TRIBUNALE DI PIACENZA 
           Ufficio dei Giudici per le indagini preliminari 
 
    Il  Giudice   dell'Udienza   preliminare,   sentita   l'eccezione
formulata dall'avv. Andrea Perini,  difensore  dell'imputato  F.  A.,
all'udienza del 16 luglio 2020, con la  quale  e'  stato  chiesto  di
sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  438,
comma 1-bis, del codice di procedura penale e dell'art. 3,  legge  12
aprile 2019, n. 33, in relazione agli articoli 3,  27,commi  2  e  3,
111, commi 2 e 5, Cost.; 
    lette le memorie depositate dalla difesa dell'imputato; 
    sentiti il Pubblico Ministero e il difensore delle parti civili; 
 
                               Osserva 
 
1. Premessa. 
    Si procede nei confronti di F. A., rinviato  a  giudizio  per  la
violazione degli articoli 575, 577 comma 1 n. 1  del  codice  penale,
come descritta all'interno del seguente capo di imputazione: «perche'
dopo una colluttazione, colpiva ripetutamente la moglie convivente E.
A. D. con un coltello da  cucina  provocandole  plurime  ferite,  una
delle quali risultata mortale: la colpiva  infatti  al  collo  (nella
regione antero-laterocervicale sinistra) in modo tale da  trapassarlo
quasi completamente da parte a parte cosi'  procurandole  rapidamente
la morte per emorragia e asfissia. Con la aggravante di aver commesso
il fatto ai danni del coniuge. Fatto  commesso  il  ...,  in  data  6
maggio 2019. Con la recidiva generica». 
    All'udienza odierna l'imputato ha chiesto di essere giudicato con
il rito abbreviato, invocando un'interpretazione  «costituzionalmente
orientata» dell'art.  438,  comma  1-bis,  del  codice  di  procedura
penale, nella parte in cui esclude la  possibilita'  di  accedere  al
giudizio abbreviato quando si procede per reati puniti  con  la  pena
dell'ergastolo. 
    In  seguito  alla  dichiarazione  di  inammissibilita'  di   tale
richiesta  ad  opera  di  questo  G.U.P.,  la  difesa   ha   eccepito
l'illegittimita' costituzionale del suddetto art. 438,  comma  1-bis,
del codice di procedura penale, nonche' dell'art. 3, legge 12  aprile
2019, n. 33 (il quale aveva abrogato il secondo e  il  terzo  periodo
del comma  2  dell'art.  442  del  codice  di  procedura  penale)  in
relazione a una serie  di  parametri  costituzionali,  in  precedenza
menzionati. 
    La questione risulta rilevante e non manifestamente infondata. 
2. La rilevanza della questione. 
    Come noto, la legge 12 aprile 2019, n. 33, entrata in  vigore  il
successivo 20 aprile 2019, all'art. 1 ha previsto l'inserimento,  nel
testo dell'art. 438 del codice di procedura penale, del comma  1-bis,
con il  quale  viene  stabilito  che  «non  e'  ammesso  il  giudizio
abbreviato per i delitti puniti con  la  pena  dell'ergastolo».  Come
conseguenza di tale statuizione,  l'art.  3  della  stessa  legge  ha
disposto l'abrogazione del  secondo  e  terzo  periodo  del  comma  2
dell'art. 442 del codice di procedura penale, i quali  disciplinavano
le modalita' di computo delle riduzioni sanzionatorie  nelle  ipotesi
di condanna all'esito di giudizio abbreviato per delitti  puniti  con
la pena dell'ergastolo. 
    Le modifiche normative appena descritte risultano applicabili  al
caso di specie, anzitutto in quanto la  contestazione  del  reato  di
omicidio volontario riguarda un fatto  avvenuto  il  6  maggio  2019,
quindi successivamente all'entrata in vigore della legge  n.  33  del
2019, inoltre perche' il richiamo della circostanza aggravante di cui
all'art. 577, comma 1, n. 1 del codice penale rende il reato  per  il
quale si procede punibile con la sanzione dell'ergastolo. 
