TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI MILANO Ufficio di Sorveglianza Il Magistrato Simone Luerti, nel procedimento di sorveglianza nei confronti di C. A., nato a ..., attualmente detenuto presso la I C.R. di Milano Opera; avente per oggetto istanza di detenzione domiciliare ex art. 47-ter OP; titolo esecutivo: provvedimento esecuzione pene concorrenti Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brescia n. 1239/2019 SIEP; pena da espiare: anni 14 mesi 7 di reclusione; decorrenza pena 26 febbraio 2019; fine pena attuale al 25 settembre 2033; reati per cui vi e' condanna in esecuzione: bancarotta fraudolenta ex art. 216 regio decreto n. 267/1942 (commessa il 27 giugno 2000); fatti di bancarotta fraudolenta ex art. 223 regio decreto n. 267/1942 con recidiva ex art. 99, comma IV, del codice penale (commessi in data 25 ottobre 1999 e in data 14 febbraio 2000); fatti di bancarotta fraudolenta ex art. 223 regio decreto n. 267/1942 (commessi in data 27 gennaio 2011); omessa dichiarazione annuale d'imposta art. 5, decreto legislativo n. 74/2000, con recidiva ex art. 99, comma IV, del codice penale (commessa in data 24 ottobre 2013); occultamento o distruzione di documenti contabili, art. 10, decreto legislativo n. 74/2000 (commessa il 24 ottobre 2013). Ritenuto in fatto Il detenuto istante sta espiando in carcere la pena della reclusione sopra indicata per alcuni reati fallimentari e fiscali commessi nel corso degli armi ed in occasione della sua attivita' imprenditoriale. La pluralita' di condotte illecite oggetto di condanna ha determinato altresi' in alcuni casi il riconoscimento e l'applicazione della circostanza aggravante della recidiva; la medesima circostanza e' stata ritenuta anche in alcuni casi precedenti gia' espiati. L'esecuzione della pena iniziava in data 26 febbraio 2019 e dura quindi da circa un anno. Con istanza in data 24 settembre 2019, legittimamente presentata personalmente dal carcere, il detenuto ha chiesto di essere ammesso alla misura alternativa della detenzione domiciliare, da trascorrere presso l'abitazione della moglie signora P. M. (sita in ...). A causa della misura della pena e della assenza di indicazione di patologie fisiche o psichiche da parte dell'interessato, l'istanza e' interpretabile e applicabile solo ai sensi dell'art. 47-ter, comma 01 O.P., c.d. detenzione domiciliare per ultrasettantenni, che quindi e' l'unica misura di cui potrebbe astrattamente beneficiare. Esame della rilevanza della questione. Cio' premesso in fatto, deve affrontarsi la questione preliminare di ammissibilita' dell'istanza avanzata dal detenuto, alla stregua di quanto previsto dall'art. 47-ter, comma 01 OP. La norma in esame prevede che «La pena della reclusione per qualunque reato ad eccezione di quelli previsti dal Libro II titolo XII capo III sezione I e dagli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, dall'art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e dall'art. 4-bis della presente legge, puo' essere espiata nella propria abitazione o in altro luogo pubblico di cura, assistenza ed accoglienza, quando trattasi di persona che, al momento dell'inizio dell'esecuzione della pena, o dopo l'inizio della stessa, abbia compiuto i settanta anni di eta' purche' non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ne' sia stato mai condannato con l'aggravante di cui all'art. 99 del codice penale». Alla luce della norma applicabile, l'istanza e' ammissibile ed il C... potrebbe astrattamente beneficiare della detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 01 OP, perche' e' in possesso di tutti i requisiti formali richiesti per la concessione della misura, ad eccezione della assenza di condanne con recidiva su cui ci soffermeremo piu' avanti. Egli infatti non e' stato mai condannato per alcun reato ostativo alla concessione della misura in esame, ne' soprattutto nessuno di tali reati e' compreso nel cumulo in espiazione. Egli inoltre non risulta essere mai stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza. Infine, ha compiuto settantotto anni e quindi e' soggetto ultrasettantenne, non destinatario di alcuna misura di sicurezza. La norma non pone limiti di pena e pertanto l'istanza e' ammissibile anche con la condanna ad anni 14 e mesi 7 di reclusione. La rilevanza in concreto della questione si apprezza anche osservando che la quota di pena residua da espiare (circa anni 13 e mesi 8) impedisce qualsiasi altra misura alternativa prevista dalla legge n. 354 del 26. luglio 1975 (ordinamento penitenziario). Inoltre, il