TRIBUNALE DI FIRENZE 
                        prima sezione penale 
 
    Il giudice, dott. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato
a carico di: 
        1. E. A., nato in  ...,  in  Italia  s.f.d.  -  elettivamente
domiciliato presso l'avv.  Matilde  Gabrielli  del  Foro  di  Firenze
(elezione nel corso dell'interrogatorio in sede di convalida), difeso
di fiducia dall'avv. Matilde Gabrielli del Foro di Firenze (nomina  a
seguito  dell'arresto);  sottoposto  per  questa  causa  alla  misura
dell'obbligo, di presentazione alla Polizia giudiziaria;  ammesso  al
Patrocinio a spese dello Stato;  che  parla  e  comprende  la  lingua
italiana (accertamento all'udienza del 31 agosto 2019); 
        2.   F.  H.  M.  Z.,  nata  in   ...,   cittadina   italiana,
elettivamente domiciliata presso l'avv.Matilde Gabrielli del Foro  di
Firenze  (elezione  nel  corso   dell'interrogatorio   in   sede   di
convalida), difesa di fiducia dall'avv. Matilde Gabrielli del Foro di
Firenze (nomina a seguito dell'arresto); sottoposta per questa  causa
alla   misura   dell'obbligo,   di   presentazione    alla    Polizia
giudiziaria; che parla e comprende la lingua  italiana  (accertamento
all'udienza del 31 agosto 2019); 
    arrestati in quasi flagranza di reato in data ... e  oggetto  del
decreto di presentazione diretta in giudizio per il rito direttissimo
con la seguente imputazione in ordine al reato di cui  agli  articoli
116 e 628, comma 2 c.p. perche', in  concorso  tra  loro  e  comunque
previo concerto,  sottraevano  dagli  scaffali  del  supermercato  ad
insegna ... sito in ... nel Comune di ...  alcuni  generi  alimentari
(una confezione di gelati, una bottiglia di aranciata, una lattina di
Redbull, dei biscotti e della schiacciata, per un valore  complessivo
di euro 8,77, che occultavano all'interno dei loro zainetti)  e,  una
volta giunti alle  casse  senza  pagare,  per  assicurare  a  se'  il
possesso di tali cose  e  procurarsi  l'impunita',  la  F.  H.  usava
violenza contro  la  direttrice  del  negozio  V.  S.  nel  frattempo
intervenuta a bloccarla  all'uscita,  spintonandola  violentemente  e
strattonandola per un braccio,  dandosi  quindi  a  precipitosa  fuga
all'esterno del predetto esercizio commerciale, venendo seguita anche
dall'E. finche' non venivano bloccati  da  personale  dell'U.P.G.S.P.
della Questura di Firenze nel frattempo intervenuto, che  li  trovava
in possesso e intenti a consumare la merce appena sottratta. 
      
    In  ...,  il  ...   con   la   recidiva   reiterata,   specifica,
infraquinquennale e dopo l'esecuzione della pena per E. premesso che: 
        i predetti erano tratti in  arresto  in  quasi  flagranza  di
reato in data ...; 
        all'udienza  del  31  agosto  2019  il  giudice   convalidava
l'arresto, applicava ad entrambi  i  prevenuti  la  misura  cautelare
dell'obbligo di presentazione alla Polizia  giudiziaria  e  disponeva
procedersi col rito direttissimo nei confronti dei  predetti  per  il
citato reato contestato dal pubblico ministero; il processo  era  poi
rinviato essendo stato richiesto un termine a difesa; 
        all'udienza del 7 ottobre 2019 il difensore  degli  imputati,
munito di procura speciale, chiedeva per entrambi il rito  abbreviato
ed il giudice provvedeva in conformita'. Le parti illustravano poi le
rispettive conclusioni. In particolare il pubblico ministero chiedeva
per F. la condanna ad anni 1, mesi 1 e giorni  10  di  reclusione  ed
euro 800  di  multa;  per  E.  il  riconoscimento  delle  circostanze
attenuanti in misura prevalente  sulla  contestata  aggravante  e  la
condanna ad anni 1, mesi 1 e giorni 10 di reclusione ed euro  800  di
multa. Il  difensore  chiedeva  l'assoluzione  o,  in  subordine,  la
riqualificazione ai sensi dell'art. 626 del codice penale e quindi il
non  doversi  procedere  per  difetto  di  querela  o,  in  ulteriore
subordine, il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e
della circostanza attenuante ex art. 62 n. 4 del codice penale e, per
E. la non applicazione della recidiva; 
        all'udienza  odierna,  cui  il  processo  era  rinviato   per
eventuali repliche, le parti vi rinunciavano; 
    Rilevato che in base agli atti d'indagine, alle ore  13,40  circa
del 30 agosto 2019 una volante della  questura  di  si  recava  nella
locale presso l'esercizio commerciale in relazione alla  segnalazione
di un furto appena perpetrato. 
    Contemporaneamente  altra  volante,  in  base  alle   indicazioni
fornite dalla centrale operativa e  all'indicazione  della  direzione
seguita (una giovane  donna  caraibica  o  sudamericana  con  capelli
raccolti, con un vestitino nero corto, ed un  uomo  nordafricano  con
barba e pantaloni verdi, entrambi con zaino in spalla, che  si  erano
appena allontanati in direzione di via  di  Camaldoli),  rintracciava
li' vicino i due giovani indicati come autori del  fatto,  intenti  a
consumare dei  prodotti  alimentari.  Gli  operanti  constatavano  la
presenza negli zaini dei due ragazzi di  ulteriore  merce  alimentare
probabilmente asportata dal  Carrefour  (E.  aveva  nello  zaino  una
confezione di gelati ed una bottiglia di aranciata; F. aveva in  mano
una lattina di Redbull e nello zaino biscotti e schiacciata). 