    Cio' premesso, l'accertamento della  legittimita'  costituzionale
del comma 1-bis dell'art. 438 del codice di procedura  penale  assume
rilevanza nel procedimento in corso in  quanto  la  vigenza  di  tale
disposizione  impedisce  all'imputato   di   accedere   al   giudizio
abbreviato. In proposito, non sono possibili letture  alternative  in
grado di superare la preclusione in discorso, ad  esempio  sostenendo
che, tecnicamente, il delitto per cui si procede e' sanzionato con la
pena   dell'ergastolo   solo   per   effetto   della    contestazione
dell'aggravante speciale sopra  richiamata  e  che,  dunque,  sarebbe
possibile ammettere il giudizio  abbreviato  per  l'accertamento  del
reato  di  omicidio  volontario,  indipendentemente  dalle   ricadute
sanzionatorie derivanti dal computo di eventuali aggravanti speciali. 
    L'opzione interpretativa suggerita in  tal  senso  dalla  difesa,
richiamando   distinzioni   tra   delitti   circostanziati   e    non
circostanziati che sono state operate in altri interventi legislativi
(tra i quali quello in tenia di «messa  alla  prova»,  con  legge  28
aprile 2014, n. 67), non si ritiene percorribile nel caso di  specie.
L'intervento normativo attuato con la legge n. 33 del 2019,  infatti,
come si avra' modo di precisare in seguito, non  e'  stato  volto  ad
escludere dal novero delle ipotesi nelle quali si possa procedere con
il rito abbreviato una determinata categoria di reati, ma ha  proprio
perseguito il chiaro scopo di evitare che  la  peculiare  premialita'
sanzionatoria associata a questo procedimento speciale, per  il  caso
di condanna, possa di fatto stemperare la gravita' di fatti percepiti
come  di  estremo  allarme  sociale.  Da  questo  punto   di   vista,
nell'ottica  del  legislatore  del  2019,   l'attenzione   e'   stata
evidentemente focalizzata sull'esigenza di impedire la  realizzazione
di un certo tipo di risultato finale, ritenuto non  coerente  con  la
tenuta del sistema (e stridente  con  la  sensibilita'  dell'opinione
pubblica),  piuttosto  che  disciplinare  a  priori  un  catalogo  di
illeciti  -  circostanziati  o  non  circostanziati  -  per  i  quali
escludere l'accesso al rito abbreviato. 
    Del  resto,  come   correttamente   sottolineato   dalla   difesa
dell'imputato, la volonta' legislativa, tendente a porre  in  rilievo
gli effetti sul piano sanzionatorio di determinate contestazioni piu'
che la loro riconducibilita' a un certo  novero  di  fattispecie,  si
percepisce nitidamente nell'inserimento, avvenuto sempre con legge n.
33 del 2019, del nuovo comma 1-bis dell'art. 441-bis  del  codice  di
procedura  penale,  il  quale  prevede  che  «se,  a  seguito   delle
contestazioni,  si  procede  per   delitti   puniti   con   la   pena
dell'ergastolo, il giudice revoca, anche d'ufficio,  l'ordinanza  con
cui era stato disposto  il  giudizio  abbreviato  e  fissa  l'udienza
preliminare o la sua eventuale prosecuzione». Nel concetto  di  nuove
contestazioni, infatti, deve ritenersi compresa anche quella  di  una
circostanza aggravante ad effetto speciale, capace di influire  sulla
punibilita' del fatto  con  la  pena  dell'ergastolo,  che  comporta,
secondo quanto previsto dalla nuova nonna, la revoca  dell'ammissione
del  giudizio  abbreviato  e  il  ritorno  alla   fase   dell'udienza
preliminare. 
    Fatta questa  premessa  circa  l'impossibilita'  di  pervenire  a
interpretazioni  «costituzionalmente   orientate»   della   normativa
impugnata, si conferma il profilo della rilevanza della questione, in
quanto appare  pacifico  che  il  procedimento  nel  quale  e'  stata
proposta l'eccezione  di  incostituzionalita'  dell'art.  438,  comma
1-bis del codice di procedura penale, a seguito della declaratoria di
inammissibilita' dell'istanza di giudizio abbreviato formulata  dalla
difesa, non e' suscettibile di proseguire senza che la norma  oggetto
sia  sottoposta  a  scrutinio  di  legittimita'  costituzionale.   In
particolare, per l'imputato F. non sussistono  altre  strade  se  non
quella del processo ordinario, connotato, nell'ipotesi  di  emissione
di decreto di rinvio a giudizio, dalla celebrazione del  dibattimento
di fronte alla Corte di Assise. Nel caso di emissione di sentenza  di
non luogo a procedere ai sensi dell'art. 425 del codice di  procedura
penale,  poi,  l'imputato  resterebbe  comunque  a  rischio  di   una
possibile revoca del provvedimento conclusivo della fase processuale,
alle condizioni  previste  dagli  articoli  434  ss.  del  codice  di
procedura penale. 
