LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione tributaria civile
Composta dagli ill.mi signori magistrati:
dott. Federico Sorrentino, Presidente;
dott. Lucio Napolitano, relatore consigliere;
dott. Francesco Federici, consigliere;
dott. Luigi D'Orazio, consigliere;
dott. Luigi Di Paola, consigliere;
Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso
15253-2019 proposto da Ente Cambiano Societa' cooperativa per Azioni
in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato in Roma, viale Liegi 32, presso lo studio dell'avvocato
Marcello Clarich, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco
Pistolesi, Marco Miccinesi giusta delega a margine, ricorrente;
Contro Agenzia delle Entrate in persona del direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12,
presso l'Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e
difende, controricorrente;
Avverso la sentenza n. 2245/2018 della Commissione tributaria
regionale di Firenze, depositata il 13 dicembre 2018;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
5 novembre 2019 dal consigliere dott. Lucio Napolitano;
Udito il pubblico ministero in persona del sostituto procuratore
generale dott. Stanislao De Matteis che ha concluso per il rigetto
dei primi nove motivi di ricorso e assorbimento del decimo;
Udito per il ricorrente l'avvocato Miccinesi che ha chiesto
l'accoglimento;
Udito per il controricorrente l'avvocato Fiandaca che ha chiesto
il rigetto.
Rilevato che:
1. L'Ente Cambiano Societa' cooperativa per Azioni (gia' Banca di
Credito Cooperativo di Cambiano Societa' cooperativa per Azioni)
verso' all'erario la somma di euro 54.208.740,00, pari al 20% del
patrimonio netto al 31 dicembre 2015, esercitando cosi' l'opzione di
cui all'art. 2, comma 3-bis, del decreto-legge 14 febbraio 2016, n.
18, convertito con modificazioni dalla legge 8 aprile 2016, n. 49,
della c.d. way out, ossia la possibilita' per le banche di credito
cooperativo aventi alla predetta data patrimonio netto superiore a
duecento milioni di euro, di conferire l'azienda bancaria ad una
societa' per azioni, anche di nuova costituzione, autorizzata
all'esercizio dell'attivita' bancaria, modificando il proprio statuto
in modo da escludere l'esercizio dell'attivita' bancaria e mantenendo
nel contempo le clausole mutualistiche di cui all'art. 2514 del
codice civile, assicurando ai soci servizi funzionali al mantenimento
del rapporto con la societa' per azioni conferitaria di formazione ed
informazione sui temi del risparmio e di promozione dei programmi di
assistenza.
L'Ente formulo' quindi istanza di rimborso sia alla Direzione
provinciale di Firenze sia alla Direzione Regionale dell'Agenzia
delle Entrate, impugnando di seguito il silenzio-rifiuto formatosi su
detta istanza dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di
Firenze, che rigetto' il ricorso.
2. La Commissione tributaria regionale (CTR) della Toscana, con
sentenza n. 2245/4/2018, depositata il 13 dicembre 2018, non
notificata, respinse a sua volta l'appello proposto dall'Ente,
condannandolo altresi' al pagamento delle spese di lite.
3. Avverso la sentenza della CTR l'Ente Cambiano ha proposto
ricorso per cassazione affidato a dieci motivi, con i quali sono
prospettate, tra l'altro (primi tre motivi), diverse questioni
afferenti la dedotta incompatibilita' della suddetta disciplina
normativa con il diritto primario e secondario dell'Unione Europea,
con richiesta, in via gradata all'istanza di disapplicazione della
normativa suddetta nella parte in cui subordina l'esercizio della
succitata opzione al versamento dell'imposta sopra indicata, di
rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione Europea,
nonche' di sollevare questione di legittimita' costituzionale (motivi
da quattro ad otto), in relazione agli articoli 3, 42, 45, 53 della
Costituzione, nonche' all'art. 1 del Protocollo n. 1 addizionale alla
Convenzione europea dei diritti dell'uomo in tema di protezione della
proprieta' (quarto motivo), nonche' in relazione agli articoli 45, 47
e 77 della Costituzione (quinto motivo), agli articoli 41 della
Costituzione e 16 della Carta dei diritti 41 e 117 della Costituzione
a presidio del principio della libera concorrenza (settimo e ottavo
motivo).
L'Agenzia delle Entrate resiste con controricorso. Entrambe le
parti hanno depositato memoria ex art. 378 del codice di procedura
civile.
Considerato che:
1. Con il primo motivo l'ente ricorrente denuncia «violazione e/o
falsa applicazione dei principi europei di libera concorrenza e di
salvaguardia del mercato, consacrati negli articoli 101, 102, 120 e
173 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea» (di seguito,
ove non virgolettato, TFUE), in relazione all'art. 360, primo comma,
n. 3, del codice di procedura civile, nella parte in cui la CTR ha
ritenuto legittima l'imposizione in oggetto, sebbene la c.d. way out
per le banche di credito cooperativo dotate d'ingente patrimonio che
non avessero inteso prestare adesione a gruppo cooperativo bancario
prevedesse il conferimento dell'azienda bancaria in societa' per
azioni anche di nuova costituzione, permanendo, in capo alla
conferente, pur a seguito delle conseguenti variazioni statutarie
regolarmente approvate, la finalita' mutualistica da svolgere anche
attraverso il pacchetto azionario conseguito mediante l'anzidetto
conferimento; con cio', dunque, ledendo in primo luogo la normativa
primaria unionale di cui in rubrica a tutela dei principi di libera
concorrenza e salvaguardia del mercato.
2. Con il secondo motivo l'Ente Cambiano lamenta «violazione e/o
falsa applicazione del principio di libera circolazione dei capitali,
di cui all'art. 63 del Trattato sul funzionamento dell'Unione
Europea, meglio specificato dalla Direttiva 2008/7/CE del 12 febbraio
2008, "concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali",
che recepisce la Direttiva 69/335/CEE del 17 luglio 1969, la quale
afferma, salve le eccezioni di cui all'art. 6 (gia' art. 12 della
Direttiva n. 69 cit.), non ricorrenti nella vicenda in oggetto, la
neutralita' degli atti di conferimento», in relazione all'art. 360,
primo comma, n. 3 del codice di procedura civile.