detenuto non risulta affetto da alcuna patologia fisica o psichica grave e non ha chiesto ne' puo' chiedere un differimento della pena ex art. 146 o 147 del codice penale. A questo punto, giova sottolineare che l'unico elemento di ostacolo alla concessione della misura della detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 01 OP, e' la presenza di condanne con recidiva ex art. 99 del codice penale nel cumulo in espiazione, e di altre condanne precedenti gia' espiate, come gia' esposto in premessa. Per comprendere i termini della questione, e' utile evidenziare la struttura della norma in esame. L'asse portante della previsione normativa e' costituito dall'espressione: La pena della reclusione per qualunque reato (...) puo' essere espiata nella propria abitazione (...), quando trattasi di persona che, al momento dell'inizio dell'esecuzione della pena, o dopo l'inizio della stessa, abbia compiuto i settanta anni di eta'. La norma generale quindi non impone condizioni ne' limiti di pena, a differenza delle altre ipotesi di detenzione domiciliare previste dallo stesso art. 47-ter OP, ed e' ancorata alla sola eta' del condannato. Solo l'espressione «puo'» rivela che il Magistrato conserva il generico potere di valutazione discrezionale nel merito. In proposito, e' appena il caso di rammentare la costante giurisprudenza di legittimita', a mente della quale, da un lato, la detenzione domiciliare non e' misura che debba essere automaticamente concessa ai detenuti ultrasettantenni, dovendo in ogni caso la magistratura di sorveglianza valutarne la meritevolezza e l'idoneita' a facilitare il reinserimento sociale (cfr. tra molte, Cassazione I, n. 8712 dell'8 febbraio 2012 CED 252921 - 01) e dall'altro, risulta «immanente al vigente sistema normativa una sorta di incompatibilita' presunta con il regime carcerario per il soggetto che abbia compiuto i settanta anni, sicche', nell'ipotesi di esecuzione della pena detentiva che lo riguardi, in presenza di un'istanza di differimento per motivi di salute o, in alternativa, di detenzione domiciliare, l'indagine del giudice in ordine alla gravita' delle infermita' che lo affliggono e alla loro compatibilita' con lo stato detentivo non e' decisiva, pur se utile, mentre e' determinante l'accertamento della sussistenza di circostanze eccezionali, tali da imporre l'inderogabilita' dell'esecuzione stessa ovvero da contrastare con la possibilita' di renderla meno afflittiva, ricorrendone le condizioni di legge, mediante la detenzione domiciliare» (cfr. Cassazione 1, n. 16183 del 12 febbraio 2001 e Cassazione I, n. 52979 del 13 luglio 2016). La ratio della norma, ispirata al principio di umanizzazione della pena, e' quindi ancorata alla sola eta' del condannato ed alla presunzione relativa di incompatibilita' dello stato detentivo, a cui possiamo aggiungere la difficile percorribilita' di un trattamento rieducativo intra murario per un soggetto ormai personalmente e psicologicamente strutturato. Tuttavia, proprio per compensare l'ampiezza della previsione generale, la norma prevede due eccezioni rappresentate da due classi di cause assolutamente ostative alla concessione della misura domiciliare in questione. La prima e' costituita da un nutrito nucleo di reati esattamente identificati attraverso il richiamo a fonti normative specifiche e ad altri elenchi di reati, che l'ordinamento qualifica come particolarmente gravi, socialmente pericolosi o allarmanti ed in particolare: quelli previsti dal Libro II titolo XII capo III sezione l' e dagli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, dall'art. 51, comma 3-bis del codice di procedura penale e dall'art. 4-bis della presente legge. Per tutti questi reati la detenzione domiciliare per ultrasettantenni non puo' essere mai applicata per l'evidente e comune ragione costituita dal giudizio di pericolosita' in astratto e di non meritevolezza della misura alternativa che discende da scelte e qualificazioni delle condotte che il legislatore ha gia' operato a priori in altri settori dell'ordinamento. Troviamo infatti raggruppati nel medesimo elenco i delitti contro la personalita' individuale (come la riduzione in schiavitu', la prostituzione minorile o la pedopomografia), le varie ipotesi di violenza sessuale, i reati attribuiti alla competenza della Direzione distrettuale antimafia ed infine tutti i reati ostativi di cui all'art. 4-bis OP. La seconda eccezione riguarda la posizione giuridica individuale del condannato per i reati residui, a cui astrattamente la detenzione domiciliare per ultrasettantenni