IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
                          PER LA LOMBARDIA 
                            Sezione Prima 
 
    Ha pronunciato la  presente  ordinanza,  sul  ricorso  numero  di
registro generale 364 del 2020, proposto da: 
        A.  A.,  rappresentato  e  difeso   dagli   avv.ti   Giuseppe
Capobianco,  Marco  Ciocchetta  e  Roberta  Finotti,  con   domicilio
digitale come da pec da Registri  di  giustizia  e  domicilio  eletto
presso lo studio dell'avv. Giuseppe Capobianco in Milano, via Savare'
n. 1; 
    Contro Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in persona
del Ministro  in  carica,  Ministero  dell'interno,  in  persona  del
Ministro in  carica,  Ufficio  provinciale  della  motorizzazione  di
Milano, in persona del legale rappresentante  in  carica,  e  Ufficio
territoriale del Governo  di  Milano,  in  persona  del  prefetto  in
carica, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura distrettuale
dello Stato, presso i cui uffici in Milano, via Freguglia n. 1,  sono
domiciliati per legge; 
    Per   l'annullamento,    previa    sospensione    dell'efficacia,
dell'ostativo al rilascio del titolo abilitativo alla guida, inserito
nel  sistema  informativo  del  Dipartimento  dei  trasporti,   della
navigazione, degli affari generali e - del susseguente  provvedimento
di diniego al rilascio del titolo abilitativo alla guida, emanato dal
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti,  Ufficio  provinciale
della motorizzazione di Milano, in data 30 novembre 2019; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti  gli  atti  di  costituzione   in   giudizio   dell'Ufficio
territoriale   del   Governo   di   Milano,   del   Ministero   delle
infrastrutture  e  dei  trasporti,  dell'Ufficio  provinciale   della
motorizzazione di Milano e del Ministero dell'interno; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Relatore nella Camera di consiglio del giorno 22 aprile  2020  la
dott.ssa Rosanna Perilli e trattenuta la  causa  in  decisione  sulla
base degli atti depositati, ai  sensi  dell'art.  84,  comma  5,  del
decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18; 
    1. Il ricorrente ha domandato  l'annullamento  del  provvedimento
del 30  novembre  2019  con  il  quale  l'Ufficio  provinciale  della
motorizzazione di M. gli ha negato il rilascio della patente di guida
di tipo B, per mancanza dei requisiti morali  di  cui  all'art.  120,
comma 1, del decreto legislativo  30  aprile  1992,  n.  285,  (Nuovo
codice della  strada,  d'ora  in  avanti  anche  solo  «codice  della
strada»). 
    Il ricorrente  ha  contestato  l'irragionevolezza  della  mancata
considerazione, da parte del Prefetto di  M.,  della  sentenza  della
Corte costituzionale del 9 febbraio 2018, n.  22,  con  la  quale  e'
stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale  del  secondo  comma
dell'art. 120 del decreto legislativo 30 aprile  1992,  n.  285,  con
riferimento alla  fattispecie  della  revoca  della  patente  per  la
condanna per uno dei delitti di cui agli articoli 73 e 74 del decreto
del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, (testo  unico
delle leggi in materia di disciplina degli  stupefacenti  e  sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati  di
tossicodipendenza,  d'ora  in  avanti   anche   solo   «testo   unico
stupefacenti»),  riportata  in  data  successiva  al  rilascio  della
patente. 
    Secondo il ricorrente, la condanna inflittagli dal  Tribunale  di
Milano, ai  sensi  degli  articoli  444  e  seguenti  del  codice  di
procedura penale, per il delitto di cui all'art.  73,  comma  5,  del
decreto del Presidente della  Repubblica  9  ottobre  1990,  n.  309,
divenuta irrevocabile in data 8 maggio 2014,  non  potrebbe  spiegare
effetti automaticamente ostativi al conseguimento  della  patente  di
guida. 
    Il ricorrente  ha  pertanto  specificamente  dedotto  i  vizi  di
difetto  di  istruttoria  e  di  motivazione,  di  illogicita'  e  di
irragionevolezza del provvedimento impugnato, in quanto la Prefettura
avrebbe espresso il giudizio di inaffidabilita' morale esclusivamente
sulla scorta della predetta condanna, senza  tenere  conto  di  altri
elementi favorevoli, quali la lieve entita' del  fatto  commesso,  la
non particolare afflittivita' della pena irrogata, la concessione dei
benefici di legge, il positivo percorso di reinserimento sociale,  la
distanza di oltre un quinquennio intercorsa tra  la  commissione  del
reato e la presentazione dell'istanza e la sua condizione familiare e
lavorativa. 
