LA CORTE D'APPELLO DI MILANO 
                          Sezione V penale 
 
    Composta dai magistrati: 
        dott.ssa Giovanna Ichino, Presidente; 
        dott.ssa Monica Fagnoni, consigliere; 
        dott.ssa Micaela Curami, consigliere estensore; 
    Ha pronunciato, all'esito dell'udienza  del  17  settembre  2020,
relativo alla richiesta di consegna di D. L. E. , nato a , res. via ,
libero, difeso di fiducia dall'avv. Nicola Canestrini, nei  confronti
del quale e' stato emesso il mandato d'arresto europeo dal  Tribunale
comunale di in data 9 settembre 2019 la seguente ordinanza. 
    La Corte d'appello di Milano sottopone  al  giudizio  di  codesta
ecc.ma Corte questione di legittimita' costituzionale degli  articoli
18 e 18-bis della legge 69/2005 nella  parte  in  cui  non  prevedono
quale motivo di rifiuto  alla  consegna  l'esistenza  di  ragioni  di
salute croniche e di durata indeterminabile che comportino il rischio
di conseguenze di eccezionale gravita' per la persona richiesta,  per
contrasto con gli articoli 2, 3, 32, 110 della Costituzione. 
    La questione e' rilevante: il presente giudizio non  puo'  essere
definito  indipendentemente  dalla  risoluzione  della  questione  di
legittimita' costituzionale sollevata:  l'univocita'  testuale  delle
norme contenute nella  legge  69/2005  impongono  l'adozione  di  una
pronuncia  favorevole  alla  consegna  del  richiesto  alla   ,   con
conseguente,  eventuale,  sospensione  a  tempo  indeterminato  della
consegna: la decisione favorevole alla consegna implica  il  concreto
rischio di un grave pregiudizio per la salute psichica del soggetto. 
 
                              Il fatto 
 
    Il Tribunale comunale di ha emesso in data 9  settembre  2019  un
mandato di arresto europeo a carico di D.  L.  E.  per  il  reato  di
detenzione a fini di spaccio  e  cessione  di  sostanze  stupefacenti
commesso in il . 
    Il Procuratore generale  ha  chiesto  in  data  11  ottobre  2019
l'applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari. 
    Preliminari accertamenti attivati dal Presidente della sezione di
questa corte consentivano di appurare che il  soggetto  richiesto  in
consegna conviveva con i genitori a ed era  portatore  «di  patologie
psichiatriche» non meglio precisate (Cfr. nota  Stazione  CC  del  15
ottobre 2019). 
    D. L. , al quale non  veniva  applicata  nessuna  misura,  veniva
sentito nel corso dell'udienza per  identificazione  il  12  novembre
2019 ed in tale occasione non prestava il consenso alla  consegna  (e
non rinunciava al principio di specialita'). 
    La difesa del soggetto richiesto in consegna ha prodotto in  atti
documentazione  medica  attestante  che  lo  stesso  e'  affetto   da
patologie psichiatriche. In particolare, dopo avere  riferito  di  un
tentativo di suicidio nel 2013 in Germania, la difesa ha prodotto  la
seguente documentazione: 
        10 ottobre 2013 - referto pronto soccorso dell'Ospedale :  D.
L. «si presenta per stato di angoscia di stampo delirante e ideazione
suicidiaria»; viene dimesso ed  inviato  al  medico  curante  con  la
seguente diagnosi di episodio schizofrenico acuto,  non  specificato;
stato ansioso non specificato»; 
        2 ottobre 2014 - referto  pronto  soccorso  Ospedale  recante
diagnosi  di  «psicosi  non  specificata;  abuso  di   anfetamina   o
simpaticomimetici ad azione simile»; 
        dal 5 al 14 ottobre 2014  -  ricovero  presso  l'Ospedale  in
regime di obbligatorieta' (TSO) e contenzione; D.  L.  viene  dimesso
con la  diagnosi  di  «Asse  I  Episodio  psicotico.  Abuso  cannabis
continuo, abuso misto»; 
        relazione  psichiatrica  del  medico   psichiatra   della   ,
struttura « », in data 25 agosto 2017, da cui risulta che D.  L.  era
stato ivi trasferito «su disposizione dell'autorita' giudiziaria  (1)
, direttamente dalla SPDC di ove era stato ricoverato dal 15  ottobre
2016, per diagnosi di "psicosi paranoidea indotta dall'uso continuo e
prolungato di sostanze varie in particolare cannabis e  metamfetamine
(MDMA)". Recentemente ...e' stata modificata la diagnosi in  Sindrome
schizoaffettiva...»; 
        lettera di dimissioni in  data  7  dicembre  2017  dalla  che
conferma la diagnosi suindicata; 
        relazione psichiatrica in data 7 maggio 2019 del che conferma
la diagnosi di «disturbo schizoaffettivo»; 
        certificato medico ospedale del in cui si certifica «stato di
cronico  scompenso  caratterizzato  da  disturbi   dell'ideazione   a
carattere delirante, episodici fenomeni dispercettivi, gravi anomalie
del comportamento»; 
        certificazione del 18 settembre 2019 della Commissione medica
dell'INPS di invalidita' con  riduzione  permanente  della  capacita'
lavorativa  del  75%  per  «sindrome  schizoaffettiva  con  pregressa
dipendenza da sostanze  -  psicosi  paranoidea  indotta  dall'uso  di
sostanze stupefacenti»; 
        relazione in data 6 novembre 2019 del medico psichiatra dott.
