IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA Sezione Prima Ha pronunciato la presente ordinanza, sul ricorso numero di registro generale 364 del 2020, proposto da: A. A., rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Capobianco, Marco Ciocchetta e Roberta Finotti, con domicilio digitale come da pec da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Giuseppe Capobianco in Milano, via Savare' n. 1; Contro Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in persona del Ministro in carica, Ministero dell'interno, in persona del Ministro in carica, Ufficio provinciale della motorizzazione di Milano, in persona del legale rappresentante in carica, e Ufficio territoriale del Governo di Milano, in persona del prefetto in carica, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici in Milano, via Freguglia n. 1, sono domiciliati per legge; Per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia, dell'ostativo al rilascio del titolo abilitativo alla guida, inserito nel sistema informativo del Dipartimento dei trasporti, della navigazione, degli affari generali e - del susseguente provvedimento di diniego al rilascio del titolo abilitativo alla guida, emanato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ufficio provinciale della motorizzazione di Milano, in data 30 novembre 2019; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Ufficio territoriale del Governo di Milano, del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dell'Ufficio provinciale della motorizzazione di Milano e del Ministero dell'interno; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Relatore nella Camera di consiglio del giorno 22 aprile 2020 la dott.ssa Rosanna Perilli e trattenuta la causa in decisione sulla base degli atti depositati, ai sensi dell'art. 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18; 1. Il ricorrente ha domandato l'annullamento del provvedimento del 30 novembre 2019 con il quale l'Ufficio provinciale della motorizzazione di M. gli ha negato il rilascio della patente di guida di tipo B, per mancanza dei requisiti morali di cui all'art. 120, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, (Nuovo codice della strada, d'ora in avanti anche solo «codice della strada»). Il ricorrente ha contestato l'irragionevolezza della mancata considerazione, da parte del Prefetto di M., della sentenza della Corte costituzionale del 9 febbraio 2018, n. 22, con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale del secondo comma dell'art. 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, con riferimento alla fattispecie della revoca della patente per la condanna per uno dei delitti di cui agli articoli 73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, (testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, d'ora in avanti anche solo «testo unico stupefacenti»), riportata in data successiva al rilascio della patente. Secondo il ricorrente, la condanna inflittagli dal Tribunale di Milano, ai sensi degli articoli 444 e seguenti del codice di procedura penale, per il delitto di cui all'art. 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, divenuta irrevocabile in data 8 maggio 2014, non potrebbe spiegare effetti automaticamente ostativi al conseguimento della patente di guida. Il ricorrente ha pertanto specificamente dedotto i vizi di difetto di istruttoria e di motivazione, di illogicita' e di irragionevolezza del provvedimento impugnato, in quanto la Prefettura avrebbe espresso il giudizio di inaffidabilita' morale esclusivamente sulla scorta della predetta condanna, senza tenere conto di altri elementi favorevoli, quali la lieve entita' del fatto commesso, la non particolare afflittivita' della pena irrogata, la concessione dei benefici di legge, il positivo percorso di reinserimento sociale, la distanza di oltre un quinquennio intercorsa tra la commissione del reato e la presentazione dell'istanza e la sua condizione familiare e lavorativa. 1.1. Si sono costituite in giudizio le amministrazioni intimate, le quali hanno preliminarmente eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario; nel merito hanno altresi' dedotto l'infondatezza del ricorso, dal momento che l'art. 120, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, attribuisce al prefetto un potere vincolato, sia nel presupposto che nel contenuto, che non lascia spazio a valutazioni di sorta. 