    Entrambe  le  prospettive  appena  enunciate,   alle   quali   si
aggiungono  ulteriori  conseguenze  pregiudizievoli  -  pensando   ad
esempio al prolungamento del periodo di custodia cautelare durante il
dibattimento  -  rendono   fondata   l'aspirazione   difensiva   alla
definizione del processo con rito  abbreviato,  rispetto  alla  quale
unico strumento di tutela  resta  la  proposizione  di  incidente  di
costituzionalita'. 
    Si aggiunga, infine, una  chiosa  relativa  alle  ricadute  della
nuova disciplina sul tema  dell'esecuzione  della  pena  in  caso  di
condanna, in relazione al  quale,  non  potendo  piu'  contare  sulle
sostituzioni sanzionatorie  previste  dall'art.  442,  comma  2,  del
codice  di  procedura  penale  nel  testo   precedente   all'avvenuta
abrogazione,  il  condannato  all'ergastolo   vedrebbe   restringersi
notevolmente la possibilita' di fruire, in  termini  di  tempo  e  di
opportunita', di una serie di benefici penitenziari. 
    Sulla base di simili considerazioni  va  affermata  la  rilevanza
della questione che si inoltra alla Corte costituzionale. 
3. La non manifesta infondatezza. 
    Tenuto  conto  delle  argomentazioni  illustrate   dalla   difesa
dell'imputato all'udienza odierna e all'interno di  apposita  memoria
depositata  agli  atti,  questo  Giudice  reputa  la   questione   di
legittimita' costituzionale delle norme  oggetto  non  manifestamente
infondata unicamente in relazione ai  parametri  rappresentati  dagli
articoli 3, 27, comma 2 e 111,  comma  2,  Cost.  Non  si  condivide,
invece,  la  prospettazione  difensiva  in   ordine   alla   presunta
illegittimita'  costituzionale  delle   disposizioni   impugnate   in
relazione all'articoli 27, comma 3, e all'art. 111, comma 5, Cost. 
    Conviene partire dall'illustrazione del presunto contrasto tra il
nuovo testo dell'art. 438,  comma  1-bis,  del  codice  di  procedura
penale e l'art. 27, comma 2, Cost., espressione della presunzione  di
non colpevolezza in materia  penale.  Al  riguardo,  si  richiama  il
contenuto della relazione accompagnatoria della proposta di legge  n.
392 del 27 marzo  2018,  nella  parte  in  cui  riporta  le  seguenti
osservazioni a sostegno  dell'iniziativa  legislativa  assunta:  «Se,
infatti,  consentire  la  scelta  del  giudizio  abbreviato   risulta
giustificabile  in  via  generale  per  motivi  legati   a   esigenze
deflative, cio' non sembra accettabile  per  reati  che,  in  ragione
della loro gravita', il codice penale punisce tanto severamente e che
creano  un  grave  allarme  sociale  nell'opinione  pubblica.   Desta
sconcerto l'applicazione, molte volte, di pene  notevolmente  ridotte
rispetto alla pena perpetua inizialmente prevista dal codice penale». 
    Ebbene, come gia' accennato in precedenza, appare evidente che la
scelta normativa di escludere l'accesso al rito abbreviato sia  stata
attuata  al  precipuo  scopo  di  evitare  che  il  meccanismo  delle
riduzioni sanzionatorie operante in caso di condanna possa  provocare
effetti in contrasto  con  la  percezione  della  gravita'  di  certi
episodi delittuosi da parte dell'opinione pubblica. L'opzione seguita
risulta espressione della discrezionalita' del  legislatore  e,  come
detto,  risponde  all'esigenza  di  soddisfare  le  istanze  punitive
provenienti da una parte dell'elettorato: sennonche',  la  disciplina
volta al perseguimento di tale scopo appare chiaramente in  contrasto
con  la  presunzione  di  non   colpevolezza.   In   altri   termini,
nell'impedire  a  un  imputato  rinviato   a   giudizio   per   reati
astrattamente puniti con la pena dell'ergastolo di accedere  al  rito
abbreviato solo ed esclusivamente per evitare il rischio che, in caso
di condanna, la pena possa risultare troppo mite rispetto  al  comune
sentire, il legislatore ha implicitamente anticipato  un'affermazione
di colpevolezza dell'accusato, precludendo allo stesso di  fruire  di
una  modalita'  procedurale  di  accertamento  dei  fatti   e   delle
responsabilita' che non  necessariamente  deve  concludersi  con  una
sentenza di condanna. 