    Gli accertamenti immediatamente eseguiti confermavano  che  detti
prodotti erano stati appena sottratti all'interno del supermercato in
questione; gli articoli avevano un valore complessivo di  euro  8,77.
La direttrice del punto vendita - tale S.  V.  -  riconosceva  i  due
fermati, che si trovavano a bordo della volante, come gli autori  del
reato appena perpetrato. 
    La donna in particolare riferiva che alle ore 13,15 circa, mentre
lavorava presso l'esercizio commerciale in questione, veniva avvisata
dai suoi collaboratori che era appena entrata, insieme  ad  un  uomo,
una giovane che gia' in precedenti occasioni si era resa responsabile
di furti all'interno del supermercato; quindi la V ., mantenendosi  a
distanza, cercava di controllarli; ad un certo  punto  notava  i  due
ragazzi occultare della merce all'interno dello zaino della  ragazza;
vista la situazione la V. si  indirizzava  immediatamente  all'uscita
del negozio e contattava il 113; proprio in quel frangente la ragazza
oltrepassava le casse senza pagare; la direttrice quindi le si poneva
di fronte chiedendole di mostrare il contenuto  della  borsa,  ma  la
giovane la spingeva,  strattonandola  per  un  braccio,  cagionandole
cosi' dei graffi e riuscendo a scappare; anche il giovane (E.) subito
dopo si allontanava a passo svelto raggiungendo la ragazza. 
    In sede di relazione orale l'operante  di  P.G.  ha  riferito  di
avere  visto   sul   braccio   della   persona   offesa   dei   segni
(graffi/rossore). 
    Entrambi gli imputati in sede  d'interrogatorio  (nella  fase  di
convalida dell'arresto)  hanno  ammesso  la  sottrazione  dei  generi
alimentari, affermando di avere avuto fame e di vivere  in  una  casa
occupata nei pressi del citato esercizio commerciale. Entrambi  fanno
inoltre  uso  di  stupefacenti  (la  circostanza  e'  pacifica:  dopo
l'arresto entrambi sono  stati  accompagnati  dalla  P.G.  presso  un
ospedale cittadino per l'assunzione di metadone). La F. ha negato  di
avere spinto la direttrice del negozio, affermando di  averla  urtata
accidentalmente. 
    Alla luce di quanto precede appare comprovata la  responsabilita'
di entrambi gli imputati per il fatto loro ascritto. Corretta  appare
anche la qualificazione in termini di rapina consumata. In base  alle
s.i.t. della V. la F. ha esercitato nei suoi  confronti  un  atto  di
violenza per poi immediatamente allontanarsi, con la merce sottratta,
dal negozio: in ragione della sequenza e della tempistica  dei  fatti
si deve ritenere ricorra il dolo  specifico  richiesto  dalla  norma;
inoltre i due soggetti, per quanto monitorati dalla direttrice, hanno
conseguito un possesso autonomo dei beni, che sono fuoriusciti  dalla
sfera di controllo del titolare per un apprezzabile lasso  di  tempo,
essendo stati recuperati solo dopo che la volante  della  Polizia  ha
rintracciato - a circa 100 metri di distanza,  secondo  la  relazione
orale dell'operante - i due giovani. 
    Per effetto dell'estensione  operata  dall'art.  116  del  codice
penale, e' responsabile della rapina  impropria  anche  E.,  che  pur
aveva programmato il solo furto (non vi sono  elementi  per  ritenere
che egli avesse previsto e accettato il rischio di realizzazione  del
piu' grave reato di rapina, anche solo in termini di dolo eventuale);
era infatti prevedibile che l'atto predatorio potesse  degenerare  in
una rapina. Gia' in astratto la  giurisprudenza  di  legittimita'  ha
sottolineato che «sussiste il necessaria rapporto di causa ad effetto
tra il reato di furto inizialmente programmato  e  quello  di  rapina
impropria, commesso successivamente, poiche' e' del tutto prevedibile
che un compartecipe possa trascendere ad atti di violenza o  minaccia
nei confronti della  parte  lesa  o  di  terzi,  per  assicurarsi  il
profitto del furto, o comunque guadagnare l'impunita'» (cosi', tra le
tante, Cassazione sentenza n. 49443 del 3  ottobre  2018  rv  274467;
nello stesso senso Cassazione sentenza n. 45446 del 6 ottobre 2016 rv
268564 e Cass. sentenza n. 32644 del 18 giugno 2013 rv  256841);  nel
caso  di  specie  tale  principio  e'  ancor  piu'  condivisibile  in
considerazione delle circostanze del caso concreto e  in  particolare
del luogo chiuso in cui il fatto era posto in essere e della presenza
di personale del supermercato, e quindi in definitiva  della  maggior
probabilita'  che  per  scappare  uno   dei   due   soggetti,   nella
concitazione  del  momento,  potesse  porre  in  essere  un  atto  di
violenza. 