dell' che dopo avere ripercorso la storia della malattia  del  D.  L.
evidenziava  come  l'attivazione  della  presente  procedura   avesse
«notevolmente angosciato e scompensato il paziente» tanto da  indurre
a valutare un eventuale ricovero presso il reparto  psichiatrico  per
«contenere le preoccupazioni»; prosegue il  medico  evidenziando  che
«il   giovane   necessita   ...del   proseguimento   della    terapia
farmacologica, del supporto psicologico di cui si giova  frequentando
ogni 15 giorni il  della  vicinanza  alla  famiglia  che  dopo  tanti
contrasti e'  ritornata  ad  acquisire  per  lui  valore  positivo  e
sostegno», concludendo che «nel caso il signor D. L. fosse consegnato
allo Stato croato per l'espletamento del processo e della pena  ...il
giovane rischierebbe oltre la vanificazione del positivo percorso  in
cui si e' impegnato la perdita dell'equilibrio psichico ed  il  grave
ritorno alla situazione negativa pregressa con un grave  rischio  per
la persona»; 
        relazione in data 2 marzo 2020 del medesimo dott. , il  quale
attesta che nel caso di interruzione del percorso terapeutico, il  D.
L. potrebbe incorrere in un «break down psicotico». 
    Alla luce dell'indicata documentazione, questa corte, al fine  di
avere un quadro  completo  ed  attuale  sullo  stato  di  salute  del
consegnando, disponeva perizia psichiatrica sulla persona del  D.  S.
nominando perito la dott.ssa Marina Carla Verga, la quale,  all'esito
della  sua  analisi,  concludeva  nel  senso  che  «La  capacita'  di
intendere e volere di E. D. L. portatore di  patologia  psichiatrica,
era al momento dei fatti assente per scompenso acuto; 
    nell'attualita'  egli  e'  persona   che   conserva   sufficienti
capacita' per partecipare al giudizio. 
    Il  periziando  ha  necessita'  di  cure,  la  cui   interruzione
rappresenterebbe un possibile [inc] pregiudizio per la sua  salute  e
per il percorso da quattro anni intrapreso». 
    Il perito in seno al suo  elaborato,  dopo  avere  analizzato  le
risultanze documentali e commentato gli esiti dei colloqui avuti  con
il  periziando,  ha  ritenuto  di  discostarsi  dall'ultima  diagnosi
effettuata dai sanitari che ebbero in cura il  giovane  (diagnosi  di
Disturbo Schizoaffettivo) orientandosi invece  per  una  diagnosi  di
Disturbo Psicotico Non Altrimenti Specificato» (2) , evolutasi «su di
un terreno vulnerabile, di cui nei momenti di relativo compenso  come
l'attuale si riconoscono gli aspetti, e sul quale appare  ragionevole
che una cura non (solo) farmacologica, ma bensi' psicoterapica  debba
essere prevista». 
    Il perito evidenziava  altresi'  un  forte  rischio  suicidiario,
sottolineando in particolare come il meccanismo di negazione portasse
il D. L. ad affrontare la problematica  legata  alla  pendenza  della
presente procedura con «rassegnazione di fronte  alla  consapevolezza
che essere ristretto in un carcere in  significhi  per  lui  morte  o
suicidio e falsa sensazione di accettazione. Appare  molto  probabile
che di fronte  al  concretizzarsi  di  tale  evenienza,  inteso  come
aspetto temporale, il periziando non avrebbe altra  possibilita'  che
passare all'atto, in questo modo divenendo il suicidio non  possibile
ma probabile» (3) . 
    La dott.ssa Verga, all'esito della sua analisi, ha ritenuto D. L.
capace di stare in giudizio; ha tuttavia aggiunto che «si  tratta  di
individuo che  necessita  di  terapia  farmacologia  e  psicoterapica
essendo portatore di patologia psichiatrica di Asse I; in assenza  di
terapia farmacologica o in caso di terapia farmacologica in  dosaggio
inadeguato o di terapia inadatta, la possibilita' che  il  periziando
vada incontro ad un  nuovo  episodio  di  scompenso  psichico  appare
significativa. 
    Va inoltre ricordato che non solo dal punto di vista  psicologico
ma anche da quello neurocognitivo e  neurologico  il  susseguirsi  di
episodi di scompenso e nello specifico le alterazioni organiche che a
questi corrispondono, rappresentano eventi  traumatici  per  l'organo
cervello, inteso in senso anatomico, potendo portare ad  un  generale
peggioramento della condizione del soggetto;  gli  stessi  richiedono
inoltre l'incremento, seppur temporaneo della terapia  farmacologica,
con l'ovvio aumento della potenzialita' di effetti collaterali. 
