LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                      Sezione tributaria civile 
 
    Composta dagli ill.mi signori magistrati: 
        dott. Federico Sorrentino, Presidente; 
        dott. Lucio Napolitano, relatore consigliere; 
        dott. Francesco Federici, consigliere; 
        dott. Luigi D'Orazio, consigliere; 
        dott. Luigi Di Paola, consigliere; 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
15253-2019 proposto da Ente Cambiano Societa' cooperativa per  Azioni
in persona  del  legale  rappresentante  pro  tempore,  elettivamente
domiciliato in Roma, viale Liegi 32, presso lo  studio  dell'avvocato
Marcello Clarich, rappresentato e  difeso  dagli  avvocati  Francesco
Pistolesi, Marco Miccinesi giusta delega a margine, ricorrente; 
    Contro  Agenzia  delle  Entrate  in  persona  del  direttore  pro
tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via  dei  Portoghesi  12,
presso l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  che  lo  rappresenta  e
difende, controricorrente; 
    Avverso la sentenza n.  2245/2018  della  Commissione  tributaria
regionale di Firenze, depositata il 13 dicembre 2018; 
    Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
5 novembre 2019 dal consigliere dott. Lucio Napolitano; 
    Udito il pubblico ministero in persona del sostituto  procuratore
generale dott. Stanislao De Matteis che ha concluso  per  il  rigetto
dei primi nove motivi di ricorso e assorbimento del decimo; 
    Udito per il  ricorrente  l'avvocato  Miccinesi  che  ha  chiesto
l'accoglimento; 
    Udito per il controricorrente l'avvocato Fiandaca che ha  chiesto
il rigetto. 
 
                            Rilevato che: 
 
    1. L'Ente Cambiano Societa' cooperativa per Azioni (gia' Banca di
Credito Cooperativo di  Cambiano  Societa'  cooperativa  per  Azioni)
verso' all'erario la somma di euro 54.208.740,00,  pari  al  20%  del
patrimonio netto al 31 dicembre 2015, esercitando cosi' l'opzione  di
cui all'art. 2, comma 3-bis, del decreto-legge 14 febbraio  2016,  n.
18, convertito con modificazioni dalla legge 8 aprile  2016,  n.  49,
della c.d. way out, ossia la possibilita' per le  banche  di  credito
cooperativo aventi alla predetta data patrimonio  netto  superiore  a
duecento milioni di euro, di  conferire  l'azienda  bancaria  ad  una
societa'  per  azioni,  anche  di  nuova  costituzione,   autorizzata
all'esercizio dell'attivita' bancaria, modificando il proprio statuto
in modo da escludere l'esercizio dell'attivita' bancaria e mantenendo
nel contempo le clausole  mutualistiche  di  cui  all'art.  2514  del
codice civile, assicurando ai soci servizi funzionali al mantenimento
del rapporto con la societa' per azioni conferitaria di formazione ed
informazione sui temi del risparmio e di promozione dei programmi  di
assistenza. 
    L'Ente formulo' quindi istanza di  rimborso  sia  alla  Direzione
provinciale di Firenze  sia  alla  Direzione  Regionale  dell'Agenzia
delle Entrate, impugnando di seguito il silenzio-rifiuto formatosi su
detta istanza dinanzi  alla  Commissione  tributaria  provinciale  di
Firenze, che rigetto' il ricorso. 
    2. La Commissione tributaria regionale (CTR) della  Toscana,  con
sentenza  n.  2245/4/2018,  depositata  il  13  dicembre  2018,   non
notificata,  respinse  a  sua  volta  l'appello  proposto  dall'Ente,
condannandolo altresi' al pagamento delle spese di lite. 
    3. Avverso la sentenza della  CTR  l'Ente  Cambiano  ha  proposto
ricorso per cassazione affidato a dieci  motivi,  con  i  quali  sono
prospettate,  tra  l'altro  (primi  tre  motivi),  diverse  questioni
afferenti  la  dedotta  incompatibilita'  della  suddetta  disciplina
normativa con il diritto primario e secondario  dell'Unione  Europea,
con richiesta, in via gradata all'istanza  di  disapplicazione  della
normativa suddetta nella parte in  cui  subordina  l'esercizio  della
succitata opzione  al  versamento  dell'imposta  sopra  indicata,  di
rinvio pregiudiziale alla Corte  di  giustizia  dell'Unione  Europea,
nonche' di sollevare questione di legittimita' costituzionale (motivi
da quattro ad otto), in relazione agli articoli 3, 42, 45,  53  della
Costituzione, nonche' all'art. 1 del Protocollo n. 1 addizionale alla
Convenzione europea dei diritti dell'uomo in tema di protezione della
proprieta' (quarto motivo), nonche' in relazione agli articoli 45, 47
e 77 della Costituzione  (quinto  motivo),  agli  articoli  41  della
Costituzione e 16 della Carta dei diritti 41 e 117 della Costituzione
a presidio del principio della libera concorrenza (settimo  e  ottavo
motivo). 
    L'Agenzia delle Entrate resiste con  controricorso.  Entrambe  le
parti hanno depositato memoria ex art. 378 del  codice  di  procedura
civile. 
 
                          Considerato che: 
 
    1. Con il primo motivo l'ente ricorrente denuncia «violazione e/o
falsa applicazione dei principi europei di libera  concorrenza  e  di
salvaguardia del mercato, consacrati negli articoli 101, 102,  120  e
173 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea» (di  seguito,
ove non virgolettato, TFUE), in relazione all'art. 360, primo  comma,
n. 3, del codice di procedura civile, nella parte in cui  la  CTR  ha
ritenuto legittima l'imposizione in oggetto, sebbene la c.d. way  out
per le banche di credito cooperativo dotate d'ingente patrimonio  che
non avessero inteso prestare adesione a gruppo  cooperativo  bancario
prevedesse il conferimento  dell'azienda  bancaria  in  societa'  per
azioni  anche  di  nuova  costituzione,  permanendo,  in  capo   alla
conferente, pur a seguito  delle  conseguenti  variazioni  statutarie
regolarmente approvate, la finalita' mutualistica da  svolgere  anche
attraverso il pacchetto  azionario  conseguito  mediante  l'anzidetto
conferimento; con cio', dunque, ledendo in primo luogo  la  normativa
primaria unionale di cui in rubrica a tutela dei principi  di  libera
concorrenza e salvaguardia del mercato. 
    2. Con il secondo motivo l'Ente Cambiano lamenta «violazione  e/o
falsa applicazione del principio di libera circolazione dei capitali,
di  cui  all'art.  63  del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
Europea, meglio specificato dalla Direttiva 2008/7/CE del 12 febbraio
2008, "concernente le imposte indirette sulla raccolta di  capitali",
che recepisce la Direttiva 69/335/CEE del 17 luglio  1969,  la  quale
afferma, salve le eccezioni di cui all'art. 6  (gia'  art.  12  della
Direttiva n. 69 cit.), non ricorrenti nella vicenda  in  oggetto,  la
neutralita' degli atti di conferimento», in relazione  all'art.  360,
primo comma, n. 3 del codice di procedura civile. 