    Quanto alle circostanze del  reato,  il  pubblico  ministero  nel
decreto di presentazione non ha contestato la circostanza  aggravante
delle «piu' persone riunite» ex art. 628, comma 3, n.  l  del  codice
penale, espressamente motivando  al  riguardo  («[...]  nel  caso  di
specie, si puo' dire che la  mera  presenza  dell'altro  correo  che,
materialmente, non ha posto in essere  la  violenza  ai  danni  della
responsabile dell'esercizio commerciale al momento e nel luogo in cui
essa e' stata viceversa compiuta dalla complice, sia stata del  tutto
casuale e soprattutto neutra nello  sviluppo  dell'azione  criminosa,
non potendosi certo dire che lo  stesso,  con  la  propria  presenza,
abbia agito al fine di effettuare  un  rafforzamento  della  violenza
posta in essere dalla correa,  ed  anzi  essendosi  egli  allontanato
dall'esercizio commerciale solo dopo qualche  istante  rispetto  alla
complice, senza esercitare alcuna  violenza»);  tale  argomentazione,
alla  luce  degli   insegnamenti   della   Suprema   Corte,   risulta
condivisibile; 
    E' stata  viceversa  contestata  ad  E.  la  recidiva  reiterata,
specifica, infraquinquennale  e  dopo  l'esecuzione  della  pena.  In
effetti i  certificati  penali  del  medesimo  (relativi  alle  varie
modalita' leggermente diverse con cui e' scritto il cognome  -  «E.»,
«E.», «O.» - ferma restando l'identita' del nome proprio e del  luogo
e data di nascita, generalita'  che  comunque  trovano  conferma  nel
raffronto con  la  visura  dei  rilievi  dattiloscopici)  evidenziano
numerosi precedenti, anche specifici e recenti: tra  gli  altri,  una
sentenza di applicazione pena del Tribunale di Rimini del  22  agosto
2008 per furto tentato (commesso  il  15  agosto  2008);  un  decreto
penale di condanna del giudice per le  indagini  preliminari  Bologna
del 2 luglio 2009  per  furto  (commesso  il  20  maggio  2008);  una
sentenza del Tribunale di Firenze del 10 febbraio 2012 per resistenza
a pubblico ufficiale (commessa il 31 ottobre 2011); una sentenza  del
Tribunale di Firenze del 30 agosto  2012  per  furto  in  concorso  e
resistenza a pubblico ufficiale (commessi il  22  agosto  2012);  una
sentenza della Corte d'Appello di  Firenze  del  9  giugno  2015  per
rapina    impropria,     lesioni     personali     e     ricettazione
(commessi/accertati il 4 agosto 2014); una sentenza del Tribunale  di
Lucca del 23 marzo 2016 per danneggiamento ai  sensi  degli  articoli
635-625 n. 7 del codice penale (commesso il  12  gennaio  2015).  Tra
l'altro varie  pene  detentive  tra  quelle  applicate  dalle  citate
sentenze risultano essere state concretamente eseguite. Inoltre, gia'
in plurimi provvedimenti giudiziari  tra  quelli  sopra  elencati  e'
stata riconosciuta e applicata la recidiva reiterata (sentenze del 10
febbraio 2012, del 9 giugno 2015 e del 23 marzo 2016). 
    Alla luce  di  tali  precedenti  l'attuale  reato  manifesta  una
maggiore pericolosita' e  colpevolezza  dell'imputato,  evidentemente
insensibile ai ripetuti provvedimenti adottati nei suoi  confronti  e
quindi  da  un  lato  maggiormente  rimproverabile  e  dall'altro  da
ritenersi tanto piu' incline a reiterare atti predatori e/o violenti. 
    Nei confronti dell'imputato E. sono riconoscibili  anche  plurime
circostanze attenuanti. 
    Innanzi tutto si puo' riconoscere l'attenuante ex art. 116, comma
2, del codice penale:  gli  elementi  risultanti  in  atti  depongono
infatti nel senso che egli volesse compiere il reato  di  furto;  con
riguardo al piu' grave reato di rapina, materialmente posto in essere
dalla F. e di cui egli deve rispondere a titolo di  concorso  anomalo
(come contestato nello stesso  capo  d'imputazione),  e'  applicabile
l'attenuante in questione. 
    E' poi evidente la riconoscibilita' della circostanza  attenuante
ex art. 62 n. 4 del codice penale in ragione del valore assolutamente
modesto  dei  beni  sottratti  (prezzo  complessivo  di  euro  8,77);
peraltro anche l'offesa al bene dell'integrita' fisica  della  V.  e'
stata di minima entita'. 
    Infine si possono riconoscere le circostanze attenuanti generiche
in ragione dell'entita' modesta della violenza  e  della  natura  dei
beni oggetto della condotta delittuosa (generi alimentari), con cui i
due imputati - che versano in condizioni economiche molto precarie  -
miravano a soddisfare un  bisogno  fondamentale  (i  prevenuti  erano
tratti in arresto mentre si accingevano a consumare  detti  alimenti,
subito dopo la sottrazione e a breve distanza). 
    Quanto al bilanciamento della citata recidiva qualificata e delle
menzionate  circostanze  attenuanti,  per  poter  addivenire  ad  una
corretta decisione appare necessario il  pronunciamento  della  Corte
costituzionale in ordine al divieto di prevalenza  delle  circostanze
attenuanti sulla recidiva reiterata fissato dall'art.  69,  comma  4,
del codice penale ed in particolare del divieto di  prevalenza  della
circostanza attenuante ex art. 116, comma 2, del codice penale  sulla
recidiva reiterata e del divieto di prevalenza di una  pluralita'  di
circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata; 
 
                       Cio' premesso, osserva 
 
Rilevanza della questione. 
    La citata disposizione di cui all'art.  69,  quarto  comma,  cod.
pen., come sostituito dall'art. 3 della legge  5  dicembre  2005,  n.
