GIUDICE DI PACE DI TARANTO Il giudice di pace per l'immigrazione sciogliendo la riserva; letto il ricorso, con gli atti allegati, di Coginashvili Natela, nata in Georgia il 27 marzo 1958, passaporto n. 18AD22306, rilasciato dalla rappresentanza diplomatica della Georgia in data 20 maggio 2019, e con scadenza al 20 maggio 2029, elettivamente domiciliata presso la studio dell'avv. Antonio Santoro, Via Pitagora n. 38- Taranto, dal quale e' rappresentato e difeso come in atti; esaminati gli atti prodotti dalle parti; rilevato che nel ricorso de quo, previa richiesta di sospensiva, si impugna sostanzialmente il decreto di espulsione del Prefetto di Taranto dell'8 maggio 2020, Cat A.11/EA/ESP e gli atti conseguenziali, perche' illegalmente trattenutasi nel territorio italiano in violazione dell'art. 1,comma 3, della legge n. 68/2007(art. 13, comma 2,1b del Testo unico sull'immigrazione, e successive modificazioni; che nel ricorso viene evidenziato che, in data 8 maggio 2020, ore 15,20, alla sig.ra Goginashvili veniva comminata una sanzione amministrativa dei euro 400,00, in quanto «si tratteneva con altre due persone, stessa connazionalita', in piazza Ramellini sedute sulla panchina, inosservando quindi al divieto di assembramento in luoghi pubblici», e che, da un controllo successivo da parte degli stessi agenti della Questura di Taranto, la stessa ricorrente risultava priva di permesso di soggiorno, pur se provvista di passaporto, con conseguente notifica del decreto di espulsione dallo Stato italiano ai sensi dell'art. 13, comma 2 lett.a) del T.U.I., e con conseguente consegna del passaporto giusto art. 13, comma 4 bis del T.U.I., dato che non e' possibile eseguire nell'immediatezza il decreto di espulsione; che la ricorrente sostiene sempre che, ai sensi dell'art. 103 del decreto cosiddetto «Rilancio» rectius: decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con legge 17 luglio 2020, n. 77; Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonche' di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19), non puo' beneficiare di tale disposizione in quanto destinataria del decreto di espulsione, di cui trattasi, pur svolgendo l'attivita' di badante e pur costretta ad attendere i cd «decreti flussi» per poter avere la possibilita' di regolarizzare il proprio contratto di lavoro, a differenza dei lavori comunitari; che, pertanto, conclude il difensore della ricorrente, gli stessi diritti per la regolarizzazione dell'attuale posizione spettano anche all'odierna ricorrente, pur avendo lavorato nell'ombra; che, con comparsa, si costituiva la Prefettura di Taranto tramite la questura, facendo rilevare praticamente la regolarita' del provvedimento di espulsione; che, esaminando tale situazione, ritiene l'odierno giudicante, riprendendo la parziale attivita' giudiziaria per effetto delle disposizioni Covid-19, prima di addivenire ad una decisione nel merito, sospendendo «il provvedimento impugnato sino al pronunciamento della Corte costituzionale, di dover dichiarare la non manifesta infondatezza dell'incostituzionalita' del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con legge 17 luglio 2020, n. 77 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonche' di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19), in quanto afferente a situazioni differibili e differite nel tempo, in evidente antinomia con la normale funzione costituzionale del Parlamento, non sussistendo, quindi, i requisiti dell'urgenza e necessita', se e' vero come e' vero che, cosi come statuito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 128/2008, «affermare che tale legge di conversione sana in ogni caso i vizi del decreto, significherebbe attribuire in concreto al legislatore ordinario il potere di alterare il riparto costituzionale delle competenze del Parlamento e del Governo quanto alla produzione delle fonti primarie», a fronte del fatto che la legge di conversione valuterebbe erroneamente l'esistenza di presupposti di validita' in realta' insussistenti, e, quindi, «convertendo un atto che non poteva essere legittimo oggetto di conversione (cosi' Corte costituzionaie, sentenza n. 29/1995; sentenze numero 341 del 2003; 6, 178, 196, 285, 299 del 2004; sentenza 2, 62 e 272 del 2005); che palese e' la violazione dell'art. 72 comma 4 e, degli. articoli 35 e 78 del regolamento del Senato, laddove una diversa interpretazione legittimerebbe la sovrapposizione di ruoli tra delegante e delegato; che, inoltre, la tecnica legislativa usata nel caso concreto comporta anche una palese violazione «sostanziale» dell'art. 15 della legge n. 400 del 1988 (recante la disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri) che prevede che i decreti devono contenere norme d'immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo; inoltre, l'art. 15 della predetta legge vieta espressamente al Governo l'uso del decreto-legge per conferire deleghe legislative a se medesimo; che la disciplina dettata dalla legge n. 400 del 1988 ha nel nostro ordinamento valore «rafforzato» (o almeno peculiare), in quanto i regolamenti interni, sia della Camera che del Senato , invitano le Camere a verificare il rispetto, da parte dei decreti-legge, dei requisiti stabiliti dalla