LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE PER IL LAZIO 
                              Sezione 6 
 
    Riunita con l'intervento dei signori: 
        Panzani Luciano, Presidente e Relatore; 
        Parziale Ippolisto, Giudice; 
        Petitti Stefano, Giudice. 
    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  sull'appello  n.   2865/2019
depositato il  10  maggio  2019  avverso  la  pronuncia  sentenza  n.
17920/2018 Sez: 15 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di
Roma, contro Direzione regionale Lazio Ufficio grandi contribuenti  -
via G. Capranesi 54, 00100 Roma - proposto dagli appellanti  AXA  MPS
Assicurazioni Danni S.p.a. - via Aldo Fabrizi 9, 00128  Roma  (RM)  -
difeso da Sermoni Giuseppe Arnaldo -  via  Melchiorre  Gioia,  n.  8,
20124 Milano (MI); difeso da Cornalba Paola - via  Melchiorre  Gioia,
n. 8, 20124 Milano (MI); difeso da Tedeschi Giulio -  Via  Melchiorre
Gioia n. 8, 20124 Milano (MI). 
    Atti impugnati: SIL.RIFIUTO n. del 23  dicembre  2015  IRES-ALTRO
2013 
 
                      Svolgimento del processo 
 
    Axa Mps Assicurazioni Danni S.p.a. impugnava innanzi  la  CTP  di
Roma  il  silenzio-rifiuto  dell'Agenzia  delle  Entrate  in   ordine
all'istanza presentata in data 28 dicembre 2015, avente ad oggetto il
rimborso della maggiore IRES che sarebbe stata indebitamente  versata
per  il  periodo  d'imposta  2013,   per   effetto   dell'addizionale
dell'8,5%, per un ammontare complessivo di euro 2.710.521,00 oltre ad
interessi. 
    Tale addizionale era stata introdotta per il solo anno  d'imposta
2013 dall'art. 2, comma 2, del decreto-legge n. 133/2013  (convertito
con modifiche dalla legge n. 5/2014) ed  era  stata  posta  a  carico
degli enti creditizi e finanziari, della Banca d'Italia e degli  enti
che esercitano attivita' assicurativa. 
    In  conseguenza  di   tale   intervento   normativo   la   misura
dell'acconto dovuto per  il  2013  ai  fini  dell'imposta  era  stata
incrementata di un ulteriore 1,5% (portando,  pertanto,  al  130%  la
misura  definitivamente  dovuta  per  l'acconto)  ad  opera   di   un
provvedimento del Ministero dell'Economia e delle Finanze emanato  lo
stesso giorno del decreto (pubblicato nella  Gazzetta  Ufficiale  11.
282 del 2 dicembre 2013). 
    La ricorrente in primo grado sollevava questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 2, del  decreto-legge  n.  133/2013
con  riferimento  alla   violazione   dell'art.   3   (principio   di
uguaglianza)  e  53  della  Costituzione  (principio   di   capacita'
contributiva); eccepiva inoltre la  discriminazione  qualitativa  dei
redditi con riferimento alla sentenza della Corte costituzionale  del
2005, n. 21, l'illegittimita' dell'addizionale per contrarieta'  alla
disciplina comunitaria in materia di aiuti di  Stato,  la  violazione
dell'art.  77  della  Costituzione  in  ordine  ai   presupposti   di
necessita'  ed  urgenza  per  l'adozione  di  un  decreto-legge,   la
violazione dell'art. 41 della Costituzione e del principio di  libera
iniziativa economica, e la violazione dell'art. 19, comma 1,  lettera
g), del decreto legislativo n. 546/1992. 
    Concludeva quindi per l'annullamento del silenzio-rifiuto opposto
dall'Ufficio e la conseguente condanna dello stesso al rimborso della
maggiore IRES versata per l'anno 2013. 
