TRIBUNALE DI SALERNO 
                        Prima sezione civile 
 
    Nella causa civile iscritta al N.R.G. 8441/2017 il giudice  dott.
Mattia  Caputo,  letti  gli  atti  delle  parti   ed   esaminata   la
documentazione  di  causa,  a  scioglimento  della  riserva   assunta
all'udienza  del  28  maggio  2019,  tenuta  mediante  modalita'   di
trattazione «scritta» ai sensi dell'art. 83, comma 7, lettera h)  del
decreto-legge n. 18/2020 convertito con modificazioni  con  legge  n.
27/2020, ha pronunciato la seguente ordinanza 
    Rilevato che il sig. M. P. con atto di  citazione  notificato  in
data 19 settembre 2017 ha convenuto in  giudizio  la  Presidenza  del
Consiglio dei ministri al fine di sentire accertata e  dichiarata  la
responsabilita' civile di alcuni magistrati per atti, comportamenti e
provvedimenti da questi posti in essere per la loro attivita'  presso
il Tribunale di C. e la Procura della Repubblica presso il  Tribunale
di C.; 
    Rilevato che a seguito della richiesta di astensione  facoltativa
del  precedente  G.I.,  con  provvedimento  del  9  maggio  2019   il
presidente  del  Tribunale  autorizzava   la   predetta   astensione,
designando   il   sottoscritto   alla   trattazione   del    presente
procedimento; 
    Rilevato che il sig. M. P., per tramite del  suo  difensore,  con
istanze depositate telematicamente il 29 marzo 2018, il 12  settembre
2018, il 7 giugno 2019, nonche' a verbale dell'udienza del  13  marzo
2019 e con le note scritte autorizzate del 25 maggio 2020 ha  chiesto
disporsi la trasmissione degli atti al Procuratore generale presso la
Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 9  della  legge  n.  117  del
1988, per l'esercizio obbligatorio dell'azione disciplinare a  carico
dei Magistrati C. C., C. C., F. E. e F-B. S. per i  fatti  che  hanno
dato causa all'azione di risarcimento; 
    Considerato che l'art. 5, comma 5, della legge n. 117/1988  nella
sua formulazione anteriore alla riforma operata con legge n.  18/2015
stabiliva che «Se la domanda e' dichiarata ammissibile, il  Tribunale
ordina la trasmissione di copia degli atti  ai  titolari  dell'azione
disciplinare...», cosi' subordinando la trasmissione,  da  parte  del
Tribunale, di copia degli atti ai titolari  dell'azione  disciplinare
(i.e.: Procuratore generalege presso la Corte  di  cassazione  per  i
magistrati ordinari) al positivo  superamento  del  c.d.  «filtro  di
ammissibilita'» dell'azione di responsabilita' civile dei magistrati,
previsto proprio dall'art. 5 della suddetta legge n. 117/1988; 
    Rilevato che l'art.  3,  comma  2,  della  legge  n.  18/2015  ha
abrogato integralmente l'art. 5 - ivi compreso  il  comma  5  di  cui
sopra - della legge n. 117/1988, cosi' eliminando il c.d. «filtro  di
ammissibilita'» dell'azione di responsabilita' civile dei magistrati,
la quale va dunque trattata ed istruita a  prescindere  da  qualsiasi
vaglio circa la sussistenza dei termini e dei presupposti di cui agli
articoli 2, 3 e 4 della legge n. 117/1988 (come previsto dall'art. 5,
comma 3, prima dell'abrogazione) o quando  non  fosse  manifestamente
infondata; 
    Considerato che l'art. 6, comma 1,  della  legge  n.  18/2015  ha
modificato il disposto dell'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988,
che  prevedeva  che  il  Procuratore  generale  presso  la  Corte  di
cassazione per i  magistrati  ordinari  dovesse  esercitare  l'azione
disciplinare nei confronti del Magistrato per i fatti che hanno  dato
causa all'azione di risarcimento, entro due mesi dalla  comunicazione
di cui al comma 5  dell'art.  5  (cioe'  da  quando  veniva  delibata
l'ammissibilita'  della  domanda  e,  dunque,  disposta  a  cura  del
Tribunale  la  trasmissione  degli  atti  ai   titolari   dell'azione
disciplinare). La nuova formulazione  dell'art.  9,  comma  1,  della
legge n. 117/1988 sancisce che «Il  Procuratore  generale  presso  la
Corte  di  cassazione  per  i  magistrati  ordinari  o  il   titolare
dell'azione disciplinare negli altri casi devono esercitare  l'azione
disciplinare nei confronti del Magistrato per i fatti che hanno  dato
causa all'azione di  risarcimento,  salvo  che  non  sia  stata  gia'
proposta»; 
    Ritenuto, pertanto, che per effetto della legge n. 18/2015 che da
un lato, abrogando il disposto dell'art. 5 della legge  n.  117/1988,
ha disposto l'abolizione  del  c.d.  «filtro  di  ammissibilita'»,  e
dall'altro ha modificato l'art. 9, comma  1,  della  suddetta  legge,
sopprimendo il richiamo al disposto dell'art.  5,  comma  5,  laddove
sanciva che il  Tribunale,  valutata  come  ammissibile  l'azione  di
responsabilita' civile, era obbligato  ad  ordinare  la  trasmissione
degli atti ai titolari dell'azione  disciplinare  (come  si  evinceva
dall'uso del verbo «ordina» al modo indicativo,  tempo  presente)  ed
assoggettava l'esercizio  obbligatorio  dell'azione  disciplinare  ad
opera del Procuratore generale  presso  la  Corte  di  cassazione  al
termine massimo di  due  mesi  dalla  comunicazione  degli  atti  del
procedimento   dopo   che   era    stata    valutata    positivamente
l'ammissibilita' dell'azione  risarcitoria,  l'unica  interpretazione
possibile dell'art. 9, comma  1,  della  legge  n.  117/1988  -  come
risultante dall'abrogazione dell'art. 5, comma 5 e dalla eliminazione
proprio nel corpo dell'art. 9, comma 1, del richiamo al  termine  per
esercitare l'azione disciplinare  di  due  mesi  dalla  comunicazione
degli atti  -  sia  nel  senso  che  il  Tribunale,  investito  della
cognizione dell'azione di responsabilita' civile dei  magistrati  sia
obbligato, per  il  solo  fatto  della  proposizione  dell'azione  di
responsabilita' civile, ed indipendentemente da  qualsivoglia  vaglio
preventivo di ammissibilita' (ormai soppresso) quanto ai requisiti  e
termini per l'azione risarcitoria e circa  la  fondatezza  in  chiave
prognostica  della  stessa,  nonche'  a  prescindere  dall'esito  del
giudizio medesimo, a trasmettere copia degli atti  del  procedimento,
al  fine   di   consentire   l'esercizio   obbligatorio   dell'azione
disciplinare da parte del titolare,  cioe'  il  Procuratore  generale
presso la Corte di cassazione; 
    Ritenuto che tale interpretazione si imponga innanzitutto per  il
tenore  letterale  della  norma,  che  fa  riferimento  all'esercizio
dell'azione disciplinare da parte del Procuratore generale presso  la
Corte di cassazione «per i fatti che hanno dato causa  all'azione  di
risarcimento» e non per la decisione che definisce il giudizio, cioe'
per i fatti come rappresentati nell'atto introduttivo del giudizio; 
    Ritenuto altresi' che tale interpretazione si imponga per ragioni
di tipo logico e sistematico, che impongono di valorizzare la portata
innovativa della legge n. 18/2015  che  ha  modificato  la  legge  n.