    Premesso che il legislatore europeo ha fissato nel limite massimo
dell'1% del valore reale dei  beni  di  qualsiasi  natura  conferiti,
dedotte le obbligazioni assunte e gli oneri sostenuti dalla  societa'
a causa di ciascun conferimento (articoli 3, paragrafo 1, lettera a e
c, 8, paragrafo 3 e 11, paragrafo 1, della  Direttiva  2008/7/CE)  la
soglia entro  la  quale,  al  ricorrere  di  alcuni  presupposti,  le
operazioni di conferimento, ove gia' tassate alla data del 1° gennaio
2006, avrebbero potuto continuare ad essere legittimamente sottoposte
ad imposizione da parte degli Stati membri, il ricorrente rileva come
tale  limite  sia  stato  violato  dall'art.  2,  comma   3-ter   del
decreto-legge n. 18/2016, come modificato dalla legge di  conversione
n. 49/2016, che ha previsto il versamento, da parte della  «banca  di
credito cooperativo conferente», di «un importo  pari  al  venti  per
cento del patrimonio netto al 31 dicembre 2015, come  risultante  dal
bilancio riferito a tale  data,  su  cui  il  revisore  contabile  ha
espresso un giudizio  senza  rilievi»;  cio',  nella  fattispecie  in
oggetto, avendo comportato un esborso pari all'ingentissima somma  di
euro 54.208.740, laddove il valore complessivo dell'azienda  bancaria
oggetto di conferimento era stato stimato in euro 277.991.902,  senza
che neppure potesse dirsi ricorrente alcuna delle ipotesi  di  deroga
consentite  dall'art.  6  della  succitata  Direttiva  2008/7/CE,  in
particolare  dovendo  escludersi  che  il  tributo  imposto   potesse
costituire diritto «di carattere remunerativo»  secondo  il  suddetto
art. 6 della menzionata Direttiva. 
    Il ricorrente, richiamando in proposito Corte di giustizia CE  13
febbraio 1996, cause riunite  C-197/94  e  C-252/94,  in  riferimento
all'allora vigente Direttiva 69/335/CEE, osserva  ancora  che  a  non
diverse conclusioni in  punto  d'illegittimita'  dell'imposizione  in
oggetto sarebbe dovuta pervenire la  CTR  pur  nell'affermazione,  da
parte del giudice tributario d'appello, della  sua  natura  giuridica
quale «imposta straordinaria sul patrimonio», anziche'  come  imposta
sui conferimenti, dovendo disapplicarsi la normativa  nazionale  che,
in difetto dei presupposti legittimanti, ponga restrizioni di  natura
fiscale  alla  raccolta  di  capitali  da   parte   della   societa',
risolvendosi in una ««tassa di effetto equivalente» a quella  vietata
dall'ordinamento europeo; cio' in quanto la  normativa  nazionale  ha
individuato esclusivamente  nel  conferimento  dell'azienda  bancaria
nella   nuova   societa'   per   azioni   conferitaria    la    causa
dell'imposizione per evitare di dover sottostare al sacrificio  della
devoluzione dell'intero patrimonio ai fondi mutualistici. 
    3. Con il terzo  motivo  il  ricorrente  denuncia,  in  relazione
all'art. 360, primo comma, n.  3  del  codice  di  procedura  civile,
«Violazione e/o falsa applicazione della Direttiva  2009/133/CEE  del
19 ottobre 2009, "relativa al  regime  fiscale  comune  da  applicare
... ai conferimenti d'attivo ... concernenti societa' di Stati membri
diversi"» estesa dall'art.  176  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 917/1986 (TUIR),  onde  evitare  "discriminazioni  alla
rovescia", anche  ai  conferimenti  d'azienda  "domestici",  i  quali
devono essere sottoposti dagli ordinamenti nazionali ad un  ordinario
regime  di  neutralita'  fiscale,   stante   il   rilievo   meramente
organizzativo di tali operazioni, salvo il caso, non ricorrente nella
fattispecie, in cui, previo versamento di un'imposta sostitutiva,  il
contribuente, del tutto liberamente, si avvalga della possibilita' di
riallineare  i  valori  fiscali  dei  cespiti  conferiti  con  quelli
contabili». 
    Il  ricorrente  lamenta  come  nella  fattispecie  la   decisione
impugnata    abbia    erroneamente    ritenuto    la     legittimita'
dell'imposizione straordinaria sul patrimonio,  di  entita'  peraltro
assai  elevata,   in   dipendenza   di   una   scelta   legittima   e
costituzionalmente tutelata in punto di  forma  e  di  organizzazione
dell'attivita' economica, scelta da sempre  considerata  neutra,  sul
piano  fiscale,  salvo  il  caso,  qui   non   ricorrente,   in   cui
all'interessato si  consenta  di  aggiornare  i  valori  fiscali  del
compendio  aziendale  conferito,  assoggettando  ad  imposizione   le
plusvalenze latenti. 
    4. Con il quarto motivo  il  ricorrente  denuncia,  in  relazione
all'art. 360, primo comma, n.  3  del  codice  di  procedura  civile,
«Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 3, 42, 45, 47 e  53
della  Costituzione,  nonche'  dell'art.  1  del  Protocollo   n.   1
addizionale alla CEDU, in  tema  di  "protezione  della  proprieta'",
stante la palese arbitrarieta' dell'imposizione controversa,  che  ha
conculcato, in assenza di qualunque plausibile giustificazione, e  in
netta violazione del principio di non discriminazione, oltre  che  di
proporzionalita', il patrimonio  dell'ente  cooperativo»,  difettando
qualsivoglia espressione di capacita' contributiva. 
    Il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata  abbia  disatteso
le questioni di legittimita' costituzionale prospettate nel  giudizio
di merito in  relazione  ai  succitati  parametri,  con  affermazioni
apodittiche, intimamente contraddittorie ed incompatibili col  quadro
richiamato dei valori costituzionali e convenzionali. 
    Cio' per un verso laddove la CTR ha escluso che possa ipotizzarsi
la lesione del principio di eguaglianza,  «risultando  la  disciplina
l'effetto di scelte discrezionali e legittime del  legislatore  nella
valutazione del bilanciamento con altri principi costituzionali quali
la tutela del  risparmio,  anche  in  considerazione  del  regime  di
maggior favore fiscale del quale le cooperative avevano goduto»;  per
altro  verso  affermando  che  «alla  valutazione  giuridica»   della
Commissione «deve [...] restare estranea ogni considerazione circa le
ricadute economiche del versamento». 
    Il ricorrente lamenta al riguardo che  la  CTR  abbia  omesso  di
considerare che  l'intrinseca  irragionevolezza  della  disposizione,
come conseguita alla modificazione apportata  in  sede  di  legge  di
conversione, era da cogliersi in relazione alla  stessa  ratio  della
riforma del sistema delle banche  di  credito  cooperativo,  rendendo
peraltro lo Stato, in assenza dell'espressione  di  alcuna  specifica
ragione di solidarieta', beneficiario di un introito che  non  poteva
giustificarsi in relazione al regime delle  agevolazioni  fiscali  di
cui aveva goduto l'allora banca di credito cooperativo, atteso che, a
seguito del conferimento dell'azienda bancaria nella  nuova  societa'
per azioni  e  delle  conseguenti  necessarie  modifiche  statutarie,
permanevano le finalita' mutualistiche  prevalenti  in  relazione  al
godimento delle azioni percepite dalla conferitaria. 
    La pretesa volontarieta' dell'adesione al meccanismo  della  c.d.
way out non poteva poi, secondo il ricorrente, portare  ad  escludere
che nella fattispecie si fosse in  presenza  di  un  vero  e  proprio
fenomeno  espropriativo,  stante  l'alternativa,   in   assenza   del
versamento dell'imposta, della perdita dell'intero patrimonio. 
    5.  Con  il  quinto  motivo  il  ricorrente  censura  ancora,  in
relazione all'art. 360, primo comma, n. 3  del  codice  di  procedura
civile, la sentenza impugnata, con riferimento alla prima parte della
motivazione come riportata nel paragrafo precedente, con la quale  la
CTR  ha  disatteso  le  questioni  di   legittimita'   costituzionale
prospettate in relazione agli articoli 45 e  47  della  Costituzione,
rilevando come la CTR abbia omesso di rilevare  che  il  prelievo  in
oggetto  ha,  da  un  lato,  depauperato  le  «riserve  indivisibili»
dell'Ente cooperativo, recando  un  evidente  pregiudizio  ai  valori
della cooperazione e della mutualita' e, dall'altro, non ha  tutelato
il  risparmio,  risultandone  indebolito  il  sistema   del   credito
cooperativo; evidenziandosi, ancora, a giudizio  del  ricorrente,  un
ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale della disposizione
in esame per contrasto con l'art. 77 della Costituzione,  anche  alla
stregua delle disposizioni a tutela del  contribuente,  di  cui  alla
legge 27 luglio 2000, n. 212, il cui art.  4,  segnatamente,  prevede
che non si possa disporre con decreto-legge  l'istituzione  di  nuovi
tributi. 