Premesso che il legislatore europeo ha fissato nel limite massimo
dell'1% del valore reale dei beni di qualsiasi natura conferiti,
dedotte le obbligazioni assunte e gli oneri sostenuti dalla societa'
a causa di ciascun conferimento (articoli 3, paragrafo 1, lettera a e
c, 8, paragrafo 3 e 11, paragrafo 1, della Direttiva 2008/7/CE) la
soglia entro la quale, al ricorrere di alcuni presupposti, le
operazioni di conferimento, ove gia' tassate alla data del 1° gennaio
2006, avrebbero potuto continuare ad essere legittimamente sottoposte
ad imposizione da parte degli Stati membri, il ricorrente rileva come
tale limite sia stato violato dall'art. 2, comma 3-ter del
decreto-legge n. 18/2016, come modificato dalla legge di conversione
n. 49/2016, che ha previsto il versamento, da parte della «banca di
credito cooperativo conferente», di «un importo pari al venti per
cento del patrimonio netto al 31 dicembre 2015, come risultante dal
bilancio riferito a tale data, su cui il revisore contabile ha
espresso un giudizio senza rilievi»; cio', nella fattispecie in
oggetto, avendo comportato un esborso pari all'ingentissima somma di
euro 54.208.740, laddove il valore complessivo dell'azienda bancaria
oggetto di conferimento era stato stimato in euro 277.991.902, senza
che neppure potesse dirsi ricorrente alcuna delle ipotesi di deroga
consentite dall'art. 6 della succitata Direttiva 2008/7/CE, in
particolare dovendo escludersi che il tributo imposto potesse
costituire diritto «di carattere remunerativo» secondo il suddetto
art. 6 della menzionata Direttiva.
Il ricorrente, richiamando in proposito Corte di giustizia CE 13
febbraio 1996, cause riunite C-197/94 e C-252/94, in riferimento
all'allora vigente Direttiva 69/335/CEE, osserva ancora che a non
diverse conclusioni in punto d'illegittimita' dell'imposizione in
oggetto sarebbe dovuta pervenire la CTR pur nell'affermazione, da
parte del giudice tributario d'appello, della sua natura giuridica
quale «imposta straordinaria sul patrimonio», anziche' come imposta
sui conferimenti, dovendo disapplicarsi la normativa nazionale che,
in difetto dei presupposti legittimanti, ponga restrizioni di natura
fiscale alla raccolta di capitali da parte della societa',
risolvendosi in una ««tassa di effetto equivalente» a quella vietata
dall'ordinamento europeo; cio' in quanto la normativa nazionale ha
individuato esclusivamente nel conferimento dell'azienda bancaria
nella nuova societa' per azioni conferitaria la causa
dell'imposizione per evitare di dover sottostare al sacrificio della
devoluzione dell'intero patrimonio ai fondi mutualistici.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, in relazione
all'art. 360, primo comma, n. 3 del codice di procedura civile,
«Violazione e/o falsa applicazione della Direttiva 2009/133/CEE del
19 ottobre 2009, "relativa al regime fiscale comune da applicare
... ai conferimenti d'attivo ... concernenti societa' di Stati membri
diversi"» estesa dall'art. 176 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 917/1986 (TUIR), onde evitare "discriminazioni alla
rovescia", anche ai conferimenti d'azienda "domestici", i quali
devono essere sottoposti dagli ordinamenti nazionali ad un ordinario
regime di neutralita' fiscale, stante il rilievo meramente
organizzativo di tali operazioni, salvo il caso, non ricorrente nella
fattispecie, in cui, previo versamento di un'imposta sostitutiva, il
contribuente, del tutto liberamente, si avvalga della possibilita' di
riallineare i valori fiscali dei cespiti conferiti con quelli
contabili».
Il ricorrente lamenta come nella fattispecie la decisione
impugnata abbia erroneamente ritenuto la legittimita'
dell'imposizione straordinaria sul patrimonio, di entita' peraltro
assai elevata, in dipendenza di una scelta legittima e
costituzionalmente tutelata in punto di forma e di organizzazione
dell'attivita' economica, scelta da sempre considerata neutra, sul
piano fiscale, salvo il caso, qui non ricorrente, in cui
all'interessato si consenta di aggiornare i valori fiscali del
compendio aziendale conferito, assoggettando ad imposizione le
plusvalenze latenti.
4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, in relazione
all'art. 360, primo comma, n. 3 del codice di procedura civile,
«Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 3, 42, 45, 47 e 53
della Costituzione, nonche' dell'art. 1 del Protocollo n. 1
addizionale alla CEDU, in tema di "protezione della proprieta'",
stante la palese arbitrarieta' dell'imposizione controversa, che ha
conculcato, in assenza di qualunque plausibile giustificazione, e in
netta violazione del principio di non discriminazione, oltre che di
proporzionalita', il patrimonio dell'ente cooperativo», difettando
qualsivoglia espressione di capacita' contributiva.
Il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia disatteso
le questioni di legittimita' costituzionale prospettate nel giudizio
di merito in relazione ai succitati parametri, con affermazioni
apodittiche, intimamente contraddittorie ed incompatibili col quadro
richiamato dei valori costituzionali e convenzionali.
Cio' per un verso laddove la CTR ha escluso che possa ipotizzarsi
la lesione del principio di eguaglianza, «risultando la disciplina
l'effetto di scelte discrezionali e legittime del legislatore nella
valutazione del bilanciamento con altri principi costituzionali quali
la tutela del risparmio, anche in considerazione del regime di
maggior favore fiscale del quale le cooperative avevano goduto»; per
altro verso affermando che «alla valutazione giuridica» della
Commissione «deve [...] restare estranea ogni considerazione circa le
ricadute economiche del versamento».
Il ricorrente lamenta al riguardo che la CTR abbia omesso di
considerare che l'intrinseca irragionevolezza della disposizione,
come conseguita alla modificazione apportata in sede di legge di
conversione, era da cogliersi in relazione alla stessa ratio della
riforma del sistema delle banche di credito cooperativo, rendendo
peraltro lo Stato, in assenza dell'espressione di alcuna specifica
ragione di solidarieta', beneficiario di un introito che non poteva
giustificarsi in relazione al regime delle agevolazioni fiscali di
cui aveva goduto l'allora banca di credito cooperativo, atteso che, a
seguito del conferimento dell'azienda bancaria nella nuova societa'
per azioni e delle conseguenti necessarie modifiche statutarie,
permanevano le finalita' mutualistiche prevalenti in relazione al
godimento delle azioni percepite dalla conferitaria.
La pretesa volontarieta' dell'adesione al meccanismo della c.d.
way out non poteva poi, secondo il ricorrente, portare ad escludere
che nella fattispecie si fosse in presenza di un vero e proprio
fenomeno espropriativo, stante l'alternativa, in assenza del
versamento dell'imposta, della perdita dell'intero patrimonio.
5. Con il quinto motivo il ricorrente censura ancora, in
relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 del codice di procedura
civile, la sentenza impugnata, con riferimento alla prima parte della
motivazione come riportata nel paragrafo precedente, con la quale la
CTR ha disatteso le questioni di legittimita' costituzionale
prospettate in relazione agli articoli 45 e 47 della Costituzione,
rilevando come la CTR abbia omesso di rilevare che il prelievo in
oggetto ha, da un lato, depauperato le «riserve indivisibili»
dell'Ente cooperativo, recando un evidente pregiudizio ai valori
della cooperazione e della mutualita' e, dall'altro, non ha tutelato
il risparmio, risultandone indebolito il sistema del credito
cooperativo; evidenziandosi, ancora, a giudizio del ricorrente, un
ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale della disposizione
in esame per contrasto con l'art. 77 della Costituzione, anche alla
stregua delle disposizioni a tutela del contribuente, di cui alla
legge 27 luglio 2000, n. 212, il cui art. 4, segnatamente, prevede
che non si possa disporre con decreto-legge l'istituzione di nuovi
tributi.
