vero, l'art. 44, comma 4, c.p.c. ha introdotto relativamente al processo amministrativo una disciplina diversa da quella stabilita dall'art. 46, comma 24, della legge 18 giugno 2009 n. 69 («24. Il primo comma dell'art. 291 del codice di procedura civile si applica anche nei giudizi davanti ai giudici amministrativi e contabili»), che aveva esteso al processo amministrativo e contabile l'istituto della rinnovazione previsto dall'art. 291 c.p.c. (derivante dall'art. 145 del c.p.c. del 1865), secondo cui: «Se il convenuto non si costituisce e il giudice istruttore rileva un vizio che importi nullita' nella notificazione della citazione fissa all'attore un termine perentorio per rinnovarla. La rinnovazione impedisce ogni decadenza». A seguito dell'entrata in vigore della legge n. 69 del 2009, l'art. 291 c.p.c. era stato pacificamente applicato al processo amministrativo (cfr. Cons. Stato, sez. III, 5 agosto 2011, n. 4716) e gia' prima era emerso nella giurisprudenza un indirizzo favorevole all'applicazione anche al processo amministrativo di tale disposizione normativa (cfr. Cons. Stato, 6 maggio 1989, n. 286; 17 febbraio 1986, n. 121, secondo cui: «La notificazione del ricorso giurisdizionale amministrativo nulla va rinnovata, nel termine perentorio stabilito dal giudice, con impedimento al verificarsi, nel rispetto di tale termine, della decadenza, ai sensi del principio generale enunciato dagli artt. 291, comma l e 350, comma 1, c.p.c.»). Nonostante l'inserimento nell'ambito del generale rinvio alla disciplina processualcivilistica in materia di notifiche previsto dall'art. 39, comma 2, c.p.a., secondo cui: «le notificazioni degli atti del processo amministrativo sono comunque disciplinate dal codice di procedura civile e dalle leggi speciali concernenti la notificazione degli atti giudiziari in materia civile», l'art. 44, comma 4, c.p.c. ha circoscritto la possibilita' di rinnovazione al solo caso di nullita' della notifica per causa non imputabile al notificante. La ratio dell'art. 44, comma 4, c.p.c., sarebbe da rinvenire nella peculiare struttura del giudizio amministrativo, caratterizzato da brevi termini perentori per la sua introduzione e dall'assenza dell'istituto della contumacia (cfr. Corte cost., 31 gennaio 2014, n. 18, secondo cui «la peculiare struttura del giudizio amministrativo e' di per se' ostativa dell'applicabilita' della summenzionata regola processuale civilistica nel giudizio amministrativo»). Tale orientamento, a parere del Collegio, merita un'accurata rimeditazione, anche alla luce della piu' recente evoluzione della giurisprudenza costituzionale. In vero, con sentenza 26 giugno 2018, n. 132, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 44, comma 3, del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), limitatamente alle parole «salvi i diritti acquisiti anteriormente alla comparizione», per violazione dei principi e dei criteri direttivi della legge delega che imponevano al legislatore delegato di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, e di coordinarle con le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto espressive di principi generali. Per la Corte, la disposizione censurata, in primo luogo, si pone in aperto contrasto con l'art. 156, comma 3, c.p.c., il quale prevede la sanatoria ex tunc della nullita' degli atti processuali per raggiungimento dello scopo, principio, questo, indubbiamente di carattere generale; in secondo luogo, non si pone in linea con la giurisprudenza della Corte di cassazione formatasi con riferimento alla notificazione degli atti processuali civili e con la stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato, antecedente all'entrata in vigore del codice, relativa proprio alla nullita' della notificazione del ricorso. Parimenti, nel caso di specie l'art. 44, comma 4, c.p.c. in primo luogo si pone in aperto contrasto con l'art. 291, comma 1, c.p.c., il quale prevede l'istituto della rinnovazione della notificazione del ricorso che impedisce ogni decadenza in omaggio al principio di conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda nel processo, principio, questo, indubbiamente di carattere generale che discende direttamente dall'ordinamento, interpretato alla luce della Costituzione. In vero, in conformita' con l'indirizzo, espresso dalla sentenza della Corte costituzionale 12 marzo 2007, n. 77 in tema di translatio iudicii, che tendeva a circoscrivere i casi in cui l'errore processuale puo' compromettere in modo irrimediabile l'azione, al principio delineato dagli artt. 24 e 111 Cost., per cuile disposizioni processuali non sono fine a se stesse, ma funzionali alla miglior qualita' della decisione di merito, si ispira pressoche' costantemente - nel regolare questioni di rito - il vigente codice di procedura civile, che non sacrifica il diritto delle parti ad ottenere una risposta, affermativa o negativa, in ordine al «bene della