    Si costituiva in giudizio l'Agenzia contestando in diritto e  nel
merito le  pretese  avversarie  e,  richiamando  numerosi  precedenti
giurisprudenziali in suo favore, chiedeva il rigetto del ricorso. 
    La CTP rigettava  il  ricorso  e  compensava  le  spese  di  lite
ritenendo che non vi fossero  i  presupposti  per  la  remissione  al
vaglio  della  Corte  costituzionale  dell'art.  2,  comma   2,   del
decreto-legge n. 133/2013, con riferimento  alla  dedotta  violazione
degli articoli 3 e 53 della Costituzione, in  quanto  il  legislatore
puo' legittimamente introdurre  specifiche  tassazioni  a  carico  di
determinate  categorie  di  contribuenti  senza  incorrere   in   una
violazione del principio costituzionale  di  capacita'  contributiva,
salvo  che  le  misure  adottate  siano  palesemente  irrazionali   o
manifestamente sproporzionate. Nel caso di specie,  ad  avviso  della
CTP, l'introduzione della norma contestata non aveva  dato  luogo  ad
una differenziazione ingiustificata ed arbitraria,  dal  momento  che
l'inasprimento  tributario   era   caratterizzato   da   profili   di
eccezionalita' e di transitorieta' e  perseguiva  dichiaratamente  un
intento solidaristico e redistributivo, come risultava dagli atti del
Governo che giustificavano la norma con la necessita' di  reperire  -
in  via  straordinaria  e  temporanea  -  le  somme  necessarie   per
alleggerire gli oneri fiscali gravanti sule fasce piu'  deboli  della
popolazione mediante l'abolizione della seconda rata dell'IMU per  le
abitazioni principali  e  le  fattispecie  assimilate,  attribuendone
temporaneamente  l'onere  a  soggetti   ritenuti   economicamente   e
finanziariamente piu' forti. 
    La CTP riteneva altresi' infondata  la  doglianza  relativa  alla
violazione dell'art. 77 della Costituzione, in ordine ai  presupposti
per  l'adozione  di  un  decreto-legge,  posto  che  dalle  relazioni
ministeriali e governative era del  tutto  evidente  che  la  notoria
situazione  di  emergenza  economica  e  sociale  posta  a  base  del
decreto-legge n. 113 del 2013 (impellente necessita' di sostenere  le
famiglie nella difficile fase congiunturale del 2013)  consentiva  di
escludere che esso fosse stato adottato in una situazione di evidente
mancanza dei requisiti di necessita' ed urgenza.  L'abolizione  della
seconda rata dell'IMU e la conseguente introduzione  dell'addizionale
IRES erano  strettamente  connesse  e  la  collocazione  della  norma
istitutiva  di  tale  addizionale  nell'alveo  del  decreto-legge  n.
133/2013 trovava invece una  precisa  giustificazione  proprio  nella
relazione funzionale tra le due  disposizioni  e  rispondeva  ad  una
precisa  scelta  di  politica  economica  finalizzata  a  far  fronte
all'eccezionale emergenza sociale del momento. 
    La CTP riteneva infondata anche la terza doglianza relativa  alla
discriminazione qualitativa dei redditi con riferimento alla sentenza
della Corte costituzionale del 2005, n. 21, in quanto  tale  sentenza
aveva stabilito che non vi e' violazione degli articoli 3 e 53  della
Costituzione qualora il legislatore stabilisca in via provvisoria  un
onere maggiore nei confronti di alcuni settori economici a seguito di
una valutazione di un minore impatto del tributo  ed  anche  per  una
scelta di politica redistributiva  a  favore  dei  contribuenti  piu'
deboli. 