117/1988 sulla responsabilita' civile  dei  magistrati,  mediante  un
intervento ortopedico su tale disciplina che ha soppresso il  «filtro
di ammissibilita'» dell'azione medesima  e,  di  conseguenza,  stante
anche l'espunzione dal corpo dell'art. 9, comma 1,  del  richiamo  al
termine di due mesi dalla decisione  del  Tribunale  che  considerava
ammissibile     la     domanda     attorea     e     disponeva     la
comunicazione/trasmissione degli atti al Procuratore generale  presso
la Corte di cassazione, ragion per cui, al fine di  non  svuotare  di
significato l'intervento novellatore del  legislatore  del  2015,  si
rende necessario interpretare la normativa di cui all'art.  9,  comma
1, della legge n.  117/1988,  nel  senso  che  e'  fatto  obbligo  al
Tribunale deputato a  conoscere  della  controversia  in  materia  di
responsabilita' civile dei magistrati di trasmettere copia degli atti
del procedimento, al  fine  di  consentire  l'esercizio  obbligatorio
dell'azione disciplinare da parte del titolare, cioe' il  Procuratore
generale presso la Corte di  cassazione  per  i  magistrati  ordinari
senza attendere la definizione del giudizio, per il solo fatto  della
proposizione dell'azione risarcitoria. Inoltre  tale  interpretazione
appare altresi' funzionale all'art. 9, comma 1,  laddove  stabilisce:
«Il  Procuratore  generale  presso  la  Corte  di  cassazione  per  i
magistrati ordinari o  il  titolare  dell'azione  disciplinare  negli
altri casi devono esercitare l'azione disciplinare nei confronti  del
Magistrato  per  i  fatti  che  hanno  dato   causa   all'azione   di
risarcimento, salvo che non sia stata gia' proposta. Resta  ferma  la
facolta' del Ministro di grazia e giustizia di cui al  secondo  comma
dell'art. 107 della Costituzione»; pertanto, al  fine  di  assicurare
l'obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione disciplinare per i fatti
che hanno dato causa all'azione di risarcimento e, dunque, di mettere
il Procuratore generale presso la Corte di cassazione  in  condizione
di esercitare l'azione  disciplinare,  si  rende  necessario  che  il
giudice deputato a conoscere della  relativa  controversia  trasmetta
gli atti al procuratore stesso, quale effetto  automatico,  derivante
«ipso facto et ipso  iure»  dalla  mera  proposizione  della  domanda
risarcitoria; 
    Ritenuto, peraltro, che la disposizione di cui all'art. 9,  comma
1, della legge n. 117/1988 come risultante dalla modifica operata con
l'art.  6,  comma  1,  della  legge  n.  18/2015  non  possa   essere
interpretata nel senso che il «dies a quo» a partire dal quale  sorge
l'obbligo  per  il  Tribunale  adito  di  trasmettere  gli  atti  del
procedimento risarcitorio al Procuratore generale presso la Corte  di
cassazione  vada  individuato  nella  decisione  -  eventualmente  di
accoglimento - della domanda di risarcimento dei danni, ne' tantomeno
dal  passaggio  in  giudicato  della  stessa,  poiche'  una  siffatta
soluzione si pone in contrasto con il disposto dell'art. 6, comma  2,
della legge n. 117/1988, secondo cui «...  La  decisione  pronunciata
nel  giudizio  promosso  contro  lo  Stato...  non   fa   stato   nel
procedimento disciplinare»; 
    Ritenuto, altresi', che la disposizione di cui all'art. 9,  comma
1, della legge n. 117/1988 come risultante dalla modifica operata con
l'art.  6,  comma  1,  della  legge  n.  18/2015  non  possa   essere
interpretata neanche nel senso che il «dies  a  quo»  a  partire  dal
quale sorge l'obbligo per il Tribunale adito di trasmettere gli  atti
del procedimento risarcitorio al Procuratore generale presso la Corte
di cassazione vada individuato nella instaurazione  del  giudizio  in
cui lo Stato propone - a seguito della sua condanna nel  procedimento
di risarcimento dei danni - l'azione di  rivalsa  nei  confronti  del
Magistrato, poiche' il  legislatore,  nell'intervenire  sull'art.  9,
comma 1, della legge n. 117/1988 ha scartato tale opzione,  che  pure
era stata formulata nel disegno di legge di iniziativa governativa n.
1626 (art. 3, comma 3), con cui si  voleva  attribuire  al  Tribunale
investito  dell'azione  di  rivalsa  il  potere  di  segnalazione  al
Procuratore generale presso la  suprema  Corte  e,  conseguentemente,
l'insorgere  dell'obbligo  di  quest'ultimo  di  esercitare  l'azione
disciplinare; 
    Ritenuto, pertanto,  che  l'art.  9,  comma  1,  della  legge  n.
117/1988 come risultante per effetto della modifica operata dall'art.
6, comma 1, della legge n. 18/2015 e  dall'abrogazione  dell'art.  5,
comma 5, di tale normativa mediante l'art. 3, comma 2, della legge n.