    1.1. Si sono costituite in giudizio le amministrazioni  intimate,
le quali hanno preliminarmente eccepito il difetto  di  giurisdizione
del giudice amministrativo e la sussistenza della  giurisdizione  del
giudice ordinario; nel merito hanno altresi'  dedotto  l'infondatezza
del ricorso, dal  momento  che  l'art.  120,  comma  1,  del  decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285, attribuisce al prefetto un potere
vincolato, sia nel presupposto che  nel  contenuto,  che  non  lascia
spazio a valutazioni di sorta. 
    1.2. Alla Camera di consiglio del 22  aprile  2020  la  causa  e'
stata trattenuta in decisione in base agli atti depositati, ai  sensi
dell'art. 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18. 
    2. L'art. 120 del decreto legislativo 30  aprile  1992,  n.  285,
rubricato «Requisiti morali  per  ottenere  il  rilascio  dei  titoli
abilitativi di cui all'art. 116», al comma 1, primo periodo,  dispone
che «l. Non possono conseguire la  patente  di  guida  i  delinquenti
abituali, professionali o per tendenza e coloro che sono o sono stati
sottoposti  a  misure  di  sicurezza  personali  o  alle  misure   di
prevenzione previste dalla  legge  27  dicembre  1956,  n.  1423,  ad
eccezione di quella di cui all'art. 2, e della legge 31 maggio  1965,
n. 575, le persone condannate per i reati di cui agli articoli  73  e
74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della  Repubblica
9 ottobre 1990, n. 309, fatti salvi  gli  effetti  dei  provvedimenti
riabilitativi...». 
    Al secondo comma detto articolo prevede che «...se le  condizioni
soggettive indicate  al  primo  periodo  del  comma  1  del  presente
articolo intervengono in data successiva  al  rilascio,  il  prefetto
provvede alla revoca della patente di guida». 
    Con sentenza di accoglimento c.d. «sostitutiva»  del  9  febbraio
2018, n. 22, la Corte costituzionale ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale del secondo comma dell'art. 120, in relazione all'art.
3 della Costituzione, nella parte in cui, con riferimento all'ipotesi
di condanna per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309  del  1990,  intervenuta  in  data
successiva a quella del rilascio della patente di guida, dispone  che
il prefetto «provvede» in luogo  di  «puo'  provvedere»  alla  revoca
della patente di guida. 
    Con analoga sentenza del  20  febbraio  2020,  n.  24,  la  Corte
costituzionale  ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  del
secondo comma  dell'art.  120,  per  contrasto  con  l'art.  3  della
Costituzione, anche per l'ipotesi di revoca  della  patente  disposta
nei confronti  di  coloro  che,  successivamente  al  rilascio  della
patente di  guida,  sono  stati  sottoposti  a  misure  di  sicurezza
personali. 
    2.1.  La  manipolazione  della  norma  ad   opera   della   Corte
costituzionale  ha  determinato  l'attribuzione   all'amministrazione
competente di poteri di diversa natura, ovvero: 
        di un potere di natura (assolutamente) vincolata per tutte le
fattispecie di diniego di rilascio del titolo abilitativo e per tutte
le fattispecie  di  revoca,  ad  esclusione  di  quelle  per  cui  la
condizione ostativa  al  mantenimento  del  titolo,  sopravvenuta  al
rilascio dello stesso, consiste in una condanna per i delitti di  cui
agli articoli 73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica  n.
309  del  1990  o  nella  irrogazione  di  una  misura  di  sicurezza
personale; 
        di un potere di natura discrezionale per le sole  fattispecie
di revoca della patente di guida, determinate dalla sopravvenienza di
una condanna per i delitti di cui agli articoli 73 e 74  del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990  o  dall'applicazione
di una misura di sicurezza personale. 
    2.2.  Il  Collegio  dubita  della   legittimita'   costituzionale
dell'art. 120, comma 1, del codice  della  strada,  limitatamente  al
meccanismo ostativo derivante dalla  condanna  per  uno  dei  delitti
previsti in materia di sostanze stupefacenti, rispetto  al  principio
di uguaglianza enunciato dall'art. 3 della Costituzione, in relazione
alla diversa disciplina delineata  dal  secondo  comma  del  medesimo
articolo,  per   come   modificato   dalla   sentenza   della   Corte
costituzionale del 9 febbraio 2018, n. 22. 