1.2. Alla Camera di consiglio del 22 aprile 2020 la causa e' stata trattenuta in decisione in base agli atti depositati, ai sensi dell'art. 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18. 2. L'art. 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, rubricato «Requisiti morali per ottenere il rilascio dei titoli abilitativi di cui all'art. 116», al comma 1, primo periodo, dispone che «l. Non possono conseguire la patente di guida i delinquenti abituali, professionali o per tendenza e coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali o alle misure di prevenzione previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, ad eccezione di quella di cui all'art. 2, e della legge 31 maggio 1965, n. 575, le persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, fatti salvi gli effetti dei provvedimenti riabilitativi...». Al secondo comma detto articolo prevede che «...se le condizioni soggettive indicate al primo periodo del comma 1 del presente articolo intervengono in data successiva al rilascio, il prefetto provvede alla revoca della patente di guida». Con sentenza di accoglimento c.d. «sostitutiva» del 9 febbraio 2018, n. 22, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del secondo comma dell'art. 120, in relazione all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui, con riferimento all'ipotesi di condanna per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, intervenuta in data successiva a quella del rilascio della patente di guida, dispone che il prefetto «provvede» in luogo di «puo' provvedere» alla revoca della patente di guida. Con analoga sentenza del 20 febbraio 2020, n. 24, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del secondo comma dell'art. 120, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, anche per l'ipotesi di revoca della patente disposta nei confronti di coloro che, successivamente al rilascio della patente di guida, sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali. 2.1. La manipolazione della norma ad opera della Corte costituzionale ha determinato l'attribuzione all'amministrazione competente di poteri di diversa natura, ovvero: di un potere di natura (assolutamente) vincolata per tutte le fattispecie di diniego di rilascio del titolo abilitativo e per tutte le fattispecie di revoca, ad esclusione di quelle per cui la condizione ostativa al mantenimento del titolo, sopravvenuta al rilascio dello stesso, consiste in una condanna per i delitti di cui agli articoli 73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 o nella irrogazione di una misura di sicurezza personale; di un potere di natura discrezionale per le sole fattispecie di revoca della patente di guida, determinate dalla sopravvenienza di una condanna per i delitti di cui agli articoli 73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 o dall'applicazione di una misura di sicurezza personale. 2.2. Il Collegio dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 120, comma 1, del codice della strada, limitatamente al meccanismo ostativo derivante dalla condanna per uno dei delitti previsti in materia di sostanze stupefacenti, rispetto al principio di uguaglianza enunciato dall'art. 3 della Costituzione, in relazione alla diversa disciplina delineata dal secondo comma del medesimo articolo, per come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale del 9 febbraio 2018, n. 22. La differenza di trattamento che la dicotomia ha determinato all'interno del medesimo articolo di legge, originariamente formulato in maniera unitaria mediante l'utilizzo della tecnica del rinvio agli elementi descrittivi della fattispecie contemplata dal primo comma per estenderne gli effetti ostativi alla diversa fattispecie delineata dal secondo comma, non sembra infatti giustificata a fronte di situazioni omogenee, sostanzialmente connotate dal medesimo disvalore sociale, ossia l'aver riportato una condanna per un reato in materia di stupefacenti. Il Collegio dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 120, comma 1, del codice della strada, oltre che in relazione alla sua coerenza con la fattispecie della revoca della patente, anche in relazione alla sua coerenza rispetto alle altre disposizioni contenute nel codice della strada. Il Collegio dubita infine della legittimita' costituzionale dell'art. 120, comma 1, del codice della strada in riferimento alla proporzionalita' del sacrificio che esso impone al pieno svolgimento dei diritti della personalita' del soggetto che desidera conseguire la patente rispetto alla realizzazione del fine della sicurezza del traffico che la norma intende perseguire. 