251, prevede un divieto di prevalenza  delle  circostanze  attenuanti
sulla recidiva reiterata, prevista dall'art. 99,  quarto  comma,  del
codice penale. 
    Nel caso in esame ricorre per  l'appunto  la  recidiva  reiterata
(peraltro specifica,  infraquinquennale  e  dopo  l'esecuzione  della
pena); quest'ultima non solo e' stata correttamente contestata, ma si
deve concretamente applicare: in considerazione del carattere recente
dei precedenti giudiziari, dell'omogeneita' tra gli stessi e il reato
ora  in  esame,  del  tipo  di  devianza  di  cui  gli  stessi   sono
espressione, dell'insufficienza in chiave dissuasiva delle condanne e
delle pene gia' eseguite, si deve ritenere che la ricaduta nel  reato
sia effettivo sintomo di una maggiore  pericolosita'  e  colpevolezza
dell'imputato. 
    Si  deve  solo  rilevare  che   l'applicazione   della   recidiva
(reiterata, specifica,  infraquinquennale  e  post  esecuzione  della
pena) non appare affatto incompatibile con  l'istituto  del  concorso
anomalo:  e'  si'  vero  che  quest'ultimo  comporta   l'attribuzione
all'imputato di un reato piu' grave di quello da  lui  voluto,  sulla
base - oltre che  della  sussistenza  di  un  nesso  causale  tra  la
condotta posta in essere e il diverso evento  realizzatosi  -  di  un
coefficiente di prevedibilita' in concreto di tale diverso evento  da
parte di chi ha voluto solo il reato meno grave; e dunque e' vero che
il concorso anomalo postula l'assenza del dolo, anche solo eventuale,
rispetto al piu' grave evento realizzatosi, in quanto ove  tale  dolo
sussistesse - si configurerebbe un normale concorso  di  persone  nel
reato;   tuttavia   il   citato   minor   coefficiente    psicologico
(prevedibilita' dello sviluppo piu'  grave  poi  concretizzatosi)  si
innesta comunque necessariamente su una  componente  dolosa  e  cioe'
sulla rappresentazione e volizione del reato meno grave; con riguardo
a tale componente e' dunque possibile quella valutazione  di  maggior
pericolosita' e  colpevolezza  richiesta  ai  fini  dell'applicazione
della recidiva. 
    Tale  interpretazione  e'  stata  peraltro  implicitamente  fatta
propria  dalla  Corte  di  cassazione,  allorquando  quest'ultima  ha
ritenuto  manifestamente  infondata  la  questione  di   legittimita'
costituzionale  dedotta  rispetto  al  divieto  di  prevalenza  della
circostanza attenuante ex art. 116, comma 2, del codice penale  sulla
recidiva reiterata (Cass. Sez. 1, Sentenza n.  24710  del  13/05/2015
Rv. 263960 - 01). 
    Come si  e'  rilevato,  nel  caso  in  esame  sono  riconoscibili
all'imputato E. la circostanza attenuante di cui  all'art.  116,  del
codice penale, la circostanza attenuante ex art. 62 n. 4  del  codice
penale e le circostanze attenuanti generiche. 
    Tali attenuanti per la loro pregnanza - ed in particolare per  il
valore irrisorio dei beni sottratti e quindi per l'assoluta  lievita'
del danno patrimoniale causato,  per  l'entita'  altrettanto  modesta
della violenza esplicata, peraltro non dall'E. (che  intendeva  porre
in essere soltanto un furto) ma  dalla  coimputata,  nonche'  per  la
tipologia di bisogno che gli imputati intendevano soddisfare  con  la
propria  condotta  -  meriterebbero  di  essere  ritenute  prevalenti
rispetto alla citata recidiva qualificata e di essere applicate nella
loro estensione massima o quasi massima. Lo stesso pubblico ministero
nelle proprie conclusioni, pur  non  deducendo  alcuna  questione  di
legittimita' costituzionale, ha chiesto condannarsi alla pena di anni
1, mesi 1 e giorni 10 di reclusione ed  euro  800  di  multa,  previa
applicazione delle  attenuanti  in  misura  prevalente  sulla  citata
recidiva. 
    Il divieto posto dall'art. 69, quarto comma,  del  codice  penale
osta ad  un  tale  giudizio  di  prevalenza  delle  attenuanti  sulla
recidiva reiterata. 
Non manifesta infondatezza. 
    Il precetto normativo pare di dubbia legittimita' costituzionale. 
    La Corte costituzionale ha gia' affrontato in plurime occasioni e
sotto differenti profili la questione della legittimita' della  norma
censurata. 
    Dopo avere in alcune prime  pronunce  ritenuto  inammissibili  le
questioni sollevate (poiche' le  ordinanze  di  rimessione  muovevano
dall'erroneo  presupposto  che  la  riforma  del  2005  avesse   reso
obbligatoria l'applicazione della recidiva reiterata),  la  Corte  ha
con  diverse  sentenze  dichiarato  l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 69, quarto comma, del codice  penale  nella  parte  in  cui
vieta la prevalenza di singole circostanze attenuanti  (di  cui  agli
arti. 73 comma 5 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990,
648 comma 2 del codice penale  ,  219  comma  3  legge  fallimentare,
609-bis comma 3 del codice penale, 73 comma 7 decreto del  Presidente
della Repubblica n. 309/1990) sulla recidiva reiterata. 