    Cio' detto appare evidente che E. D. L. non e' persona,  che  nel
nostro ordinamento, potrebbe essere ristretto in un  carcere  comune,
prevalendo in lui non solo l'incapacita'  al  momento  dei  fatti  ma
anche la necessita' di cure. Egli non e' individuo adatto  alla  vita
carceraria, necessitando di poter mantenere il  percorso  iniziato  e
che  si  puo'  dire  sia  oggi  avviato  ma  certamente  ben  lontano
dall'essere concluso». 
    Quanto infine alle  possibilita'  di  guarigione,  il  perito  ha
chiarito  che  «la  possibilita'  di  esprimersi  in  relazione  alla
prognosi  in  generale  e/o  ad  una  possibile  "guarigione"  e'  in
psichiatra un concetto  complesso,  laddove  non  necessariamente  la
guarigione corrisponde a cio' che viene inteso per altre  specialita'
(restitutio ad integrum)  ma  corrisponde  al  raggiungimento  di  un
equilibrio accettabile e di una buona qualita' di vita a fronte della
possibile necessita' di assumere terapia farmacologica per la maggior
parte della  vita,  e  soprattutto  quando  si  tratti  di  patologia
psichiatriche  di  Asse  I  gravi  e  importanti  come   quella   del
periziando». 
 
                             In diritto 
 
    D. L. E. e' stato richiesto in consegna dalla in forza di  m.a.e.
processuale  emesso  in  data  9  settembre  2019  per  il  reato  di
detenzione a fini di spaccio  e  cessione  di  sostanze  stupefacenti
commesso in il . 
    Osserva  la  corte  come  sussistano  i  presupposti  formali   e
sostanziali per  l'emissione  di  un  provvedimento  favorevole  alla
consegna. 
    Essendo  D.  L.  cittadino  italiano,  e  trattandosi  di  m.a.e.
processuale, opera nel caso concreto  il  meccanismo  dell'esecuzione
condizionata di cui  all'art.  19,  lettera  c)  legge  69/2005  («la
consegna e' subordinata alla condizione che la persona,  dopo  essere
stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro  di  esecuzione  per
scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative  della  liberta'
personale eventualmente pronunciate nei suoi  confronti  nello  Stato
membro di emissione»); la Suprema Corte di cassazione ha chiarito che
l'espressione «dopo essere stata ascoltata», contenuta nell'art.  19,
lettera c) della legge 22 aprile 2005, n. 69, va intesa nel senso che
la persona consegnata deve essere restituita una  volta  esaurito  il
processo a suo carico con  l'emissione  di  una  sentenza  esecutiva,
secondo la disciplina specifica prevista dall'ordinamento dello Stato
di emissione» (cfr. Cassazione Sez. 6, sentenza n. 938 del 7  gennaio
2010 Cc. (dep. 12 gennaio 2010) Rv. 245803-01). 
    Il trasferimento in del D. L., in esecuzione del m.a.e., oltre ad
interrompere la possibilita' di cura,  con  conseguente  aggravamento
dello  stato  generale  dell'interessato,  costituisce  un   concreto
rischio per la salute del soggetto  che  potrebbe  avere  effetti  di
eccezionale  gravita',   stante   l'acclarato   rischio   suicidiario
evidenziato dal perito nominato dalla corte. 
    La questione  di  legittimita'  costituzionale  si  presenta  non
manifestamente infondata per una serie di considerazioni. 
Ricostruzione dell'assetto normativo 
    La decisione-quadro sul MAE 2002/584/GAI del  Consiglio,  del  13
giugno 2002 costituisce attuazione del principio dell'integrazione di
uno spazio giudiziario  comune,  ed  e'  fondata  sul  principio  del
reciproco riconoscimento: l'art. l, par. 2 stabilisce che  gli  stati
membri «danno esecuzione ad ogni mandato d'arresto europeo»  in  base
al suddetto principio. Il riconoscimento reciproco  si  fonda  a  sua
volta sull'elevato  livello  di  fiducia  conseguito  tra  gli  stati
membri. 
    Il decimo considerando della decisione quadro opera  un  richiamo
ai diritti fondamentali e  precisa  che  il  meccanismo  del  mandato
d'arresto  puo'  essere  sospeso  in  caso  di  violazione  grave   e
persistente  da  parte  degli  Stati  membri  dei  principi   sanciti
nell'art. 6, par. 1 del Trattato  sull'Unione  europea.  Inoltre,  il
dodicesimo considerando afferma che la decisione  quadro  rispetta  i
diritti fondamentali sanciti dall'art.  6  del  Trattato  sull'Unione
europea  e  dalla  Carta.  Il  richiamo  all'art.  6   del   Trattato
sull'Unione europea  operato  da  tale  considerando  costituisce  il
rinvio  ai  diritti  garantiti  dalla  Convenzione  europea  per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali ed a
quelli risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni  agli  Stati
membri. Ed ancora, nell'art. 1, par.  3  della  decisione  quadro  si
legge che la stessa non puo' modificare l'obbligo  del  rispetto  dei
diritti fondamentali e dei fondamentali  principi  giuridici  sanciti
dall'art. 6, par. 1 del Trattato sull'Unione europea.3. 