    6. Con il sesto motivo l'Ente ricorrente denuncia,  in  relazione
all'art. 360, primo comma, n.  3  del  codice  di  procedura  civile,
«Violazione  e/o  falsa  applicazione   degli   articoli   41   della
Costituzione e 16 della Carta dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
Europea  (c.d.  Carta  di  Nizza),   stante   l'inspiegabile   vulnus
determinato dal  tributo  in  contestazione  allo  svolgimento  della
libera iniziativa economica da parte dell'Ente cooperativo». 
    Nel ribadire quanto gia' sopra  osservato  a  confutazione  della
tesi esposta dalla CTR in  punto  di  volontarieta'  dell'adesione  a
quanto previsto per l'esercizio della c.d.  way  out,  il  ricorrente
sottolinea come parimenti  erroneo  debba  intendersi  l'assunto  del
giudice tributario d'appello laddove abbia inteso siffatto  esercizio
come quello proprio di un'opzione fiscale, in realta'  insussistente,
non  essendovi  alcuna  imposta  sostitutiva  a   regime   ordinario,
dovendosi  piuttosto  considerare   l'opzione   in   questione   come
l'esercizio legittimo di una  scelta  imprenditoriale  che  non  puo'
essere limitata, ove non in contrasto con l'utilita' sociale. 
    7. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia, con  riferimento
all'art. 360, primo comma, n.  4  del  codice  di  procedura  civile,
nullita' della sentenza per omessa pronuncia, ex art. 112 del  codice
di procedura civile, in relazione alla questione formulata  in  primo
grado e riproposta  in  appello,  relativa  all'incompatibilita'  del
tributo  controverso,  di  cui   all'art.   2,   comma   3-ter,   del
decreto-legge n. 18/2016, convertito con modificazioni dalla legge n.
49/2016, con  le  norme  costituzionali  (articoli  41  e  117  della
Costituzione) che presidiano  la  libera  concorrenza,  nulla  avendo
statuito al riguardo il collegio di seconde cure. 
    8.  Con  l'ottavo  motivo   analoga   questione   e'   riproposta
direttamente, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 del codice
di procedura civile, come violazione  e/o  falsa  applicazione  delle
norme di cui agli articoli 41 e 117 della Costituzione a  tutela  del
principio di libera concorrenza, per l'ipotesi in cui si ritenga  che
la  CTR  abbia  implicitamente  rigettato   la   relativa   eccezione
d'illegittimita' costituzionale. 
    9. Con il nono motivo, che puo' intendersi come riepilogativo  di
ciascuna delle questioni come prospettate nei precedenti motivi tanto
in  relazione  alla  normativa  sovranazionale  citata  quanto   agli
invocati  parametri  costituzionali  di   riferimento   addotti,   il
ricorrente lamenta, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5  del
codice di procedura civile - per l'ipotesi che la  CTR  abbia  inteso
esprimere un apprezzamento di fatto circa i riflessi del prelievo  in
contestazione sul settore del credito cooperativo, nella parte in cui
ha affermato che dovesse restare estranea  alla  propria  valutazione
giuridica ogni diversa considerazione circa  le  ricadute  economiche
del versamento - omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio
che e' stato oggetto di discussione  tra  le  parti,  e  cioe'  sulla
capacita' dell'Ente Cambiano Societa' cooperativa  per  Azioni,  gia'
Banca di Credito Cooperativo di  Cambiano  Societa'  per  Azioni,  di
concedere  credito,  per  il  tramite  della  societa'   per   azioni
conferitaria dell'azienda bancaria, la Banca  Cambiano  1884  S.p.A.;
fatto che, se correttamente apprezzato alla stregua delle  precedenti
considerazioni,  volte  a  porre  in  rilievo  il   contrasto   della
disciplina del prelievo in questione tanto con i menzionati  principi
europei di libera concorrenza e di salvaguardia del mercato,  di  cui
agli articoli 101, 102, 120 e 173 del TFUE,  di  libera  circolazione
dei capitali, di cui all'art. 63  del  TFUE,  del  quale  costituisce
attuazione la Direttiva 2008/7/CE, e con la  Direttiva  2009/133/CEE,
quanto  con  gli  articoli  3,  41,  42,  43,  45,  53  e  117  della
Costituzione, reputando quindi le relative questioni di  legittimita'
costituzionale  proposte  non   manifestamente   infondate,   avrebbe
condotto ad un esito diverso del giudizio. 
    10. Infine, con il  decimo  motivo,  il  ricorrente  lamenta,  in
relazione all'art. 360, primo comma, n. 3  del  codice  di  procedura
civile, violazione e/o falsa applicazione dell'art. 15, comma 2,  del
decreto legislativo n. 546/1992, nella  parte  in  cui  la  decisione
impugnata ha condannato la societa'  appellante  al  pagamento  delle
spese  di  lite,  liquidate  in  euro  50.000,00,   quantunque,   per
l'obiettiva  complessita'  e  gravita'  delle  questioni   giuridiche
controverse, ricorressero senz'altro «gravi ed  eccezionali  ragioni»
per disporre la compensazione delle spese del giudizio. 
    11. Tra le varie questioni sollevate con  i  suddetti  motivi  di
ricorso ritiene la Corte di dover accogliere  in  primis  alcuni  dei
dubbi di legittimita' costituzionale sollevati delle richiamate norme
in   quanto   direttamente   collidenti    con    alcuni    parametri
costituzionali, come di seguito esposti (tenuto anche  conto  che  il
contrasto  con  il  diritto  dell'Unione  Europea  viene   ipotizzato
rispetto a principi o disposizioni di carattere generale, ma non  con
norme europee dotate di effetto diretto sulla fattispecie, cfr. Corte
costituzionale 14 dicembre 2017, n. 269). 
    Possono essere dunque trattati congiuntamente  i  motivi  quarto,
quinto, sesto ed ottavo con i quali  in  effetti  l'ente  ricorrente,
censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha disatteso,  in
via espressa o implicita,  le  sollevate  questioni  di  legittimita'
costituzionale, le ripropone in questa sede, formulando,  nell'ambito
del quinto motivo, per  la  prima  volta  in  sede  di  legittimita',
un'ulteriore questione di legittimita' costituzionale con riferimento
all'art. 77 della Costituzione. 
    12. Giova anteporre una premessa comune utile alla  disamina  dei
profili d'illegittimita' costituzionale evocati dal  ricorrente,  che
attiene alla ricostruzione della ratio  sottesa  alla  riforma  delle
banche di credito cooperativo, al fine di verificare se la disciplina
attuata, segnatamente a seguito delle modifiche apportate in sede  di
conversione all'originario decreto-legge, risulti coerente con quelli
che  si  pongono  come  i  cardini  della   riforma   stessa;   donde
l'opportunita' di un piu' puntuale  riferimento  alla  lettera  delle
disposizioni  in  esame  quali  conseguite  rispetto   all'originario
decreto, nel contesto delle modifiche apportate alla disciplina  base
di riferimento contenuta nel decreto legislativo 1°  settembre  1993,
n. 385 (Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia,  di
seguito TUB), anche in relazione alla normativa civilistica  in  tema
di cooperative a mutualita' prevalente. 