18/2015, debba  essere  interpretato  nel  senso  che  al  Tribunale,
investito della  cognizione  dell'azione  di  responsabilita'  civile
proposta dal cittadino che si assume danneggiato contro lo Stato  per
l' attivita' del Magistrato sia obbligato, per il  solo  fatto  della
proposizione della domanda risarcitoria, a prescindere  da  qualsiasi
vaglio preventivo  circa  l'ammissibilita'  dell'azione  risarcitoria
(ormai soppresso), a disporre immediatamente  la  trasmissione  degli
atti del procedimento al Procuratore  generale  presso  la  Corte  di
cassazione per consentire  a  quest'ultimo  l'esercizio  obbligatorio
dell'azione disciplinare nei confronti del Magistrato; 
    Ritenuto, tuttavia, che l'art. 9, comma 1, della legge n. 117 del
13 aprile 1988 come modificato dalla legge  n.  18  del  27  febbraio
2015, anche a seguito dell'abrogazione dell'art. 5  della  suindicata
normativa e, dunque, del c.d. «filtro di ammissibilita'», cosi'  come
interpretato nel senso di imporre, sempre e  comunque,  al  Tribunale
investito della cognizione dell'azione di responsabilita' civile  dei
Magistrati, di trasmettere immediatamente  gli  atti  al  Procuratore
generale presso la Corte  di  cassazione  al  fine  di  consentire  a
quest'ultimo l'esercizio obbligatorio  dell'azione  disciplinare  nei
confronti del Magistrato per i fatti che hanno dato causa  all'azione
di risarcimento, ponga seri dubbi di legittimita' costituzionale; 
    Ritenuto, pertanto, che nel caso di specie vi  sia  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 1, della legge n.  117
del 13 aprile 1988 come risultante dalle modifiche  ad  esso  operate
dall'art. 6, comma 1, della legge n. 18 del 27 febbraio 2015  laddove
ha soppresso il richiamo al  termine  di  due  mesi  per  l'esercizio
obbligatorio  dell'azione  disciplinare  da  parte  del   Procuratore
generale presso la Corte di cassazione decorrente dalla  trasmissione
a quest'ultimo degli atti da parte del  Tribunale,  trasmissione  che
aveva luogo solo nel caso di positivo superamento del preventivo c.d.
«filtro di ammissibilita'» circa  l'azione  risarcitoria,  nonche'  a
seguito dell'abrogazione ad opera dell'art. 3, comma 2,  della  legge
n. 27 febbraio 2015 dell'art. 5 della legge n. 117/1988 che prevedeva
il c.d. «filtro di  ammissibilita'»,  in  tal  modo  subordinando  al
vaglio positivo dello stesso anche la  trasmissione  degli  atti  del
procedimento al Procuratore generale, al fine dell'esercizio doveroso
dell'azione disciplinare; 
    Ritenuto,  innanzitutto  che  nel  caso  di  specie  sussista  il
carattere della «rilevanza» della questione  nel  presente  giudizio,
che  ai  sensi  dell'art.  23,  comma  3,  della  legge  n.   87/1953
costituisce insieme alla «non manifesta  infondatezza»  della  stessa
uno dei due requisiti di ammissibilita' della  questione  incidentale
di costituzionalita' di una legge o di un atto avente forza di legge.
La rilevanza, infatti, «esprime il rapporto che dovrebbe correre  fra
la soluzione della questione e la definizione del giudizio in  corso»
(Corte  costituzionale,  sentenza  n.  13/1965)  o   «il   nesso   di
pregiudizialita' fra la risoluzione della questione  di  legittimita'
costituzionale   e   la   decisione   del   caso   concreto»   (Corte
costituzionale sent., n. 77/1983), ragion per cui essa ricorre  nella
vicenda in esame, dal momento che nel procedimento in oggetto recante
N.R.G. 8441/2017, avente ad oggetto azione di responsabilita'  civile
contro  lo  Stato  per  attivita'  riferibile  ad  alcuni  Magistrati
ordinari (sostituti procuratori e giudici), occorre fare applicazione
del disposto dell'art. 9, comma  1,  della  legge  n.  117/1988  come
risultante  a  seguito  delle  modifiche  apportate  dalla  legge  n.
18/2015. Infatti, nella vicenda in esame non e' stata ancora disposta
la trasmissione degli atti al Procuratore generale presso la Corte di
cassazione ed  il  sottoscritto,  assegnatario  del  procedimento  in
epigrafe dal 9 maggio 2019 (a seguito dell'accoglimento da parte  del
presidente del Tribunale delle istanze di astensione facoltativa  dei
due  precedenti  giudici  istruttori  assegnatari),   e'   tenuto   a
provvedervi.  Cio'  anche  considerato  che  con  istanza  depositata
telematicamente in data 29 marzo 2018 il difensore  dell'attore  sig.
M. P., reiterando la propria richiesta di trasmettere  gli  atti  del
presente  giudizio  al  Procuratore  generale  presso  la  Corte   di
cassazione  per  l'esercizio  dell'azione   disciplinare   ai   sensi
dell'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988  ha  precisato  che  il
rifiuto, l'omissione o il ritardo  da  parte  del  giudice  investito
della controversia di siffatto adempimento, cioe' nel  compimento  di
atti del suo ufficio, costituisce, tra l'altro, diniego di giustizia,
ai sensi e per gli effetti dell'art. 3 della legge n. 117 del 1988  e
successive modifiche, nonche'  «colpa  grave»  ai  sensi  e  per  gli
effetti  dell'art.  2  della  medesima  legge,  evocando  profili  di
responsabilita'  civile,   facendo   salve   tutte   le   azioni   di
responsabilita' civile,  penale  e  disciplinare  contro  il  giudice
investito della controversia. Di talche', dalla mancata  trasmissione
degli atti del procedimento recante N.R.G  8441/2017  al  Procuratore
generale presso la Corte dei cassazione potrebbero derivare,  secondo
la prospettazione del difensore di parte attrice, conseguenze di tipo
civile, disciplinare e penale per il  giudice  che,  investito  della
controversia di risarcimento dei danni per responsabilita' civile dei
magistrati ai sensi  della  legge  n.  117/1988,  non  provveda  alla
trasmissione degli atti al Procuratore  generale  presso  la  suprema
Corte ai sensi dell'art. 9, comma 1, della  legge  n.  117/1988  come
modificato, dalla legge n. 18/2015.  Peraltro,  come  chiarito  dalla
Corte costituzionale in molteplici pronunce (Corte costituzionale, n.