    Anche l'eccepita illegittimita' dell'addizionale per contrarieta'
alla disciplina comunitaria era  ritenuta  infondata  dalla  CTP,  la
quale  osservava  che  gli  aiuti  di   Stato   sono   intesi   quali
finanziamenti a favore di imprese o produzioni, sia provenienti dallo
Stato sia da altri soggetti quali le imprese pubbliche; nel  caso  di
specie,  invece,  si  era  di  fronte  ad  un  inasprimento   fiscale
temporaneo ed urgente indirizzato verso soggetti economicamente forti
(banche ed enti assicurativi) al fine di reperire le somme necessarie
per alleggerire gli oneri fiscali gravanti sulle fasce  piu'  deboli,
soggetti peraltro che  appartengono  ad  una  categoria  omogenea  di
contribuenti. 
    L'eccepita violazione  dell'art.  41  della  Costituzione  e  del
principio di libera  iniziativa  economica  erano  ritenute  altresi'
infondate  dalla  CTP  in  quanto  eccezioni  dilatorie,  costituenti
ripetizione di argomentazioni gia' esplicitate, ma anche perche',  in
sintesi,  le  pur  legittime  aspettative  dei  soci  della  societa'
contribuente non potevano  certamente  essere  predominanti  rispetto
alle piu' legittime aspettative delle classi sociali piu' deboli. 
    Infine, l'ultima  doglianza  relativa  alla  presunta  violazione
dell'art. 19,  comma  1,  lettera  g),  del  decreto  legislativo  n.
546/1992, era rigettata dalla CTP  considerata  la  legittimita'  del
silenzio-rifiuto opposto dall'Amministrazione fiscale. 
    In  data  10  maggio  2019  proponeva  appello  la   contribuente
eccependo: 
        la   nullita'   della   sentenza    per    insufficienza    e
contraddittorieta' della motivazione in quanto, se da un lato la  CTP
aveva affermato  che  l'applicazione  della  addizionale  IRES  sulle
assicurazioni  non  avrebbe  fatto  «sorgere  alcuna  discriminazione
fiscale», dall'altro aveva affermato che  i  principi  costituzionali
«non impongono un carico fiscale uniforme, con criteri  assolutamente
identici e  proporzionali  per  tutte  le  tipologie  di  imposizione
tributaria» ed infine che si «esige un indefettibile raccordo con  la
capacita' contributiva». In particolare vi sarebbe stata una radicale
incompatibilita' tra un prelievo che  aggrava  la  posizione  fiscale
solo di alcuni operatori economici e l'art.  53  della  Costituzione,
salvo che sia  dimostrato  un  diverso  atteggiarsi  della  capacita'
contributiva colpita da quel prelievo, e che  questo  giustifichi  la
differente intensita' dell'obbligo tributario. Tali  circostanze  non
sarebbero, tuttavia, dimostrate nel caso di specie; 
        l'erroneo   rigetto    dell'eccezione    di    illegittimita'
costituzionale dell'addizionale per violazione degli articoli 3 e  53
della Costituzione in  quanto  tale  aggravio  aveva  determinato  un
trattamento diseguale sul piano della contribuzione fiscale ai  danni
del settore bancario ed assicurativo, posto che le imprese  di  tutti
gli altri settori ne sono state  esonerate.  Tale  aggravio  non  era
pero' giustificato alla luce  dei  valori  costituzionali  che,  come
stabilito  dalla  stessa  Corte  costituzionale,  richiedono  che  il
settore sottoposto ad una tassazione maggiorata deve presentare delle
peculiarita' che consistono,  sostanzialmente,  in  una  redditivita'
maggiore rispetto a quella di altri  settori  o  in  una  eccezionale
redditivita'  dell'attivita'  svolta  in  un  settore  che   presenta
caratteristiche  privilegiate  in  un  dato  momento   congiunturale.
Nessuna  delle  specificita'  richieste  dalla  Corte  costituzionale
sarebbe stata ravvisabile nel caso di specie,  posto  che  i  settori
bancario ed assicurativo presentano l'unica  peculiarita'  di  essere
assoggettati a penetranti  controlli  da  parte  delle  autorita'  di
vigilanza. Non sarebbe  stato  quindi  dimostrabile  che  i  soggetti
operanti  nel  settore  dell'intermediazione  finanziaria   e   delle
assicurazioni siano dotati di una capacita' contributiva superiore  a
quella di altri settori tale da giustificare questo aggravio fiscale.