    Ancorche' nei lavori preparatori dell'attuale Codice di procedura
penale il giudizio abbreviato fosse  stato  definito  «patteggiamento
sul rito»  con  innegabile  attribuzione  di  valore  specifico  alla
premialita' dell'istituto per l'ipotesi  di  condanna,  non  si  puo'
negare che la consistente riduzione di pena prevista  in  favore  del
condannato sia  controbilanciata  dall'accettazione  di  un  giudizio
«allo stato degli atti»  senza  possibilita'  per  il  richiedente  -
quanto meno nelle forme dell'abbreviato «semplice» -  di  beneficiare
del metodo del  contraddittorio  nella  formazione  della  prova.  In
questo senso, tuttavia, l'accettazione del processo  celebrato  sulla
sola base delle risultanze investigative non  puo'  essere  collegata
univocamente alla convinzione dell'imputato di essere condannato,  ma
puo' ben essere sostenuta dall'intenzione di ottenere  una  pronuncia
di proscioglimento nel merito proprio fondata su lacune o  incertezze
degli esiti delle indagini,  non  suscettibili  di  ulteriore  sbocco
probatorio nella fase dibattimentale. 
    Alla  luce  di  queste  considerazioni,  e'   evidente   che   lo
sbarramento all'accesso al rito abbreviato,  disciplinato  unicamente
attraverso il riferimento alla tipologia di pena irrogabile  in  caso
di condanna, comporta un'illegittima violazione del principio di  cui
all'art. 27, comma 2, Cost., impedendo all'imputato  -  presunto  non
colpevole - di poter contare su una procedura piu'  snella  e  celere
rispetto a quella dibattimentale per giungere all'accertamento  della
sua eventuale responsabilita', ma anche al suo proscioglimento. 
    A questo  tema  si  lega  la  compressione  del  principio  della
ragionevole durata del processo, salvaguardato dall'art.  111,  comma
2, Cost. Il valore appena  menzionato  rappresenta,  all'interno  del
dettato costituzionale, una garanzia della giurisdizione, ma non puo'
essere sottaciuta la sua diretta assonanza con  il  canone  enunciato
nel  par.  1  dell'art.  6  C.e.d.u.   tra   i   diritti   soggettivi
dell'accusato, norma da ritenersi di rango costituzionale,  visto  il
meccanismo  di  richiamo  dei  principi   sovranazionali   assicurato
dall'art. 117 Cost. 
    La limitazione dell'accesso al giudizio abbreviato per colui  che
risulta imputato di un  delitto  astrattamente  punito  con  la  pena
dell'ergastolo influisce indubbiamente sulle prospettive di celerita'
di  un  processo  che,  in  assenza  di  alternative,   deve   essere
necessariamente celebrato secondo il rito ordinario. Valutando  come,
per la previsione di cui all'art. 5 del codice di  procedura  penale,
la  competenza  a  giudicare  i  delitti  sanzionati  con   la   pena
dell'ergastolo spetti alla Corte di Assise,  si  devono  prendere  in
considerazione una serie  di  fattori  che  inevitabilmente  incidono
sulla durata della fase processuale, per ragioni che  possono  essere
ricondotte  alla  fisiologia  del  sistema  e  ad  alcune  situazioni
patologiche. 
    In prima  battuta,  e'  chiaro  che  lo  svolgimento  di  udienze
dibattimentali dedicate all'assunzione di prove orali - tra le  quali
vanno ricomprese non solo le testimonianze ma anche l'esame di periti
e consulenti tecnici - cosi come l'impossibilita' di fruire,  se  non
con  il  consenso  delle  parti,   di   contributi   probatori   gia'
confezionati  al  termine  delle  indagini  (quali  ad   esempio   le
trascrizioni    sommarie    delle    conversazioni     intercettate),
costituiscono elementi di sicura rilevanza nella  valorizzazione  dei
tempi processuali. A cio' si aggiungano, come fattore di  rischio  di
allungamento dei tempi del processo, le probabilita' di mutamento  in
corso di causa della composizione di un collegio formato, come quello
della Corte di Assise, da otto giudici, con un  rischio  concreto  di
ripetizione  dell'istruttoria  dibattimentale  ben   piu'   tangibile
rispetto a quanto potrebbe verificarsi nel corso di un giudizio «allo
stato degli atti» celebrato di fronte a un giudice monocratico. 