    In particolare, la Corte costituzionale nella  sentenza  251  del
2012 ha cosi ricostruito  il  quadro  normativo,  l'operativita'  del
divieto e i limiti in cui lo  stesso  e'  sindacabile:  «Nell'attuale
formulazione, l'art. 69, quarto comma, del codice penale  costituisce
il punto di  arrivo  di  un'evoluzione  legislativa  dei  criteri  di
bilanciamento iniziata con l'art. 6 del decreto-legge 11 aprile 1974,
n. 99 (Provvedimenti urgenti sulla giustizia penale), convertito, con
modificazioni, nella legge 7 giugno 1974, n. 220, che  ha  esteso  il
giudizio di comparazione alle circostanze autonome o indipendenti e a
quelle inerenti alla persona del colpevole. L'effetto e' stato quello
di consentire il riequilibrio di alcuni eccessi di penalizzazione, ma
anche quello di  rendere  modificabili,  attraverso  il  giudizio  di
comparazione, le cornici edittali di alcune  ipotesi  circostanziali,
di aggravamento o di attenuazione, sostanzialmente diverse dai  reati
base; ipotesi che solitamente  vengono  individuate  dal  legislatore
attraverso la previsione di pene di specie diversa o  di  pene  della
stessa  specie,  ma  con  limiti  edittali  indipendenti  da   quelli
stabiliti per il reato base, come nel  caso  regolato  dall'art.  73,
comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990.
E'  rispetto  a  questo  tipo  di   circostanze   che   il   criterio
generalizzato, introdotto con la modificazione dell'art.  69,  quarto
comma, del codice penale, ha mostrato delle  incongruenze,  inducendo
il legislatore a intervenire con regole derogatorie, come e' avvenuto
con l'aggravante  della  «finalita'  di  terrorismo  o  di  eversione
dell'ordine democratico» (art. 1, decreto-legge 15 dicembre 1979,  n.
625, recante «Misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico  e
della sicurezza pubblica», convertito, con modificazioni, nella legge
6 febbraio 1980, n. 15) e, in seguito, con varie altre  disposizioni,
generalmente adottate per impedire il bilanciamento della circostanza
comma d. privilegiata, di regola un'aggravante, o per  limitarlo,  in
modo  da  escludere  la  soccombenza  di   tale   circostanza   nella
comparazione con le attenuanti; ed e' appunto questo il risultato che
si e' voluto  perseguire  con  la  norma  impugnata.  Come  e'  stato
sottolineato da  questa  Corte,  il  giudizio  di  bilanciamento  tra
circostanze eterogenee consente al giudice di «valutare il  fatto  in
tutta la sua ampiezza circostanziale, sia  eliminando  dagli  effetti
sanzionatori tutte le circostanze (equivalenza), sia tenendo conto di
quelle che aggravano la quantitas delicti, ppure soltanto  di  quelle
che  la  diminuiscono»  (sentenza  n.  38  del  1985).   Deroghe   al
bilanciamento pero' sono  possibili  e  rientrano  nell'ambito  delle
scelte  del  legislatore,  che  sono  sindacabili  da  questa   Corte
«soltanto  ove  trasmodino   nella   manifesta   irragionevolezza   o
nell'arbitrio» (sentenza n. 68 del 2012), ma in ogni caso non possono
giungere    a    determinare    un'alterazione    degli     equilibri
costituzionalmente imposti nella strutturazione della responsabilita'
penale». 
    Nell'attuale processo il  citato  divieto  fissato  dall'art.  69
comma 4 del codice  penale  pare  per  l'appunto  trasmodare  in  una
manifesta irragionevolezza sia nella misura in cui operi con riguardo
alla circostanza attenuante ex art. 116 del codice penale, sia  nella
misura in cui  operi  a  fronte  di  una  pluralita'  di  circostanze
attenuanti. 
    Sotto il primo profilo, questo giudice e' consapevole  del  fatto
che l'attenuante prevista dall'art. 116 comma 2 del codice penale  e'
una circostanza attenuante ad effetto comune, a differenza  di  tutte
le  circostanze  (di  cui  agli  articoli  73  comma  5  decreto  del
Presidente della Repubblica n.  309/1990,  648  comma  2  del  codice
penale, 219 comma 3 legge fallimentare, 609-bis comma  3  del  codice
penale, 73  comma  7  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
309/1990)  rispetto  alle  quali  la  Corte  costituzionale  ha  gia'
dichiarato l'illegittimita'  del  divieto  fissato  dalla  norma  qui
censurata. 
    Questo giudice e' altresi' conscio del fatto che e' stata proprio
la peculiare efficacia diminuente delle citate circostanze attenuanti
(«enorme  divaricazione  delle   cornici   edittali   stabilite   dal
legislatore per il reato circostanziato e per la  fattispecie  base»)
il  principale  fattore  che  ha  condotto  la   Corte   a   ritenere
manifestamente sproporzionato, sul piano delle conseguenze in termini
sanzionatori, il citato divieto di prevalenza. In base  alla  massima
(la sentenza e' attualmente in fase di valutazione  per  oscuramento,
per cui il testo non e' disponibile) e'  stata  peraltro  proprio  la
natura di circostanza ad effetto comune della diminuente ex art.  116
comma 2 del codice penale a far ritenere  alla  Corte  di  cassazione
(Sez. 1,  Sentenza  n.  24710  del  13/05/2015  Rv.  263960  -  01  )
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
che ora si propone. 
    La circostanza prevista dall'art. 116 comma 2 del codice  penale,
tuttavia, per quanto  ad  effetto  comune,  pare  meritevole  di  una
considerazione peculiare,  in  quanto  necessaria  ad  assicurare  la
«tenuta costituzionale» dell'istituto del concorso anomalo. 