    Va  sottolineato  che  la  riforma  delle   banche   di   credito
cooperativo tende  al  superamento  delle  criticita'  proprie  della
previgente  disciplina   di   settore,   afferenti   alle   debolezze
strutturali derivanti sia dal modello di  attivita'  (particolarmente
esposto all'andamento dell'economia del territorio  di  riferimento),
sia dagli assetti organizzativi  e  dalle  dimensioni  ridotte  della
maggior parte delle banche di credito cooperativo. 
    Nel riaffermare l'importanza  del  ruolo  della  cooperazione  di
credito a sostegno dell'economia, la riforma ha inteso porre  rimedio
alle debolezze del modello di governance del credito cooperativo tali
da ingenerare rilevanti difficolta' per  il  settore,  rafforzando  i
patrimoni delle banche di credito cooperativo nella misura necessaria
a risolvere eventuali situazioni di crisi, perseguendo l'obiettivo di
porre il settore  in  grado  di  competere  in  un  contesto  europeo
caratterizzato  da  profondi  mutamenti  sul   piano   delle   regole
prudenziali,  dell'attivita'  di   vigilanza   e   del   livello   di
concorrenza. 
    12.1. Da siffatta angolazione non v'e' dubbio  che  lo  strumento
principale - si' da costituire senz'altro l'opzione privilegiata  dal
legislatore - per il raggiungimento  di  detto  obiettivo,  e'  stato
individuato (secondo quanto previsto dagli articoli 37-bis  e  37-ter
del TUB, quali inseriti dall'art. 1, comma 5,  del  decreto-legge  n.
18/2016, come convertito dalla legge n. 49/2016) nell'adesione  delle
banche di credito cooperativo ad un Gruppo bancario  cooperativo  (di
seguito, GBC) con al vertice una capogruppo  (holding)  in  forma  di
societa' per azioni, con patrimonio minimo di un  miliardo  di  euro,
partecipata a maggioranza dalle stesse banche cooperative affiliate e
dotata di poteri di direzione e coordinamento delle stesse. 
    Nel caso dell'adesione al GBC  la  banca  affiliata  continua  ad
operare  secondo  il  regime   suo   proprio,   nessuna   conseguenza
verificandosi sul patrimonio della banca che ha prestato  la  propria
adesione al Gruppo. 
    12.2. Di contro, per le banche di credito cooperativo autorizzate
alla data di entrata in vigore delle disposizioni  emanate  ai  sensi
dell'art. 37-bis del TUB, che non avessero aderito al GBC, l'art.  2,
comma 3, del decreto-legge n. 18/2016, quale convertito  dalla  legge
n. 49/2016, ha stabilito che le stesse potessero assumere  -  di  la'
dell'ipotesi di recesso o esclusione da un  Gruppo  bancario  -  come
prima opzione, la delibera di trasformazione in societa' per  azioni,
dovendo altrimenti deliberare la propria  liquidazione,  nel  termine
indicato ai commi 1 e 2 del suddetto art. 2. 
    La conseguenza dell'esercizio dell'opzione di  trasformazione  in
societa' per  azioni  e'  quella  della  devoluzione  del  patrimonio
sociale  ai  fondi  mutualistici,  in  virtu'  di   quanto   previsto
dall'ultimo periodo del terzo comma dell'art. 2 del decreto in  esame
come modificato in sede di conversione, per effetto del quale  «Resta
fermo  quanto  previsto  dall'art.  150-bis,  comma  5  del   decreto
legislativo 1° settembre 1993, n. 385, come modificato  dal  presente
decreto». 
    Sennonche' proprio la norma da ultimo  richiamata  ha  subito  la
piu' rilevante modifica, in sede di legge di conversione, rispetto  a
quella gia'  apportata  dal  decreto-legge  n.  18/2016,  andando  ad
incidere profondamente sulle modalita' di esercizio di quella che  e'
venuta a  configurarsi  come  un'ulteriore  opzione,  ridisegnando  i
termini della c.d. way out. 
    12.3. Prima  di  soffermarsi  su  quest'ultima  nel  suo  assetto
definitivo, risulta utile  premettere  il  testo  dell'art.  150-bis,
comma 5, del TUB quale sostituito dall'art. 1, comma  6,  lettera  b)
del decreto-legge n. 18/2016 ante legge di  conversione,  secondo  il
quale: «Nei casi di fusione e trasformazione previsti  dall'art.  36,
nonche' di cessione di rapporti giuridici in blocco  e  scissione  da
cui risulti una banca costituita in forma  di  societa'  per  azioni,
restano fermi gli effetti di  devoluzione  del  patrimonio  stabiliti
dall'art. 17 della legge 23 dicembre 2000, n. 388. Tali  effetti  non
si producono se la banca  di  credito  cooperativo  che  effettua  le
operazioni di cui  al  periodo  precedente  ha  un  patrimonio  netto
superiore a duecento milioni di euro. In tal caso,  le  riserve  sono
affrancate corrispondendo all'erario un'imposta straordinaria pari al
venti per cento della loro consistenza». 
    Nella  previsione  originaria  di  detta  disposizione   si   era
manifestata apprensione (cfr. audizione  parlamentare  del  Capo  del
Dipartimento vigilanza bancaria e finanziaria della  Banca  d'Italia,
nel  corso  dei  lavori  per  la  conversione  in  legge  del  citato
decreto-legge  n.  18/2016)  sui  rischi  di  demutualizzazione   del
settore, soprattutto in difetto  di  previsione  di  un  termine  per
l'esercizio  della  relativa  opzione,  nonche'  di  un   riferimento
temporale per la valutazione del  patrimonio  netto  della  banca  di
credito cooperativo che, nel deliberare la trasformazione in societa'
per azioni, intendesse conseguire, dietro il versamento  dell'imposta
straordinaria  pari  al  20%   della   consistenza   delle   riserve,
l'affrancamento  delle  stesse,  evitando   cosi'   l'effetto   della
devoluzione ai fondi mutualistici. La norma finiva con  l'intervenire
in un assetto normativo in cui la  trasformazione  di  una  banca  di
credito  cooperativo  in  societa'  per  azioni  era   ammessa   solo
eccezionalmente (a seguito di fusioni  con  banche  di  altra  natura
autorizzate dalla Banca d'Italia nell'interesse dei creditori  e  per
ragioni di stabilita', secondo l'art. 36 del TUB  nella  formulazione
applicabile ratione temporis), non essendo ammesse su base  meramente
volontaria ne' la trasformazione in  S.p.A.  ne'  il  passaggio  alle
cooperative a mutualita' non prevalente, e comportando, in ogni caso,
tutte le operazioni  trasformanti  l'obbligo  di  devolvere  l'intero
patrimonio  ai  Fondi  mutualistici  per  la  cooperazione  ai  sensi
dell'art. 17 della legge 23 dicembre 2000, n. 388. 
    12.4. Detta ultima disposizione, riconosciuta  costituzionalmente
legittima  quale   norma   d'interpretazione   autentica   da   Corte
costituzionale 23 maggio 2008, n. 170, aveva previsto che allo stesso
obbligo di devoluzione di cui all'art. 26 del decreto legislativo del
Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n.  1577,  ratificato,
con modificazioni, dalla legge  2  aprile  1951,  n.  302  e  di  cui
all'art. 11, comma 5, della legge 31 gennaio 1992, n.  59,  dovessero
intendersi soggette le stesse societa' cooperative  e  loro  consorzi
nei casi di fusione e trasformazione (ove non vietati dalla normativa
vigente) in enti diversi dalle cooperative per  le  quali  vigono  le
clausole di cui al citato art. 26, nonche' in caso di  decadenza  dai
benefici fiscali. 