3. La dicotomia creata all'interno dell'art. 120 in seguito agli interventi manipolativi della Corte costituzionale e' destinata a spiegare effetti anche sull'individuazione del giudice munito di giurisdizione. Secondo la tradizionale giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di cassazione, richiamata dalla sentenza della Corte costituzionale del 9 febbraio 2018, n. 22, tutti i provvedimenti adottati ai sensi dell'art. 120 del codice della strada, siano essi di diniego o di revoca del titolo abilitativo, incidono su diritti soggettivi e sono pertanto attribuiti alla giurisdizione del giudice ordinario (ex multis, Corte di cassazione, sezioni unite, sentenze 14 maggio 2014, n. 10406, e 6 febbraio 2006, recepite da Consiglio di Stato, sez. III, 6 giugno 2016, n. 2413, e sez. V, 29 agosto 2016, n. 3712). Anche in seguito alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2018, le sezioni unite della Corte di cassazione hanno confermato il precedente orientamento in relazione alla fattispecie di cui al comma 1 dell'art. 120, di diniego di conseguimento della patente di guida, per aver riportato una sentenza di condanna in materia di stupefacenti intervenuta in un momento anteriore all'istanza di rilascio, in quanto la norma contempla l'esercizio da parte dell'Amministrazione «di un'attivita' del tutto vincolata» rispetto alla quale si configurano diritti soggettivi dei richiedenti (ex multis, Corte di cassazione, sezioni unite, ordinanze 13 dicembre 2019, n. 32977 e 32978, e 16 dicembre 2019, n. 33090). Il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi dall'orientamento espresso dalle sezioni unite della Corte di cassazione con le ordinanze 13 dicembre 2019, n. 32977 e 32978, e 16 dicembre 2019, n. 33090, e ritiene che, a prescindere dalla qualificazione dell'attivita' come « del tutto vincolata», ossia «vincolata sia nel presupposto che nel contenuto» (Consiglio di Stato, sez. V, 29 agosto 2016, n. 3712) o come «dovuta» (Consiglio di Stato, parere, sez. I, 22 febbraio 2013, n. 1517), la situazione soggettiva del privato che si staglia a fronte della stessa e' quella di diritto soggettivo per cui, in applicazione dell'ordinario criterio di riparto, le controversie relative al diniego di rilascio della patente per mancanza dei requisiti morali devono essere attribuite alla giurisdizione ordinaria civile (Tribunale amministrativo regionale Lombardia, sede di Milano, sez. I, 7 gennaio 2020, n. 32; Tribunale amministrativo regionale Piemonte, sez. II, 18 giugno 2019, n. 691; Tribunale amministrativo regionale Emilia Romagna, sede di Parma, 1° aprile 2019, n. 77). 3.1. Con la sentenza del 9 febbraio 2018, n. 22, la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilita' della questione sollevata dal Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia con ordinanza del 17 dicembre 2015, n. 114, per irrilevanza nel giudizio a quo, in quanto il giudice remittente non risulta munito di giurisdizione, ai sensi dall'art. 5 del codice di procedura civile, per cui la giurisdizione si determina «con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo». Con la sentenza del 20 febbraio 2020, n. 24, la Corte costituzionale ha tuttavia mutato il proprio orientamento sull'interpretazione del presupposto processuale della giurisdizione del giudice remittente, la quale deve essere affermata in base alle conseguenze eventualmente derivanti dall'accoglimento della questione di legittimita' prospettata, ed ha dichiarato ammissibile l'analoga questione sollevata dal Tribunale amministrativo regionale delle Marche con ordinanza del 24 luglio 2018, n. 519, in quanto, ove la stessa dovesse essere accolta, sarebbe «non implausibile, sebbene opinabile» affermarne la giurisdizione. 