    Tale istituto, ispirato ad un  certo  rigore,  porta  a  ritenere
responsabile del  reato  diverso  e  piu'  grave  commesso  anche  il
concorrente che avesse voluto un reato meno  grave,  sulla  base  del
relativo contributo causale. 
    Tale particolare rigore permane anche nella  configurazione  data
al concorso anomalo dall'orientamento, ormai unanime, formatosi sulla
scia delle pronunce della Corte di cassazione e  della  stessa  Corte
costituzionale, che postula che il piu' grave reato  costituisca  uno
sviluppo logicamente prevedibile da colui che aveva voluto  il  reato
meno grave. Si equipara infatti al vero e proprio dolo  (rispetto  al
piu' grave reato posto in essere da altro  concorrente)  un  elemento
psicologico  connotato  dalla  volizione   del   reato   meno   grave
programmato e  dalla  prevedibilita'  logica  del  reato  piu'  grave
concretatosi. 
    Cio' anche nel caso in cui il piu' grave reato realizzato vada ad
offendere un bene giuridico diverso rispetto a quello su cui  avrebbe
inciso  il  reato  programmato,  come  per  l'appunto  nel  caso   di
progressione del delitto di furto in rapina: un soggetto - nel nostro
caso E. - aveva previsto  e  voluto  un  fatto  che  offendesse  solo
(minimamente: 8,77 euro) il patrimonio; per  effetto  della  condotta
violenta della concorrente (F.), da lui non  voluta  ma  prevedibile,
egli e' chiamato a rispondere di un  delitto  che  offende  anche  la
persona. 
    Quelli  cosi  equiparati  sono  due   atteggiamenti   psicologici
profondamente diversi. 
    Sulla base di tale equiparazione peraltro colui che aveva  voluto
il reato meno grave si puo' trovare assoggettato  ad  un  trattamento
sanzionatorio  estremamente  piu'  severo,  cio'  che  per  l'appunto
avviene nel caso di specie. 
    In assenza della spinta di strattonamento posta in  essere  dalla
correa, E. avrebbe risposto  -  peraltro  solo  in  presenza  di  una
querela, che concretamente non e' stata presentata - del  delitto  di
furto  di   cui   all'art.   626   del   codice   penale:   ai   fini
dell'inquadramento in tale fattispecie del furto che i  due  soggetti
avevano programmato, si rilevi che gli stessi hanno sottratto beni di
(molto) tenue valore, di natura alimentare;  considerato  che  i  due
prevenuti    vivono    in    condizioni    molto    precarie    (sono
tossicodipendenti, privi di occupazione lavorativa e di  una  stabile
dimora; vivono in una casa occupata) e che hanno consumato  i  generi
alimentari sottratti subito dopo il fatto e  vicino  al  supermercato
(benche' fosse ampiamente prevedibile  l'arrivo  della  Polizia),  e'
ragionevole ritenere che  gli  stessi  non  mangiassero  da  tempo  e
volessero cosi' provvedere ad un grave ed urgente bisogno. 
    Il furto di cui all'art. 626 del codice  penale  e'  punito  -  a
querela della persona offesa - con  la  reclusione  fino  a  un  anno
oppure anche solo con la multa. 
    Quindi E. aveva previsto e voluto un reato per il  quale  avrebbe
potuto subire a pena solo pecuniaria o una pena  detentiva  pari  nel
minimo a 15 giorni  di  reclusione  e  nel  massimo  ad  un  anno  di
reclusione. In ragione della prevedibilita' logica  di  uno  sviluppo
ulteriore, da lui non  voluto,  per  il  concorso  anomalo  si  trova
responsabile di un reato punito ora (dopo la legge n. 36/2019) con la
pena minima di anni cinque di reclusione (pari ad oltre 120 volte  la
pena detentiva minima prevista per il furto ex art.  626  del  codice
penale) e la pena massima di dieci anni di reclusione. 
    Quand'anche si ritenesse che quello programmato  fosse  un  furto
ordinario ex art. 624 del codice penale, la pena  detentiva  prevista
da tale norma (pena minima di sei mesi di reclusione, pena massima di
tre anni di reclusione)  sarebbe  comunque  decisamente  inferiore  a
quella prevista dall'art. 628 del codice penale  per  il  delitto  di
rapina. 
    Tanto rigore costituisce peraltro un'eccezione ove  si  confronti
il regime  previsto  dall'art.  116  del  codice  penale  con  quello
previsto da  altre  norme  con  riguardo  a  situazioni  simili,  ove
parimenti viene in rilievo quanto all'elemento psicologico del  reato
una  componente  dolosa  ed  un  quid  pluris  costituito   -   dalla
prevedibilita' di un dato ulteriore piu'  grave:  cosi'  ad  esempio,
l'art. 586 cod. pen. prevede, per l'ipotesi di morte o  lesioni  come
conseguenza di altro delitto doloso (1) , soltanto il concorso tra  i
reati con un  aumento  (entro  il  terzo)  della  pena  prevista  per
l'omicidio colposo o le lesioni colpose; analogamente l'art. 83  cod.
pen., con riguardo all'aberratio  delicti,  prevede  che  -  se,  per
errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del  reato,  o  per  un'altra
causa, si cagioni un evento diverso da quello voluto -  il  colpevole
risponde, a titolo  di  colpa,  dell'evento  non  voluto,  quando  il
fatto e' preveduto dalla legge come delitto colposo; cosi' ancora, in
plurimi casi di delitti dolosi aggravati dall'evento  (danneggiamento
seguito da incendio rispetto all'incendio; rissa seguita da  morte  o
lesioni rispetto ad omicidio  e  lesioni  personali;  ecc.)  la  pena
prevista contempla  normalmente  una  riduzione  superiore  al  terzo
rispetto al delitto doloso connotato tipicamente da quell'evento. 