    La differenza di trattamento  che  la  dicotomia  ha  determinato
all'interno del medesimo articolo di legge, originariamente formulato
in maniera unitaria mediante l'utilizzo della tecnica del rinvio agli
elementi descrittivi della fattispecie contemplata  dal  primo  comma
per  estenderne  gli  effetti  ostativi  alla   diversa   fattispecie
delineata dal secondo comma, non sembra infatti giustificata a fronte
di  situazioni  omogenee,  sostanzialmente  connotate  dal   medesimo
disvalore sociale, ossia l'aver riportato una condanna per  un  reato
in materia di stupefacenti. 
    Il Collegio dubita della  legittimita'  costituzionale  dell'art.
120, comma 1, del codice della strada, oltre che  in  relazione  alla
sua coerenza con la fattispecie della revoca della patente, anche  in
relazione  alla  sua  coerenza  rispetto  alle   altre   disposizioni
contenute nel codice della strada. 
    Il  Collegio  dubita  infine  della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 120, comma 1, del codice della strada in  riferimento  alla
proporzionalita' del sacrificio che esso impone al pieno  svolgimento
dei diritti della personalita' del soggetto che  desidera  conseguire
la patente rispetto alla realizzazione del fine della  sicurezza  del
traffico che la norma intende perseguire. 
    3. La dicotomia creata all'interno dell'art. 120 in seguito  agli
interventi manipolativi della Corte  costituzionale  e'  destinata  a
spiegare effetti anche  sull'individuazione  del  giudice  munito  di
giurisdizione. 
    Secondo la tradizionale giurisprudenza delle sezioni unite  della
Corte  di  cassazione,  richiamata   dalla   sentenza   della   Corte
costituzionale del 9 febbraio 2018,  n.  22,  tutti  i  provvedimenti
adottati ai sensi dell'art. 120 del codice della strada,  siano  essi
di diniego o di revoca del titolo abilitativo,  incidono  su  diritti
soggettivi e sono pertanto attribuiti alla giurisdizione del  giudice
ordinario (ex multis, Corte di cassazione, sezioni unite, sentenze 14
maggio 2014, n. 10406, e 6 febbraio 2006, recepite  da  Consiglio  di
Stato, sez. III, 6 giugno 2016, n. 2413, e sez. V, 29 agosto 2016, n.
3712). 
    Anche in seguito alla pubblicazione della  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 22 del  2018,  le  sezioni  unite  della  Corte  di
cassazione hanno confermato il precedente orientamento  in  relazione
alla fattispecie di cui al comma  1  dell'art.  120,  di  diniego  di
conseguimento della patente di guida, per aver riportato una sentenza
di condanna in materia di  stupefacenti  intervenuta  in  un  momento
anteriore all'istanza di  rilascio,  in  quanto  la  norma  contempla
l'esercizio da parte dell'Amministrazione «di un'attivita' del  tutto
vincolata» rispetto alla quale si configurano diritti soggettivi  dei
richiedenti (ex multis, Corte di cassazione, sezioni unite, ordinanze
13 dicembre 2019, n. 32977 e 32978, e 16 dicembre 2019, n. 33090). 
    Il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi dall'orientamento
espresso dalle  sezioni  unite  della  Corte  di  cassazione  con  le
ordinanze 13 dicembre 2019, n. 32977 e 32978, e 16 dicembre 2019,  n.
33090,  e   ritiene   che,   a   prescindere   dalla   qualificazione
dell'attivita' come « del tutto vincolata», ossia «vincolata sia  nel
presupposto che nel contenuto» (Consiglio di Stato, sez. V, 29 agosto
2016, n. 3712) o come «dovuta» (Consiglio di Stato, parere,  sez.  I,
22 febbraio 2013, n. 1517), la situazione soggettiva del privato  che
si staglia a fronte della stessa e' quella di diritto soggettivo  per
cui,  in  applicazione  dell'ordinario  criterio   di   riparto,   le
controversie relative  al  diniego  di  rilascio  della  patente  per
mancanza  dei  requisiti  morali  devono   essere   attribuite   alla
giurisdizione ordinaria civile  (Tribunale  amministrativo  regionale
Lombardia, sede di Milano, sez. I, 7 gennaio 2020, n.  32;  Tribunale
amministrativo regionale Piemonte, sez. II, 18 giugno 2019,  n.  691;
Tribunale amministrativo regionale Emilia Romagna, sede di Parma,  1°
aprile 2019, n. 77). 