Ne' per giustificare l'extraprelievo in esame, si potrebbe,  a  detta
dell'appellante,  invocare  la  natura  temporanea  dell'aumento   di
tassazione in quanto questa comunque deve  rispondere  a  criteri  di
adeguata ragionevolezza  per  non  ledere  i  principi  di  capacita'
contributiva e di uguaglianza; 
        l'erroneo rigetto dell'eccepita contrarieta' dell'addizionale
all'art.  77  della  Costituzione  in  quanto  sarebbero  mancati   i
requisiti di necessita' e di urgenza necessari per l'esercizio  della
funzione legislativa del governo con lo strumento del  decreto-legge.
Le maggiori entrate derivanti dall'addizionale IRES sarebbero  state,
infatti,  destinate  al   finanziamento   dell'ammanco   di   gettito
conseguente all'abolizione della seconda rata dell'IMU a carico delle
prime case non di  lusso:  non  vi  sarebbe  stata,  quindi,  nessuna
urgenza se non quella di sopperire alla carenza di  gettito  erariale
derivante dall'abolizione dell'ICI sulle prime case. L'attuazione  di
un programma politico del governo non potrebbe  costituire,  in  ogni
caso, una situazione straordinaria idonea a  legittimare  il  ricorso
alla decretazione di urgenza; 
        l'addizionale, diversamente  da  quanto  statuito  dai  primi
giudici, avrebbe violato anche  l'art.  41  della  Costituzione,  che
tutela la liberta' di iniziativa economica in quanto le  imprese  del
settore assicurativo e bancario erano state private,  all'improvviso,
di  ingenti  risorse  necessarie  per  lo  svolgimento   della   loro
attivita'. Il  legittimo  affidamento  tutelato  dall'art.  41  della
Costituzione  avrebbe  comportato  l'aspettativa  che  le   modifiche
normative non frustrassero le iniziative economiche gia' assunte ed i
costi gia' sostenuti, senza consentire al privato  di  ridirigere  le
proprie scelte imprenditoriali; 
        la  sentenza  di  primo  grado   sarebbe   stata,   altresi',
censurabile laddove non aveva riconosciuto la violazione del  diritto
comunitario in quanto l'addizionale di  cui  si  discute  si  sarebbe
scontrata con molteplici principi statuiti dal  Trattato  dell'Unione
Europea. L'introduzione dell'addizionale, infatti, avrebbe  di  fatto
alterato  le  dinamiche   competitive   determinando   un   effettivo
pregiudizio alla concorrenza derivante  dall'intervento  dello  Stato
sui mercati, in violazione degli articoli 3, 10 e  81  del  Trattato.
Inoltre, vi sarebbe stata violazione  degli  articoli  87  e  88  del
Trattato della Comunita' Europea in quanto l'inasprimento  fiscale  a
carico di alcuni operatori si  sarebbe  tradotto  in  un  illegittimo
aiuto di Stato, in favore delle imprese non colpite da tale  aggravio
perche'  la  nozione  di  aiuto  di  Stato  in   ambito   comunitario
comprenderebbe  non  solo  le  sovvenzioni  positive,  ma  anche  gli
interventi «in negativo». Pertanto, poiche' l'addizionale  in  parola
si qualifica come un prelievo asimmetrico che grava  solo  su  alcuni
operatori economici e non su altri che pur si trovano in  concorrenza
con i primi, essa si  configurerebbe  come  «sovvenzione  indiretta»,
censurabile a livello comunitario. Conseguentemente, sarebbero  state
alterate le condizioni di concorrenza sul  mercato,  a  vantaggio  di
alcuni operatori. 