    La Corte costituzionale aveva, in particolare,  chiarito  che  la
ratio del succitato art. 17 della legge  n.  388/2000  e'  quella  di
«garantire  che  i  benefici  conseguiti  grazie  alle   agevolazioni
previste per incentivare lo scopo mutualistico  non  siano  destinati
allo svolgimento di un'attivita' priva di tale carattere e, comunque,
non siano fatti propri da coloro che ne hanno fruito». 
    Ulteriori  dubbi  erano  stati  espressi   sulla   ragionevolezza
dell'entita'  del  prelievo   finalizzato   all'affrancamento   delle
riserve, se rapportato all'incidenza del complesso delle agevolazioni
fiscali godute che avevano contribuito alla formazione del patrimonio
della  banca  di  credito  cooperativo  che  avesse  optato  per   la
trasformazione in societa' per azioni. 
    13.  Le  modifiche  apportate  in  sede  di   conversione   hanno
ridisegnato le modalita' di esercizio della c.d. way out. 
    L'ultimo periodo dell'art. 150-bis del TUB come sopra  trascritto
e' stato soppresso dalla legge di conversione, che,  per  quanto  qui
rileva, ha aggiunto all'art. 2 del decreto i  commi  3-bis,  3-ter  e
3-quater, che di seguito si riportano: 
        «3-bis. In deroga a quanto previsto dall'art. 150-bis,  comma
5, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, la  devoluzione
non si produce per  le  banche  di  credito  cooperativo  che,  entro
sessanta giorni dalla data  di  entrata  in  vigore  della  legge  di
conversione del presente decreto, presentino alla Banca d'Italia,  ai
sensi dell'art. 58 del decreto legislativo n. 385 del 1993,  istanza,
anche congiunta, di conferimento delle rispettive aziende bancarie ad
una medesima  societa'  per  azioni,  anche  di  nuova  costituzione,
autorizzata all'esercizio dell'attivita' bancaria, purche'  la  banca
istante o, in caso di istanza  congiunta,  almeno  una  delle  banche
istanti possieda, alla data del 31 dicembre 2015, un patrimonio netto
superiore a duecento milioni di euro, come  risultante  dal  bilancio
riferito a tale data, su cui il revisore  contabile  ha  espresso  un
giudizio senza rilievi. 
        3-ter.  All'atto  del  conferimento,  la  banca  di   credito
cooperativo conferente versa al bilancio dello Stato un importo  pari
al 20 per cento del  patrimonio  netto  al  31  dicembre  2015,  come
risultante dal bilancio riferito a tale  data,  su  cui  il  revisore
contabile ha espresso un giudizio senza rilievi. 
        3-quater. A seguito del conferimento,  la  banca  di  credito
cooperativo conferente, che mantiene le riserve indivisibili al netto
del versamento di cui al comma 3-ter,  modifica  il  proprio  oggetto
sociale  per  escludere  l'esercizio  dell'attivita'  bancaria  e  si
obbliga a mantenere le clausole mutualistiche di  cui  all'art.  2514
del codice civile, nonche' ad assicurare ai soci  servizi  funzionali
al mantenimento del rapporto con la societa' per azioni conferitaria,
di formazione e informazione sui temi del risparmio e  di  promozione
di programmi di assistenza. Non spetta ai soci il diritto di  recesso
previsto dall'art. 2437, primo comma, lettera a) del  codice  civile.
In caso di inosservanza degli obblighi previsti dal presente comma  e
dai commi 3-bis e 3-ter, il patrimonio della conferente o, a  seconda
dei casi, della banca di credito cooperativo  e'  devoluto  ai  sensi
dell'art. 17 della legge 23 dicembre 2000, n. 388. In caso di mancato
ottenimento delle autorizzazioni indicate al  comma  3-bis  entro  il
termine stabilito dal comma 1, la banca di credito  cooperativo  puo'
chiedere l'adesione a un gruppo cooperativo gia' costituito  entro  i
successivi novanta  giorni.  In  caso  di  diniego  dell'adesione  si
applica il comma 3». 
    14. Dato atto che non rilevano ai fini della  presente  decisione
le ulteriori modifiche apportate  all'art.  2  del  decreto-legge  n.
18/2016, quale convertito, con modificazioni, dalla legge n. 49/2016,
dall'art. 11, comma 1, del  decreto-legge  25  luglio  2018,  n.  91,
convertito, a sua volta, con modificazioni, dalla legge 21  settembre
2018, n. 108, questa Corte deve dunque verificare entro quali  limiti
le questioni di' legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 3-ter
e 3-quater,  quest'ultimo  limitatamente  all'inciso  «al  netto  del
versamento di cui al comma 3-ter, nonche' al  successivo  riferimento
al predetto «3-ter»,  sollevate  dalla  ricorrente  in  relazione  ai
parametri invocati, siano non manifestamente infondate e rilevanti ai
fini della decisione. 
    15. In primo luogo va  rilevato  che  non  osta  all'esame  della
questione di legittimita' costituzionale  in  relazione  all'art.  77
della Costituzione il fatto che sia  stata  sollevata  per  la  prima
volta in sede di legittimita', ben potendo essa essere rilevata (cfr.
art.  1,  legge   costituzionale   9   febbraio   1948,   n.   1)   e
conseguentemente sollevata (art. 23,  terzo  comma,  legge  11  marzo
1953, n. 87) anche d'ufficio. 
    Ritiene la Corte peraltro che essa sia manifestamente  infondata,
alla stregua della giurisprudenza della Corte costituzionale riguardo
al rispetto dei requisiti di necessita' e d'urgenza  con  riferimento
all'istituzione di nuovi tributi. Particolare rilievo,  al  riguardo,
di recente, assume Corte costituzionale 21 marzo 2018, n. 99, in sede
di sindacato di  legittimita'  costituzionale  del  decreto-legge  24
gennaio 2015, n. 3, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  24
marzo 2015, n. 33  (c.d.  riforma  delle  banche  popolari),  che  ha
escluso il profilo d'illegittimita' costituzionale posto in relazione
ai requisiti di cui alla decretazione d'urgenza, richiamando  proprio
analogo precedente (Corte costituzionale 20 luglio 2016, n.  287)  ed
osservando, in  relazione  all'anzidetta  normativa,  che  essa  «non
presenta una portata cosi' ampia da caratterizzarsi come una  vera  e
propria riforma del  sistema  bancario»,  poiche'  «per  quanto  essa
incida significativamente  su  un  particolare  tipo  di  azienda  di
credito, resta pur sempre un intervento settoriale e  specifico,  non
assimilabile dunque a un atto definibile come riforma di sistema». 
    Analoghe considerazioni, invero, possono essere  svolte,  mutatis
mutandis, con riferimento alla disciplina in esame (si veda anche, in
tema di rispetto dei requisiti di  necessita'  e  d'urgenza  riguardo
all'istituzione   con   decreto-legge   di   nuovi   tributi,   Corte
costituzionale  11  febbraio  2015,  n.  10),  dovendosi,   peraltro,
ribadire, in ragione del richiamo di parte ricorrente al principio di
cui all'art. 4 della legge n. 212/2000, che le norme del c.d. Statuto
del contribuente  non  hanno,  nella  gerarchia  delle  fonti,  rango
superiore  alla  legge  ordinaria  (essendone,  invero,  ammessa   la
modifica o la deroga,  purche'  espressa  e  non  a  opera  di  leggi
speciali), con la conseguenza che una previsione legislativa  che  si
ponga in contrasto con esse non e' suscettibile  di  disapplicazione,
ne' puo' essere per cio' solo oggetto di  questione  di  legittimita'
costituzionale, non potendo le  disposizioni  dello  Statuto  fungere
direttamente da norme parametro di costituzionalita'  (cfr.,  tra  le
altre, Cass. sez. 5, ord. 20 giugno 2018, n.  16227;  Cass.  sez.  5,
ord. 6 settembre 2017, n. 20812; Cass. sez. 5, 9  dicembre  2009,  n.