    3.1. Con la sentenza  del  9  febbraio  2018,  n.  22,  la  Corte
costituzionale ha  dichiarato  la  manifesta  inammissibilita'  della
questione  sollevata  dal  Tribunale  amministrativo  regionale   del
Friuli-Venezia Giulia con ordinanza del 17 dicembre 2015, n. 114, per
irrilevanza nel giudizio a quo, in quanto il giudice  remittente  non
risulta munito di giurisdizione, ai sensi dall'art. 5 del  codice  di
procedura civile, per cui la giurisdizione si determina «con riguardo
alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al  momento  della
proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse  i
successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo». 
    Con  la  sentenza  del  20  febbraio  2020,  n.  24,   la   Corte
costituzionale   ha   tuttavia   mutato   il   proprio   orientamento
sull'interpretazione del presupposto processuale della  giurisdizione
del giudice remittente, la quale deve essere affermata in  base  alle
conseguenze eventualmente derivanti dall'accoglimento della questione
di legittimita' prospettata, ed ha dichiarato  ammissibile  l'analoga
questione sollevata  dal  Tribunale  amministrativo  regionale  delle
Marche con ordinanza del 24 luglio 2018, n. 519, in  quanto,  ove  la
stessa dovesse essere accolta,  sarebbe  «non  implausibile,  sebbene
opinabile» affermarne la giurisdizione. 
    3.2. La questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  120,
comma 1 del codice della strada e' pertanto rilevante ai  fini  della
decisione del presente giudizio anche  sotto  il  profilo  della  sua
attualita',  poiche',  in  caso   di   accoglimento   della   stessa,
l'attribuzione  della  giurisdizione  al   giudice   remittente   non
dipenderebbe da un successivo mutamento  della  legge  (c.d.  proroga
della giurisdizione) o dello stato di fatto,  considerati  inefficaci
dall'art. 5 del codice di procedura civile, ma dalla dichiarazione di
un'invalidita'  preesistente   della   norma,   in   relazione   alla
qualificazione del potere attribuito  all'amministrazione  competente
ed alla situazione soggettiva ad esso correlata. 
    Il Collegio ritiene inoltre  che  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 120, comma 1, del  codice  della  strada  e'
rilevante nel presente giudizio impugnatorio,  sia  in  quanto  dalla
decisione della Corte costituzionale dipende l'esito dei motivi con i
quali il ricorrente ha censurato  il  difetto  di  istruttoria  e  di
motivazione, sia perche' la stessa  ha  ad  oggetto  direttamente  la
legittimita'  costituzionale  del  potere  attribuito   dalla   norma
(Consiglio di Stato, sez. IV, 9 marzo 2012, n. 1349). 
    L'attuale formulazione dell'art. 120, comma 1, del  codice  della
strada dovrebbe indurre infatti il Collegio,  secondo  l'orientamento
delineato dalla Corte di cassazione a sezioni unite ed accolto  dalla
giurisprudenza amministrativa maggioritaria, a dichiarare il  difetto
di giurisdizione ovvero, nell'ipotesi in cui, discostandosi  da  tale
consolidato orientamento  giurisprudenziale,  dovesse  trattenere  la
propria giurisdizione, a rigettare il ricorso  poiche'  il  prefetto,
nell'esercizio del potere vincolato attribuitogli  dalla  norma,  non
potrebbe  valutare  altri  elementi   all'infuori   dell'accertamento
dell'esistenza di una condanna ostativa al conseguimento del titolo. 
    Ove   invece   la   Corte   costituzionale   dovesse   dichiarare
l'illegittimita' dell'art. 120, comma 1, nella parte  in  cui  questo
preclude al prefetto di bilanciare la gravita' del reato commesso con
altri  elementi,  non  solo  il  Collegio  dovrebbe   trattenere   la
giurisdizione ma dovrebbe annullare il provvedimento impugnato per  i
vizi di difetto  di  istruttoria  e  di  motivazione,  specificamente
dedotti dal ricorrente, demandando al Prefetto di  M.  di  rivalutare
l'istanza  sulla  scorta  di  un  apprezzamento  discrezionale  della
concreta situazione prospettata dal ricorrente. 
    Il Collegio ritiene  dunque  che  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 120, comma 1, del codice  della  strada  sia
rilevante nella decisione del presente giudizio, il quale,  ai  sensi
dell'art. 23 della legge 11  marzo  1953,  n.  87,  non  puo'  essere
definito indipendentemente dalla risoluzione della stessa. 