125/1977; Corte costituzionale, n. 196/1982; Corte costituzionale, n.
18/1989), debbono ritenersi influenti sul  giudizio  anche  le  norme
che, pur non essendo direttamente applicabili nel giudizio  «a  quo»,
attengono allo status del giudice, alla sua composizione nonche',  in
generale, alle garanzie e ai doveri che riguardano  il  suo  operare.
L'eventuale incostituzionalita' di tali norme, infatti, e'  destinata
ad influire su ciascun processo pendente davanti al giudice del quale
regolano lo status, la composizione, le garanzie e i doveri, cioe' la
«protezione» dell'esercizio della funzione, nella quale i  doveri  si
accompagnano ai diritti. Alla luce dell'interpretazione del  disposto
di cui all'art. 9, comma 1, della legge n.  117/1988  di  cui  sopra,
dunque, si dovrebbe addivenire, nel caso di specie, a  disporre  «sic
et simpliciter»  la  trasmissione  degli  atti  del  procedimento  in
epigrafe al Procuratore generale presso la Corte  di  cassazione,  al
fine di consentirgli di esercitare l'azione disciplinare obbligatoria
nei  confronti  dei  magistrati   i   cui   atti,   comportamenti   e
provvedimenti hanno dato causa all'azione di  responsabilita'  civile
proposta dal sig. M. P.; 
    Ritenuto, tuttavia,  che  proprio  il  fondato  dubbio  circa  la
legittimita'  costituzionale  della  norma  di   cui   occorre   fare
applicazione, cioe' l'art. 9, comma 1, della legge n.  117/1988  come
derivante dalle modifiche operate dalla legge n. 18/2015 (abrogazione
del positivo superamento del c.d. «filtro  di  ammissibilita'»  quale
condizione  cui  era  subordinata  la  trasmissione  degli  atti   al
Procuratore generale presso la Corte di  cassazione  per  l'esercizio
disciplinare  ed  individuazione  del «dies  ad   quem»   entro   cui
esercitare l'azione disciplinare entro due mesi  dalla  comunicazione
degli atti del  procedimento  da  parte  del  Tribunale)  abiliti  il
giudice che e' chiamato a farne applicazione a sollevare la  relativa
questione; 
    Ritenuto  che  nella  fattispecie  in  esame  sussista  anche  il
requisito della «non manifesta infondatezza» della questione.  L'art.
9, comma 1, della legge n. 117/1988 secondo l'interpretazione che  di
esso e' possibile dare alla luce delle  modifiche  normative  operate
per effetto degli  articoli  3,  comma  2  (laddove  ha  disposto  la
soppressione del c.d. «filtro di ammissibilita'» e,  di  conseguenza,
la  trasmissione  obbligatoria  degli  atti   del   procedimento   al
Procuratore generale presso la Corte di  cassazione  per  l'esercizio
dell'azione disciplinare solo in caso di positivo  superamento  dello
scrutinio circa l'ammissibilita' dell'azione risarcitoria) e 6, comma
1 (laddove ha  espunto,  il  richiamo  al  limite  di  due  mesi  per
l'esercizio  dell'azione  disciplinare  da  parte   del   Procuratore
generale presso la Corte di cassazione, decorrente dal  provvedimento
di ammissibilita'  dell'azione  risarcitoria  e  dalla  comunicazione
degli atti del procedimento) della legge n. 18 del 27  febbraio  2015
appare porsi in frizione  con  gli  articoli  3  -  «sub  specie»  di
irragionevolezza e disparita' di trattamento -  101,  comma  2,  104,
comma 1 e 108 della Costituzione; 
    Ritenuto  che  l'art.  9,  comma  1,  della  legge  n.   117/1988
interpretato nei termini  di  cui  sopra  si  ponga  innanzitutto  in
contrasto con l'art. 3 della Costituzione, sotto forma di  violazione
del canone di irragionevolezza e disparita' di trattamento. 
    L'art. 9, comma 1,  della  legge  n.  117/1988,  come  risultante
dall'interpretazione che si impone a seguito della  soppressione  del
c.d. «filtro di  ammissibilita'»  dell'azione  risarcitoria  e  della
modificazione  del  comma  1  dell'art.  9  stesso,  infatti,  appare
irragionevole  laddove  impone,  sempre  e  comunque,  al   Tribunale
investito della cognizione dell'azione di responsabilita' civile  dei
magistrati, di trasmettere immediatamente, per il  solo  fatto  della
proposizione della domanda attorea, gli atti al Procuratore  generale
presso  la  Corte  di  cassazione,  senza  alcun   possibile   vaglio
preventivo circa l'ammissibilita'  dell'azione  di  risarcimento  del
danno e, di conseguenza, dell'esercizio dell'azione  disciplinare  da
parte del Procuratore generale presso la Corte di cassazione.  Questo
giudice non ignora che con la sentenza  n.  164  del  3  aprile  2017
(depositata il 12 luglio 2017) il giudice delle leggi ha respinto  le
questioni di legittimita' costituzionale  sollevate  in  relazione  a
possibili profili di incostituzionalita' della legge n. 117/1988 come
modificata dalla legge n.  18/2015,  ed  in  particolare  laddove  ha
soppresso il c.d. «filtro di ammissibilita'» precedentemente previsto
dall'art. 5 (poi abrogato), sulla base del ragionamento per  cui,  in
buona sostanza, al fine di realizzare l'equo  contemperamento  tra  i
due interessi contrapposti consistenti da un  lato  nel  diritti  del
soggetto ingiustamente danneggiato da un provvedimento giudiziario ad
ottenere il risarcimento del danno, e dall'altro  nella  salvaguardia
delle funzioni giudiziarie da  possibili  condizionamenti,  a  tutela
dell'indipendenza e dell'imparzialita'  della  magistratura  «Non  e'
costituzionalmente  necessario,  infatti,  che,  per   bilanciare   i
contrapposti  interessi  di  cui  si  e'  detto,  sia  prevista   una
delibazione preliminare dell'ammissibilita' della domanda  contro  lo
Stato, quale strumento, indefettibile di protezione dell'autonomia  e
dell'indipendenza  della  magistratura.  Tale  esigenza  puo'  essere
infatti soddisfatta dal legislatore per altra  via:  cio'  e'  quanto
accaduto con la legge n. 18  del  2015,  per  un  verso  mediante  il
mantenimento del divieto dell'azione diretta contro il  Magistrato  e
con la netta separazione dei due  ambiti  di  responsabilita',  dello
Stato e del giudice; per un altro, con la previsione  di  presupposti
autonomi e  piu'  restrittivi  per  la  responsabilita'  del  singolo
Magistrato, attivabile, in via di rivalsa, solo  se  e  dopo  che  lo
Stato sia rimasto soccombente nel giudizio di  danno;  per  un  altro
ancora, tramite il mantenimento  di  un  limite  della  misura  della
rivalsa». Tuttavia, il ragionamento  della  Corte  costituzionale  in
merito all'abolizione del c.d.  «filtro  di  ammissibilita'»  di  cui
all'art. 5 della legge n. 117/1988 abrogato per effetto  della  legge
n. 18/2015 in relazione all'esercizio dell'azione di  responsabilita'
civile e, corrispondentemente, del venir meno della  rilevanza  della
favorevole  delibazione  dell'ammissibilita'  della  domanda  attorea
quale condizione cui la previgente formulazione dell'art. 9, comma 1,
della legge  n.  117/1988  subordinava  l'obbligo  del  Tribunale  di
trasmettere gli atti del procedimento al Procuratore generale  presso
la Corte di cassazione affinche' esercitasse  l'azione  disciplinare,
obbligatoria, nei  confronti  dei  magistrati  ordinari,  non  appare
estensibile anche  all'obbligatorieta'  dell'azione  disciplinare  ai
sensi dell'art. 9, comma 1, della legge n.  117/1988,  rispetto  alla
quale e'  funzionale  la  trasmissione,  immediata,  degli  atti  del
procedimento risarcitorio ad opera del giudice «a quo». Vale  a  dire
che se per la Corte costituzionale l'abolizione del c.d.  «filtro  di
ammissibilita'» in  passato  previsto  dall'art.  5  della  legge  n.