    Oltre a tali aspetti, come detto, non puo' ignorarsi  l'incidenza
di disfunzioni patologiche del  sistema,  le  quali  non  sono  state
oggetto  di  intervento  normativa  contestualmente   alla   modifica
legislativa  oggi  oggetto  di  impugnazione.  Ci  si  riferisce,  in
proposito, alle note difficolta' di  organizzazione  di  processi  di
competenza della Corte di Assise  in  realta'  di  uffici  giudiziari
medio-piccoli (come Piacenza),  dove  non  e'  generalmente  prevista
l'istituzione di sezioni appositamente dedicate a simili  incombenze,
con il problema  della  calendarizzazione  di  udienze  «eccezionali»
rispetto al regime ordinario delle trattazioni assegnate  ai  giudici
togati in servizio pressa il Tribunale. 
    I profili appena delineati  rendono  palese  come  la  scelta  di
ridurre le possibilita' di accesso al giudizio abbreviato, escludendo
simile modalita' di accertamento dei fatti per determinati  illeciti,
comporti   una   illegittima   compressione   sia    dell'aspettativa
dell'imputato alla celebrazione di un processo  in  tempi  congrui  -
tanto piu' allorche', come nel caso di F.,  lo  stesso  si  trovi  in
stato di custodia cautelare - sia  del  principio  della  ragionevole
durata del processo quale garanzia della giurisdizione e  valvola  di
equilibrato funzionamento del sistema. 
    Richiamate tutte  le  osservazioni  appena  svolte,  si  conclude
l'illustrazione della questione di legittimita' costituzionale  delle
specifiche  previsioni  introdotte  con  legge   n.   33   del   2019
concentrandosi sulla violazione dell'art. 3 Cost., sotto  il  profilo
dell'eguaglianza e della ragionevolezza. 
    In proposito,  giova  rilevare  come  le  disposizioni  impugnate
abbiano inteso  delimitare  l'ambito  di  operativita'  del  giudizio
abbreviato,  identificando  un'importante  eccezione  rispetto   alla
regola generale che consente l'accesso a tale rito speciale per tutte
le tipologie di reato. 
    La preclusione in discorso risulta fondata  sulla  previsione  in
astratto della punibilita' con l'ergastolo del delitto per  il  quale
si procede. Si tratta di una scelta frutto della discrezionalita' del
legislatore che, in linea  di  principio,  puo'  sicuramente  operare
nell'individuazione  delle  tipologie  di  reato  per  le  quali  non
consentire la celebrazione del processo attraverso  riti  diversi  da
quello ordinario (cosi' Corte cost., ord. n. 455 del 28 dicembre 2006
in tema di  patteggiamento).  Il  limite  di  tale  discrezionalita',
tuttavia,  viene  individuato  dalla  giurisprudenza   costituzionale
appena citata nell'arbitrarieta' delle  scelte  legislative,  che  si
pongano in contrasto con criteri di ragionevolezza. 
    Da questo punto di vista, non puo' negarsi che la nuova norma  di
cui all'art. 438,  comma  1-bis,  del  codice  di  procedura  penale,
nell'impedire la trattazione del processo «allo stato degli atti» per
l'imputato accusato  di  reati  punti  con  la  pena  dell'ergastolo,
realizzi un'irragionevole disparita' di  trattamento  tra  situazioni
omogenee   e,   contemporaneamente,   parifichi   ingiustificatamente
situazioni assolutamente eterogenee, come peraltro evidenziato  dalla
difesa di F. A. 