6. Con il sesto motivo l'Ente ricorrente denuncia, in relazione
all'art. 360, primo comma, n. 3 del codice di procedura civile,
«Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 41 della
Costituzione e 16 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
Europea (c.d. Carta di Nizza), stante l'inspiegabile vulnus
determinato dal tributo in contestazione allo svolgimento della
libera iniziativa economica da parte dell'Ente cooperativo».
Nel ribadire quanto gia' sopra osservato a confutazione della
tesi esposta dalla CTR in punto di volontarieta' dell'adesione a
quanto previsto per l'esercizio della c.d. way out, il ricorrente
sottolinea come parimenti erroneo debba intendersi l'assunto del
giudice tributario d'appello laddove abbia inteso siffatto esercizio
come quello proprio di un'opzione fiscale, in realta' insussistente,
non essendovi alcuna imposta sostitutiva a regime ordinario,
dovendosi piuttosto considerare l'opzione in questione come
l'esercizio legittimo di una scelta imprenditoriale che non puo'
essere limitata, ove non in contrasto con l'utilita' sociale.
7. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento
all'art. 360, primo comma, n. 4 del codice di procedura civile,
nullita' della sentenza per omessa pronuncia, ex art. 112 del codice
di procedura civile, in relazione alla questione formulata in primo
grado e riproposta in appello, relativa all'incompatibilita' del
tributo controverso, di cui all'art. 2, comma 3-ter, del
decreto-legge n. 18/2016, convertito con modificazioni dalla legge n.
49/2016, con le norme costituzionali (articoli 41 e 117 della
Costituzione) che presidiano la libera concorrenza, nulla avendo
statuito al riguardo il collegio di seconde cure.
8. Con l'ottavo motivo analoga questione e' riproposta
direttamente, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 del codice
di procedura civile, come violazione e/o falsa applicazione delle
norme di cui agli articoli 41 e 117 della Costituzione a tutela del
principio di libera concorrenza, per l'ipotesi in cui si ritenga che
la CTR abbia implicitamente rigettato la relativa eccezione
d'illegittimita' costituzionale.
9. Con il nono motivo, che puo' intendersi come riepilogativo di
ciascuna delle questioni come prospettate nei precedenti motivi tanto
in relazione alla normativa sovranazionale citata quanto agli
invocati parametri costituzionali di riferimento addotti, il
ricorrente lamenta, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5 del
codice di procedura civile - per l'ipotesi che la CTR abbia inteso
esprimere un apprezzamento di fatto circa i riflessi del prelievo in
contestazione sul settore del credito cooperativo, nella parte in cui
ha affermato che dovesse restare estranea alla propria valutazione
giuridica ogni diversa considerazione circa le ricadute economiche
del versamento - omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio
che e' stato oggetto di discussione tra le parti, e cioe' sulla
capacita' dell'Ente Cambiano Societa' cooperativa per Azioni, gia'
Banca di Credito Cooperativo di Cambiano Societa' per Azioni, di
concedere credito, per il tramite della societa' per azioni
conferitaria dell'azienda bancaria, la Banca Cambiano 1884 S.p.A.;
fatto che, se correttamente apprezzato alla stregua delle precedenti
considerazioni, volte a porre in rilievo il contrasto della
disciplina del prelievo in questione tanto con i menzionati principi
europei di libera concorrenza e di salvaguardia del mercato, di cui
agli articoli 101, 102, 120 e 173 del TFUE, di libera circolazione
dei capitali, di cui all'art. 63 del TFUE, del quale costituisce
attuazione la Direttiva 2008/7/CE, e con la Direttiva 2009/133/CEE,
quanto con gli articoli 3, 41, 42, 43, 45, 53 e 117 della
Costituzione, reputando quindi le relative questioni di legittimita'
costituzionale proposte non manifestamente infondate, avrebbe
condotto ad un esito diverso del giudizio.
10. Infine, con il decimo motivo, il ricorrente lamenta, in
relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 del codice di procedura
civile, violazione e/o falsa applicazione dell'art. 15, comma 2, del
decreto legislativo n. 546/1992, nella parte in cui la decisione
impugnata ha condannato la societa' appellante al pagamento delle
spese di lite, liquidate in euro 50.000,00, quantunque, per
l'obiettiva complessita' e gravita' delle questioni giuridiche
controverse, ricorressero senz'altro «gravi ed eccezionali ragioni»
per disporre la compensazione delle spese del giudizio.
11. Tra le varie questioni sollevate con i suddetti motivi di
ricorso ritiene la Corte di dover accogliere in primis alcuni dei
dubbi di legittimita' costituzionale sollevati delle richiamate norme
in quanto direttamente collidenti con alcuni parametri
costituzionali, come di seguito esposti (tenuto anche conto che il
contrasto con il diritto dell'Unione Europea viene ipotizzato
rispetto a principi o disposizioni di carattere generale, ma non con
norme europee dotate di effetto diretto sulla fattispecie, cfr. Corte
costituzionale 14 dicembre 2017, n. 269).
Possono essere dunque trattati congiuntamente i motivi quarto,
quinto, sesto ed ottavo con i quali in effetti l'ente ricorrente,
censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha disatteso, in
via espressa o implicita, le sollevate questioni di legittimita'
costituzionale, le ripropone in questa sede, formulando, nell'ambito
del quinto motivo, per la prima volta in sede di legittimita',
un'ulteriore questione di legittimita' costituzionale con riferimento
all'art. 77 della Costituzione.
12. Giova anteporre una premessa comune utile alla disamina dei
profili d'illegittimita' costituzionale evocati dal ricorrente, che
attiene alla ricostruzione della ratio sottesa alla riforma delle
banche di credito cooperativo, al fine di verificare se la disciplina
attuata, segnatamente a seguito delle modifiche apportate in sede di
conversione all'originario decreto-legge, risulti coerente con quelli
che si pongono come i cardini della riforma stessa; donde
l'opportunita' di un piu' puntuale riferimento alla lettera delle
disposizioni in esame quali conseguite rispetto all'originario
decreto, nel contesto delle modifiche apportate alla disciplina base
di riferimento contenuta nel decreto legislativo 1° settembre 1993,
n. 385 (Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di
seguito TUB), anche in relazione alla normativa civilistica in tema
di cooperative a mutualita' prevalente.