117/1988 al  fine  di  evitare  l'intrapresa  di  azioni  giudiziarie
infondate nei confronti dei magistrati e  di  non  comprometterne  la
serenita'  nell'espletamento  della  loro  funzione   si   giustifica
nell'ottica di assicurare l'effettivita' della tutela giurisdizionale
per il  cittadino  che  assuma  di  essere  leso  dall'attivita'  del
Magistrato, anche al  fine  di  garantire  la  primazia  del  diritto
dell'Unione  europea,  non  e',  tuttavia,  possibile  rinvenire  una
medesima  «ratio»  anche  per  l'esercizio  obbligatorio  dell'azione
disciplinare nei confronti dei magistrati,  rispetto  alla  quale  e'
funzionale    la    trasmissione,    obbligatoria,    immediata    ed
incondizionata, degli atti del procedimento da parte del Tribunale al
Procuratore  generale  presso  la  Corte  di   cassazione.   Rispetto
all'azione  disciplinare  obbligatoria  esercitata  dal   Procuratore
generale presso la Corte di cassazione quale  conseguenza,  sempre  e
comunque, della mera proposizione  dell'azione  di  risarcimento  dei
danni ai sensi della legge n. 117/1988 - per effetto  dell'intervento
novellistico della legge n. 18/2015 - infatti,  non  viene  in  gioco
alcuna necessita', di  rilevanza  costituzionale,  di  assicurare  il
diritto di difesa e l'effettivita' della  tutela  giurisdizionale  in
capo  al  cittadino   che   si   assuma   danneggiato   per   effetto
dell'attivita'  del  Magistrato,   posto   che   la   responsabilita'
disciplinare riguarda il rapporto di impiego sussistente tra lo Stato
ed il Magistrato  e  la  violazione  degli  obblighi  funzionali  del
Magistrato quale dipendente-lavoratore, rimanendo ad essa  del  tutto
estranea  ed  indifferente  la  posizione  del  cittadino  che  abbia
proposto l'azione risarcitoria; quest'ultimo, infatti,  non  persegue
alcun  vantaggio  ne'  dall'esercizio  dell'azione  disciplinare  nei
confronti del Magistrato per i fatti per i quali ha proposto  domanda
di risarcimento dei danni, ne' tantomeno dall'eventuale  comminatoria
di una sanzione disciplinare. Appare dunque irragionevole  l'art.  9,
comma 1, della legge n. 117/1988 secondo l'interpretazione  derivante
a seguito delle modifiche apportate dall'art. 3, comma 2 e  6,  comma
1, della legge n. 18/2015 laddove impone la  trasmissione  immediata,
sempre e comunque, degli atti al Procuratore generale presso la Corte
di  cassazione  da  parte  del  Tribunale  investito  dell'azione  di
risarcimento danni proposta da chi si assume danneggiato,  in  quanto
tale   meccanismo   non   appare   sorretto   da    alcuna    ragione
giustificatrice, di carattere razionale o giuridico. 
    L'irragionevolezza della disposizione in esame, oltre che per una
carenza di «ratio» della scelta legislativa, appare sussistere  anche
per altre quattro ragioni. 
    In primo luogo l'intervento novellatore della legge  n.  18/2015,
laddove  fa  sorgere  l'obbligo  per  il  Tribunale  di   trasmettere
immediatamente gli atti  del  procedimento  al  Procuratore  generale
presso la Corte di cassazione  per  i  fatti  che  hanno  dato  luogo
all'azione risarcitoria  -  e,  dunque,  l'obbligo  per  il  P.G.  di
esercitare  l'azione  disciplinare  -  appare  irragionevole  laddove
modifica   sensibilmente   la   disciplina   della    responsabilita'
disciplinare dei magistrati, ancorche' con essa il legislatore avesse
di mira il solo obiettivo di disciplinare, sia pure in  termini  piu'
rigorosi, i rapporti risarcitori intercorrenti  tra  lo  Stato  ed  i
cittadini. La legge n. 18/2015, infatti, e' diretta, in  particolare,
a dare seguito alle pronunce  «Traghetti  del  Mediterraneo»  del  13
giugno 2006 e del 24 novembre 2011 con  cui  la  Corte  di  giustizia
dell'Unione europea (CGUE)  ha  condannato  l'Italia  per  violazione
degli obblighi di adeguamento dell'ordinamento interno  al  principio
generale di responsabilita' degli Stati membri  dell'Unione  europea,
in caso di violazione del diritto dell'Unione da  parte  di  uno  dei
propri organi giurisdizionali  di  ultimo  grado.  Secondo  la  CGUE,
infatti, due profili della legge n. 117/1988 si ponevano in  frizione
con il diritto dell'Unione europea, da  un  lato  l'esclusione  della
possibilita' di un  danno  risarcibile  causato  da  un  giudice  per
interpretazioni di norme di diritto o  per  valutazioni  di  fatti  e
prove, dall'altro che in casi diversi dall'interpretazione  di  norme
di diritto o dalla valutazione di fatti e di  prove,  possano  essere
imposti, por la concretizzazione della responsabilita'  dei  giudici,
«requisiti piu' rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di  una
manifesta violazione  del  diritto  vigente».  Il  risultato  cui  la
modifica dell'art. 9, comma 1, della legge n.  117/1988  operata  con
legge n. 18/2015 conduce e' dunque irragionevole laddove, esorbitando
le finalita' della legge di riforma della responsabilita' civile  dei
magistrati,  finisce   per   mutare   il   quadro   normativo   della
responsabilita' disciplinare degli stessi. 