    Questo soggetto e'  stato  rinviato  a  giudizio  per  l'omicidio
volontario della moglie: orbene, a causa dell'imputazione formulata a
suo carico, che contempla la  contestazione  dell'aggravante  di  cui
all'art. 577, comma 1,  n.  1)  del  codice  penale,  egli  non  puo'
ottenere di essere giudicato con le forme del rito abbreviato, mentre
tale opportunita' non gli sarebbe stata preclusa se lui e la  vittima
fossero stati divorziati oppure legati da relazione  affettiva  ormai
cessata, alla luce del disposto dell'art. 577, ult. comma, del codice
penale. In altri termini, il disvalore penale del fatto, che in  caso
di accertamento con sentenza definitiva comporta -  legittimamente  -
conseguenze  sanzionatorie   diverse   per   le   situazioni   appena
menzionate,  assume  rilievo  determinante  nel  condizionare,  prima
ancora di giungere  all'applicazione  della  pena,  le  modalita'  di
svolgimento del processo. Un processo nel quale colui che e' accusato
di aver ucciso il coniuge, cosi' come  il  presunto  autore  di  ogni
altro omicidio, potrebbe avere l'intenzione di essere  giudicato  con
il rito abbreviato anche per arrivare piu'  celermente  alla  propria
assoluzione, non solo per ottenere uno sconto  di  pena  in  caso  di
condanna. 
    La normativa attualmente in vigore, come si  e'  visto,  preclude
categoricamente  una  simile  scelta,  salva   la   possibilita'   di
«recupero»  della  riduzione  sanzionatoria  qualora,  all'esito  del
dibattimento, il giudice  dovesse  riconoscere  che  sussistevano  !e
condizioni per la celebrazione del  rito  abbreviato,  ai  sensi  del
novellato art. 438, comma 6-ter, del codice di procedura penale. 
    Proprio  ragionando  sulla  portata  di  quest'ultima  previsione
normativa, si coglie un ulteriore  profilo  di  irragionevolezza  tra
situazioni omogenee, che rende la nuova disciplina insanabilmente  in
contrasto con l'art. 3 Cost. Si pensi all'ipotesi in cui, proprio  in
tema di omicidio volontario, l'imputato venisse rinviato  a  giudizio
ad esempio con la contestazione dell'aggravante della premeditazione,
ex art. 577, comma 1, n. 3) del codice di procedura  penale.  Ebbene,
qualora all'esito del processo  (ordinario,  celebrato  innanzi  alla
Corte di Assise) la predetta circostanza  aggravante  dovesse  essere
esclusa, vi sarebbe la possibilita', per l'imputato  che  in  udienza
preliminare  aveva  sentito  dichiarare  inammissibile   la   propria
richiesta di giudizio abbreviato, di godere  della  riduzione  di  un
terzo della  pena  irroganda.  Un  beneficio  non  fruibile,  invece,
allorche' l'aggravante  ad  effetto  speciale  fosse  bilanciata  con
eventuali circostanze attenuanti,  in  grado  di  incidere  in  senso
favorevole sul computo dell'eventuale pena applicabile, ma senza  dar
luogo alle diminuzioni previste dall'art. 442 del codice di procedura
penale. 
    In simili situazioni,  a  prescindere  dall'operativita'  o  meno
della  riduzione  sanzionatoria,  non  puo'  sfuggire   l'illogicita'
dell'attribuzione al Pubblico Ministero del potere di condizionare in
maniera irreversibile, attraverso la contestazione di una circostanza
aggravante la cui fondatezza possa essere  accertata  solo  all'esito
del  dibattimento,  la  modalita'  di   svolgimento   del   processo,
precludendo  all'imputato  ab  origine   la   scelta   del   giudizio
abbreviato, come ai tempi in cui, prima dell'entrata in vigore  della
legge 16 dicembre 1999, n. 479, l'organo della  pubblica  accusa  era
tenuto a esprimere il proprio consenso sulla richiesta di  tale  rito
speciale. 
    Si tratta, a ben  vedere,  di  un'ulteriore  dimostrazione  della
violazione  del  principio  di  eguaglianza,   da   intendersi   come
irragionevolezza  della   disciplina   regolatrice   di   fattispecie
analoghe. 
    L'incongruenza  della  scelta  legislativa  si  percepisce  anche
nell'aver destinato a una stessa preclusione  processuale  situazioni
eterogenee, creando un'illogica parita' di trattamento tra le stesse.