    La legge quadro prevede poi dei  motivi  di  rifiuto  obbligatori
(art. 3) e dei motivi di rifiuto  facoltativi  (art.  4);  e'  infine
prevista  la  possibilita',  in  casi  eccezionali,   di   sospendere
l'esecuzione del m.a.e. per «motivi umanitari». In particolare l'art.
23, par. 4 della decisione  quadro  prevede:  «La  consegna  puo',  a
titolo eccezionale, essere temporaneamente differita per gravi motivi
umanitari, ad esempio se vi sono valide ragioni di ritenere che  essa
metterebbe manifestamente  in  pericolo  la  vita  o  la  salute  del
ricercato. Il mandato d'arresto europeo  viene  eseguito  non  appena
tali  motivi   cessano   di   sussistere.   L'autorita'   giudiziaria
dell'esecuzione ne  informa  immediatamente  l'autorita'  giudiziaria
emittente e concorda una nuova data per la consegna. In tal caso,  la
consegna avviene entro i dieci  giorni  successivi  alla  nuova  data
concordata». 
    L'adeguamento dell'ordinamento  italiano  alla  decisione  quadro
istitutiva del mandato d'arresto europeo si deve alla legge 22 aprile
2005, n. 69, che all'art. 1 precisa che l'attuazione nell'ordinamento
interno delle disposizioni della citata decisione quadro avviene  nei
limiti in cui tali disposizioni non sono incompatibili con i principi
supremi  dell'ordinamento   costituzionale   in   tema   di   diritti
fondamentali, nonche' in tema di diritti di  liberta'  e  del  giusto
processo. 
    Ai sensi dell'art. 2 cit. legge viene  specificato  che  l'Italia
dara' esecuzione  al  mandato  d'arresto  europeo  nel  rispetto  dei
diritti  e  principi  stabiliti  nella  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali,  in
particolare negli articoli 5 e 6 e nella  Costituzione  italiana  con
riferimento al diritto al giusto processo, alla  liberta'  personale,
al diritto di difesa, alla responsabilita' penale  ed  alla  qualita'
delle sanzioni penali, nonche' al principio di eguaglianza. 
    L'autorita' giudiziaria dell'esecuzione ha l'obbligo generale  di
dare  esecuzione  ad  ogni  mandato  d'arresto  europeo  in  base  al
principio del riconoscimento reciproco. 
    La procedura della consegna  prevede  peraltro  che  l'esecuzione
della stessa avvenga necessariamente con il soggetto  consegnando  in
vinculis: ai sensi dell'art. 12 della decisione  quadro,  l'autorita'
giudiziaria dell'esecuzione puo' decidere se mantenere  il  richiesto
in consegna in stato di custodia o se rimetterlo in liberta', ma cio'
solo sino alla decisione definitiva sull'esecuzione del MAE; nel caso
che la decisione definitiva  sia  favorevole  alla  consegna,  dovra'
essere emessa una misura detentiva che possa assicurare la  materiale
consegna al paese richiedente. 
    L'obbligo  generale  di  dare  esecuzione  ai   MAE   trova   una
limitazione nei motivi di rifiuto,  obbligatori  o  facoltativi,  del
MAE, previsti dagli articoli 18 e  18-bis  della  legge  69/2005:  si
tratta  di  un'elencazione  tassativa,  non  essendo  possibile   per
l'autorita' giudiziaria dell'esecuzione porre  a  fondamento  di  una
decisione di rifiuto motivi diversi da quelli espressamente  elencati
nella normativa nazionale. 
    Va osservato come ne'  la  legge  quadro  ne'  la  legge  69/2005
contemplino tra i casi tassativi di rifiuto, neppure facoltativo,  in
generale la non-compliance with fundamental rights, ed in particolare
la lesione di un diritto fondamentale quale quello del  diritto  alla
salute, con il  necessario  corollario  del  diritto  ad  avere  cure
adeguate alla «persona», necessariamente individualizzate soprattutto
nel campo, come quello che ci occupa, delle malattie psichiatriche. 
    L'eventuale sussistenza di gravi ragioni che possano  mettere  in
pericolo la salute del soggetto richiesto in consegna e' disciplinata
dall'art. 23  della  legge  69/2005  (che  ripropone  in  modo  quasi
testuale la corrispondente norma  di  cui  all'art.  23  della  legge
quadro), che consente, qualora sussistano gravi ragioni per  ritenere
che la consegna metterebbe in pericolo la  vita  o  la  salute  della
persona, al Presidente della corte di sospendere l'esecuzione del MAE
con decreto motivato. 