25722). 
    16.  Ugualmente  deve  ritenersi  manifestamente   infondata   la
questione  di  legittimita'  costituzionale  posta,  nell'ambito  del
quarto motivo, dall'ente ricorrente in relazione  all'art.  42  della
Costituzione, anche con riferimento all'art. 1 del  Protocollo  n.  1
addizionale alla CEDU, in tema di protezione della proprieta'. 
    Prima ancora che possa entrarsi  nella  valutazione  dell'entita'
dell'imposizione  come  di  fatto  implicante  un  sacrificio   della
proprieta' di natura espropriativa, al di fuori  dei  limiti  in  cui
cio' sia consentito ai sensi  del  terzo  comma  dell'art.  42  della
Costituzione, deve convenirsi con la sentenza  impugnata  laddove  ha
osservato che la  volontarieta'  dell'adesione  (alla  terza  opzione
consentita)  e  del  conseguente  esborso  comporta  che  non   possa
attribuirsi  al  prelievo  la  paventata  natura  espropriativa;  non
altrettanto e' a dirsi, invece, in  virtu'  delle  considerazioni  di
seguito espresse, quanto alla ritenuta manifesta  infondatezza  della
questione posta in relazione all'art. 41 della Costituzione,  che  va
esaminata contestualmente agli altri parametri invocati,  ritenendosi
superflua, nell'ambito dell'ottavo  motivo,  l'indicazione  dell'art.
117, secondo comma, lettera  e)  della  Costituzione,  riguardo  alla
prospettata lesione del principio della tutela della concorrenza  (si
veda infra, par. 20). 
    17. Ritiene la Corte che possa condividersi la natura,  affermata
da parte  della  CTR,  del  prelievo  in  oggetto  come  imposta  sul
patrimonio netto dell'impresa, ma che cio' solo non  sia  sufficiente
ad escludere i paventati dubbi di legittimita'  costituzionale  della
disciplina in esame con riferimento agli articoli 3, 41, 45, 47 e  53
della Costituzione. 
    Deve  escludersi,  infatti,   che   il   prelievo   colpisca   il
conferimento dell'azienda bancaria da parte della  banca  di  credito
cooperativo  nella  societa'  per  azioni  di   nuova   costituzione,
operazione di cui, gia'  in  virtu'  della  disciplina  nazionale  di
riferimento (art. 176 del TUIR), e' previsto lo svolgimento in regime
di neutralita' fiscale. 
    L'elemento essenziale, gia' evidenziato dalla CTR, che  impedisce
l'attribuzione al tributo in esame della suddetta natura  di  imposta
sul patrimonio  netto  dell'impresa,  e'  da  cogliere  in  relazione
all'individuazione  della  base  imponibile,  rappresentata  da   una
percentuale (pari al 20%) del patrimonio netto, ad una data specifica
(31 dicembre 2015), sganciata da quella della  cessione  dell'azienda
bancaria. 
    18. Tuttavia, non sembra potersi ritenere, come  sostenuto  dalla
difesa erariale, che l'imposizione  possa  ragionevolmente  spiegarsi
nella scelta di devoluzione dell'azienda bancaria nella societa'  per
azioni  di  nuova  costituzione,  per  essere  l'imposizione   stessa
bilanciata perche' calibrata sulla detassazione degli utili di cui ha
fruito la  banca  di  credito  cooperativo,  attraverso,  quindi,  un
prelievo sul patrimonio netto in ragione della rilevante  consistenza
quale specifico indice di capacita' contributiva  (essendosi  formato
il patrimonio della banca  anche  grazie  alle  agevolazioni  fiscali
godute ex art. 14 del decreto  del  Presidente  della  Repubblica  29
settembre 1973, n. 601, in relazione  alla  normativa  settoriale  di
riferimento). 
    Tale   ricostruzione   poteva   ritenersi   in   linea   con   la
configurazione del prelievo  secondo  l'originaria  formulazione  del
decreto-legge n. 18/2016, in cui, come si e' innanzi  rilevato  (par.
12.3.),  il  relativo  versamento  si  poneva  quale  strumento   per
l'affrancamento delle riserve che avrebbero dovuto essere  altrimenti
devolute ai Fondi mutualistici, venendo, in quel caso, a cessare  del
tutto, per effetto della volontaria trasformazione  in  societa'  per
azioni, l'ente di  credito  cooperativo  e  dunque  la  finalita'  di
mutualita' prevalente. 
    Cio' non solo si poneva in linea con quanto osservato dalla Corte
costituzionale con la citata sentenza n. 170/2008,  ma,  come  si  e'
visto,  da  altro  versante  poteva  invece  suscitare  dubbi   sulla
congruita' del prelievo se parametrato all'entita' delle agevolazioni
usufruite, in conseguenza dell'uscita della banca dal  settore  delle
cooperative a mutualita'  prevalente,  una  volta  assunta  la  veste
lucrativa della societa' per azioni. 
    18.1. Detta situazione  puo'  ritenersi  rovesciata  nell'assetto
definitivo della riforma quanto a quella  che  si  e'  definita  come
terza opzione, in cui l'ente cooperativo persiste, ma, a seguito  del
conferimento dell'azienda bancaria in societa' per  azioni  di  nuova
costituzione,  muta  il  proprio  oggetto  sociale,   continuando   a
perseguire la propria prevalente finalita' mutualistica attraverso il
pacchetto azionario partecipato nella societa' per  azioni  di  nuova
costituzione  per  effetto  del  conferimento  in  essa  dell'azienda
bancaria, con i relativi limiti nella distribuzione degli utili. 
    19. Occorre dunque verificare in primo luogo se l'aver conservato
il prelievo sul patrimonio netto dell'Ente, pur essendo venuti  meno,
a seguito della  conversione  in  legge  dell'originario  decreto,  i
presupposti a cui era stato riferito, sia coerente con la ratio della
riforma di settore  come  sopra  delineata  sotto  il  profilo  della
ragionevolezza della scelta legislativa, in relazione al parametro di
cui  all'art.  3  della  Costituzione,  da  valutare   congiuntamente
all'art.  53  della  Costituzione  (nel  senso   che   la   capacita'
contributiva deve essere informata a criteri  di  progressivita',  in
quanto  specificazione  settoriale  del  piu'  ampio   principio   di
uguaglianza di cui all'art.  3  della  Costituzione,  in  spirito  di
solidarieta' politica, economica e sociale cfr., tra le altre,  Corte
costituzionale 11 ottobre 2012, n. 223; Corte costituzionale ord.  17
luglio 2001, n. 258). 
    Si e' detto che l'opzione dell'adesione della  Banca  di  credito
cooperativo a GBC con la nascita di una holding, in forma di societa'
per azioni, partecipata a maggioranza dalle stesse banche di  credito
cooperativo, e' stata finalizzata  a  porre  rimedio  all'incapacita'
della maggior parte delle banche di credito cooperativo,  per  limiti
strutturali prima ancora che organizzativi, di fare affidamento sulla
tradizionale risorsa, propria del settore, dell'autofinanziamento per
le esigenze di patrimonializzazione. 
    Di qui la previsione, che  si  pone  come  primo  pilastro  della
riforma, della scelta dell'adesione al GBC destinata  a  favorire  la
permanenza sul mercato, in regime di libera concorrenza, secondo  uno
dei principi fondanti dell'Unione Europea, delle banche piu'  esposte
in ragione di modesti requisiti  patrimoniali,  cui  peraltro  fa  da
sponda, come secondo pilastro, il  perseguimento  dell'obiettivo  del
consolidamento dell'intera struttura di credito cooperativo. 