Va sottolineato che la riforma delle banche di credito
cooperativo tende al superamento delle criticita' proprie della
previgente disciplina di settore, afferenti alle debolezze
strutturali derivanti sia dal modello di attivita' (particolarmente
esposto all'andamento dell'economia del territorio di riferimento),
sia dagli assetti organizzativi e dalle dimensioni ridotte della
maggior parte delle banche di credito cooperativo.
Nel riaffermare l'importanza del ruolo della cooperazione di
credito a sostegno dell'economia, la riforma ha inteso porre rimedio
alle debolezze del modello di governance del credito cooperativo tali
da ingenerare rilevanti difficolta' per il settore, rafforzando i
patrimoni delle banche di credito cooperativo nella misura necessaria
a risolvere eventuali situazioni di crisi, perseguendo l'obiettivo di
porre il settore in grado di competere in un contesto europeo
caratterizzato da profondi mutamenti sul piano delle regole
prudenziali, dell'attivita' di vigilanza e del livello di
concorrenza.
12.1. Da siffatta angolazione non v'e' dubbio che lo strumento
principale - si' da costituire senz'altro l'opzione privilegiata dal
legislatore - per il raggiungimento di detto obiettivo, e' stato
individuato (secondo quanto previsto dagli articoli 37-bis e 37-ter
del TUB, quali inseriti dall'art. 1, comma 5, del decreto-legge n.
18/2016, come convertito dalla legge n. 49/2016) nell'adesione delle
banche di credito cooperativo ad un Gruppo bancario cooperativo (di
seguito, GBC) con al vertice una capogruppo (holding) in forma di
societa' per azioni, con patrimonio minimo di un miliardo di euro,
partecipata a maggioranza dalle stesse banche cooperative affiliate e
dotata di poteri di direzione e coordinamento delle stesse.
Nel caso dell'adesione al GBC la banca affiliata continua ad
operare secondo il regime suo proprio, nessuna conseguenza
verificandosi sul patrimonio della banca che ha prestato la propria
adesione al Gruppo.
12.2. Di contro, per le banche di credito cooperativo autorizzate
alla data di entrata in vigore delle disposizioni emanate ai sensi
dell'art. 37-bis del TUB, che non avessero aderito al GBC, l'art. 2,
comma 3, del decreto-legge n. 18/2016, quale convertito dalla legge
n. 49/2016, ha stabilito che le stesse potessero assumere - di la'
dell'ipotesi di recesso o esclusione da un Gruppo bancario - come
prima opzione, la delibera di trasformazione in societa' per azioni,
dovendo altrimenti deliberare la propria liquidazione, nel termine
indicato ai commi 1 e 2 del suddetto art. 2.
La conseguenza dell'esercizio dell'opzione di trasformazione in
societa' per azioni e' quella della devoluzione del patrimonio
sociale ai fondi mutualistici, in virtu' di quanto previsto
dall'ultimo periodo del terzo comma dell'art. 2 del decreto in esame
come modificato in sede di conversione, per effetto del quale «Resta
fermo quanto previsto dall'art. 150-bis, comma 5 del decreto
legislativo 1° settembre 1993, n. 385, come modificato dal presente
decreto».
Sennonche' proprio la norma da ultimo richiamata ha subito la
piu' rilevante modifica, in sede di legge di conversione, rispetto a
quella gia' apportata dal decreto-legge n. 18/2016, andando ad
incidere profondamente sulle modalita' di esercizio di quella che e'
venuta a configurarsi come un'ulteriore opzione, ridisegnando i
termini della c.d. way out.
12.3. Prima di soffermarsi su quest'ultima nel suo assetto
definitivo, risulta utile premettere il testo dell'art. 150-bis,
comma 5, del TUB quale sostituito dall'art. 1, comma 6, lettera b)
del decreto-legge n. 18/2016 ante legge di conversione, secondo il
quale: «Nei casi di fusione e trasformazione previsti dall'art. 36,
nonche' di cessione di rapporti giuridici in blocco e scissione da
cui risulti una banca costituita in forma di societa' per azioni,
restano fermi gli effetti di devoluzione del patrimonio stabiliti
dall'art. 17 della legge 23 dicembre 2000, n. 388. Tali effetti non
si producono se la banca di credito cooperativo che effettua le
operazioni di cui al periodo precedente ha un patrimonio netto
superiore a duecento milioni di euro. In tal caso, le riserve sono
affrancate corrispondendo all'erario un'imposta straordinaria pari al
venti per cento della loro consistenza».
Nella previsione originaria di detta disposizione si era
manifestata apprensione (cfr. audizione parlamentare del Capo del
Dipartimento vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia,
nel corso dei lavori per la conversione in legge del citato
decreto-legge n. 18/2016) sui rischi di demutualizzazione del
settore, soprattutto in difetto di previsione di un termine per
l'esercizio della relativa opzione, nonche' di un riferimento
temporale per la valutazione del patrimonio netto della banca di
credito cooperativo che, nel deliberare la trasformazione in societa'
per azioni, intendesse conseguire, dietro il versamento dell'imposta
straordinaria pari al 20% della consistenza delle riserve,
l'affrancamento delle stesse, evitando cosi' l'effetto della
devoluzione ai fondi mutualistici. La norma finiva con l'intervenire
in un assetto normativo in cui la trasformazione di una banca di
credito cooperativo in societa' per azioni era ammessa solo
eccezionalmente (a seguito di fusioni con banche di altra natura
autorizzate dalla Banca d'Italia nell'interesse dei creditori e per
ragioni di stabilita', secondo l'art. 36 del TUB nella formulazione
applicabile ratione temporis), non essendo ammesse su base meramente
volontaria ne' la trasformazione in S.p.A. ne' il passaggio alle
cooperative a mutualita' non prevalente, e comportando, in ogni caso,
tutte le operazioni trasformanti l'obbligo di devolvere l'intero
patrimonio ai Fondi mutualistici per la cooperazione ai sensi
dell'art. 17 della legge 23 dicembre 2000, n. 388.
12.4. Detta ultima disposizione, riconosciuta costituzionalmente
legittima quale norma d'interpretazione autentica da Corte
costituzionale 23 maggio 2008, n. 170, aveva previsto che allo stesso
obbligo di devoluzione di cui all'art. 26 del decreto legislativo del
Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, ratificato,
con modificazioni, dalla legge 2 aprile 1951, n. 302 e di cui
all'art. 11, comma 5, della legge 31 gennaio 1992, n. 59, dovessero
intendersi soggette le stesse societa' cooperative e loro consorzi
nei casi di fusione e trasformazione (ove non vietati dalla normativa
vigente) in enti diversi dalle cooperative per le quali vigono le
clausole di cui al citato art. 26, nonche' in caso di decadenza dai
benefici fiscali.