vita» oggetto della loro contesa. Il principio di conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda nel processo discende, dunque, direttamente dall'ordinamento, interpretato alla luce della Costituzione. La stessa disciplina della translatio iudicii presuppone un trattamento uniforme fra le diverse giurisdizioni della sanatoria delle nullita' della notificazione dell'atto introduttivo, perche' tale uniformita' condiziona la produzione di quegli effetti che la translatio mira a conservare. In secondo luogo, la disposizione censurata non si pone in linea con la giurisprudenza della Corte di cassazione formatasi con riferimento alla notificazione delle impugnazioni, per le quali parimenti la notifica dell'atto introduttivo va effettuata entro termini perentori (cfr., per tutte, Cass. civ., 27 settembre 2011, n. 19702 in tema di notifica ricorso per cassazione; 15 settembre 2011, n. 18849; 12 maggio 2011, n. 10464; 23 dicembre 2011, n. 28640; 27 febbraio 2008, n. 5212), senza trascurare la sua affermata estensione al rito avanti al giudice tributario per effetto del rinvio di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 546 del 1992 (Cass. Civ., 2 agosto 2000, n. 10136). Ne' il ricorso per cassazione, ne' il procedimento avanti al giudice tributario conoscono l'istituto della contumacia, ma in entrambi i procedimenti e' pacifica, per la Corte di cassazione, l'applicazione dell'art. 291 c.p.c. La disposizione censurata si pone, altresi', in aperto contrasto con la stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato, antecedente all'entrata in vigore del codice, relativa proprio alla nullita' della notificazione del ricorso (cfr. Cons. Stato, 12 giugno 2009, n. 3747; 6 maggio 1989, n. 286; 17 febbraio 1986, n. 121). Un ulteriore profilo di illegittimita' della norma censurata si ravvisa rispetto al parametri della ragionevolezza e della proporzionalita' ricavabili dall'art. 3 della Costituzione. L'irragionevolezza e la violazione del principio di proporzionalita' risultano manifesti anche ove si consideri che in tal modo viene a determinarsi un'ingiustificata lesione del diritto di difesa sancito dall'art. 24 della Costituzione, del principio di effettivita' di tutela di cui all'art. 111 e del diritto ad un processo equo ai sensi dell'art. 6 della Convenzione EDU, il quale, secondo la giurisprudenza della Corte europea, implica che eventuali limitazioni all'accesso ad un giudice possano essere ammesse solo in presenza di un rapporto di proporzionalita' tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito. Quest'ultimo profilo configura una violazione dell'art. 117, comma primo, della Costituzione, per contrasto con la giurisprudenza della Corte EDU (cfr. Corte costituzionale, 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349). Infatti la norma di cui si contesta la legittimita', per un errore nella notifica che ha un rilievo meramente formale una volta che sia avvenuta la rinnovazione, finisce per porre un ostacolo procedurale che preclude definitivamente alla parte la possibilita' di far valere la propria posizione dinanzi ad un giudice e costituisce una sostanziale negazione del diritto invocato, frustrando definitivamente la legittima aspettativa delle parti rispetto al bene della vita al quale aspiravano, senza un giusto equilibrio tra gli interessi pubblici e privati in gioco. Infatti alla luce dei principi costituzionali e sovranazionali sembra da escludere, in materia processuale, la compatibilita' con la Costituzione di soluzioni dirette a conferire rilievo a meri formalismi che limitano il diritto d'azione compromettendone l'essenza, qualora non siano giustificati da effettive garanzie difensive o da concorrenti e prevalenti interessi di altra natura, rivelando, in molti casi, il fallimento della tutela giurisdizionale e della sua effettivita'. Ed invero, la tutela delle situazioni giuridiche soggettive prevista dagli artt. 24 e 113 della Costituzione, con particolare riguardo all'interesse legittimo, in attuazione del principio di effettivita' della tutela giurisdizionale, implica la necessita' di favorire la pronuncia di merito, scopo ultimo del processo, senza assecondare decisioni di rito che non siano in un rapporto ragionevole di proporzionalita' con lo scopo perseguito. Per tutte le ragioni esposte il giudizio va sospeso e vanno rimesse alla Corte costituzionale, ai sensi del sopra citato art. 23 legge n. 87 del 1953, le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 44, comma 4, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, limitatamente alle parole «se ritiene che l'esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante», in relazione agli artt. 3, 24, 76, 111, 113 e 117, comma l, Cost., nonche' in relazione ai principi generali della materia dell'equo processo e agli obblighi internazionali che ne derivano ai sensi dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.