    19.1. In relazione a tale ultimo profilo l'assoggettamento  della
banca di credito cooperativo di grande rilevanza patrimoniale  -  che
voglia percorrere la diversa strada (ritenuta legittima dalla  stessa
riforma) della c.d. way out - al versamento del tributo nella  misura
stabilita,  in  difetto  dell'originario  presupposto  di  cui   alla
formulazione del decreto ante legge di conversione, sembra  porsi  in
evidente contrasto con i suddetti  parametri  costituzionali,  atteso
che l'ente, attraverso il conferimento  dell'azienda  bancaria  nella
societa'  per  azioni  di  nuova  costituzione,  pur   trasformatosi,
continua  ad  operare  nel  settore   della   mutualita'   prevalente
attraverso il  possesso  delle  azioni  nella  societa'  conferitaria
partecipata,   secondo   un   modus   operandi   gia'    riconosciuto
dall'ordinamento. 
    19.2. Ritiene dunque la Corte  che  l'eccezione  di  legittimita'
costituzionale delle denunciate disposizioni  di  legge  risulti  non
manifestamente infondata in relazione agli  articoli  3  e  53  della
Costituzione, dubitandosi della ragionevolezza  dell'imposizione  con
riferimento alla stessa ratio della normativa di riforma  di  settore
delle banche di credito  cooperativo  in  difetto  di  uno  specifico
indice  di  capacita'  contributiva  che  giustifichi,  peraltro,  la
destinazione del prelievo alla fiscalita' generale  e  dovendosi,  al
riguardo, ricordare come la Corte costituzionale abbia  chiarito  che
la  «possibilita'  di  imposizioni  differenziate  deve  pur   sempre
ancorarsi a una adeguata giustificazione  obiettiva,  la  quale  deve
essere coerentemente  proporzionalmente  e  ragionevolmente  tradotta
nella  struttura   dell'imposta»   (cfr.   la   gia'   citata   Corte
costituzionale  n.  10/2015,  in  tema   di   c.d.   Robin   Tax)   -
giustificazione  che,  come  si  e'  detto,  nella  fattispecie  pare
oggettivamente mancare -. 
    19.3. Neppure il carattere straordinario del prelievo nell'ambito
di una disciplina di carattere transitorio, pertanto, in  difetto  di
alcuna esplicitazione di specifiche esigenze di natura  solidaristica
che  possa  legittimarne  l'attribuzione  alla  fiscalita'  generale,
appare sufficiente a riconoscerne la legittimita'  sotto  il  profilo
della ragionevolezza della scelta del legislatore - ponendosi  questa
in oggettivo contrasto con la stessa esigenza di consolidamento della
struttura del credito cooperativo  e  colpendo  un  ente  che  pur  a
seguito  delle  modifiche  statutarie,  conserva  la  sua  natura  di
cooperativa a mutualita' prevalente cui,  anche  a  livello  europeo,
viene   tradizionalmente   riconosciuta   una    ridotta    capacita'
contributiva (cfr. CGUE 8 settembre 2011,  cause  riunite  C-78/08  e
C-80/08) -. 
    In proposito occorre ancora rilevare che il precedente di  questa
Corte (Cass. sez. 5, 12 agosto 2004,  n.  15637;  in  senso  conforme
anche Cass. sez. 5, 10 dicembre 2009, n.  25872),  citato  dalla  CTR
quanto alla legittimita'  dell'imposta  sul  patrimonio  netto  delle
imprese istituita dall'art. 1 del decreto-legge 30 settembre 1992, n.
394, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 novembre 1992,  n.
461, successivamente abolita dall'art. 36 del decreto legislativo  15
dicembre 1997, n. 446 con effetto dal primo gennaio  1998,  non  pare
pertinente nella fattispecie in esame,  sia  per  la  diversita'  dei
presupposti delle relative imposizioni, sia per la considerazione che
in quella sede se ne e' valutata  unicamente  la  compatibilita'  col
diritto  secondario  dell'Unione,  la  Direttiva  del  Consiglio   n.
69/335/CEE (modificata nella Direttiva 10 giugno 1985, n. 85/303/CEE)
in conformita' alla giurisprudenza  di  riferimento  della  Corte  di
giustizia, e non invece, come nella specie,  una  diretta  collisione
della norma con parametri costituzionali. 
    20. Ritiene la Corte  che  ugualmente  debba  affermarsi  la  non
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
delle norme in oggetto posta dall'ente ricorrente in  relazione  agli
articoli 41, 45 e 47 della Costituzione. 
    In primo luogo, quanto al principio di  liberta'  dell'iniziativa
economica  privata  di  cui  al  primo  comma  dell'art.   41   della
Costituzione, e' noto che la formazione (attraverso  le  sue  diverse
tappe) dell'ordinamento sovranazionale dell'odierna  Unione  Europea,
successivamente all'entrata in vigore  nel  1948  della  Costituzione
repubblicana, ha portato ad  un'interpretazione  evolutiva  di  detta
disposizione,   sicche',   indipendentemente   anche    dall'espresso
riferimento in Costituzione al principio della  tutela  della  libera
concorrenza oggi contenuto, a seguito  della  riforma  del  Titolo  V
della Costituzione operata  dalla  legge  costituzionale  18  ottobre
2001,  n.  3,  nell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  e),   norma
essenzialmente riferita al riparto della competenza  legislativa  tra
Stato  e  regioni,  si  e'  evidenziato  nel  citato  art.  41  della
Costituzione, cui fa oggi riscontro l'art. 16 della Carta dei diritti
fondamentali  dell'Unione  Europea  quanto  al  riconoscimento  della
liberta' d'impresa, il fondamento  costituzionale  del  principio  di
tutela della concorrenza e del mercato,  che  costituisce  architrave
del diritto dell'Unione Europea (si vedano, in particolare, l'art. 3,
terzo comma, del TFUE e gli articoli 101, 102, 120 e 173 del suddetto
Trattato), puo' dirsi univocamente riconosciuto  nell'art.  41  della
Costituzione, dovendosi rilevare il ruolo fondamentale della clausola
generale del rispetto del limite dell'utilita'  sociale,  in  ragione
della  sua  elasticita',  nel  quadro  del   relativo   bilanciamento
d'interessi, del limite della tutela del principio di concorrenza. 
    20.1 Le piu' recenti decisioni della Corte  costituzionale  hanno
posto in luce che la nozione interna di concorrenza  riflette  quella
posta dall'ordinamento comunitario  (cosi'  Corte  costituzionale  22
luglio 2010, n. 270, par. 8, nel richiamare le  precedenti  decisioni
n. 45 del 12 febbraio 2010, n. 430 del 14 dicembre 2007 e n.  12  del
13 gennaio 2004), ponendosi quindi per l'interprete il problema della
concreta valutazione del summenzionato bilanciamento  dell'ambito  di
tutela del suddetto principio con riferimento ad altri valori la  cui
tutela abbia rilievo costituzionale. 
    Ritiene questa Corte che, alla stregua di quanto sopra esposto in
ordine alla stessa linea ispiratrice della riforma  delle  banche  di
credito cooperativo, tesa ad assicurare  l'effettivo  sviluppo  della
concorrenza  sul  mercato  unico  europeo  nel  quadro  comunque  del
consolidamento dell'intera struttura del credito  cooperativo,  nella
fattispecie in esame detto  bilanciamento  trovi  la  sua  chiave  di
lettura  nel  riconoscimento,  a  livello  costituzionale,  da  parte
dell'art. 45, primo comma, della Costituzione, della funzione sociale
della  cooperazione  a  carattere  di  mutualita'  e  senza  fini  di
speculazione privata, dovendo convenirsi  con  quanto  opportunamente
rilevato in dottrina, secondo cui sono di utilita' sociale quei  beni
che non solo sono ritenuti tali dal legislatore ma che godono anche e
soprattutto di diretta protezione e garanzia in Costituzione. 