sarebbe applicabile, «purche' non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ne' sia stato mai condannato con l'aggravante di cui all'art. 99 del codice penale». In questo caso lo stigma di pericolosita' e non meritevolezza e' ancora formulato astrattamente, ma non viene mutuato da valutazioni del legislatore, bensi' da giudizi formulati in altre sedi sul soggetto interessato ed in particolare in provvedimenti giudiziari specifici. Questa eccezione o, se vogliamo, requisito negativo di ammissibilita', deve essere tuttavia esaminato piu' nel dettaglio. Appare prima facie evidente che nel novero dei provvedimenti ostativi alla detenzione domiciliare sono compresi sia provvedimenti di accertamento e dichiarazione giudiziale di pericolosita' sociale in concreto (dichiarazione di delinquenza abituale, professionale o per tendenza), sia condanne per qualsiasi reato con l'aggravante della recidiva ex art. 99 codice penale senza distinzioni e quindi per tutte le ipotesi contemplate dalla norma. In tema di dichiarazione di delinquenza abituale, anche presunta dalla legge ai sensi dell'art. 102 codice penale, e' bene precisare che la costante interpretazione della giurisprudenza di legittimita' richiede la contemporanea sussistenza tanto dei presupposti oggettivi indicati dall'art. 102 codice penale quanto della attuale e concreta pericolosita' sociale del soggetto, ai sensi degli articoli 133 c 203 dello stesso codice (cfr. la recente Cassazione I, n. 49976 del 17/9/2018 CED 276141). La norma in esame accomuna ad una dichiarazione giudiziale di pericolosita' sociale, attribuendole identica funzione ostativa, anche una ipotesi affatto diversa e cioe' non essere «stato mai condannato con l'aggravante di cui all'art. 99 del codice penale». In tutta evidenza, si tratta di un ulteriore giudizio in astratto, meccanicamente ostativo alla concessione della misura domiciliare, pur in presenza di tutti gli altri requisiti di legittimita', ma ancorato a condizioni di fatto e di diritto affatto diverse, aleatorie nella loro ricorrenza, che esprimo un giudizio di pericolosita' indiretto, di intensita' potenzialmente molto differente e soprattutto non attuale. In materia di recidiva, e' appena il caso di ricordare che si tratta di un dato oggettivo che qualifica un soggetto gia' condannato per uno o piu' reati, che commette altre condotte criminose dopo la condanna per le precedenti. Si ritiene comunemente che l'istituto abbia natura di circostanza aggravante, ma la dottrina penalistica piu' moderna ritiene che sia uno stato personale del colpevole che funge da indice di commisurazione della pena; in ogni caso, in giurisprudenza e' certo che la recidiva vada soggetta al giudizio di comparazione delle circostanze. Anche la giurisprudenza costituzionale ha contribuito a delineare l'istituto, individuando il suo fondamento nella piu' accentuata colpevolezza e nella maggiore pericolosita' del reo, da valutare ai fini della applicazione facoltativa e discrezionale dell'aumento di pena (Corte cost. n. 192 del 2007). Del pari, e' pacifico che la recidiva debba essere contestata dal pubblico ministero nell'imputazione del fatto e che in mancanza il giudice non la puo' accertare e ritenere in sentenza. Per contro, sin dalla riforma del decreto-legge n. 99/1974, vige il principio della applicazione facoltativa della recidiva anche ritualmente contestata, recentemente riaffermato proprio dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 185/2005, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del comma 5 dell'art. 99 codice penale, come novellato dalla legge n. 251/2005, nella parte in cui imponeva l'aumento obbligatorio della recidiva per i delitti di cui all'art. 407 comma 2 lettera a) codice di procedura penale. La sentenza citata, sulla scorta di precedenti costituzionali, ha ribadito che nel caso di recidiva facoltativa l'aumento di pena puo' essere disposto «solo allorche' il nuovo episodio delittuoso appaia concretamente significativo, in rapporto alla natura ed al tempo di commissione dei precedenti, sotto il profilo della piu' accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosita' del reo» (ordinanza n. 409 del 2007; conformi, ex plurimis, ordinanze n. 193, n. 90 e n. 33 del 2008). La pronuncia citata ha inoltre sottolineato come la giurisprudenza di legittimita' abbia recepito l'orientamento della Corte ed abbia indicato altresi' gli indici in base ai quali applicare la recidiva; in particolare ha ricordato che il giudice dovra' tenere conto "della natura dei reati, del tipo di