La violazione degli articoli 2 e 32 della Costituzione 
    Il diritto alla  salute  della  persona,  declinato  nelle  varie
accezioni di diritto all'inviolabilita' fisica, e di diritto ad avere
cure adeguate, rientra a  pieno  titolo  nella  materia  dei  diritti
fondamentali  garantiti  in  ogni  ordinamento  democratico   e,   in
particolare, di quelli riconosciuti  unanimemente  dagli  ordinamenti
dei paesi dell'Unione europea,  tutti  impegnati  al  rispetto  della
Convenzione dei diritti dell'uomo di Roma del 1950. L'art.  32  della
nostra Carta costituzionale e l'art.  35  della  Carta  di  Nizza  lo
riconoscono come diritto fondamentale. 
    Il diritto alla fruizione dei  migliori  trattamenti  terapeutici
per assicurare la salute psichica rientra poi certamente  nel  novero
dei diritti  inviolabili  dell'individuo  di  cui  all'art.  2  della
Costituzione. 
    Tuttavia, come visto,  l'ordinamento  nazionale  non  prevede  la
lesione del diritto alla  salute  quale  motivo  di  rifiuto  neanche
facoltativo, alla consegna in forza di un MAE. 
    Si e' infatti visto  che,  ai  sensi  dell'art.  23  della  legge
69/2005,  la  rilevanza  dei  motivi  di  salute  attiene  alla  fase
esecutiva; soltanto nella fase  terminale  dell'iter  procedimentale,
successivamente alla decisione sulla consegna, si potra' valutare  la
sussistenza  di  gravi  ragioni  di  pericolo  per  la   salute   del
consegnando. 
    La Suprema Corte di cassazione ha recentemente chiarito  che  «Le
condizioni di salute del consegnando non sono,  tuttavia,  annoverate
dall'art. 18 della legge n. 69 del 2005 tra le cause di rifiuto della
consegna (Sez. 6, n. 108 del  30  dicembre  2013,  Di  Giuseppe,  Rv.
258460; Sez. 6, n. 42041 del 4 ottobre  2016).  L'art.  23,  comma  3
della legge dispone, infatti, che in presenza di  gravi  ragioni  che
inducano a ritenere che la consegna metterebbe in pericolo la vita  o
la salute della persona, il presidente della Corte di  appello  o  il
magistrato da lui delegato, puo', con  decreto  motivato,  sospendere
l'esecuzione  del  provvedimento  di  consegna,   dandone   immediata
comunicazione  al  Ministero  della  giustizia.   Nel   disegno   del
legislatore, pertanto, lo stato di salute e' una condizione personale
soggetta a modificazioni, anche repentina, nel  corso  del  tempo  e,
pertanto, non utilmente  rappresentabile  nelle  fasi  procedimentali
anteriori all'esecuzione del provvedimento di  consegna  perche',  in
quest'ultimo  segmento  della  procedura,  condizioni  di  salute  in
precedenza non ostative  potrebbero  aggravarsi  e  divenire  tali  o
viceversa (Sez. 6, n. 108 del 30 dicembre  2013).  Le  condizioni  di
salute, pertanto, non precludono l'accoglimento  della  richiesta  di
consegna, ma possono, secondo valutazioni operate rebus sic stantibus
e  delibando  un  adeguato  supporto  documentale,   determinare   la
sospensione della esecuzione della consegna». Cfr. Cassazione Sez. 6,
sentenza n. 7489 del 15 febbraio 2017. 
    La corte si e' chiesta se la tutela della salute, nello specifico
caso in oggetto, possa  rientrare  nell'ambito  di  operativita'  del
motivo di rifiuto di cui all'art. 18, lettera h)  e  i)  della  legge
69/2005 - peraltro oggetto di precisi motivi  di  doglianza  avanzati
dalla difesa. 
    La disamina ha consentito di  escludere  di  poter  rifiutare  la
consegna del D. L. ai sensi delle citate norme. 
    Nel caso che ci occupa, al  di  la'  delle  eventuali  condizioni
«inumane o degradanti» cui il D.  L.  potrebbe  essere  sottoposto  -
condizioni tuttavia che richiederebbero una specifica  istruttoria  -
la tutela della salute psichica del consegnando verrebbe lesa o messa
in serio  pericolo  dalla  stessa  attivazione  del  procedimento  di
consegna: la  peculiarita'  della  malattia  del  D.  L.  -  malattia
psichiatrica -, l'interruzione del rapporto terapeutico con il medico
che lo ha in  cura,  lo  sradicamento  anche  solo  temporaneo  dalla
famiglia (in questo momento peraltro «luogo  di  cura»),  sono  tutti
elementi che, come attestato dalla  perizia  svolta  su  incarico  di
questa corte renderebbero molto concreto il pericolo suicidiario. 
    Neppure puo' soccorrere il motivo di rifiuto sub lettera  i)  che
attiene all'incapacita' del soggetto richiesto per motivi di eta'. 