    20.2. Orbene, avendo  perso  il  prelievo,  nella  stesura  delle
disposizioni  in  esame  quale  seguita  alla  conversione  in  legge
dell'originario decreto, la funzione di affrancamento, in vista della
mera trasformazione dell'ente in societa' per azioni,  delle  riserve
altrimenti da devolvere  ordinariamente  ai  fondi  mutualistici,  il
permanere  dell'imposizione,   pur   a   seguito   del   conferimento
dell'azienda bancaria in societa' per azioni di  nuova  costituzione,
restando  pur  sempre  l'ente  conferente,  anche  a  seguito   delle
modifiche statutarie approvate, caratterizzato  dall'appartenenza  al
mondo della cooperazione a mutualita'  prevalente,  sembra  porsi  in
diretto contrasto con lo stesso riconoscimento  costituzionale  della
funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualita' e senza
fini di speculazione privata. 
    In relazione a tale angolazione il dubbio della conformita' delle
disposizioni in esame agli invocati parametri di cui agli articoli 41
e 45 della Costituzione si alimenta ancor piu' se si  rileva  che  ad
essere colpita dall'imposizione e' proprio  quella  banca  dotata  di
caratteristiche di rilievo patrimoniali tali da assicurare di per se'
il rispetto di quei  requisiti  strutturali  tali  da  garantirne  la
capacita' competitiva sul relativo settore di mercato  senza  perdere
nel contempo lo specifico collegamento col territorio di riferimento,
a  prescindere  quindi  dall'adesione  al  GBC  pure  ipotizzata  dal
legislatore come la via maestra della riforma del settore del credito
cooperativo. 
    Non  pare,  infine,  condivisibile  l'affermazione  del   giudice
tributario  d'appello  laddove  ha   affermato   che   alla   propria
valutazione giuridica «deve peraltro restare  estranea  ogni  diversa
considerazione circa le ricadute economiche del versamento, che [...]
e' frutto della volontaria  e insindacabile  adesione  al  modulo  di
riforma alternativo». 
    Detta affermazione appare, infatti, per un verso,  frutto  di  un
fraintendimento, atteso che qui  la  liberta'  dell'adesione  non  e'
quella  (tipicamente  opzionale  e,  come  tale,  manifestazione   di
volonta'  negoziale,  irretrattabile  se  non  nei  casi  di   errore
essenziale e riconoscibile) della scelta di un'imposta sostitutiva  a
regime  ordinario,  ma  e'  quella  della   scelta   di   un   modulo
organizzativo in luogo di un altro, che appartiene  all'ambito  della
liberta'  d'iniziativa  economica  privata   che   gode   di   tutela
costituzionale ove, come nel caso di specie, non solo non si ponga in
contrasto con l'utilita'  sociale,  ma  si  ponga  essa  stessa  come
espressione  di'  un'attivita'  della  quale,  pur  a  seguito  delle
modifiche  statutarie  intervenute  per  effetto   del   conferimento
dell'azienda  bancaria   nella   societa'   per   azioni   di   nuova
costituzione,  permane   il   riferimento   alla   funzione   sociale
costituzionalmente riconosciuta  alla  cooperazione  a  carattere  di
mutualita', senza fini di speculazione privata. 
    20.3. Resta ipotizzabile, pertanto, un vulnus al principio  della
concorrenza anche in relazione alla capacita' di erogare  credito  da
parte  dell'azienda  di  nuova  formazione,   restando   le   riserve
indivisibili, secondo  il  disposto  dell'art.  2545-ter  del  codice
civile, a differenza di quanto previsto nell'originaria  formulazione
della norma a fronte della trasformazione  dell'originaria  banca  di
credito cooperativo in  societa'  per  azioni,  avente  quindi  veste
lucrativa,  dovendosi  ancora  osservare   che   il   prelievo   come
disciplinato dalla norma in esame sembra ancora  porsi  in  contrasto
con il principio della tutela del  risparmio,  di  cui  all'art.  47,
primo comma della Costituzione, secondo cui la Repubblica  incoraggia
e tutela il risparmio in tutte le sue forme. 
    Se e'  vero,  infatti,  che  detto  principio  non  impedisce  al
legislatore  ordinario  «di  emanare  [...]  norme  [...]   volte   a
disciplinare il gettito delle  entrate»,  esso  «incontra  il  limite
della  vera  e  propria  contraddizione  o  compromissione  di  detto
principio»  (cfr.  Corte  costituzionale  4  maggio  1995,  n.  143),
contraddizione che pare insita nella previsione del tributo al  quale
e'  stata  subordinata  l'adesione  ad  un   modulo   imprenditoriale
piuttosto che ad un altro nel quadro del medesimo settore del credito
cooperativo, generalmente interessato da quelle analoghe «esigenze di
rafforzamento patrimoniale e di capitalizzazione»,  perseguite  dalla
riforma delle  banche  popolari,  in  virtu'  delle  quali  la  Corte
costituzionale,  nella  gia'   citata   sentenza   n.   99/2018,   ha
riconosciuto  la  legittimita'   costituzionale   dell'art.   1   del
decreto-legge n. 33/2015, convertito con modificazioni,  nella  legge
n. 33/2015, con riferimento, in deroga alle  norme  ordinarie,  della
limitazione del diritto del socio in  caso  di  recesso  al  rimborso
delle azioni. 
    21. In conclusione, pertanto, ai sensi dell'art. 23  della  legge
11 marzo 1953, n. 87, deve dichiararsi non  manifestamente  infondata
l'eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  3-ter,
del  decreto-legge  n.  18/2016,  quale  modificato  dalla  legge  di
conversione  n.  49/2016,  per  effetto  del  quale,  «all'atto   del
conferimento, la banca di credito cooperativo versa al bilancio dello
Stato un importo pari al venti per cento del patrimonio netto  al  31
dicembre 2015, come risultante dal bilancio riferito a tale data,  su
cui il revisore contabile ha espresso un giudizio senza  rilievo»,  e
dell'art. 2-quater, primo  periodo,  limitatamente  alle  parole  «al
netto del versamento di cui al comma 3-ter, e del terzo  periodo  del
medesimo comma, limitatamente alle parole  «e  3-ter»,  in  relazione
agli articoli 3, 41, 45, 47 e 53 della Costituzione. 
    22.  La  rilevanza  della  questione,  sempre  in  relazione   al
menzionato art. 23 della legge n. 87/1953, ai  fini  della  decisione
della presente controversia, e' in re ipsa,  atteso  che  l'eventuale
declaratoria d'illegittimita' costituzionale dell'imposta di cui alle
menzionate disposizioni  normative  comporterebbe  il  riconoscimento
della  fondatezza  della  domanda  di  rimborso  di  quanto   versato
dall'ente  ricorrente  e  dunque  l'accoglimento  del   ricorso   per
cassazione avverso la  sentenza  della  CTR  della  Toscana  che  ha,
invece, disatteso le relative questioni come proposte nel giudizio di
merito. 
    23. Infine, stante  la  lettera  della  norma  con  la  quale  si
stabilisce, in modo  del  tutto  chiaro  (e  non  polisenso  nel  suo
contenuto  precettivo),   l'obbligo   del   versamento   dell'importo
sopraindicato  alle  condizioni  dalla  stessa  norma   previste   (e
ricorrenti nella specie), va  risolta  con  esito  negativo  la  pure
necessaria   verifica    di    praticabilita'    di    una    esegesi
costituzionalmente orientata della normativa denunciata (non  potendo
invero residuare alcuna diversa interpretazione che  non  sia  quella
relativa alla affermazione o alla negazione in  radice  del  suddetto
obbligo del versamento, secondo i citati dubbi di costituzionalita'). 
    24. Deve di conseguenza disporsi, ai  sensi  dell'art.  23  della
legge n. 87/1953, l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale e la sospensione del giudizio in corso,  in  uno  alle
comunicazioni di rito, come da dispositivo.