    4.   Preliminarmente   il   Collegio   osserva   che   la   Corte
costituzionale, nella sentenza del 9 febbraio 2018,  n.  22,  non  ha
esercitato i poteri previsti dall'art. 27 della legge 11 marzo  1953,
n. 87, il quale, in deroga al principio della corrispondenza  tra  il
chiesto e il pronunciato,  consente  di  dichiarare  l'illegittimita'
c.d. consequenziale di disposizioni legislative che, pur non  essendo
oggetto del giudizio  di  legittimita'  costituzionale,  derivano  la
propria illegittimita' da quella della disposizione impugnata. 
    Il Collegio ritiene pertanto  di  non  poter  percorrere  la  via
dell'interpretazione conforme dell'art. 120,  comma  1,  in  base  ai
principi enunciati dalla Corte costituzionale con la sentenza  n.  22
del 2018 per la fattispecie di cui al secondo comma dell'art. 120 del
codice della strada, dal momento che l'obbligo di vagliare, prima  di
sollevare   la   questione   di   legittimita'   costituzionale,   la
percorribilita'  di  tutte  le  ipotesi  ermeneutiche   astrattamente
possibili per attribuire alla norma un significato non  incompatibile
con i principi costituzionali incontra pur  sempre  il  limite  della
formulazione   letterale    della    disposizione    sospettata    di
incostituzionalita', la quale, con l'utilizzo  della  locuzione  «non
possono» non consente altra interpretazione che quella di  attribuire
al prefetto il dovere di affermare, a fronte dell'accertamento di una
sentenza  di  condanna  per  delitti  in  materia  di   stupefacenti,
l'insussistenza dei requisiti morali del  soggetto  che  richiede  di
conseguire la patente. 
    Il Collegio ritiene inoltre che sia preclusa in assoluto  la  via
dell'interpretazione  conforme  della  norma   perche'   ogni   altra
interpretazione diversa da quella letterale si porrebbe in  contrasto
con la consolidata giurisprudenza delle sezioni unite della Corte  di
cassazione, anche successiva alla sentenza della Corte costituzionale
del 9 febbraio 2018, n. 22, e con  la  giurisprudenza  dominante  del
giudice amministrativo che la recepisce, illustrate al paragrafo 3. 
    Deve dunque essere rimessa  all'esclusivo  giudizio  della  Corte
costituzionale la valutazione  della  legittimita'  del  primo  comma
dell'art. 120 del codice  della  strada  rispetto  all'art.  3  della
Costituzione, in relazione alla differente fattispecie  prevista  nel
secondo  comma  del  medesimo  articolo  della  revoca   del   titolo
abilitativo. 
    5,  Il  Collegio  ritiene  che  la  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 120,  comma  1,  del  codice  della  strada,
limitatamente alla fattispecie ostativa  in  cui  il  soggetto  abbia
riportato una condanna per reati in materia di stupefacenti, non  sia
manifestamente infondata,  anche  alla  luce  della  sentenza  del  9
febbraio 2018, n.  22,  con  la  quale  la  Corte  costituzionale  ha
modificato  la  disposizione  contenuta  nel  comma  2  del  medesimo
articolo. 
    Il Collegio dubita della compatibilita' della disposizione di cui
al comma 1 con il principio di uguaglianza di cui  all'art.  3  della
Costituzione, e dunque della coerenza intrinseca  di  una  disciplina
che,  a  fronte  di  fattispecie  omogenee,  connotate  dal  medesimo
disvalore sociale, ossia l'aver riportato una condanna per  reati  in
materia di sostanze stupefacenti, prevede un  trattamento  diverso  a
seconda che la condanna intervenga  prima  o  dopo  il  rilascio  del
titolo abilitativo alla  guida.  E'  ben  vero  che  il  legislatore,
nell'esercizio della  sua  discrezionalita',  potrebbe  aggravare  la
posizione di colui che intende  conseguire  per  la  prima  volta  il
titolo abilitativo rispetto a quella di colui che tale  titolo  abbia
gia' conseguito e che ha maturato una situazione di affidamento nella
sua conservazione. 
    Il Collegio ritiene tuttavia che  la  maggiore  integrita'  della
sfera morale del soggetto che intende conseguire  la  patente  ed  il
conseguente sacrificio nell'attuazione dei diritti della personalita'
dovrebbero essere giustificati da prevalenti esigenze di  tutela  dei
beni e degli interessi coinvolti. 