3.2. La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 120, comma 1 del codice della strada e' pertanto rilevante ai fini della decisione del presente giudizio anche sotto il profilo della sua attualita', poiche', in caso di accoglimento della stessa, l'attribuzione della giurisdizione al giudice remittente non dipenderebbe da un successivo mutamento della legge (c.d. proroga della giurisdizione) o dello stato di fatto, considerati inefficaci dall'art. 5 del codice di procedura civile, ma dalla dichiarazione di un'invalidita' preesistente della norma, in relazione alla qualificazione del potere attribuito all'amministrazione competente ed alla situazione soggettiva ad esso correlata. Il Collegio ritiene inoltre che la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 120, comma 1, del codice della strada e' rilevante nel presente giudizio impugnatorio, sia in quanto dalla decisione della Corte costituzionale dipende l'esito dei motivi con i quali il ricorrente ha censurato il difetto di istruttoria e di motivazione, sia perche' la stessa ha ad oggetto direttamente la legittimita' costituzionale del potere attribuito dalla norma (Consiglio di Stato, sez. IV, 9 marzo 2012, n. 1349). L'attuale formulazione dell'art. 120, comma 1, del codice della strada dovrebbe indurre infatti il Collegio, secondo l'orientamento delineato dalla Corte di cassazione a sezioni unite ed accolto dalla giurisprudenza amministrativa maggioritaria, a dichiarare il difetto di giurisdizione ovvero, nell'ipotesi in cui, discostandosi da tale consolidato orientamento giurisprudenziale, dovesse trattenere la propria giurisdizione, a rigettare il ricorso poiche' il prefetto, nell'esercizio del potere vincolato attribuitogli dalla norma, non potrebbe valutare altri elementi all'infuori dell'accertamento dell'esistenza di una condanna ostativa al conseguimento del titolo. Ove invece la Corte costituzionale dovesse dichiarare l'illegittimita' dell'art. 120, comma 1, nella parte in cui questo preclude al prefetto di bilanciare la gravita' del reato commesso con altri elementi, non solo il Collegio dovrebbe trattenere la giurisdizione ma dovrebbe annullare il provvedimento impugnato per i vizi di difetto di istruttoria e di motivazione, specificamente dedotti dal ricorrente, demandando al Prefetto di M. di rivalutare l'istanza sulla scorta di un apprezzamento discrezionale della concreta situazione prospettata dal ricorrente. Il Collegio ritiene dunque che la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 120, comma 1, del codice della strada sia rilevante nella decisione del presente giudizio, il quale, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della stessa. 4. Preliminarmente il Collegio osserva che la Corte costituzionale, nella sentenza del 9 febbraio 2018, n. 22, non ha esercitato i poteri previsti dall'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il quale, in deroga al principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, consente di dichiarare l'illegittimita' c.d. consequenziale di disposizioni legislative che, pur non essendo oggetto del giudizio di legittimita' costituzionale, derivano la propria illegittimita' da quella della disposizione impugnata. Il Collegio ritiene pertanto di non poter percorrere la via dell'interpretazione conforme dell'art. 120, comma 1, in base ai principi enunciati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 22 del 2018 per la fattispecie di cui al secondo comma dell'art. 120 del codice della strada, dal momento che l'obbligo di vagliare, prima di sollevare la questione di legittimita' costituzionale, la percorribilita' di tutte le ipotesi ermeneutiche astrattamente possibili per attribuire alla norma un significato non incompatibile con i principi costituzionali incontra pur sempre il limite della formulazione letterale della disposizione sospettata di incostituzionalita', la quale, con l'utilizzo della locuzione «non possono» non consente altra interpretazione che quella di attribuire al prefetto il dovere di affermare, a fronte dell'accertamento di una sentenza di condanna per delitti in materia di stupefacenti, l'insussistenza dei requisiti morali del soggetto che richiede di conseguire la patente. Il Collegio ritiene inoltre che sia preclusa in assoluto la via dell'interpretazione conforme della norma perche' ogni altra interpretazione diversa da quella letterale si porrebbe in contrasto con la consolidata giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di cassazione, anche successiva alla sentenza della Corte costituzionale del 9 febbraio 2018, n. 22, e con la giurisprudenza dominante del giudice amministrativo che la recepisce, illustrate al paragrafo 3. Deve dunque essere rimessa all'esclusivo giudizio della Corte costituzionale la valutazione della legittimita' del primo comma dell'art. 120 del codice della strada rispetto all'art. 3 della Costituzione, in relazione alla differente fattispecie prevista nel secondo comma del medesimo articolo della revoca del titolo abilitativo. 