La Corte costituzionale aveva, in particolare, chiarito che la
ratio del succitato art. 17 della legge n. 388/2000 e' quella di
«garantire che i benefici conseguiti grazie alle agevolazioni
previste per incentivare lo scopo mutualistico non siano destinati
allo svolgimento di un'attivita' priva di tale carattere e, comunque,
non siano fatti propri da coloro che ne hanno fruito».
Ulteriori dubbi erano stati espressi sulla ragionevolezza
dell'entita' del prelievo finalizzato all'affrancamento delle
riserve, se rapportato all'incidenza del complesso delle agevolazioni
fiscali godute che avevano contribuito alla formazione del patrimonio
della banca di credito cooperativo che avesse optato per la
trasformazione in societa' per azioni.
13. Le modifiche apportate in sede di conversione hanno
ridisegnato le modalita' di esercizio della c.d. way out.
L'ultimo periodo dell'art. 150-bis del TUB come sopra trascritto
e' stato soppresso dalla legge di conversione, che, per quanto qui
rileva, ha aggiunto all'art. 2 del decreto i commi 3-bis, 3-ter e
3-quater, che di seguito si riportano:
«3-bis. In deroga a quanto previsto dall'art. 150-bis, comma
5, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, la devoluzione
non si produce per le banche di credito cooperativo che, entro
sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto, presentino alla Banca d'Italia, ai
sensi dell'art. 58 del decreto legislativo n. 385 del 1993, istanza,
anche congiunta, di conferimento delle rispettive aziende bancarie ad
una medesima societa' per azioni, anche di nuova costituzione,
autorizzata all'esercizio dell'attivita' bancaria, purche' la banca
istante o, in caso di istanza congiunta, almeno una delle banche
istanti possieda, alla data del 31 dicembre 2015, un patrimonio netto
superiore a duecento milioni di euro, come risultante dal bilancio
riferito a tale data, su cui il revisore contabile ha espresso un
giudizio senza rilievi.
3-ter. All'atto del conferimento, la banca di credito
cooperativo conferente versa al bilancio dello Stato un importo pari
al 20 per cento del patrimonio netto al 31 dicembre 2015, come
risultante dal bilancio riferito a tale data, su cui il revisore
contabile ha espresso un giudizio senza rilievi.
3-quater. A seguito del conferimento, la banca di credito
cooperativo conferente, che mantiene le riserve indivisibili al netto
del versamento di cui al comma 3-ter, modifica il proprio oggetto
sociale per escludere l'esercizio dell'attivita' bancaria e si
obbliga a mantenere le clausole mutualistiche di cui all'art. 2514
del codice civile, nonche' ad assicurare ai soci servizi funzionali
al mantenimento del rapporto con la societa' per azioni conferitaria,
di formazione e informazione sui temi del risparmio e di promozione
di programmi di assistenza. Non spetta ai soci il diritto di recesso
previsto dall'art. 2437, primo comma, lettera a) del codice civile.
In caso di inosservanza degli obblighi previsti dal presente comma e
dai commi 3-bis e 3-ter, il patrimonio della conferente o, a seconda
dei casi, della banca di credito cooperativo e' devoluto ai sensi
dell'art. 17 della legge 23 dicembre 2000, n. 388. In caso di mancato
ottenimento delle autorizzazioni indicate al comma 3-bis entro il
termine stabilito dal comma 1, la banca di credito cooperativo puo'
chiedere l'adesione a un gruppo cooperativo gia' costituito entro i
successivi novanta giorni. In caso di diniego dell'adesione si
applica il comma 3».
14. Dato atto che non rilevano ai fini della presente decisione
le ulteriori modifiche apportate all'art. 2 del decreto-legge n.
18/2016, quale convertito, con modificazioni, dalla legge n. 49/2016,
dall'art. 11, comma 1, del decreto-legge 25 luglio 2018, n. 91,
convertito, a sua volta, con modificazioni, dalla legge 21 settembre
2018, n. 108, questa Corte deve dunque verificare entro quali limiti
le questioni di' legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 3-ter
e 3-quater, quest'ultimo limitatamente all'inciso «al netto del
versamento di cui al comma 3-ter, nonche' al successivo riferimento
al predetto «3-ter», sollevate dalla ricorrente in relazione ai
parametri invocati, siano non manifestamente infondate e rilevanti ai
fini della decisione.
15. In primo luogo va rilevato che non osta all'esame della
questione di legittimita' costituzionale in relazione all'art. 77
della Costituzione il fatto che sia stata sollevata per la prima
volta in sede di legittimita', ben potendo essa essere rilevata (cfr.
art. 1, legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1) e
conseguentemente sollevata (art. 23, terzo comma, legge 11 marzo
1953, n. 87) anche d'ufficio.
Ritiene la Corte peraltro che essa sia manifestamente infondata,
alla stregua della giurisprudenza della Corte costituzionale riguardo
al rispetto dei requisiti di necessita' e d'urgenza con riferimento
all'istituzione di nuovi tributi. Particolare rilievo, al riguardo,
di recente, assume Corte costituzionale 21 marzo 2018, n. 99, in sede
di sindacato di legittimita' costituzionale del decreto-legge 24
gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 24
marzo 2015, n. 33 (c.d. riforma delle banche popolari), che ha
escluso il profilo d'illegittimita' costituzionale posto in relazione
ai requisiti di cui alla decretazione d'urgenza, richiamando proprio
analogo precedente (Corte costituzionale 20 luglio 2016, n. 287) ed
osservando, in relazione all'anzidetta normativa, che essa «non
presenta una portata cosi' ampia da caratterizzarsi come una vera e
propria riforma del sistema bancario», poiche' «per quanto essa
incida significativamente su un particolare tipo di azienda di
credito, resta pur sempre un intervento settoriale e specifico, non
assimilabile dunque a un atto definibile come riforma di sistema».
Analoghe considerazioni, invero, possono essere svolte, mutatis
mutandis, con riferimento alla disciplina in esame (si veda anche, in
tema di rispetto dei requisiti di necessita' e d'urgenza riguardo
all'istituzione con decreto-legge di nuovi tributi, Corte
costituzionale 11 febbraio 2015, n. 10), dovendosi, peraltro,
ribadire, in ragione del richiamo di parte ricorrente al principio di
cui all'art. 4 della legge n. 212/2000, che le norme del c.d. Statuto
del contribuente non hanno, nella gerarchia delle fonti, rango
superiore alla legge ordinaria (essendone, invero, ammessa la
modifica o la deroga, purche' espressa e non a opera di leggi
speciali), con la conseguenza che una previsione legislativa che si
ponga in contrasto con esse non e' suscettibile di disapplicazione,
ne' puo' essere per cio' solo oggetto di questione di legittimita'
costituzionale, non potendo le disposizioni dello Statuto fungere
direttamente da norme parametro di costituzionalita' (cfr., tra le
altre, Cass. sez. 5, ord. 20 giugno 2018, n. 16227; Cass. sez. 5,
ord. 6 settembre 2017, n. 20812; Cass. sez. 5, 9 dicembre 2009, n.