    Gia' nel 1965, con la sentenza n.  42,  la  Corte  costituzionale
aveva peraltro auspicato un intervento del  Legislatore  che  ponesse
fine a dubbi e discrasie in proposito («Cio' che invece questa  Corte
ritiene di  dover  rilevare  e'  che  le  incertezze  e  i  contrasti
suscitati dalla disposizione dell'art. 116, sebbene da ultimo avviati
dalla giurisprudenza a una piu' equilibrata ed esatta soluzione,  non
possono dirsi del tutto dissipati nella coscienza sociale  giuridica:
onde la opportunita' di un intervento del  legislatore,  al  fine  di
stabilire  se  la  norma  in  questione  debba  rimanere  nel  nostro
ordinamento e, in caso positivo, quali esattamente debbano esserne il
fondamento e i limiti, e in quali termini, inoltre, debba realizzarsi
una logica coordinazione della norma stessa con tutto  il  sistema  e
con norme analoghe, in particolare con quella dell'art.  83  del  del
codice penale»). 
    In questo quadro la circostanza attenuante di  cui  all'art.  116
del codice penale appare essenziale per  assicurare  la  legittimita'
costituzionale ex art. 3 Cost. dell'istituto  del  concorso  anomalo,
consentendo che situazioni profondamente diverse (da un lato un  vero
e  proprio  dolo,  dall'altro  il   dolo   di   un   fatto   diverso,
potenzialmente del tutto diverso, accompagnato  dalla  prevedibilita'
del fatto piu' grave del correo) siano sanzionate in modo  almeno  un
minimo differente. 
    Il divieto di prevalenza dell'attenuante di cui all'art. 116  del
codice penale sulla recidiva reiterata, fissato dall'art.  69,  comma
4,  del  codice  penale,   vanifica   tale   distinzione,   imponendo
l'applicazione al concorrente anomalo del  trattamento  sanzionatorio
previsto per il reato piu' grave da  lui  non  voluto.  Nel  caso  di
specie, in ragione della recidiva reiterata e dell'impossibilita'  di
un giudizio di prevalenza delle attenuanti, la pena  minima  prevista
per E. e' pari ad anni cinque di reclusione (fatta salva la riduzione
per il rito). 
    Paradossalmente,  per  effetto  della  ricorrenza   delle   altre
attenuanti  -  riconoscibili  anche  alla  F  -  nei   confronti   di
quest'ultima (formalmente incensurata, ma negli ultimi mesi arrestata
piu' volte  per  fatti  analoghi)  puo'  essere  applicata  una  pena
detentiva decisamente inferiore (anni cinque di  reclusione,  ridotta
per l'attenuante di cui all'art. 62 n. 4 del codice  penale  ad  anni
tre e mesi quattro, ridotta per le attenuanti generiche ad anni due e
mesi tre, fatta salva l'ulteriore riduzione per il rito). 
    Dunque, colui che ha previsto e voluto un reato molto meno  grave
(punito dall'art. 626 del codice penale con la reclusione fino  a  un
anno o anche solo con la multa) per effetto della recidiva  reiterata
e' punito, in relazione al diverso reato voluto e  realizzato  da  un
concorrente (rapina impropria), con una pena enormemente piu' alta di
quella prevista per il reato da lui voluto e anche sensibilmente piu'
alta di quella irroganda alla concorrente che ha voluto e commesso il
piu' grave reato. 
    Il citato divieto di prevalenza  pare  cosi'  trasmodare  in  una
manifesta irragionevolezza e ungile violare il disposto  dell'art.  3
della Costituzione. 
    Risulta violato altresi' il disposto dell'art. 27, comma 3, della
Costituzione. La pena di anni cinque di reclusione - che, fatta salva
la riduzione per il rito, per effetto del divieto  di  prevalenza  si
dovrebbe applicare - sarebbe eccessiva e ingiusta, violando il canone
della proporzionalita' rispetto al fatto di reato  posto  in  essere,
globalmente considerato,  ivi  compreso  l'atteggiamento  psicologico
dell'imputato; in quanto sproporzionata, la  pena  non  potrebbe  mai
essere percepita dal condannato come giusta ed  esplicare  quindi  la
propria funzione rieducativa; al contrario il condannato  -  che  per
effetto della recidiva reiterata si veda  assoggettato  ad  una  pena
enormemente piu' alta di quella prevista per il reato da lui voluto e
anche sensibilmente piu' alta di quella irrogata al  concorrente  che
ha voluto e commesso il piu' grave reato - non potrebbe che percepire
come  irragionevole  la  pena  stessa  e  non  aderirebbe  quindi  al
trattamento rieducativo. 
    Venendo al  secondo  profilo  di  sospetta  illegittimita'  della
norma, peraltro in parte gia' anticipato, si deve  rilevare  che  nel
caso di  specie  sono  riconoscibili  all'imputato  piu'  circostanze
attenuanti, sia pure tutte ad effetto comune. La singola  circostanza
attenuante, isolatamente considerata, comporterebbe in assenza  della
recidiva reiterata una diminuzione di pena fino al terzo. Il concorso
delle tre circostanze  attenuanti  potrebbe  comportare  viceversa  -
senza considerare il rito abbreviato -  una  riduzione  nella  misura
massima di 19 ventisettesimi (circa il 70%); la  pena  finale  (fatto
salvo il rito) potrebbe cioe' essere pari ad 8  ventisettesimi  della
pena base (pena base * 2/3 *213 *2/3). 