5, Il Collegio ritiene che la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 120, comma 1, del codice della strada, limitatamente alla fattispecie ostativa in cui il soggetto abbia riportato una condanna per reati in materia di stupefacenti, non sia manifestamente infondata, anche alla luce della sentenza del 9 febbraio 2018, n. 22, con la quale la Corte costituzionale ha modificato la disposizione contenuta nel comma 2 del medesimo articolo. Il Collegio dubita della compatibilita' della disposizione di cui al comma 1 con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, e dunque della coerenza intrinseca di una disciplina che, a fronte di fattispecie omogenee, connotate dal medesimo disvalore sociale, ossia l'aver riportato una condanna per reati in materia di sostanze stupefacenti, prevede un trattamento diverso a seconda che la condanna intervenga prima o dopo il rilascio del titolo abilitativo alla guida. E' ben vero che il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalita', potrebbe aggravare la posizione di colui che intende conseguire per la prima volta il titolo abilitativo rispetto a quella di colui che tale titolo abbia gia' conseguito e che ha maturato una situazione di affidamento nella sua conservazione. Il Collegio ritiene tuttavia che la maggiore integrita' della sfera morale del soggetto che intende conseguire la patente ed il conseguente sacrificio nell'attuazione dei diritti della personalita' dovrebbero essere giustificati da prevalenti esigenze di tutela dei beni e degli interessi coinvolti. Cio' di cui dubita il Collegio, e che e' stato gia' ritenuto costituzionalmente illegittimo dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 22 del 2018 e n. 24 del 2020, e' la disparita' di trattamento che discende dal mantenimento del meccanismo dell'automatismo ostativo della condanna nell'ipotesi del conseguimento del titolo, in relazione alla sua avvenuta eliminazione per la fattispecie della revoca. La conservazione dell'art. 120, comma 1, il quale vieta al prefetto di valutare, oltre alla condanna per reati in materia di stupefacenti, altri elementi favorevoli al richiedente, creerebbe infatti, a parita' di situazioni sostanziali, una ingiustificata discriminazione rispetto alla fattispecie della revoca della patente, per la quale la Corte costituzionale ha attribuito al prefetto il potere-dovere di valutare anche tali elementi ed ha riconosciuto al titolare della patente la situazione soggettiva di interesse legittimo e dunque la possibilita' di dialogare con il potere, introducendo nel procedimento elementi in suo favore da bilanciare con la gravita' della condanna, al fine di valutarne la concreta inaffidabilita' nella guida dei veicoli. 5.1. Il Collegio ravvisa un primo profilo di fondatezza della questione di legittimita' costituzionale nella circostanza che l'automatismo ostativo della condanna non tiene conto della diversa gravita' che connota, sia in astratto che in concreto, le diverse fattispecie di reato contemplate dagli articoli 73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. Il mantenimento dell'art. 120, comma 1, nella sua attuale formulazione, finirebbe pertanto per ricollegare i medesimi effetti ostativi al conseguimento della patente a fattispecie dotate di un differente disvalore penale, come si verificherebbe nella fattispecie oggetto del presente giudizio in cui il ricorrente e' stato condannato, ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, per l'autonoma fattispecie attenuata prevista dall'art. 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, in epoca risalente rispetto alla presentazione dell'istanza per il conseguimento della patente. La Corte costituzionale, al paragrafo 7 della sentenza del 9 febbraio 2018, n. 22, ha gia' ritenuto fondata la medesima questione, sollevata in riferimento all'art. 120, comma 2, del codice della strada, per violazione dei principi di eguaglianza, proporzionalita' e ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione. Il Collegio osserva che dovrebbe ritenersi fondata, per le medesime ragioni, anche la questione di legittimita' sollevata in relazione all'art. 120, comma 1, poiche' l'unico elemento distintivo tra le due fattispecie, ovvero