    Cio' di cui dubita il Collegio, e  che  e'  stato  gia'  ritenuto
costituzionalmente  illegittimo  dalla  Corte  costituzionale   nelle
sentenze n. 22 del 2018 e  n.  24  del  2020,  e'  la  disparita'  di
trattamento   che   discende   dal   mantenimento   del    meccanismo
dell'automatismo   ostativo   della   condanna    nell'ipotesi    del
conseguimento del titolo, in relazione alla sua avvenuta eliminazione
per la fattispecie della revoca. 
    La conservazione dell'art.  120,  comma  1,  il  quale  vieta  al
prefetto di valutare, oltre alla condanna per  reati  in  materia  di
stupefacenti, altri elementi  favorevoli  al  richiedente,  creerebbe
infatti, a parita'  di  situazioni  sostanziali,  una  ingiustificata
discriminazione rispetto alla fattispecie della revoca della patente,
per la quale la Corte costituzionale ha  attribuito  al  prefetto  il
potere-dovere di valutare anche tali elementi ed ha  riconosciuto  al
titolare  della  patente  la  situazione  soggettiva   di   interesse
legittimo e dunque  la  possibilita'  di  dialogare  con  il  potere,
introducendo nel procedimento elementi in suo  favore  da  bilanciare
con la gravita' della condanna, al  fine  di  valutarne  la  concreta
inaffidabilita' nella guida dei veicoli. 
    5.1. Il Collegio ravvisa un primo  profilo  di  fondatezza  della
questione  di  legittimita'  costituzionale  nella  circostanza   che
l'automatismo ostativo della condanna non tiene conto  della  diversa
gravita' che connota, sia in astratto che  in  concreto,  le  diverse
fattispecie di reato contemplate dagli articoli 73 e 74  del  decreto
del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. 
    Il  mantenimento  dell'art.  120,  comma  1,  nella  sua  attuale
formulazione, finirebbe pertanto per ricollegare i  medesimi  effetti
ostativi al conseguimento della patente a fattispecie  dotate  di  un
differente disvalore penale, come si verificherebbe nella fattispecie
oggetto  del  presente  giudizio  in  cui  il  ricorrente  e'   stato
condannato, ai sensi dell'art. 444 del codice  di  procedura  penale,
per l'autonoma fattispecie attenuata prevista dall'art. 73, comma  5,
del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990,  n.  309,
in epoca risalente rispetto alla presentazione  dell'istanza  per  il
conseguimento della patente. 
    La Corte costituzionale, al paragrafo  7  della  sentenza  del  9
febbraio 2018, n. 22, ha gia' ritenuto fondata la medesima questione,
sollevata in riferimento all'art. 120,  comma  2,  del  codice  della
strada, per violazione dei principi di eguaglianza,  proporzionalita'
e ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione. 
    Il Collegio  osserva  che  dovrebbe  ritenersi  fondata,  per  le
medesime ragioni, anche la questione  di  legittimita'  sollevata  in
relazione all'art. 120, comma 1, poiche' l'unico elemento  distintivo
tra le due fattispecie, ovvero la circostanza che a condanna  per  un
reato in materia  di  stupefacenti  sia  intervenuta  in  un  momento
anteriore o successivo al rilascio della patente,  deve  considerarsi
affatto neutro rispetto all'esigenza di tutela della sicurezza  della
circolazione stradale, che rappresenta l'interesse primario  tutelato
dalla norma sospettata di illegittimita' costituzionale. 
    Ove dovesse  ritenersi  che  la  condanna  penale  configuri  una
presunzione assoluta di inaffidabilita' del soggetto  che  aspira  al
conseguimento del titolo  abilitativo,  si  rischierebbe  infatti  di
riservargli un trattamento deteriore rispetto al  soggetto  che  tale
titolo ha gia' conseguito, in capo al quale  l'ordinamento,  pur  nel
rispetto dell'affidamento nella sua  conservazione,  dovrebbe  semmai
esigere  un  piu'  intenso  dovere  di  diligenza  e   una   maggiore
responsabilita'  nella  protezione  dei  rilevanti   beni   giuridici
coinvolti. 