    Esclusa  quindi  la  riconducibilita'  del  caso  in  esame   nel
paradigma dei casi  di  rifiuto  ex  18  lettera  h)  e  i),  occorre
verificare se  la  tutela  del  diritto  alla  salute  -  come  visto
principio  fondamentale  assoluto  -  riceva  adeguata   tutela   dal
meccanismo della sospensione della consegna  previsto  dall'art.  23,
comma 3 della legge 69/2005. 
    Il sistema delineato pare  a  questa  corte  irragionevole  sotto
plurimi profili: l'eventualita' di  una  sospensione  della  consegna
successiva alla pronuncia favorevole alla consegna medesima,  sottrae
alla  fase  giurisdizionale  la  valutazione   circa   l'analisi   di
un'eventuale lesione  al  diritto  fondamentale  della  salute  quale
motivo che consenta di  rifiutare  la  consegna;  rimette  alla  fase
esecutiva (eventuale) la verifica - con atto peraltro non impugnabile
(4)  -, della sussistenza di gravi ragioni di salute  consentendo  la
sospensione  del  procedimento;  sospensione  del  procedimento   che
tuttavia avrebbe, nel caso che ci occupa, una durata indeterminabile. 
    Ma, la sospensione e' assimilabile a una parentesi, che una volta
aperta deve anche chiudersi (5) . 
    Eppure la tutela dei diritti fondamentali  dell'individuo  permea
l'intero assetto della legge 69/2005  ed  ancor  prima,  della  legge
quadro sul MAE (6) . 
    Ed infatti, la tutela del diritto alla salute risulta sotteso  ai
motivi di rifiuto obbligatorio previsti dall'art. 18, lettera h)  (se
sussiste un serio pericolo che la persona ricercata venga  sottoposta
alla pena di morte, alla  tortura  o  ad  altre  pene  o  trattamenti
inumani o degradanti) e art.  18,  lettera  s)  della  legge  69/2005
riguardante il caso che la persona  richiesta  in  consegna  sia  una
donna incinta o madre di prole di eta' inferiore a tre anni  con  lei
convivente. 
    Occorre poi  considerare  come  spunti  per  una  sempre  maggior
attenzione ai diritti fondamentali dell'individuo  possano  cogliersi
nella direttiva 2014/41/UE sull'ordine  europeo  di  indagine  penale
(o.e.i.) che prevede [art. 11, § 1, lettera f)]  che  l'autorita'  di
esecuzione possa rifiutare il riconoscimento  o  l'esecuzione  di  un
o.e.i. qualora «sussistono seri motivi per ritenere che  l'esecuzione
dell'atto di indagine richiesto» sia «incompatibile con gli  obblighi
dello  Stato  di  esecuzione»  ai  sensi  dell'art.  6  del  Trattato
sull'Unione europea e della Carta. 
    Ed ancora, va ricordata la disposizione di cui  all'art.  696-ter
del codice di procedura penale (7) ,  che  precisa  che  «L'autorita'
giudiziaria  provvede  al  riconoscimento  e  all'esecuzione  se  non
sussistono  fondate  ragioni  per  ritenere  che  l'imputato   o   il
condannato verra'  sottoposto  ad  atti  che  configurano  una  grave
violazione dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello
Stato, dei diritti fondamentali della persona riconosciuti  dall'art.
6 del Trattato sull'Unione europea o dei diritti,  delle  liberta'  e
dei principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea». 
    Nel caso che ci occupa  il  soggetto  richiesto  in  consegna  e'
affetto da una patologia psichiatrica conclamata;  lo  stesso  perito
nominato dalla corte ha utilizzato, nel riferirsi al  periziando,  la
categoria  della  vulnerabilita':  ebbene  proprio  il  concetto   di
«vulnerabilita'», e' concetto acquisito a livello europeo. Non a caso
la Risoluzione del Consiglio dell'Unione europea del 30 novembre 2009
«relativa a una tabella di marcia per il  rafforzamento  dei  diritti
procedurali  di  indagati  o  imputati  in  procedimenti  penali»  ha
approvato «la "tabella di marcia per  il  rafforzamento  dei  diritti
procedurali di indagati  o  imputati  in  procedimenti  penali"  ("la
tabella  di   marcia"),   figurante   nell'allegato   alla   presente
risoluzione, come base per la futura azione», con  la  specificazione
che «I diritti citati in questa tabella  di  marcia,  che  potrebbero
essere  integrati  da  altri  diritti,   sono   considerati   diritti
procedurali  fondamentali  e  all'azione  relativa  a  tali   diritti
dovrebbe essere attribuita priorita' in questa fase». 
    Ebbene l'allegato alla citata Risoluzione prevede la  misura  sub
E) «garanzie speciali per indagati o imputati vulnerabili»: «al  fine
di garantire l'equita'  del  procedimento,  e'  importante  rivolgere
particolare attenzione agli indagati o imputati che non sono in grado
di capire o di seguire il contenuto o il significato del procedimento
per ragioni ad esempio di eta' o di condizioni mentali o fisiche». 