25722).
16. Ugualmente deve ritenersi manifestamente infondata la
questione di legittimita' costituzionale posta, nell'ambito del
quarto motivo, dall'ente ricorrente in relazione all'art. 42 della
Costituzione, anche con riferimento all'art. 1 del Protocollo n. 1
addizionale alla CEDU, in tema di protezione della proprieta'.
Prima ancora che possa entrarsi nella valutazione dell'entita'
dell'imposizione come di fatto implicante un sacrificio della
proprieta' di natura espropriativa, al di fuori dei limiti in cui
cio' sia consentito ai sensi del terzo comma dell'art. 42 della
Costituzione, deve convenirsi con la sentenza impugnata laddove ha
osservato che la volontarieta' dell'adesione (alla terza opzione
consentita) e del conseguente esborso comporta che non possa
attribuirsi al prelievo la paventata natura espropriativa; non
altrettanto e' a dirsi, invece, in virtu' delle considerazioni di
seguito espresse, quanto alla ritenuta manifesta infondatezza della
questione posta in relazione all'art. 41 della Costituzione, che va
esaminata contestualmente agli altri parametri invocati, ritenendosi
superflua, nell'ambito dell'ottavo motivo, l'indicazione dell'art.
117, secondo comma, lettera e) della Costituzione, riguardo alla
prospettata lesione del principio della tutela della concorrenza (si
veda infra, par. 20).
17. Ritiene la Corte che possa condividersi la natura, affermata
da parte della CTR, del prelievo in oggetto come imposta sul
patrimonio netto dell'impresa, ma che cio' solo non sia sufficiente
ad escludere i paventati dubbi di legittimita' costituzionale della
disciplina in esame con riferimento agli articoli 3, 41, 45, 47 e 53
della Costituzione.
Deve escludersi, infatti, che il prelievo colpisca il
conferimento dell'azienda bancaria da parte della banca di credito
cooperativo nella societa' per azioni di nuova costituzione,
operazione di cui, gia' in virtu' della disciplina nazionale di
riferimento (art. 176 del TUIR), e' previsto lo svolgimento in regime
di neutralita' fiscale.
L'elemento essenziale, gia' evidenziato dalla CTR, che impedisce
l'attribuzione al tributo in esame della suddetta natura di imposta
sul patrimonio netto dell'impresa, e' da cogliere in relazione
all'individuazione della base imponibile, rappresentata da una
percentuale (pari al 20%) del patrimonio netto, ad una data specifica
(31 dicembre 2015), sganciata da quella della cessione dell'azienda
bancaria.
18. Tuttavia, non sembra potersi ritenere, come sostenuto dalla
difesa erariale, che l'imposizione possa ragionevolmente spiegarsi
nella scelta di devoluzione dell'azienda bancaria nella societa' per
azioni di nuova costituzione, per essere l'imposizione stessa
bilanciata perche' calibrata sulla detassazione degli utili di cui ha
fruito la banca di credito cooperativo, attraverso, quindi, un
prelievo sul patrimonio netto in ragione della rilevante consistenza
quale specifico indice di capacita' contributiva (essendosi formato
il patrimonio della banca anche grazie alle agevolazioni fiscali
godute ex art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 601, in relazione alla normativa settoriale di
riferimento).
Tale ricostruzione poteva ritenersi in linea con la
configurazione del prelievo secondo l'originaria formulazione del
decreto-legge n. 18/2016, in cui, come si e' innanzi rilevato (par.
12.3.), il relativo versamento si poneva quale strumento per
l'affrancamento delle riserve che avrebbero dovuto essere altrimenti
devolute ai Fondi mutualistici, venendo, in quel caso, a cessare del
tutto, per effetto della volontaria trasformazione in societa' per
azioni, l'ente di credito cooperativo e dunque la finalita' di
mutualita' prevalente.
Cio' non solo si poneva in linea con quanto osservato dalla Corte
costituzionale con la citata sentenza n. 170/2008, ma, come si e'
visto, da altro versante poteva invece suscitare dubbi sulla
congruita' del prelievo se parametrato all'entita' delle agevolazioni
usufruite, in conseguenza dell'uscita della banca dal settore delle
cooperative a mutualita' prevalente, una volta assunta la veste
lucrativa della societa' per azioni.
18.1. Detta situazione puo' ritenersi rovesciata nell'assetto
definitivo della riforma quanto a quella che si e' definita come
terza opzione, in cui l'ente cooperativo persiste, ma, a seguito del
conferimento dell'azienda bancaria in societa' per azioni di nuova
costituzione, muta il proprio oggetto sociale, continuando a
perseguire la propria prevalente finalita' mutualistica attraverso il
pacchetto azionario partecipato nella societa' per azioni di nuova
costituzione per effetto del conferimento in essa dell'azienda
bancaria, con i relativi limiti nella distribuzione degli utili.
19. Occorre dunque verificare in primo luogo se l'aver conservato
il prelievo sul patrimonio netto dell'Ente, pur essendo venuti meno,
a seguito della conversione in legge dell'originario decreto, i
presupposti a cui era stato riferito, sia coerente con la ratio della
riforma di settore come sopra delineata sotto il profilo della
ragionevolezza della scelta legislativa, in relazione al parametro di
cui all'art. 3 della Costituzione, da valutare congiuntamente
all'art. 53 della Costituzione (nel senso che la capacita'
contributiva deve essere informata a criteri di progressivita', in
quanto specificazione settoriale del piu' ampio principio di
uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, in spirito di
solidarieta' politica, economica e sociale cfr., tra le altre, Corte
costituzionale 11 ottobre 2012, n. 223; Corte costituzionale ord. 17
luglio 2001, n. 258).
Si e' detto che l'opzione dell'adesione della Banca di credito
cooperativo a GBC con la nascita di una holding, in forma di societa'
per azioni, partecipata a maggioranza dalle stesse banche di credito
cooperativo, e' stata finalizzata a porre rimedio all'incapacita'
della maggior parte delle banche di credito cooperativo, per limiti
strutturali prima ancora che organizzativi, di fare affidamento sulla
tradizionale risorsa, propria del settore, dell'autofinanziamento per
le esigenze di patrimonializzazione.
Di qui la previsione, che si pone come primo pilastro della
riforma, della scelta dell'adesione al GBC destinata a favorire la
permanenza sul mercato, in regime di libera concorrenza, secondo uno
dei principi fondanti dell'Unione Europea, delle banche piu' esposte
in ragione di modesti requisiti patrimoniali, cui peraltro fa da
sponda, come secondo pilastro, il perseguimento dell'obiettivo del
consolidamento dell'intera struttura di credito cooperativo.