devianza di cui sono il segno, della qualita' dei comportamenti, del margine di offensivita' delle condotte, della distanza temporale e del livello di omogeneita' esistenti fra loro, dell'eventuale occasionalita' della ricaduta e di ogni altro possibile parametro individualizzante„rignificativo della personalita' del reo e del grado di colpevolezza, al di la' del mero riscontro formale dei precedenti penali. (Corte di cassazione, sezioni unite penali, 27 maggio 2010, n. 35738. In senso conforme, Corte di cassazione, sezioni unite penali, 24 febbraio 2011, n. 20798)». Dalla sommaria esposizione della struttura e del funzionamento della recidiva si possono trarre alcune considerazioni utili ai nostri fini: la recidiva implica un giudizio di pericolosita', che si risolve in un fattore aggravante della colpevolezza che incide sulla commisurazione della pena; nella prassi in realta' e' considerato piuttosto come fattore di maggiore gravita' della condotta attuale in forze di fatti analoghi del passato; l'unico riflesso negativo sulla persona e' ancora una volta centrato sulla pena, che deve essere aumentata in ragione della dimostrata inefficacia deterrente di precedenti condanne; in questi termini, piu' comunemente la recidiva non esprime un giudizio generale prognostico sulla persona, ma uno specifico sul fatto, ritenuto piu' grave perche' reiterato; la sua applicazione dipende da condizioni variabili e ingovernabili quali l'effettiva contestazione da parte del pubblico ministero (che non sempre assolve l'obbligo di contestarla) e la discrezionalita' del giudice nel riconoscerla e applicarla, alla luce della complessita' di criteri sopra indicati dalla SC; nella prassi giudiziaria entrambe le scelte discrezionali che precedono dipendono sia da molteplici e non ostensibili fattori soggettivi, sia dalla correttezza e dalla professionalita' degli interpreti; - proprio per la sua imponderabilita', puo' accadere che la recidiva venga riconosciuta su reati lievi e poco significativi in termini sia di allarme sociale, sia di entita' della pena, ma cio' nel contempo puo' ostacolare l'espiazione domiciliare della pena per altri e ben piu' gravi reati, anche in assenza di contestazione di recidiva; anche nella misura in cui la recidiva implica indirettamente un giudizio di pericolosita', si deve osservare che tale giudizio risale al tempo della sentenza di condanna, quindi non e' attuale e nessuna norma consente di attualizzarlo al tempo della decisione sulla misura alternativa, in relazione alle circostanze oggettive e soggettive del presente; nello specifico della detenzione domiciliare per ultrasettantenni, infine, si osserva che l'ammissibilita' della misura alternativa non conosce soglie di pena, mentre in modo contraddittorio patisce l'ostacolo di un istituto che incide solo sulla commisurazione della pena, aumentandola in caso di precedenti condanne. Ne consegue che, secondo la normativa citata, di cui si sospetta l'incostituzionalita', la valutazione discrezionale e di merito tipica della Magistratura di Sorveglianza circa l'applicabilita' della misura alternativa della detenzione domiciliare per l'ultrasettantenne e' impedita in modo oggettivo e insuperabile non solo da condizioni di valutata pericolosita' da parte della legge o del giudice, ma anche da un fattore imponderabile, aleatorio e non rappresentativo di pericolosita' attuale o non meritevolezza, quale e' la recidiva. La non manifesta infondatezza della questione. Il principale parametro costituzionale invocato e' rappresentato dal principio di eguaglianza, proporzionalita' e ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. In base al principio citato, la Corte ha costantemente affermato in molteplici e diversificate materie che «le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioe' se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell'id quod plerumque accidit», sussistendo l'irragionevolezza della presunzione assoluta «tutte le volte in cui sia "agevole" formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa» (cfr. Corte costituzionale n. 172 del 2012, che a sua volta richiama le proprie sentenze n. 231 e n. 164 del 2011; n. 265 e n. 139 del 2010). Al principio di eguaglianza si somma la funzione rieducativa della pena di cui all'art. 27-terzo conma Cost., che implica un costante "principio di proporzione" tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra (Corte cost. n. 341 del 1994 e n. 251 del 2012), applicabile ad ogni pena inflitta e ad ogni forma di espiazione della stessa anche alternativa. E' appena