    Vale infine la pena di precisare come nel caso che ci occupa  non
sovviene alcun vulnus al principio di presunzione  del  rispetto  dei
diritti fondamentali da parte degli altri Stati membri - che sottende
al sistema delineato dalla legge quadro MAE - in  quanto  la  lesione
del diritto fondamentale della salute del  consegnando  prescinde  da
un'analisi dell'ordinamento dello stato  richiedente  e  si  rinviene
esclusivamente nella  peculiarita'  della  malattia  psichiatrica  (e
delle correlate esigenze di cura) che ha colpito il D. L. 
La violazione degli articoli 3 e 110 della Costituzione 
    La mancata  previsione  di  un  motivo  di  rifiuto  legato  alle
condizioni di salute potenzialmente irreversibili ed alla  necessita'
di avere cure adeguate si pone anche in contrasto con l'art. 3  della
Costituzione. 
    Osserva la corte come nella  procedura  di  estradizione,  l'art.
705, comma 2, lettera c-bis) del codice di procedura  penale  preveda
che la  corte  pronunci  sentenza  sfavorevole  all'estradizione  «se
ragioni di salute o di eta' comportino il rischio di  conseguenze  di
eccezionale gravita' per la persona richiesta.» 
    Se e' da un lato e' chiaro che la diversita' di trattamento della
tutela  del  diritto  di   salute   nelle   due   diverse   procedure
estradizionali trova la sua ratio principale nella fiducia tra  stati
dell'Unione che permea il sistema dell'euromandato, e  nel  principio
di presunzione del rispetto dei diritti fondamentali da  parte  degli
altri Stati membri, purtuttavia non  puo'  non  rilevarsi  come  tale
fondamento trovi il suo limite allorquando il diritto alla salute  si
declini come diritto ad  avere  cure  adeguate  individualizzate:  la
malattia psichiatrica del D. L.  prevede  infatti  la  necessita'  di
proseguire il trattamento terapeutico in un contesto protetto,  quale
quello familiare. 
    La mancata  previsione  di  un  motivo  di  rifiuto  legato  alle
condizioni di salute del consegnando - in caso  di  malattia  mentale
potenzialmente cronica ed irreversibile - contrasta con il  principio
della ragionevole durata del processo,  nella  duplice  accezione  di
«garanzia    oggettiva»,    relativa    al     buon     funzionamento
dell'amministrazione della giustizia e  all'esigenza  di  evitare  la
prosecuzione di giudizi dilatati  nel  tempo,  nonche'  di  «garanzia
soggettiva», quale diritto dell'imputato  ad  essere  giudicato  -  o
comunque a vedere conclusa la fase procedimentale cui e' sottoposto -
in  un  tempo  ragionevole,  sancito  altresi'  dall'art.   6   della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali. 
    Eppure, in caso di malattie  psichiche  croniche  perduranti  nel
tempo  potenzialmente  destinate  a  durare  anni,   che   richiedono
trattamenti costanti  a  fini  di  compensazione  e  contenimento,  e
l'instaurazione di un rapporto terapeutico di fondamentale importanza
con  il  proprio  sanitario  di  fiducia,  il  sistema   impone   una
sospensione a tempo indeterminato; nel caso in cui, con il passar del
tempo, lo stato mentale dell'imputato non  migliori  si  produce  una
paralisi  processuale  destinata  a  durare  un   tempo   del   tutto
indefinito; cio' determina una stasi del procedimento. 
    Una siffatta situazione processuale, paradossalmente,  pregiudica
anche lo stesso imputato, il  quale,  in  caso  di  espletamento  del
processo a suo carico in in absentia (possibile in  caso  di  rifiuto
della consegna  ai  sensi  delle  norme  processuali  croate  (8)  ),
potrebbe difendersi anche sotto il profilo dell'imputabilita'. 
    La ratio dell'art. 23 della  legge  69/2005,  come  correttamente
interpretato dalla Suprema Corte di  cassazione  nella  sopra  citata
pronuncia  impone  di  individuare  la  ratio   della   norma   nella
possibilita' di sospendere l'esecuzione  di  un  mae  processuale  in
presenza di uno stato di malattia  che  abbia  una  diagnosi  ed  una
durata prevedibile: uno stato temporaneo e  transitorio  destinato  a
risolversi in un tempo ben definito. La circostanza che in tali  casi
sia  possibile  sospendere  l'esecuzione  del   mae   presuppone   la
consapevolezza in capo al legislatore (prima europeo e poi  italiano)
del diritto del consegnando ad ottenere le cure adeguate nel paese di
residenza; ma quid iuris allorquando la malattia  investa  la  psiche
del soggetto, in caso quindi di malattia mentale destinata  a  durare
un tempo indefinito? 