    La contribuente inoltre rilevava che la violazione dei menzionati
principi   costituzionali   era   stata   rilevata,   successivamente
all'instaurazione del  presente  contenzioso,  anche  dalla  CTR  del
Piemonte con l'ordinanza n. 345/2018, con la quale quella Commissione
aveva ritenuto non manifestamente infondata e rilevante al fine della
decisione   della   controversia    l'eccezione    di    legittimita'
costituzionale proposta dalla difesa dell'appellante,  nonche'  dalla
CTR di Trento con ordinanza n. 25/2019. 
    Il contribuente chiedeva dunque: 
        in via principale la riforma della sentenza impugnata con  la
conseguente condanna dell'Agenzia al  rimborso  dell'addizionale  per
euro 2.710.521,00 per IRES oltre ad interessi  maturati  e  maturandi
per legge; 
        in via subordinata di sollevare la questione di  legittimita'
costituzionale  dell'addizionale  IRES  di   cui   all'art.   2   del
decreto-legge n. 133/2013 per violazione dell'art. 3,  41,  53  e  77
della Costituzione o, in alternativa, di rimettere  la  questione  di
compatibilita' con l'ordinamento dell'Unione europea  della  predetta
addizionale alla Corte di Giustizia; 
        in ulteriore subordine, di sospendere il giudizio  in  attesa
della  pronuncia  della  Consulta  in  merito   alla   questione   di
legittimita' costituzionale sollevata  a  seguito  dell'ordinanza  n.
345/2018 dalla CTR del Piemonte e dell'ordinanza n. 25/2019 della CTR
di Trento. 
    Si costituiva l'Agenzia delle entrate  contestando  tutto  quanto
eccepito dall'appellante e chiedendo  il  rigetto  dell'appello,  con
condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio. 
    In  data  2  ottobre  2019  il  contribuente  depositava  memoria
illustrativa   con   la   quale   ricordava   come   i   profili   di
incostituzionalita' sollevati  nel  presente  giudizio  fossero  gia'
stati rimessi, da altre Commissioni di merito, alla valutazione della
Corte costituzionale,  e  ribadendo  le  argomentazioni  gia'  svolte
nell'atto introduttivo del secondo grado di giudizio insisteva per le
istanze ivi formulate. 
    All'udienza, previa discussione orale, la Commissione  tratteneva
la causa a decisione. 
 
                       Motivi della decisione 
 
    La causa trae origine dal decreto-legge del 30 novembre 2013,  n.
133, convertito con modificazioni  nella  legge  n.  5/2014,  che  ha
istituito  una  tassazione  aggiuntiva  all'IRES  per  il  solo  anno
d'imposta 2013, nella misura dell'8,5%, a carico degli enti creditizi
e finanziari, della Banca d'Italia e degli  enti  assicurativi.  Tale
addizionale e'  diretta  a  colpire  non  solo  il  sovraprofitto  ma
l'intero reddito dei contribuenti. Per effetto di tale  provvedimento
la misura dell'acconto dovuto per il 2013  ai  fini  dell'imposta  e'
stata  incrementata  di  un  ulteriore  1,5%   (portando,   pertanto,
l'acconto al 130% dell'imposta dovuta per l'annualita' in  corso)  ad
opera di'  un  provvedimento  del  Ministero  dell'Economia  e  delle
Finanze emanato  lo  stesso  giorno  del  decreto  (pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale 11. 282 del 2 dicembre 2013). 
    Come risulta dai lavori preparatori della legge di conversione ed
in particolare dalla relazione  di  accompagnamento  del  disegno  di
legge  di  conversione  del  decreto-legge,  il   gettito   derivante
dall'addizionale prevista dall'art. 2, comma 2, del decreto-legge  n.
133/2013  e'  stato  destinato  al  finanziamento   della   copertura
dell'abolizione della seconda rata dell'IMU dovuta sui beni immobili. 