Basti pensare, al riguardo, che il catalogo dei reati punibili con la
pena  dell'ergastolo   ricomprende   al   suo   interno   fattispecie
completamente diverse tra di loro, sia per  bene  giuridico  tutelato
(evidenti le  differenze  tra  il  delitto  di  strage  e  quello  di
sequestro di persona a scopo di estorsione), sia per la tipologia  di
comportamento delittuoso sanzionato. 
    Il minimo comun denominatore rappresentato dalla punibilita'  con
l'ergastolo,  inoltre,  finisce  per  raggruppare  delitti   che   il
legislatore del 2019  definisce  nelle  proprie  intenzioni  come  di
«grave allarme  sociale»,  ma  che  non  trovano  corrispondenza  nei
cataloghi di illeciti gia' qualificati in tal modo  per  altri  fini.
Solo a titolo di esempio,  si  pensi  all'elenco  dei  reati  di  cui
all'art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, rispetto ai
quali si giustifica l'impiego di particolari strumenti  di  indagine;
oppure ai delitti per i quali, ai sensi dell'art. 275, comma  3,  del
codice di procedura penale opera la presunzione di adeguatezza  della
custodia cautelare in carcere. Altro significativo  riferimento  alla
conclamata gravita' dei reati  si  coglie  nella  disciplina  di  cui
all'art. 4-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, il  quale  impedisce  ai
relativi responsabili di godere di determinati benefici penitenziari.
In altri  termini,  nella  delimitazione  dell'ambito  operativo  del
giudizio abbreviato sono  stati  ricompresi  una  serie  di  delitti,
accomunati esclusivamente dalla previsione sanzionatoria  della  pena
dell'ergastolo, senza che sia  ravvisabile,  a  livello  di  politica
criminale, un tentativo di coordinamento  con  altre  elencazioni  di
delitti definibili come di particolare gravita'. 
    A ben vedere, a difettare di coerenza sistematica e'  proprio  la
ragione giustificatrice stessa dell'intervento normativo attuato  con
legge n. 33 del 2019, nella parte in cui ha introdotto il comma 1-bis
dell'art.   438   del   codice   di   procedura   penale,   abrogando
contestualmente il secondo e il terzo periodo del comma  2  dell'art.
442 del codice di  procedura  penale.  Come  si  e'  sottolineato  in
precedenza,  infatti,   il   principio   ispiratore   della   novella
legislativa e'  stato  rappresentato  dall'esigenza  di  evitare  gli
effetti «sconcertanti»  derivanti  dall'operativita'  del  meccanismo
delle riduzioni sanzionatorie nelle ipotesi di delitti puniti con  la
pena dell'ergastolo. 
    Ebbene, pur nel rispetto della discrezionalita' del  legislatore,
la scelta di limitare l'accesso al giudizio abbreviato nelle  ipotesi
in cui sia contestato un reato  punito  con  la  pena  dell'ergastolo
finisce per dar luogo a irragionevoli  disparita'  di  trattamento  e
alle violazioni sopra enunciate di importanti valori  costituzionali.
E una simile opzione appare tanto piu' irragionevole, quanto piu'  si
pensi  che  la  determinazione  della  pena  in  concreto  e  la  sua
proporzionalita'  rispetto  alla  gravita'  dei  fatti  da  accertare
dipende  in  larga  misura  dall'operativita'  di  altri  e   diversi
istituti, dal meccanismo  di  bilanciamento  delle  circostanze  alla
valorizzazione dei criteri di cui agli articoli 132 e 133 del  codice
penale. 
    Alla luce di tali considerazioni, si  reputa  non  manifestamente
infondata la questione di  legittimita'  costituzionale  proposta  in
relazione ai parametri di cui agli articoli  3,  27,  comma  2,  111,
comma 2, Cost. 
4. Le censure manifestamente infondate. 
    Rispetto ai rilievi mossi  dalla  difesa  dell'imputato,  non  si
ritiene di condividere la valutazione di non  manifesta  infondatezza
della  questione  di  legittimita'  costituzionale  con  riguardo  ai
parametri di cui all'art. 27, comma 3, Cost. e 111, comma 5, Cost. 