    Il  rifiuto  della  consegna  invece,  nel  concludere  una  fase
procedimentale, consente all'AG emittente di procedere a  carico  del
soggetto - certamente non in vinculis  ma  a  piede  libero  -  e  di
addivenire ad una pronuncia definitiva a suo carico con  possibilita'
quindi di attivare, a processo concluso, un m.a.e. esecutivo. 

(1) D. L. veniva arrestato  il  15  ottobre  2016  per  il  reato  di
    maltrattamenti in famiglia; veniva condannato per il reato di cui
    all'art. 572 del codice penale aggravato ex art.  94  del  codice
    penale perche' il fatto era commesso in stato  di  intossicazione
    abituale da sostanze stupefacenti, alla pena di anni 3 mesi 5  di
    reclusione; scontava  la  pena  dapprima  in  regime  di  arresti
    domiciliari  e,  successivamente  alla  condanna,  in  regime  di
    detenzione domiciliare, sempre nella forma  del  ricovero  presso
    strutture di cura psichiatriche, e precisamente  dal  15  ottobre
    2016 al 23 novembre 2016 presso il SPDC di ; dal 23 novembre 2016
    al 14 dicembre 2017 presso la ; dal 15 dicembre 2017 all'8 agosto
    2019 presso la Comunita' . 

(2) «...non si concorda pienamente rispetto alla diagnosi di Disturbo
    Schizoaffettivo (che indica la  presenza  sia  di  sintomatologia
    attribuibile ad un disturbo del pensiero che ad una  attribuibile
    ad un disturbo dell'umore), stante che le alterazioni  dell'umore
    paiono  essere   state   prevalenti   negli   anni   di   cronica
    intossicazione, per poi divenire minori in seguito, lasciando  il
    maggior spazio agli aspetti piu' conclamatamente psicotici. Dalle
    relazioni delle comunita' ove il D. L. e' stato ospite emerge  un
    quadro residuo con sintomatologia dispercettiva, talora delirante
    o  interpretativa  e  non  particolari   alterazioni   del   tono
    dell'umore. (...) Appare delinearsi un quadro  di  vulnerabilita'
    caratteriale e di personalita' evolutasi in modo disarmonico  con
    vulnerabilita'    alla    psicosi,    ulteriormente    complicata
    dall'assunzione di sostanze...» Cfr. relazione peritale pag. 16. 

(3) Ulteriormente specificava il perito in calce alla  sua  relazione
    che «gli studi recenti indicano come la  prima  carcerazione,  le
    prime settimane di carcerazione, precedenti tentativi di suicidio
    e spesso la  giovane  eta'  rappresentino  fattori  di  aumentato
    rischio per la possibilita' di un evento suicidario. Nel caso  in
    esame si tratta non  solo  di  un  soggetto  che  corrisponde  ai
    criteri appena elencati, ma  che  presenta  anche  vulnerabilita'
    ulteriore   conseguente   all'essere   portatore   di   patologia
    psichiatrica, e che verrebbe inoltre  non  solo  inserito  in  un
    ambiente inadeguato, restrittivo, sconosciuto ma anche  in  luogo
    del quale egli non conosce la lingua ulteriormente aggravando  le
    condizioni e deprivandolo di uno strumento importante per il  suo
    equilibrio,   la   possibilita'   di   comunicare,    che    gia'
    nell'attualita' appare deficitario e necessita di sostegno». 

(4) Cfr. Cassazione Sez. 6, sentenza n. 20849 del 26 aprile 2018  Cc.
    (dep. 10 maggio 2018) Rv. 272935-01. 

(5) Cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 45 del 2015, in seno  alla
    quale codesta Corte ha sottolineato la differenza tra le  diverse
    situazioni di sospensione, anche per incapacita'  di  partecipare
    coscientemente al processo, destinate a una durata  limitata  nel
    tempo e la sospensione derivante da un'incapacita' irreversibile,
    che e' destinata a non avere termine, dando luogo per  l'imputato
    alla  condizione  di  «eterno  giudicabile».  La  differenza   e'
    fondamentale e rende irragionevole l'identita' di disciplina. 

(6) Pare opportuno  riportare  le  conclusioni  del  6  luglio  2010,
    rassegnate  nell'ambito   del   caso   I.   B.   contro   Belgio,
    dall'Avvocato generale (punto 41):  «Se  e'  vero  che  il  mutuo
    riconoscimento  e'  uno  strumento  che  rafforza  lo  spazio  di
    liberta', sicurezza e  giustizia,  e'  altrettanto  vero  che  la
    salvaguardia  dei   diritti   e   delle   liberta'   fondamentali
    costituisce un prius che legittima l'esistenza e lo  sviluppo  di
    tale spazio. La decisione quadro si esprime ripetutamente in  tal
    senso nei "considerando" 10, 12, 13 e 14, nonche' all'art. 1,  n.
    3». 

(7) Inserito nel codice di rito dall'art. 3, comma 1, lettera a)  del
    decreto legislativo 3 ottobre 2017, n. 149. 

(8) Cfr. art. 402, par. 3 Law of Criminal Proceeding.