    L'odierno  appellante   ha   sollevato   diverse   questioni   di
legittimita'  costituzionale  relative  alla   previsione   di   tale
addizionale, tra le quali la  Commissione  ritiene  rilevante  e  non
manifestamente infondata solo quella relativa alla  violazione  degli
articoli 3 e 53 della Costituzione. 
    Come  piu'  volte  affermato  dalla  Corte   costituzionale,   il
principio di  capacita'  contributiva  previsto  dall'art.  53  della
Costituzione e' il presupposto e  il  limite  del  potere  impositivo
dello Stato e, al  tempo  stesso,  del  dovere  del  contribuente  di
concorrere  alle  spese  pubbliche,  dovendosi   interpretare   detto
principio come specificazione settoriale del piu' ampio principio  di
uguaglianza   di   cui   all'art.   3   della   Costituzione   (Corte
costituzionale n. 258/2002, n. 341/2000, n. 155/1963). 
    Cio' non significa che la  Costituzione  imponga  una  tassazione
fiscale uniforme, tuttavia, secondo  gli  orientamenti  costantemente
seguiti dalla Corte, ogni diversificazione del regime tributario, per
aree  economiche  o  per  tipologia  di  contribuenti,  deve   essere
supportata da adeguate e comprovate giustificazioni, in assenza delle
quali la differenziazione degenera in arbitraria discriminazione. 
    Le distinzioni operate  dal  legislatore  tributario,  anche  per
settori economici, non devono dunque essere irragionevoli, arbitrarie
o   ingiustificate:   cosicche'   il   giudizio    di    legittimita'
costituzionale deve vertere «sull'uso ragionevole,  o  meno,  che  il
legislatore stesso abbia  fatto  dei  suoi  poteri  discrezionali  in
materia tributaria, al fine di verificare la coerenza  interna  della
struttura dell'imposta con il suo presupposto economico, come pure la
non  arbitrarieta'  dell'entita'   dell'imposizione»   (sentenza   n.
111/1997; in senso conforme n. 111/2013 e n. 223/2012). 
    Nel caso di specie il diverso trattamento fiscale introdotto  con
il decreto-legge del 30 novembre 2013, n. 133, non sembra  soddisfare
i requisiti di adeguatezza e ragionevolezza  richiesti  dai  principi
sopra enunciati. 
    La  Corte  costituzionale  pronunciandosi  su  analoga  questione
(avente ad oggetto la c.d. Robin Tax introdotta con il  decreto-legge
n. 112/2008) ha infatti statuito che «affinche' il sacrificio  recato
ai principi di  eguaglianza  e  di  capacita'  contributiva  non  sia
sproporzionato e la  differenziazione  dell'imposta  non  degradi  in
arbitraria  discriminazione  la  sua  struttura  deve   coerentemente
raccordarsi con la relativa ratio giustificatrice. Se, come nel  caso
in esame il presupposto economico che il legislatore intende  colpire
e' la eccezionale redditivita' dell'attivita' svolta  in  un  settore
che  presenta  caratteristiche  privilegiate  in  un   dato   momento
congiunturale, tale circostanza dovrebbe necessariamente  riflettersi
sulla struttura dell'imposizione» (Corte costituzionale, sentenza  n.
10/2015). 
    Nel  caso  di  specie,  l'eccezionale  redditivita'  del  settore
colpito dall'aggravio fiscale non e' dimostrata  e  neppure  allegata
nei lavori preparatori della  legge  di  conversione,  posto  che  il
settore bancario e finanziario presentano si' una maggiore liquidita'
ma non per questo una maggiore redditivita', ed e'  infatti  nota  la
crisi economica che ha colpito  anche  i  settori  in  esame  proprio
durante il periodo in cui e' stato introdotto l'aggravio fiscale. 
    Non e' neppure dimostrato che le banche e  le  assicurazioni  nel
periodo  oggetto  di  imposizione  abbiano   ottenuto   sovraprofitti
riconducibili a rendite di  posizione  o  a  vantaggi  congiunturali.