    Il secondo profilo di irragionevolezza consiste  nel  fatto  che,
cosi' come interpretato, l'art. 9, comma 1, della legge  n.  117/1988
individua   una   sorta   di    pregiudizialita'    dell'azione    di
responsabilita' civile rispetto a quella «disciplinare», ponendosi la
prima quale antecedente logico-giuridico della  seconda,  e  cio'  in
aperto contrasto con il dato normativo dell'art. 9,  comma  2,  della
legge  n.  117/1988  che  prevedendo  che  «Gli  atti  del   giudizio
disciplinare  possono  essere  acquisiti,  su  istanza  di  parte   o
d'ufficio, nel giudizio di rivalsa», consente una  qualche  incidenza
del giudizio disciplinare in quello di responsabilita' civile  -  sia
pure in sede di rivalsa - e non il contrario (cioe'  degli  atti  del
procedimento civile in sede disciplinare), di talche' il  legislatore
del  2015  avrebbe  realizzato  un'inversione  logica   tra   i   due
procedimenti. 
    In terzo luogo la norma «de qua»  appare  irragionevole  laddove,
prevedendo un obbligo generalizzato di  trasmissione  degli  atti  da
parte del Tribunale  al  Procuratore  generale  presso  la  Corte  di
cassazione  per  il  solo  fatto   della   proposizione   dell'azione
risarcitoria,  determina  un  vistoso  contrasto  con  il   principio
generale di  autonomia  tra  responsabilita'  civile  e  disciplinare
sancito chiaramente dall'art. 20 del decreto legislativo n.  109/2006
e dall'art. 6, comma 2,  della  legge  n.  117/1988  secondo  cui  la
«decisione pronunciata nel giudizio promosso contro lo  Stato...  non
fa stato nel procedimento disciplinare». 
    In quarto luogo, poi, l'art. 9, comma 1, della legge n.  117/1988
come  sopra  interpretato  si  pone  altresi'  in  contrasto  con  il
principio di  tipicita'  degli  illeciti  disciplinari  «funzionali»,
cioe' commessi dai magistrati nell'esercizio delle  funzioni,  al  di
fuori dell'esercizio delle funzioni e conseguenti  a  reato,  che  ai
sensi degli articoli 2, 3 e 4 del  decreto  legislativo  n.  109/2006
costituiscono un «numerus clausus»,  laddove  la  trasmissione  degli
atti del giudizio di responsabilita' civile al  Procuratore  generale
presso  la  Corte  di   cassazione   per   l'esercizio   obbligatorio
dell'azione disciplinare per il  semplice  fatto  della  proposizione
dell'azione risarcitoria finisce, in  aperta  controtendenza  con  la
scelta sottesa al decreto legislativo  n.  109/2006  di  tipizzazione
degli  illeciti  disciplinari,  per  dare   vita   ad   un   illecito
disciplinare  processuale  a  carattere  «atipico»,   dalla   portata
potenzialmente illimitata derivante  dalla  mera  proposizione  della
domanda giudiziale di risarcimento danni, che finisce per svuotare di
significato le norme sugli illeciti disciplinari tipici. 
    Inoltre la disposizione di cui all'art. 9, comma 1,  della  legge
n. 117/1988 appare violato l'art. 3 della Costituzione anche sotto il
versante della disparita' di trattamento. 
    Ai sensi dell'art.  14,  comma  1,  del  decreto  legislativo  n.
109/2006, infatti, «L'azione disciplinare e' promossa entro  un  anno
dalla notizia del fatto, della quale il Procuratore  generale  presso
la Corte di cassazione ha conoscenza a seguito  dell'espletamento  di
sommarie indagini preliminari  o  di  denuncia  circostanziata  o  di
segnalazione  del  Ministro   della   giustizia.   La   denuncia   e'
circostanziata quando contiene tutti gli elementi costitutivi di  una
fattispecie disciplinare. In difetto di tali  elementi,  la  denuncia
non costituisce notizia di rilievo disciplinare». Orbene, laddove  si
dovesse fare applicazione  dell'art.  9,  comma  1,  della  legge  n.
117/1988 che impone al Tribunale investito  dell'azione  risarcitoria
di trasmettere automaticamente,  sempre  e  comunque,  gli  atti  del
procedimento al Procuratore generale presso la Corte  di  cassazione,
sottoponendo a  sua  volta  quest'ultimo  all'obbligo  di  esercitare
l'azione disciplinare per i fatti che hanno dato causa all'azione  di
risarcimento,  si  finirebbe  per  imporre  l'esercizio   dell'azione
disciplinare ancorche' non sussistano gli estremi  di  una  «denuncia
circostanziata» in base all'art. 14, comma 1, del decreto legislativo
n. 109/2006; per il solo  fatto  che  e'  stata  proposta  azione  di
risarcimento  dei   danni   per   responsabilita'   dei   magistrati.
Possibilita', questa, resa ancora piu' concreta  dall'abolizione  del
c.d.  «filtro  di  ammissibilita'»  dell'azione   risarcitoria,   che
implicando una valutazione «ex ante» e  prognostica  sulla  possibile
fondatezza della domanda attorea, svolgeva  altresi'  una  importante
funzione di «filtro» di possibili notizie di  illeciti  disciplinari,
essendo prima della legge n. 18/2015 la trasmissione  degli  atti  al
Procuratore  generale  subordinata  proprio  all'esito  positivo  del
giudizio di ammissibilita'; 
    Ritenuto che l'art. 9, comma 1, della legge n.  117/1998  secondo
l'unica interpretazione che pare possibile fornire a  tale  norma  si
ponga altresi' in contrasto con gli articoli 101, comma 2, 104, comma
1 e 108 della Costituzione. 