il caso di rammentare il consolidato principio costituzionale, affermato sin dalla sentenza n. 313 del 1999, secondo il quale la finalita' rieducativa della pena informa tutte le fasi della sanzione penale, dalla previsione normativa astratta fino all'esecuzione della condanna definitiva e quindi a maggior ragione in materia di misure alternative. Oltre ad affermare il citato principio in termini coerenti con la propria costante giurisprudenza, nella sentenza indicata la Corte censura una norma che puo' essere agevolmente letta in perfetto parallelismo a quella oggetto della presente questione. In particolare, la sentenza n. 172 cit. dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1-ter, comma 13, lettera c), del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, introdotto dalla legge di conversione 3 agosto 2009, n. 102, nella parte in cui fa derivare automaticamente il rigetto della istanza di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla pronuncia nei suoi confronti di una sentenza di condanna per uno dei reati previsti dall'art. 381 del codice di procedura penale, senza prevedere che la pubblica amministrazione provveda ad accertare che il medesimo rappresenti una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. In motivazione la Corte precisa che il legislatore puo' legittimamente subordinare la regolarizzazione del rapporto di lavoro al fatto che la permanenza nel territorio dello Stato non sia di pregiudizio ad alcuno degli interessi coinvolti dalla disciplina dell'immigrazione, ma la relativa scelta deve costituire il risultato di un ragionevole e proporzionato bilanciamento degli stessi, soprattutto quando sia suscettibile di incidere sul godimento dei diritti fondamentali. In altre parole, la Corte riconosce la legittimita' della norma che impedisce la regolarizzazione del lavoratore extracomunitario condannato per uno dei delitti previsti dall'art. 381 codice di procedura penale (delitti che consentono l'arresto in flagranza facoltativo); tuttavia, censura il fatto che l' ostativita' della condanna per tali delitti operi indefettibilmente, quando invece la stessa norma subordina l'arresto (che appunto e' facoltativo) a una specifica valu azione di elementi ulteriori rispetto a quelli consistenti nella mera commissione del fatto. La Corte conclude introducendo la necessita' della (ri)valutazione attuale e concreta del sospetto di minaccia per l' ordine pubblico o la sicurezza dello Stato, indiziato dal dato formale dell'avere riportato condanna per delitto di cui all'art. 381 codice di procedura penale. In termini ancora piu' pertinenti, giova richiamare la gia' citata sentenza Corte costituzionale n. 185 del 2015 in materia di applicazione obbligatoria della recidiva ex art. 99 comma quinto codice penale come novellato dalla legge. n. 251/2005, senza che il giudice sia tenuto ad accertare in concreto se, in rapporto ai precedenti, il nuovo episodio delittuoso sia indicativo di una piu' accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosita' del reo. Nell'introdurre il proprio ragionamento, la Corte ribadisce che l'individuazione delle condotte punibili e la configurazione del relativo trattamento sanzionatorio rientrano nella discrezionalita' legislativa, che e' sindacabile sul piano della legittimita' costituzionale solo nel caso in cui si traduca in scelte manifestamente irragionevoli o arbitrarie. Nel rispetto di tale principio, la Corte censura il fatto che l'automatico e obbligatorio aumento di pena sia derivato esclusivamente dal dato formale del titolo di reato commesso, secondo il rigido automatismo sanzionatorio cui da' luogo la norma censurata. Cio' e' ritenuto "del tutto privo di ragionevolezza, perche' inadeguato a neutralizzare gli elementi eventualmente desumibili dalla natura e dal tempo di commissione dei precedenti reati e dagli altri parametri che dovrebbero formare oggetto della valutazione del giudice, prima di riconoscere che i precedenti penali sono indicativi di una piu' accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosita' del reo. L'obbligatorieta' stabilita dal quinto comma dell'art. 99 cod pen. impone l'aumento della pena anche nell'ipotesi in cui esiste un solo precedente, lontano nel tempo, di poca gravita' e assolutamente privo di significato affini della recidiva". Risulta estremamente interessante ai nostri fini osservare come la Corte tenga a precisare che "l'automatismo sanzionatorio introdotto dalla norma censurata non potrebbe giustificarsi neppure ritenendo che esso si fondi su una presunzione