Inoltre, per  quanto  riguarda  la  struttura  dell'imposizione  puo'
osservarsi che l'addizionale non risulta ancorata  ad  un  indice  di
capacita'   contributiva   ne'   il   legislatore   rende   manifesta
l'intenzione di colpire un maggior reddito  o  un  volume  di  affari
superiore ad un dato valore. 
    L'art. 2,  comma  2,  del  decreto-legge  n.  133/2013,  infatti,
applica l'aliquota dell'imposta aumentata dell'addizionale di 8,5% al
reddito complessivo netto, senza individuare alcun elemento in  grado
di giustificare il sacrificio patrimoniale al quale viene  sottoposta
una determinata categoria di soggetti, lasciandone indenni  altri,  a
parita' di capacita' contributiva e non prevedendo un meccanismo  che
consenta di  tassare  piu'  severamente  solo  l'eventuale  parte  di
reddito connessa alla presunta posizione privilegiata  dell'attivita'
esercitata dal contribuente. 
    Va anzi sottolineato che  l'unica  ratio  addotta  della  maggior
imposizione e' la necessita' di coprire il deficit  di  bilancio  che
sarebbe derivato dalla soppressione della seconda rata  IMU,  parendo
evidente che il legislatore abbia preso in considerazione  banche  ed
assicurazioni per la maggior facilita' del prelievo rispetto ad altre
categorie di contribuenti.  Si  e'  quindi  tassato  non  il  maggior
reddito o la presunta maggior capacita' di realizzare profitti, ma la
maggior liquidita' e la  presunta  maggior  solidita'  delle  imprese
bancarie ed assicurative. 
    Puo' dunque concludersi che non  vi  sono  le  ragioni  richieste
dall'art.   53   della   Costituzione,   secondo    la    consolidata
interpretazione datane dalla Corte costituzionale, per l'introduzione
di una diversificazione del regime tributario a scapito  soltanto  di
alcuni soggetti, concretizzandosi dunque l'addizionale  prevista  dal
decreto-legge  n.  133/2013  in  una  violazione  del  principio   di
capacita' contributiva e di uguaglianza. 
    Deve rilevarsi, peraltro, che l'inasprimento fiscale gravava solo
sull'anno  di  imposta  2013  e  che  la  Corte   costituzionale   ha
espressamente   ritenuto   non   illegittimi   casi   di   temporaneo
inasprimento dell'imposizione proprio in forza  della  loro  limitata
durata, specificando tuttavia che tali aggravi,  anche  se  di  breve
durata, debbono sempre  ancorarsi  ad  una  adeguata  giustificazione
obiettiva   che   sia   coerentemente   tradotta   nella    struttura
dell'imposta. Non pare, per le ragioni  gia'  esposte,  che  siffatti
requisiti sussistano nel caso di specie. 
    Va sottolineato che il giudice di primo grado ha ritenuto che  la
maggior  imposizione  potrebbe  essere  giustificata  da  ragioni  di
solidarieta' sociale, ma tali ragioni, spiegate dalla Commissione  di
primo grado con il fatto che altrimenti l'IMU  avrebbe  continuato  a
gravare su contribuenti in maggior difficolta'  negando  la  funzione
sociale della prima casa, non sono idonee da sole, in difetto  di  un
obiettivo indice di maggior  capacita'  contributiva,  a  superare  i
rilievi che si sono formulati. 
    Resta  a  dire  della  rilevanza  della  dedotta   questione   di
legittimita' costituzionale. Essa e' in re ipsa perche' la domanda di
rimborso di cui la contribuente lamenta  il  rigetto  in  tanto  puo'
trovare accoglimento in  quanto  venga  meno  il  precetto  contenuto
nell'art. 2, comma 2, del decreto-legge n. 133/2013. 