19.1. In relazione a tale ultimo profilo l'assoggettamento della
banca di credito cooperativo di grande rilevanza patrimoniale - che
voglia percorrere la diversa strada (ritenuta legittima dalla stessa
riforma) della c.d. way out - al versamento del tributo nella misura
stabilita, in difetto dell'originario presupposto di cui alla
formulazione del decreto ante legge di conversione, sembra porsi in
evidente contrasto con i suddetti parametri costituzionali, atteso
che l'ente, attraverso il conferimento dell'azienda bancaria nella
societa' per azioni di nuova costituzione, pur trasformatosi,
continua ad operare nel settore della mutualita' prevalente
attraverso il possesso delle azioni nella societa' conferitaria
partecipata, secondo un modus operandi gia' riconosciuto
dall'ordinamento.
19.2. Ritiene dunque la Corte che l'eccezione di legittimita'
costituzionale delle denunciate disposizioni di legge risulti non
manifestamente infondata in relazione agli articoli 3 e 53 della
Costituzione, dubitandosi della ragionevolezza dell'imposizione con
riferimento alla stessa ratio della normativa di riforma di settore
delle banche di credito cooperativo in difetto di uno specifico
indice di capacita' contributiva che giustifichi, peraltro, la
destinazione del prelievo alla fiscalita' generale e dovendosi, al
riguardo, ricordare come la Corte costituzionale abbia chiarito che
la «possibilita' di imposizioni differenziate deve pur sempre
ancorarsi a una adeguata giustificazione obiettiva, la quale deve
essere coerentemente proporzionalmente e ragionevolmente tradotta
nella struttura dell'imposta» (cfr. la gia' citata Corte
costituzionale n. 10/2015, in tema di c.d. Robin Tax) -
giustificazione che, come si e' detto, nella fattispecie pare
oggettivamente mancare -.
19.3. Neppure il carattere straordinario del prelievo nell'ambito
di una disciplina di carattere transitorio, pertanto, in difetto di
alcuna esplicitazione di specifiche esigenze di natura solidaristica
che possa legittimarne l'attribuzione alla fiscalita' generale,
appare sufficiente a riconoscerne la legittimita' sotto il profilo
della ragionevolezza della scelta del legislatore - ponendosi questa
in oggettivo contrasto con la stessa esigenza di consolidamento della
struttura del credito cooperativo e colpendo un ente che pur a
seguito delle modifiche statutarie, conserva la sua natura di
cooperativa a mutualita' prevalente cui, anche a livello europeo,
viene tradizionalmente riconosciuta una ridotta capacita'
contributiva (cfr. CGUE 8 settembre 2011, cause riunite C-78/08 e
C-80/08) -.
In proposito occorre ancora rilevare che il precedente di questa
Corte (Cass. sez. 5, 12 agosto 2004, n. 15637; in senso conforme
anche Cass. sez. 5, 10 dicembre 2009, n. 25872), citato dalla CTR
quanto alla legittimita' dell'imposta sul patrimonio netto delle
imprese istituita dall'art. 1 del decreto-legge 30 settembre 1992, n.
394, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 novembre 1992, n.
461, successivamente abolita dall'art. 36 del decreto legislativo 15
dicembre 1997, n. 446 con effetto dal primo gennaio 1998, non pare
pertinente nella fattispecie in esame, sia per la diversita' dei
presupposti delle relative imposizioni, sia per la considerazione che
in quella sede se ne e' valutata unicamente la compatibilita' col
diritto secondario dell'Unione, la Direttiva del Consiglio n.
69/335/CEE (modificata nella Direttiva 10 giugno 1985, n. 85/303/CEE)
in conformita' alla giurisprudenza di riferimento della Corte di
giustizia, e non invece, come nella specie, una diretta collisione
della norma con parametri costituzionali.
20. Ritiene la Corte che ugualmente debba affermarsi la non
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
delle norme in oggetto posta dall'ente ricorrente in relazione agli
articoli 41, 45 e 47 della Costituzione.
In primo luogo, quanto al principio di liberta' dell'iniziativa
economica privata di cui al primo comma dell'art. 41 della
Costituzione, e' noto che la formazione (attraverso le sue diverse
tappe) dell'ordinamento sovranazionale dell'odierna Unione Europea,
successivamente all'entrata in vigore nel 1948 della Costituzione
repubblicana, ha portato ad un'interpretazione evolutiva di detta
disposizione, sicche', indipendentemente anche dall'espresso
riferimento in Costituzione al principio della tutela della libera
concorrenza oggi contenuto, a seguito della riforma del Titolo V
della Costituzione operata dalla legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3, nell'art. 117, secondo comma, lettera e), norma
essenzialmente riferita al riparto della competenza legislativa tra
Stato e regioni, si e' evidenziato nel citato art. 41 della
Costituzione, cui fa oggi riscontro l'art. 16 della Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione Europea quanto al riconoscimento della
liberta' d'impresa, il fondamento costituzionale del principio di
tutela della concorrenza e del mercato, che costituisce architrave
del diritto dell'Unione Europea (si vedano, in particolare, l'art. 3,
terzo comma, del TFUE e gli articoli 101, 102, 120 e 173 del suddetto
Trattato), puo' dirsi univocamente riconosciuto nell'art. 41 della
Costituzione, dovendosi rilevare il ruolo fondamentale della clausola
generale del rispetto del limite dell'utilita' sociale, in ragione
della sua elasticita', nel quadro del relativo bilanciamento
d'interessi, del limite della tutela del principio di concorrenza.
20.1 Le piu' recenti decisioni della Corte costituzionale hanno
posto in luce che la nozione interna di concorrenza riflette quella
posta dall'ordinamento comunitario (cosi' Corte costituzionale 22
luglio 2010, n. 270, par. 8, nel richiamare le precedenti decisioni
n. 45 del 12 febbraio 2010, n. 430 del 14 dicembre 2007 e n. 12 del
13 gennaio 2004), ponendosi quindi per l'interprete il problema della
concreta valutazione del summenzionato bilanciamento dell'ambito di
tutela del suddetto principio con riferimento ad altri valori la cui
tutela abbia rilievo costituzionale.
Ritiene questa Corte che, alla stregua di quanto sopra esposto in
ordine alla stessa linea ispiratrice della riforma delle banche di
credito cooperativo, tesa ad assicurare l'effettivo sviluppo della
concorrenza sul mercato unico europeo nel quadro comunque del
consolidamento dell'intera struttura del credito cooperativo, nella
fattispecie in esame detto bilanciamento trovi la sua chiave di
lettura nel riconoscimento, a livello costituzionale, da parte
dell'art. 45, primo comma, della Costituzione, della funzione sociale
della cooperazione a carattere di mutualita' e senza fini di
speculazione privata, dovendo convenirsi con quanto opportunamente
rilevato in dottrina, secondo cui sono di utilita' sociale quei beni
che non solo sono ritenuti tali dal legislatore ma che godono anche e
soprattutto di diretta protezione e garanzia in Costituzione.