    Si  reputa  infatti  che  la  normativa   impugnata   non   abbia
direttamente  inciso  in  maniera  illegittima  sulla  tendenza  alla
rieducazione del trattamento sanzionatorio  applicabile  all'imputato
cui risulti preclusa  la  scelta  del  giudizio  abbreviato,  proprio
perche', come sottolineato dalla  difesa  di  F.,  la  giurisprudenza
costituzionale ha ormai da tempo escluso che  vi  sia  contrasto  tra
l'affermazione  del  principio  rieducativo  della  pena  nel   testo
costituzionale e  l'istituto  dell'ergastolo.  Dunque,  una  modifica
normativa che possa, a livello statistico,  comportare  un  ipotetico
aumento di condanne alla pena dell'ergastolo - vista  la  restrizione
delle  ipotesi  di  accesso  al  rito  abbreviato  e  di  conseguente
sostituzione, in caso di condanna,  della  pena  della  reclusione  a
quella perpetua, secondo  la  normativa  oggi  abrogata  -  non  puo'
ritenersi di per se' illegittima per violazione dell'art.  27,  comma
3, Cost. 
    Anche in relazione al tema  della  contrarieta'  della  normativa
introdotta dalla legge n. 33 del 2019 con l'art. 111, comma 5, Cost.,
non si ravvisano dubbi di illegittimita' costituzionale, che  rendano
necessaria    la    proposizione    di    apposito    incidente    di
costituzionalita'. 
    Pur apprezzando, al riguardo,  le  argomentazioni  esposte  dalla
difesa di F.,  non  ci  si  puo'  esimere  dal  sottolineare  che  la
previsione del comma 5 dell'art. 111 Cost. si limiti ad affermare  il
principio  per  il  quale  eventuali  eccezioni   alla   regola   del
contraddittorio  nella  formazione   della   prova,   fondate   sulla
valorizzazione   del   consenso   dell'imputato,    debbano    essere
appositamente disciplinate dalla legge. Benche' in un noto precedente
la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 184 del 26 giugno 2009)
avesse avuto modo di sottolineare che il contraddittorio nel  momento
genetico della prova rappresenti  «precipuamente»  uno  strumento  di
salvaguardia del  rispetto  delle  prerogative  dell'imputato,  resta
fermo il fatto che l'ambito di operativita'  di  tale  consenso  deve
essere circoscritto dal legislatore ordinario, cosa  che,  in  ultima
analisi, e' avvenuta nel contesto della legge n. 33 del 2019. 
    E' possibile - anzi doveroso - interrogarsi sulla ragionevolezza,
anche in chiave sistematica, di  tale  intervento  normativo,  ma  lo
stesso non puo'  definirsi  in  sospetto  contrasto  con  il  dettato
costituzionale per il solo fatto di aver ristretto il ventaglio delle
possibili espressioni del consenso dell'imputato nell'accesso ai riti
speciali, inteso come eccezione alla regola del contraddittorio nella
formazione della  prova.  Da  questo  punto  di  vista,  infatti,  il
principio della riserva di legge espresso  dall'art.  111,  comma  5,
Cost. puo' dirsi rispettato. 
5. Le questioni gia' proposte. 
    Si evidenzia, infine, come con ordinanza datata 6  novembre  2019
il G.U.P. presso il Tribunale di La Spezia abbia sollevato  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 438, comma 1-bis, del codice
di procedura penale, con riferimento agli articoli 3 e 111, comma  2,
Cost., nonche' dell'art. 5, legge n. 33 del  2019  in  rapporto  agli
articoli 117 Cost. e 7 Cedu. Il provvedimento e' stato iscritto al n.
1/2020 del Registro delle questioni  di  legittimita'  costituzionale
attualmente pendenti. 
    Va inoltre segnalato che, con ordinanza del 26 novembre 2019,  la
Corte di Assise di Torino ha dichiarato non manifestamente infondata,
sebbene  rilevante  nel  giudizio  a  quo,   analoga   questione   di
costituzionalita', sollevata  dalla  difesa  di  imputato  che  aveva
proposto istanza di  ammissione  al  giudizio  abbreviato  dichiarata
inammissibile perche' tardiva. 
    Un'ultimissima considerazione nel segnalare Corte  costituzionale
che il presente procedimento riguarda  un  imputato  sottoposto  alla
misura della custodia cautelare in carcere, per la quale la difesa ha
prestato il consenso alla sospensione dei termini  massimi  ai  sensi
dell'art. 304, comma 4, del codice di procedura penale  in  relazione
all'art. 304, comma 1, lett. a) del codice di procedura  penale,  con
termine massimo ex art. 304, comma 6, del codice di procedura  penale
in scadenza il 7 maggio 2021.