la circostanza che a condanna per un reato in materia di stupefacenti sia intervenuta in un momento anteriore o successivo al rilascio della patente, deve considerarsi affatto neutro rispetto all'esigenza di tutela della sicurezza della circolazione stradale, che rappresenta l'interesse primario tutelato dalla norma sospettata di illegittimita' costituzionale. Ove dovesse ritenersi che la condanna penale configuri una presunzione assoluta di inaffidabilita' del soggetto che aspira al conseguimento del titolo abilitativo, si rischierebbe infatti di riservargli un trattamento deteriore rispetto al soggetto che tale titolo ha gia' conseguito, in capo al quale l'ordinamento, pur nel rispetto dell'affidamento nella sua conservazione, dovrebbe semmai esigere un piu' intenso dovere di diligenza e una maggiore responsabilita' nella protezione dei rilevanti beni giuridici coinvolti. 5.2. Un secondo profilo di possibile fondatezza della questione deve essere ravvisato nella ulteriore disparita' del trattamento che le norme contenute nel primo e nel secondo comma dell'art. 120 riservano, a parita' di gravita' della condanna riportata per un medesimo reato in materia di stupefacenti, rispettivamente al soggetto che intenda conseguire per la prima volta il titolo abilitativo ed al soggetto che l'abbia gia' conseguito. Al soggetto che intenda conseguire il titolo abilitativo e' infatti richiesto l'onere di eliminare l'effetto automaticamente ostativo e potenzialmente perenne della condanna mediante la riabilitazione penale. In seguito agli interventi della Corte costituzionale sul secondo comma dell'art. 120, tale onere e' invece sostanzialmente venuto meno in capo al soggetto che aspiri a conservare il titolo abilitativo, il quale puo' eliminare l'effetto ostativo della condanna, comunque temporaneamente contenuto nei tre anni successivi al passaggio in giudicato della sentenza, semplicemente introducendo elementi da valutare in suo favore nel procedimento amministrativo avviato per la revoca della patente. Ove la disposizione dell'art. 120, comma 1, venisse mantenuta nella sua attuale formulazione, il candidato al conseguimento della patente potrebbe pertanto riacquistare i necessari requisiti morali esclusivamente con l'eliminazione degli effetti penali della condanna ad opera della riabilitazione, ottenuta ai sensi dell'art. 178 del codice penale. L'imposizione dell'onere di riabilitazione, il rinvio indiscriminato effettuato dalla disposizione a tutti i «reati di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309», senza distinzioni di sorta, oltre che l'efficacia ostativa, potenzialmente perenne, della sentenza di condanna introducono una irragionevole discriminazione per quei soggetti, di solito di giovane eta', i quali, pur condannati per fatti di non particolare gravita' - come accaduto nella fattispecie oggetto del presente giudizio in cui il ricorrente ha riportato una condanna ai sensi degli articoli 444 e seguenti del codice di procedura penale per l'autonoma fattispecie attenuata prevista dall'art. 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 - sono costretti, prima di poter conseguire la patente di guida, ad attendere i tempi tecnici richiesti dall'art. 179 del codice penale per la concessione della riabilitazione, previsti nel minimo di tre anni dall'esecuzione, dall'estinzione o dalla concessione della sospensione condizionale della pena principale, e a sostenere i costi del procedimento penale di sorveglianza. 5.3. Un terzo dubbio di fondatezza della questione deve essere ravvisato nella circostanza che al sacrificio imposto dalla disposizione sospettata di incostituzionalita' a colui che intende conseguire il titolo abilitativo non sembra corrispondere un beneficio proporzionale per l'interesse pubblico alla sicurezza del traffico e per il bene dell'incolumita' collettiva, i quali, anche in difetto dell'automatismo ostativo, possono essere perseguiti con pari efficacia mediante gli strumenti predisposti dal medesimo codice della strada. L'art. 119 del codice della strada demanda infatti alle competenti autorita' sanitarie l'accertamento dell'idoneita' fisica e psichica del richiedente, anche in relazione all'eventuale uso che egli faccia di sostanze stupefacenti, ed all'autorita' competente al rilascio del titolo, in seguito all'esame teorico e pratico, l'accertamento del senso di autoresponsabilita' e del