    In proposito va aggiunto che questa  Commissione  e'  consapevole
che in altra occasione la Corte costituzionale ha ritenuto derogabile
il  principio   di   retroattivita'   delle   sentenze   declaratorie
dell'illegittimita' costituzionale di  una  norma  di'  legge.  Basti
ricordare che la Corte costituzionale ha previsto  l'irretroattivita'
della sentenza di incostituzionalita' relativa alla  c.d.  Robin  Tax
motivando che  «l'impatto  macroeconomico  delle  restituzioni  (...)
determinerebbe uno squilibrio del bilancio  dello  Stato  di  entita'
tale  da  implicare  la  necessita'  di   una   manovra   finanziaria
aggiuntiva» (Corte costituzionale n. 10/2015). Tuttavia rientra nella
discrezionalita' della Corte  costituzionale  la  scelta  del  regime
intertemporale da applicare alle sue decisioni in base  alla  singola
portata di ciascuna di esse. Nella ricordata  sentenza  la  Corte  ha
sottolineato che il  giudizio  di  rilevanza  e'  di  competenza  del
giudice a quo, mentre  l'eventuale  ritenuta  irretroattivita'  della
pronuncia di illegittimita' costituzionale non puo' incidere su  tale
valutazione perche' e' rimessa al giudice ad quem. 
    Va dunque dichiarata non manifestamente infondata e rilevante  la
questione di legittimita' costituzionale derivante dall'arbitraria ed
irragionevole  maggiorazione  fiscale  imposta  dal  legislatore  con
l'art. 2, comma 2, del decreto-legge n. 133/2013  per  contrasto  con
gli articoli 53 e 3 della Costituzione. 
    La Commissione ritiene, invece,  manifestatamente  infondati  gli
altri dubbi di  legittimita'  costituzionale  sollevati  dalla  parte
appellante. 
    Quanto alla violazione dell'art.  77  della  Costituzione  appare
evidente che la necessita' di  assicurare  la  stabilizzazione  della
finanza pubblica non deriva solo  da  una  scelta  discrezionale  del
governo in carica, ma e' una conseguenza  dei  molteplici  interventi
normativi, finalizzati alla revisione  complessiva  della  tassazione
degli immobili, susseguitisi nel  corso  del  tempo.  Non  si  tratta
dunque della mera attuazione di  un  programma  politico,  ma  di  un
intervento  che  e'  conseguenza  delle  modificazioni  del   tessuto
economico e normativo rese necessarie  non  solo  dall'attuazione  di
quel programma, ma  dalle  ragioni  economiche  e  sociali  che  quel
programma hanno imposto. 
    La  situazione  di  difficolta'  economica  venutasi   a   creare
rappresenta ragione sufficiente per escludere,  dunque,  la  mancanza
dei  requisiti  di  necessita'  ed   urgenza   che   hanno   condotto
all'emanazione del decreto-legge n. 133/2013. 
    Per quanto riguarda, infine, la eccepita violazione dell'art.  41
della Costituzione e del principio di  libera  iniziativa  economica,
deve ritenersi che un maggior prelievo fiscale non sia  incompatibile
con tale  principio.  L'addizionale  prevista  dal  decreto-legge  n.
133/2013  non  ha  infatti  compromesso  in  modo   irreparabile   la
continuita' aziendale delle imprese bancarie ed assicurative e non ha
pertanto leso la liberta'  di  iniziativa  economica.  A  riprova  di
quanto detto basti pensare che altri casi  di  inasprimento  fiscale,
anche temporaneo,  non  sono  stati  ritenuti  in  contrasto  con  il
principio di liberta' di iniziativa economica da  parte  della  Corte
costituzionale. 
    Per quanto detto, la Commissione, visto l'art. 23 della legge  n.
87/1953, ritiene  non  manifestamente  infondata  ed  irrilevante  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2,  comma  2,  del
decreto-legge n. 133/2013, convertito con modificazioni  nella  legge
n. 5/2014 per contrasto con gli articoli 3 e 53 della Costituzione.