    5.2. Un secondo profilo di possibile fondatezza  della  questione
deve essere ravvisato nella ulteriore disparita' del trattamento  che
le norme contenute nel  primo  e  nel  secondo  comma  dell'art.  120
riservano, a parita' di gravita'  della  condanna  riportata  per  un
medesimo  reato  in  materia  di  stupefacenti,  rispettivamente   al
soggetto  che  intenda  conseguire  per  la  prima  volta  il  titolo
abilitativo ed al soggetto che l'abbia gia' conseguito. 
    Al soggetto che  intenda  conseguire  il  titolo  abilitativo  e'
infatti richiesto  l'onere  di  eliminare  l'effetto  automaticamente
ostativo  e  potenzialmente  perenne  della  condanna   mediante   la
riabilitazione penale. 
    In seguito agli interventi della Corte costituzionale sul secondo
comma dell'art. 120, tale onere e' invece sostanzialmente venuto meno
in capo al soggetto che aspiri a conservare il titolo abilitativo, il
quale puo' eliminare  l'effetto  ostativo  della  condanna,  comunque
temporaneamente contenuto nei tre anni  successivi  al  passaggio  in
giudicato della  sentenza,  semplicemente  introducendo  elementi  da
valutare in suo favore nel procedimento amministrativo avviato per la
revoca della patente. 
    Ove la disposizione dell'art. 120,  comma  1,  venisse  mantenuta
nella sua attuale formulazione, il candidato al  conseguimento  della
patente potrebbe pertanto riacquistare i necessari  requisiti  morali
esclusivamente con l'eliminazione degli effetti penali della condanna
ad opera della riabilitazione, ottenuta ai sensi  dell'art.  178  del
codice penale. 
    L'imposizione   dell'onere   di   riabilitazione,    il    rinvio
indiscriminato effettuato dalla disposizione a tutti i «reati di  cui
agli articoli 73  e  74  del  testo  unico  di  cui  al  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  9  ottobre  1990,   n.   309»,   senza
distinzioni di sorta, oltre che l'efficacia ostativa,  potenzialmente
perenne, della sentenza di  condanna  introducono  una  irragionevole
discriminazione per quei soggetti,  di  solito  di  giovane  eta',  i
quali, pur condannati per fatti di non particolare  gravita'  -  come
accaduto nella fattispecie oggetto del presente giudizio  in  cui  il
ricorrente ha riportato una condanna ai sensi degli  articoli  444  e
seguenti del codice di procedura penale  per  l'autonoma  fattispecie
attenuata prevista dall'art. 73, comma 5, del decreto del  Presidente
della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 - sono  costretti,  prima  di
poter conseguire la patente di guida, ad attendere  i  tempi  tecnici
richiesti dall'art. 179 del codice penale per  la  concessione  della
riabilitazione, previsti nel  minimo  di  tre  anni  dall'esecuzione,
dall'estinzione o dalla concessione  della  sospensione  condizionale
della pena principale, e a sostenere i costi del procedimento  penale
di sorveglianza. 
    5.3. Un terzo dubbio di fondatezza della  questione  deve  essere
ravvisato  nella  circostanza  che  al   sacrificio   imposto   dalla
disposizione sospettata di incostituzionalita' a  colui  che  intende
conseguire  il  titolo  abilitativo  non  sembra   corrispondere   un
beneficio proporzionale per l'interesse pubblico alla  sicurezza  del
traffico e per il bene dell'incolumita' collettiva, i quali, anche in
difetto dell'automatismo ostativo, possono essere perseguiti con pari
efficacia mediante gli  strumenti  predisposti  dal  medesimo  codice
della strada. 
    L'art.  119  del  codice  della  strada  demanda   infatti   alle
competenti autorita' sanitarie l'accertamento dell'idoneita' fisica e
psichica del richiedente, anche in relazione  all'eventuale  uso  che
egli faccia di sostanze stupefacenti, ed all'autorita' competente  al
rilascio  del  titolo,  in  seguito  all'esame  teorico  e   pratico,
l'accertamento del senso di autoresponsabilita' e del rispetto  delle
regole prudenziali per garantire la sicurezza della strada, anche  in
relazione allo specifico rischio derivante dall'utilizzo di  sostanze
stupefacenti (circolare del  Ministero  delle  infrastrutture  e  dei
trasporti del 19 settembre 2019, prot. n. 28819, per il conseguimento
della patente B). 
    L'art. 117 del codice della strada disciplina inoltre  la  misura
amministrativa  delle  limitazioni   automatiche   nella   guida   di
autoveicoli di cilindrata elevata per i primi tre anni  dal  rilascio
del titolo, alla cui violazione  consegue  l'applicazione  sia  della
sanzione amministrativa pecuniaria che della sanzione  amministrativa
accessoria della sospensione della validita' della patente. 