    Infatti, l'obbligo di trasmissione degli  atti  del  procedimento
relativo all'azione  di  responsabilita'  civile  dei  magistrati  al
Procuratore generale, con  conseguente  insorgenza  dell'obbligo  per
quest'ultimo di esercitare l'azione  disciplinare  per  i  fatti  che
hanno dato vita alla domanda risarcitoria costituisce,  a  parere  di
questo giudice,  uno  strumento  in  grado  di  incidere  in  termini
negativi  sull'attivita'  giurisdizionale  e,  in   particolare,   di
pregiudicare la soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101,
comma  2,  della  Costituzione)  e  di  lederne  le  prerogative   di
autonomia, indipendenza, terzieta'  ed  imparzialita'  che  la  Carta
costituzionale riconosce alla magistratura non gia' quali  privilegi,
bensi' quali guarentigie per il sereno e corretto  svolgimento  della
funzione giurisdizionale. Proprio  la  Corte  costituzionale  con  la
recente sentenza n. 164/2017 ha evidenziato come  in  una  precedente
occasione - in particolare con la pronuncia n. 18  del  1989  -  essa
avesse ritenuto che l'esistenza del c.d. «filtro  di  ammissibilita'»
rispetto all'azione: risarcimento dei danni  proposta  dal  cittadino
costituisse una «garanzia  adeguata»  per  evitare  di  compromettere
«l'imparzialita' della magistratura, con l'attribuire alle parti  uno
strumento di pressione idoneo ad influenzarne le decisioni».  Orbene,
in ordine  all'obbligatorieta'  della  trasmissione  degli  atti  del
procedimento di responsabilita' civile da parte del  Tribunale  quale
effetto naturale ed  automatico  della  proposizione  dell'azione  di
risarcimento dei danni ai sensi  della  legge  n.  117/1988  ed  alla
conseguente obbligatorieta' dell'esercizio  dell'azione  disciplinare
da parte del Procuratore generale presso la Corte di  cassazione  per
tali fatti, appare a questo giudice che tale meccanismo sia in  grado
di integrare uno strumento  di  pressione  di  cui  soggetti  che  si
assumono danneggiati possono disporre in modo disinvolto,  idoneo  ad
influenzare  le  decisioni  del  Magistrato,  cosi'  compromettendone
sensibilmente  la  serenita'  e,  di  conseguenza,  la  posizione  di
autonomia,  indipendenza,   terzieta'   ed   imparzialita'   che   la
Costituzione riconosce  all'ordinamento  giudiziario.  Attraverso  le
modifiche della legge n. 117/1988 - consistenti in buona sostanza per
cio' che rileva in questa sede, negli effetti  che  l'abolizione  del
c.d. «filtro di ammissibilita' produce sull'obbligo  di  trasmissione
ed opera del giudice «a quo» degli atti del procedimento risarcitorio
al Procuratore generale  presso  la  Corte  di  cassazione  affinche'
eserciti  l'azione  disciplinare  obbligatoria  nei   confronti   del
Magistrato i cui atti comportamenti e provvedimenti si assume abbiano
danneggiato la parte attrice e di cui questa si duole nel giudizio di
risarcimento dei danni - infatti si perviene al risultato per cui  la
parte del giudizio, che ben puo' essere eventualmente ancora pendente
(posto che l'eliminazione del c.d. «filtro di ammissibilita'»  impone
al Tribunale investito della controversia risarcitoria di istruirla e
trattarla, ancorche' non siano stati esauriti i gradi di giudizio  ed
esperiti i rimedi ordinari ai sensi dell'art. 4, comma 2, della legge
n. 117/1988, non potendone  quindi  dichiararne  piu'  immediatamente
l'inammissibilita' nello scrutino endoprocessuale di  ammissibilita')
proponendo azione di risarcimento del danno nei confronti dello Stato
per l'attivita' del Magistrato, di fatto,  finisce  per  coinvolgerlo
non  solo  in   un'azione   di   responsabilita'   civile   (connessa
all'esercizio discrezionale del diritto  di  difesa  ad  opera  della
parte), ma  anche  ad  un  procedimento  di  tipo  disciplinare  -  a
prescindere dalla fondatezza o infondatezza dell'azione  risarcitoria
-, a carattere  obbligatorio,  cosi'  esponendolo  al  rischio  della
possibile  comminatoria  di  sanzioni   disciplinari   di   carattere
afflittivo, con un  meccanismo  che  non  appare  piu'  in  grado  di
garantire il giudice dalla  proposizione  di  «azioni  infondate  che
possano turbarne la serenita' impedendo al tempo stesso di creare con
malizia i presupposti per  l'astensione  e,  la  ricusazione»  (Corte
costituzionale,   n.   18/1989   e   n.   468/1990).   L'azione    di
responsabilita' civile, infatti, per quanto possa  essere  infondata,
porta per cio' solo, stante la sua proposizione e pendenza, l'obbligo
di  trasmettere  gli  atti  del  relativo  giudizio  risarcitorio  al
Procuratore generale presso la Corte di cassazione e  l'obbligo,  per
quest'ultimo, di esercitare la doverosa  azione  disciplinare.  Cio',
del resto, anche considerato  che  la  Corte  costituzionale  con  la
sentenza  n.  164/2017  ha  stabilito  che  il  nuovo  sistema  della
responsabilita'  civile  dei  magistrati  derivante  dalla  legge  n.