assoluta di piu' accentuata colpevolezza e di maggiore pericolosita' del reo". E cio' per la costante affermazione gia' richiamata secondo cui «le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioe' se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell'id quod plerumque accidit», sussistendo l'irragionevolezza della presunzione assoluta «tutte le volte in cui sia "agevole" formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa» (cfr. Corte costituzionale n. 172 del 2012, che a sua volta richiama le proprie sentenze n. 231 e n. 164 del 2011; n. 265 e n. 139 del 2010). E' appena il caso di ricordare che il medesimo principio e' posto a fondamento della declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 275, comma 3, secondo periodo del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede l'idoneita' della sola custodia cautelare in carcere per determinati delitti di particolare gravita', senza fare salva l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure (Corte cost. n. 110 del 2012). Giova riprendere a questo punto la norma in scrutinio per osservare come la stessa preveda la natura ostativa di una qualsiasi precedente condanna con recidiva (ne' sia stato mai condannato con l'aggravante di cui all'art. 99 del codice penale) alla concessione della detenzione domiciliare per ultrasettantenne, senza consentire alcuna valutazione in concreto ne' di pericolosita' attuale, ne' -quanto meno - di adeguata e ragionevole incidenza sulla meritevolezza della misura stessa. La stessa contestazione della recidiva, successivamente ritenuta dal giudice in sentenza, dipende da una serie di variabili discrezionali che si risolvono in un giudizio di pericolosita' affatto inattendibile. In ogni caso, la recidiva si rivolge ad un passato che puo' essere anche lontano, sia dalla stessa sentenza che la applica, sia a maggior ragione dal momento successivo della decisione sulla misura alternativa in fase esecutiva, in cui determina il suo effetto ostativo. Inoltre, anche quando sia correttamente ritenuta, puo' legittimamente accedere a fattispecie concrete lievi, legate a contingenze del caso concreto, affatto non rappresentative di una piu' accentuata colpevolezza, ne' una maggiore pericolosita' del condannato. Cio' solo rende manifestamente agevole" formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa, potendosi riscontrare nella pratica condannanti con recidiva per nulla pericolosi e condannati senza recidiva molto pericolosi, in entrambi i casi per ragioni imponderabili. Il giudizio sulla personalita' del reo e sulla sua pericolosita' soggettiva e' bloccato dal meccanismo automatico della norma, quando invece - proprio perche' ultrasettantenne - egli potrebbe essere concretamente ben lontano nel tempo e nello spazio da contesti, ambienti, occasioni, relazioni, capacita' al delitto, in misura tale da neutralizzare nel presente la pericolosita' ritenuta nel passato. La previsione di un insuperabile fattore ostativo, legato solamente al dato formale della precedente condanna con recidiva, senza alcuna possibile verifica della concreta significativita' del giudizio risalente nel tempo in punto di piu' accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosita' del reo, viola anche l'art. 27, terzo comma, Cost., che - come e' gia' stato accennato - implica un costante principio di proporzione tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra. Impedire in radice l'accertamento della effettiva valenza indiziante di pericolosita' della recidiva, puo' ostacolare l'applicazione di una misura alternativa come la specifica detenzione domiciliare in esame, in modo irragionevole e sproporzionato, determinando nel condannato un senso di ingiustizia che si risolve in una frustrazione della finalita' rieducativa e risocializzante della pena, prevista dall'art. 27, terzo comma, Cost.. Tale giudizio rende palesemente fondata l'eccezione di legittimita' costituzionale, ove si osservi a maggior ragione che la norma rende inammissibile la misura alternativa indistintamente, in presenza di qualsiasi forma di recidiva - anche semplice - applicata in qualsiasi condanna nel tempo (ne' sia stato mai condannato...) ed infine per qualsiasi reato. Per le ragioni sopra esposte, ad avviso di questo Magistrato, sussistono ragioni di contrasto della norma contenuta nell'art. 47-ter, comma 01 O.P. con gli articoli 3 e 27, comma 3 Cost. e pertanto, preso atto della rilevanza in fatto, deve sollevarsi questione di illegittimita' costituzionale, che si ritiene non manifestamente infondata.