    5.4. Un quarto ed ultimo profilo di fondatezza della questione di
costituzionalita'   deve    essere    ravvisato    nella    ulteriore
contraddittorieta' intrinseca dell'art.  120,  comma  1,  del  codice
della strada rispetto all'intero sistema normativo del settore  degli
stupefacenti. 
    Mentre colui che commette un reato in materia di stupefacenti  si
prefigura la possibilita'  di  conseguenze  sanzionatorie  aventi  ad
oggetto il titolo abilitativo acquisito, lo stesso non puo' dirsi per
chi  commette  il  medesimo  reato  in   epoca   anteriore   al   suo
conseguimento. 
    Il Collegio osserva che, pur nella doverosa  distinzione  tra  la
disciplina incriminatrice, contenuta nel testo unico  stupefacenti  e
la disciplina amministrativa, di  natura  preventiva,  contenuta  nel
codice della strada, il mantenimento del meccanismo  dell'ostativita'
automatica della condanna per delitti in materia di stupefacenti, per
le sole fattispecie del conseguimento della patente di guida, rischia
di  creare  un'ingiustificata  disparita'  di  trattamento  anche  in
relazione alla prevedibilita'  e  alla  calcolabilita'  di  tutte  le
possibili conseguenze sfavorevoli, anche di quelle  non  strettamente
sanzionatorie, derivanti dalla violazione della norma incriminatrice. 
    Il titolare della patente di guida e' infatti posto in  grado  di
rappresentarsi  che  la  commissione  di  un  reato  in  materia   di
stupefacenti  avra'  conseguenze  sfavorevoli  sul  mantenimento  del
titolo conseguito, sia pure mediante  l'applicazione  della  sanzione
penale accessoria del ritiro della patente, contemplata dall'art.  85
del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e
con la quale la stessa Corte costituzionale,  al  paragrafo  7  della
sentenza del 9 febbraio 2018, n. 22, ha istituito un parallelismo con
l'istituto  della  revoca  della  patente,  al  fine   di   affermare
l'irragionevolezza del suo automatismo. 
    Lo stesso non puo' dirsi per il soggetto che commette il medesimo
reato in epoca anteriore al conseguimento della patente, il quale, in
base alla  disciplina  incriminatrice,  non  e'  posto  in  grado  di
rappresentarsi  neppure  genericamente  le  conseguenze  interdittive
della sua condotta sul  futuro  conseguimento  della  patente,  delle
quali avra' contezza solo in un momento  successivo,  ovvero  quando,
con  la  presentazione  dell'istanza  per  il  rilascio  del  titolo,
instaurera' un rapporto con l'amministrazione. 
    6. In conclusione il  Collegio  ritiene  rilevante  nel  presente
giudizio e non manifestamente infondata, la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 120, comma 1,  del  decreto  legislativo  30
aprile 1992, n. 285, (Nuovo codice della strada), per contrasto con i
principi di eguaglianza, proporzionalita'  e  ragionevolezza  di  cui
all'art. 3 della Costituzione, anche in relazione  al  comma  secondo
del medesimo articolo, per come modificato dalla sentenza della Corte
costituzionale 9 febbraio 2018, n. 22, nella parte in cui dispone che
«non possono conseguire la patente di guida»  i  soggetti  condannati
per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del decreto  del  Presidente
della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, (testo unico delle leggi  in
materia di  disciplina  degli  stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,
prevenzione,  cura   e   riabilitazione   dei   relativi   stati   di
tossicodipendenza),  senza  consentire  all'autorita'  amministrativa
margini  di  esercizio  della  discrezionalita'  in  relazione   alle
peculiarita' delle singole-fattispecie al suo esame. 
    7. Ai sensi dell'art. 23, comma 2, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, deve essere pertanto disposta  la  immediata  trasmissione  degli
atti alla Corte costituzionale per la decisione  della  questione  di
legittimita' costituzionale sollevata ad iniziativa del Collegio. 
    Deve  essere  altresi'  disposta  la  sospensione  del   presente
giudizio  sino  alla  definizione  del  giudizio  incidentale   sulla
questione  di  legittimita'  costituzionale.  Devono  essere   infine
ordinati gli adempimenti di notificazione e  di  comunicazione  della
presente ordinanza, nei modi e nei termini indicati nel dispositivo.