18/2015  a  seguito  della   soppressione   del   c.d.   «filtro   di
ammissibilita'» non viola  i  principi  di  autonomia,  indipendenza,
imparzialita' e terzieta' del  giudice,  atteso  che  nell'azione  di
risarcimento dei danni proposta ai sensi della legge n.  117/1988  la
serenita' del giudice coinvolto e, dunque, i valori  fondamentali  di
autonomia, indipendenza, imparzialita' e terzieta'  dello  stesso  e'
assicurata dalla discrasia tra i soggetti del giudizio (parte che  si
assume danneggiata e Stato convenuto) e dal mantenimento di un limite
della misura di rivalsa. Ebbene, in caso  di  esercizio  obbligatorio
dell'azione disciplinare da parte del Procuratore generale presso  la
Corte di cassazione (obbligatorio a seguito della trasmissione  degli
atti del procedimento da parte  del  Tribunale,  stante  il  disposto
dell'art. 9, comma 1, della legge n. 117/1988), i presupposti di  cui
sopra in presenza  dei  quali  l'eliminazione  del  c.d.  «filtro  di
ammissibilita'» garantisce ancora il giudice da  possibili  strumenti
di  pressione  non  appaiono  piu'.  sussistere,   poiche'   l'azione
disciplinare e' esercitata nei confronti del giudice  stesso  (e  non
dello Stato) e non vi e', logicamente, cosi' come accade  nell'azione
di rivalsa, alcuno  spazio  per  una  limitazione  delle  conseguenze
pregiudizievoli derivanti  dall'eventuale  comminatoria  di  sanzioni
disciplinari. Una siffatta soluzione,  peraltro,  appare  contrastare
con le norme di cui all'art. 101, comma  2  e  104,  comma  1,  della
Costituzione, anche considerato che, a ben vedere, il cittadino  che,
proponendo l'azione di responsabilita'  civile  nei  confronti  dello
Stato per il risarcimento  dei  danni  derivanti  dall'attivita'  dei
magistrati   determina,   per   cio'   solo,   anche    l'automatismo
dell'esercizio obbligatorio dell'azione disciplinare  esercitata  dal
Procuratore generale presso la Corte di cassazione, non persegue  ne'
realizza  alcun  interesse  suo  proprio  dall'esercizio  dell'azione
disciplinare stessa e, eventualmente, dall'inflizione di una sanzione
disciplinare (come invece avviene nel caso di condanna al ristoro dei
danni in sede di giudizio civile), di talche' appare evidente che  il
ricollegarsi alla proposizione dell'azione risarcitoria  dell'effetto
automatico   della   trasmissione   degli   atti   del   procedimento
risarcitorio al Procuratore generale presso la Corte di cassazione e,
dunque,   l'esercizio   dell'azione   disciplinare   da   parte    di
quest'ultimo, si risolve nell'attribuzione in capo al privato  di  un
singolare ed  ingiustificato  potere  di  dare  impulso  -  sempre  e
comunque -, sia pure per tramite del Tribunale davanti  al  quale  e'
proposta la domanda risarcitoria (il quale  e'  tenuto  a  provvedere
all'immediata trasmissione degli  atti  al  P.G.  presso  la  Suprema
Corte) ad un procedimento disciplinare nei confronti del Magistrato i
cui atti, comportamenti o provvedimenti si assumono lesivi della  sua
posizione giuridica. In tal modo, dunque, l'ordinamento  finisce  per
attribuire ad una parte del  giudizio  la  possibilita'  di  influire
indebitamente sul corso del giudizio e/o sulla serenita' del  giudice
e, quindi, sull'esercizio della funzione giurisdizionale, ponendo  in
tal modo  seriamente  a  repentaglio  le  prerogative  di  autonomia,
indipendenza, imparzialita' e terzieta' che la Costituzione ricollega
allo  svolgimento  della  funzione  giurisdizionale,  senza  che  sia
prevista - a differenza di quanto accadeva sotto la vigenza dell'art.
9, comma 1, nella sua formulazione anteriore  all'entrata  in  vigore
della riforma operata con la legge n. 18/2015 laddove  richiamava  il
termine di due mesi dalla comunicazione di cui all'art. 5,  comma  5,
(cioe'  il  positivo  superamento  del   vaglio   di   ammissibilita'
dell'azione  risarcitori)   -   neanche   una   preventiva   verifica
preliminare circa la sua  fondatezza.  In  questo  modo,  dunque,  ha
ingresso  nell'ordinamento  italiano  un  potere  generalizzato   del
cittadino di dare impulso, mediante la mera proposizione di un'azione
risarcitoria, all'esercizio obbligatorio dell'azione disciplinare nei
confronti dei magistrati dai cui atti, comportamenti o  provvedimenti
si assuma leso; 
    Ritenuto che per le ragioni innanzi esposte in questo modo  venga
violato anche il disposto dell'art. 108 della  Costituzione,  laddove
stabilisce che la legge assicura l'indipendenza dei giudici speciali,
poiche' il meccanismo determinato per effetto delle modifiche di  cui
alla legge n. 18/2015 nel senso di imporre,  sempre  e  comunque,  la
trasmissione  degli  atti  del  procedimento  al  soggetto   titolare
dell'azione  disciplinare  e  l'esercizio  obbligatorio   dell'azione
disciplinare riguarda, ai sensi dell'art. 9, comma 1, della legge  n.
117/1988, anche i  magistrati  diversi  da  quelli  ordinari,  dunque
appartenenti alle magistrature amministrative, contabili, militari  e
speciali (art. 1, comma 1, legge n. 117/1988), compromettendo in  tal
modo anche la loro indipendenza, terzieta' ed imparzialita'; 
    Ritenuto, alla luce di quanto innanzi esposto, dunque rilevante e
non manifestamente infondata con riferimento  gli  articoli  3,  101,
comma 2, 104, comma 1 e  108  della  Costituzione,  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 1 della legge  n.  117
del 13 aprile 1998 cosi' come modificato dall'art. 6, comma 1,  della
legge n. 18 del 27 febbraio 2015, nonche' per  effetto  dell'art.  3,
comma 2, della stessa legge laddove ha abolito  il  c.d.  «filtro  di
ammissibilita'», imponendo  al  Tribunale  investito  dell'azione  di
risarcimento  dei  danni   nei   confronti   dello   Stato   per   la
responsabilita' dei magistrati di trasmettere immediatamente, per  il
solo fatto della proposizione  della  domanda  giudiziale,  sempre  e
comunque, gli atti del procedimento al Procuratore generale presso la
Corte di cassazione, determinando cosi' l'obbligo per quest'ultimo di
esercitare, nei confronti dei magistrati i cui atti, comportamenti  e
provvedimenti si assumono forieri di  danno,  l'azione  disciplinare,
per i fatti che hanno dato  luogo  alla  proposizione  della  domanda
risarcitoria; 
    Rilevato che ai sensi dell'art.  23,  comma  2,  della  legge  n.
87/1953,  la  sottoposizione  dell'incidente   di   costituzionalita'
innanzi alla Corte costituzionale determina «ex lege» la  sospensione
del processo in corso;