rispetto delle regole prudenziali per garantire la sicurezza della strada, anche in relazione allo specifico rischio derivante dall'utilizzo di sostanze stupefacenti (circolare del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 19 settembre 2019, prot. n. 28819, per il conseguimento della patente B). L'art. 117 del codice della strada disciplina inoltre la misura amministrativa delle limitazioni automatiche nella guida di autoveicoli di cilindrata elevata per i primi tre anni dal rilascio del titolo, alla cui violazione consegue l'applicazione sia della sanzione amministrativa pecuniaria che della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della validita' della patente. 5.4. Un quarto ed ultimo profilo di fondatezza della questione di costituzionalita' deve essere ravvisato nella ulteriore contraddittorieta' intrinseca dell'art. 120, comma 1, del codice della strada rispetto all'intero sistema normativo del settore degli stupefacenti. Mentre colui che commette un reato in materia di stupefacenti si prefigura la possibilita' di conseguenze sanzionatorie aventi ad oggetto il titolo abilitativo acquisito, lo stesso non puo' dirsi per chi commette il medesimo reato in epoca anteriore al suo conseguimento. Il Collegio osserva che, pur nella doverosa distinzione tra la disciplina incriminatrice, contenuta nel testo unico stupefacenti e la disciplina amministrativa, di natura preventiva, contenuta nel codice della strada, il mantenimento del meccanismo dell'ostativita' automatica della condanna per delitti in materia di stupefacenti, per le sole fattispecie del conseguimento della patente di guida, rischia di creare un'ingiustificata disparita' di trattamento anche in relazione alla prevedibilita' e alla calcolabilita' di tutte le possibili conseguenze sfavorevoli, anche di quelle non strettamente sanzionatorie, derivanti dalla violazione della norma incriminatrice. Il titolare della patente di guida e' infatti posto in grado di rappresentarsi che la commissione di un reato in materia di stupefacenti avra' conseguenze sfavorevoli sul mantenimento del titolo conseguito, sia pure mediante l'applicazione della sanzione penale accessoria del ritiro della patente, contemplata dall'art. 85 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e con la quale la stessa Corte costituzionale, al paragrafo 7 della sentenza del 9 febbraio 2018, n. 22, ha istituito un parallelismo con l'istituto della revoca della patente, al fine di affermare l'irragionevolezza del suo automatismo. Lo stesso non puo' dirsi per il soggetto che commette il medesimo reato in epoca anteriore al conseguimento della patente, il quale, in base alla disciplina incriminatrice, non e' posto in grado di rappresentarsi neppure genericamente le conseguenze interdittive della sua condotta sul futuro conseguimento della patente, delle quali avra' contezza solo in un momento successivo, ovvero quando, con la presentazione dell'istanza per il rilascio del titolo, instaurera' un rapporto con l'amministrazione. 6. In conclusione il Collegio ritiene rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 120, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, (Nuovo codice della strada), per contrasto con i principi di eguaglianza, proporzionalita' e ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, anche in relazione al comma secondo del medesimo articolo, per come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale 9 febbraio 2018, n. 22, nella parte in cui dispone che «non possono conseguire la patente di guida» i soggetti condannati per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, (testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), senza consentire all'autorita' amministrativa margini di esercizio della discrezionalita' in relazione alle peculiarita' delle singole-fattispecie al suo esame. 7. Ai sensi dell'art. 23, comma 2, della legge 11 marzo 1953, n. 87, deve essere pertanto disposta la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della questione di legittimita' costituzionale sollevata ad iniziativa del Collegio. Deve essere altresi' disposta la sospensione del presente giudizio sino alla definizione del giudizio incidentale sulla questione di legittimita' costituzionale. Devono essere infine ordinati gli adempimenti di notificazione e di comunicazione della presente ordinanza, nei modi e nei termini indicati nel dispositivo.