    Come si e' gia' visto,  nel  caso  di  specie  sussisterebbero  i
presupposti per applicare le citate circostanze attenuanti nella loro
portata massima o quasi. In particolare,  si  riterrebbe  congrua  ex
art. 133 del codice penale una  pena  di  anni  uno  e  mesi  sei  di
reclusione (fatta salva la riduzione per il rito), cosi' determinata:
pena base anni cinque di reclusione (2) , ridotta per l'attenuante ex
art. 116, comma 2, del codice penale, ad anni tre e mesi  quattro  di
reclusione, ridotta per l'attenuante ex  art.  62  n.  4  del  codice
penale ad anni due, mesi due e giorni venti  di  reclusione,  ridotta
per le attenuanti generiche ad anni uno e mesi sei di reclusione. 
    Viceversa, per effetto della recidiva reiterata e del divieto  di
prevalenza delle attenuanti, la pena da irrogare  sarebbe  quella  di
anni cinque di reclusione. 
    Enorme e' la divaricazione tra la pena che  sarebbe  irrogata  in
assenza della recidiva (o del divieto di prevalenza) e la pena che e'
invece possibile irrogare in presenza  della  stessa  (e  del  citato
divieto), sia in valore assoluto (una differenza di tre  anni  e  sei
mesi) sia in proporzione (la pena di cinque anni e' pari ad oltre  il
triplo di  quella  di  anni  uno  e  mesi  sei).  Si  tratta  di  una
distorsione irragionevole: la recidiva reiterata, anziche' comportare
un aumento della pena della  meta'  (50%)  o  di  due  terzi  (66,6%)
secondo quanto previsto dall'art. 99, comma 4, del codice penale, per
effetto del  divieto  di  prevalenza  delle  attenuanti  finisce  per
comportare un aumento del 233% rispetto alla pena che  sarebbe  stata
altrimenti  applicata  (3)  .  Tale  aumento  per  un  verso   appare
irragionevolmente diverso, per eccesso, rispetto ai casi  in  cui  la
recidiva reiterata non concorra  con  nessuna  attenuante  e  percio'
comporti un aumento del 50%  o  del  66,6%  rispetto  alla  pena  che
sarebbe  applicata  in  sua  assenza,  con   conseguente   violazione
dell'art. 3 Cost. 
    Per altro verso la citata incidenza della  recidiva  finisce  per
attribuire un peso eccessivo  al  passato  giudiziale  della  persona
rispetto alla gravita'  del  fatto  di  reato  commesso,  globalmente
considerato anche nei suoi  aspetti  circostanziali,  con  violazione
dell'art. 25, comma 2, Cost. (nel caso di specie tutte le circostanze
riconosciute afferiscono ad aspetti riconducibili alla  gravita'  del
reato, sotto  il  profilo  dell'oggetto  della  condotta,  del  danno
cagionato,  dell'entita'   della   violenza   posta   in   essere   e
dell'intensita' del dolo). 
    Infine, la norma censurata pare violare l'art. 27, comma 3, Cost.
Come ha gia' rilevato la  Corte  costituzionale,  «L'art.  69,  comma
quarto,  del  codice  penale,  nel  precludere  la  prevalenza  delle
circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata, realizza una "deroga
rispetto a un principio generale che governa la  complessa  attivita'
commisurativa della pena da parte del giudice, saldando i criteri  di
determinazione della pena base con  quelli  mediante  i  quali  essa,
secondo un processo finalisticamente indirizzato dall'art. 27,  terzo
comma, Cost., diviene adeguata al caso  di  specie  anche  per  mezzo
dell'applicazione delle  circostanze"»  (cosi'  Corte  costituzionale
sentenza n. 105  del  2014,  che  a  sua  volta  richiama  precedenti
pronunce); nel caso in esame il citato divieto normativo impedisce il
necessario adeguamento al caso concreto, determinando un  trattamento
sanzionatorio palesemente  sproporzionato  e  quindi  impossibile  da
accettare come giusto da parte del reo, con conseguente ostacolo alla
funzione rieducativa della pena. 
Impossibilita' di un'interpretazione conforme. 
    Non risultano percorribili interpretazioni conformi  della  norma
ora censurata alle citate disposizioni della Costituzione,  chiaro  e
univoco essendo  il  dato  letterale  (la  disposizione  e'  peraltro
interpretata in modo costante dalla giurisprudenza in conformita'  al
citato dato letterale). 

(1) (Cfr. tra le altre Cassazione Su.  5,  Sentenza  n.  1795  del  6
    luglio 2006 Rv. 236298 -  01:  «Al  fine  della  sussistenza  del
    delitto di cui all'art. 586 del codice penale  (morte  o  lesioni
    come conseguenza di  altro  delitto),  e'  necessario,  oltre  al
    legame  eziologico,  che  l'evento  di  morte   o   lesioni   sia
    conseguenza prevedibile del delitto base».) 

(2) (Per semplicita' si ha riguardo alla sola pena detentiva.) 

(3) (Nel  caso  di  due  circostanze  attenuanti,  l'incidenza  della
    recidiva  -  se  pur  minore  -   sarebbe   comunque   eccessiva,
    determinando  un  aumento  del  125%  della  pena   che   sarebbe
    applicabile in sua assenza.)