20.2. Orbene, avendo perso il prelievo, nella stesura delle
disposizioni in esame quale seguita alla conversione in legge
dell'originario decreto, la funzione di affrancamento, in vista della
mera trasformazione dell'ente in societa' per azioni, delle riserve
altrimenti da devolvere ordinariamente ai fondi mutualistici, il
permanere dell'imposizione, pur a seguito del conferimento
dell'azienda bancaria in societa' per azioni di nuova costituzione,
restando pur sempre l'ente conferente, anche a seguito delle
modifiche statutarie approvate, caratterizzato dall'appartenenza al
mondo della cooperazione a mutualita' prevalente, sembra porsi in
diretto contrasto con lo stesso riconoscimento costituzionale della
funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualita' e senza
fini di speculazione privata.
In relazione a tale angolazione il dubbio della conformita' delle
disposizioni in esame agli invocati parametri di cui agli articoli 41
e 45 della Costituzione si alimenta ancor piu' se si rileva che ad
essere colpita dall'imposizione e' proprio quella banca dotata di
caratteristiche di rilievo patrimoniali tali da assicurare di per se'
il rispetto di quei requisiti strutturali tali da garantirne la
capacita' competitiva sul relativo settore di mercato senza perdere
nel contempo lo specifico collegamento col territorio di riferimento,
a prescindere quindi dall'adesione al GBC pure ipotizzata dal
legislatore come la via maestra della riforma del settore del credito
cooperativo.
Non pare, infine, condivisibile l'affermazione del giudice
tributario d'appello laddove ha affermato che alla propria
valutazione giuridica «deve peraltro restare estranea ogni diversa
considerazione circa le ricadute economiche del versamento, che [...]
e' frutto della volontaria e insindacabile adesione al modulo di
riforma alternativo».
Detta affermazione appare, infatti, per un verso, frutto di un
fraintendimento, atteso che qui la liberta' dell'adesione non e'
quella (tipicamente opzionale e, come tale, manifestazione di
volonta' negoziale, irretrattabile se non nei casi di errore
essenziale e riconoscibile) della scelta di un'imposta sostitutiva a
regime ordinario, ma e' quella della scelta di un modulo
organizzativo in luogo di un altro, che appartiene all'ambito della
liberta' d'iniziativa economica privata che gode di tutela
costituzionale ove, come nel caso di specie, non solo non si ponga in
contrasto con l'utilita' sociale, ma si ponga essa stessa come
espressione di' un'attivita' della quale, pur a seguito delle
modifiche statutarie intervenute per effetto del conferimento
dell'azienda bancaria nella societa' per azioni di nuova
costituzione, permane il riferimento alla funzione sociale
costituzionalmente riconosciuta alla cooperazione a carattere di
mutualita', senza fini di speculazione privata.
20.3. Resta ipotizzabile, pertanto, un vulnus al principio della
concorrenza anche in relazione alla capacita' di erogare credito da
parte dell'azienda di nuova formazione, restando le riserve
indivisibili, secondo il disposto dell'art. 2545-ter del codice
civile, a differenza di quanto previsto nell'originaria formulazione
della norma a fronte della trasformazione dell'originaria banca di
credito cooperativo in societa' per azioni, avente quindi veste
lucrativa, dovendosi ancora osservare che il prelievo come
disciplinato dalla norma in esame sembra ancora porsi in contrasto
con il principio della tutela del risparmio, di cui all'art. 47,
primo comma della Costituzione, secondo cui la Repubblica incoraggia
e tutela il risparmio in tutte le sue forme.
Se e' vero, infatti, che detto principio non impedisce al
legislatore ordinario «di emanare [...] norme [...] volte a
disciplinare il gettito delle entrate», esso «incontra il limite
della vera e propria contraddizione o compromissione di detto
principio» (cfr. Corte costituzionale 4 maggio 1995, n. 143),
contraddizione che pare insita nella previsione del tributo al quale
e' stata subordinata l'adesione ad un modulo imprenditoriale
piuttosto che ad un altro nel quadro del medesimo settore del credito
cooperativo, generalmente interessato da quelle analoghe «esigenze di
rafforzamento patrimoniale e di capitalizzazione», perseguite dalla
riforma delle banche popolari, in virtu' delle quali la Corte
costituzionale, nella gia' citata sentenza n. 99/2018, ha
riconosciuto la legittimita' costituzionale dell'art. 1 del
decreto-legge n. 33/2015, convertito con modificazioni, nella legge
n. 33/2015, con riferimento, in deroga alle norme ordinarie, della
limitazione del diritto del socio in caso di recesso al rimborso
delle azioni.
21. In conclusione, pertanto, ai sensi dell'art. 23 della legge
11 marzo 1953, n. 87, deve dichiararsi non manifestamente infondata
l'eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 3-ter,
del decreto-legge n. 18/2016, quale modificato dalla legge di
conversione n. 49/2016, per effetto del quale, «all'atto del
conferimento, la banca di credito cooperativo versa al bilancio dello
Stato un importo pari al venti per cento del patrimonio netto al 31
dicembre 2015, come risultante dal bilancio riferito a tale data, su
cui il revisore contabile ha espresso un giudizio senza rilievo», e
dell'art. 2-quater, primo periodo, limitatamente alle parole «al
netto del versamento di cui al comma 3-ter, e del terzo periodo del
medesimo comma, limitatamente alle parole «e 3-ter», in relazione
agli articoli 3, 41, 45, 47 e 53 della Costituzione.
22. La rilevanza della questione, sempre in relazione al
menzionato art. 23 della legge n. 87/1953, ai fini della decisione
della presente controversia, e' in re ipsa, atteso che l'eventuale
declaratoria d'illegittimita' costituzionale dell'imposta di cui alle
menzionate disposizioni normative comporterebbe il riconoscimento
della fondatezza della domanda di rimborso di quanto versato
dall'ente ricorrente e dunque l'accoglimento del ricorso per
cassazione avverso la sentenza della CTR della Toscana che ha,
invece, disatteso le relative questioni come proposte nel giudizio di
merito.
23. Infine, stante la lettera della norma con la quale si
stabilisce, in modo del tutto chiaro (e non polisenso nel suo
contenuto precettivo), l'obbligo del versamento dell'importo
sopraindicato alle condizioni dalla stessa norma previste (e
ricorrenti nella specie), va risolta con esito negativo la pure
necessaria verifica di praticabilita' di una esegesi
costituzionalmente orientata della normativa denunciata (non potendo
invero residuare alcuna diversa interpretazione che non sia quella
relativa alla affermazione o alla negazione in radice del suddetto
obbligo del versamento, secondo i citati dubbi di costituzionalita').
24. Deve di conseguenza disporsi, ai sensi dell'art. 23 della
legge n. 87/1953, l'immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale e la sospensione del giudizio in corso, in uno alle
comunicazioni di rito, come da dispositivo.