legislazione vigente (e percio' dalla legge 400/1988) ed il Capo dello Stato, gia' in un suo messaggio alle Camere del 2002, aveva esaltato il valore regolamentare della legge in questione e ne ha chiesto il rigoroso rispetto; che tale decreto-legge n. 34/2020 e la legge di conversione n. 77/2020, rispettivamente emanato e promulgato dal Presidente della Repubblica, appaiono altrettanto manifestamente incostituzionali', dato che e' fatto notorio che l'esimio Sig. Presidente della Repubblica - dott. Sergio Mattarella - suo malgrado, ed in danno dello stesso sig. Presidente, e' stato eletto illegittimamente nel gennaio 2015 da deputati e senatori della XVII legislatura, i quali non avrebbero dovuto far parte del Parlamento italiano; attesa l'emanazione della sentenza della Corte costituzionale n. 1/2014, che ha praticamente dichiarato incostituzionale la legge elettorale cosiddetta «porcellum», per la quale gli aspiranti erano stati in un primo momento eletti, con conseguente proclamazione illegittima, dato che con la pubblicazione della citata sentenza della Corte costituzionale n. 1/2014, avvenuta nel gennaio 2014, i rapporti riguardanti l'attivita' di detti parlamentari (ivi compresi quelli insediatisi con il previsto premio di maggioranza) non erano esauriti, ma pendenti, dato che ancora la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica non avevano provveduto, ai sensi dell'art. 66 della Costituzione, a rimettere il definitivo accertamento dei titoli di ammissione dei propri membri, sia per quanto riguarda la sussistenza dei requisiti della capacita' elettorale passiva, sia per l'insussistenza di cause di ineleggibilita' o incompatibilita', sia per la regolarita' delle operazioni elettorali e, quindi, verifica dei poteri, attraverso l'istituto della «convalida», che non e' altro che l'elemento confermativo dell'efficacia dell'atto di proclamazione; che, invero, al momento della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, avvenuta il 15 gennaio 2014, erano stati convalidati solo i risultati di una regione ovvero della Val d'Aosta; mentre, rispettivamente, solo in data 11 giugno 2015 e 11 marzo 2014, era stata effettuata dal comitato permanente della Camera dei deputati e del Senato (per le incompatibilita', ineleggibilita' e decadenze) la verifica dei poteri nella circoscrizione esteri; in data 25 giugno 2015, alla Camera, la verifica dei poteri, in «ordine al calcolo e assegnazioni dei seggi su base nazionale; in data 17 luglio 2014,, la verifica dei poteri nella 3° circoscrizione lombardia 1, Campania 2; ecc.(come e' evidente, il Presidente della Repubblica e' stato votato, al 4° scrutinio, nel mese di gennaio 2015, addirittura da Parlamentari che ancora dovevano ottenere la convalida della loro elezione); che, stabilire se in relazione a fattispecie regolate dalla norma dichiarata incostituzionale sussista o meno una preclusione che renda nella circostanza i rapporti interni al Parlamento esauriti o meno, non rientra fra i poteri della Corte costituzionale (cosi' la stessa Corte costituzionale n. 10/2015), ma al giudice ovvero, nel caso di specie, al sottoscritto giudice di pace per quanto di competenza in materia di immigrazione (il giudice ha pieni poteri nell'accertare le fonti del proprio convincimento, giusta sentenza della Corte di cassazione civile n. 16499 del 15 luglio 2009; cosi' anche Cassazione civile, sentenza n. 13485/2014, ecc.), a fronte delle odierne preclusioni costituzionali e la lesione del principio di legalita', atteso che non spetta neanche alla Corte di cassazione accertare (che ha emanato, statuendo principi generici, la sentenza n. 8878/2014 nel gennaio 2014), in quanto giudice di legittimita', la questione di merito tra l'esistenza di rapporto pendenti o esauriti nell'attivita' del Parlamento della VII legislatura, e cio' successivamente all'emanazione della citata sentenza n. 8878/2014; che l'art. 136 della Costituzione dispone che «quando la Corte dichiara la illegittimita' costituzionale di una norma di legge o di un atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione(ns. rif. in questo caso in data 14 gennaio 2014), della decisione», e l'art. 30 della legge n. 87/1953 statuisce che «le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione»; norme dalle quali deriva un orientamento ampiamente consolidato la cosiddetta retroattivita' degli effetti della declaratoria d'incostituzionalita'; che, pertanto, esistendo al momento della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 1/2014 rapporti ancora pendenti, cosi come sopra evidenziato, presso la Camera dei deputati e il Senato, l'incostituzionalita' delle norme per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato non e' convalidabile per nessun dei membri del Parlamento della XVII legislatura, ed ha effetto ex tunc, non essendo ammissibile un meccanismo elettorale totalmente illegittimo, essendo l'elezione di ogni singolo deputato e senatore avvenuta proprio in contrasto con la Costituzione, con conseguente e immediato scioglimento della Camere(in questo caso spetterebbe al Sig. Presidente del Senato), fermo restando che ala «continuita' dello Stato» non puo' certamente scontrarsi con una situazione d'incostituzionalita' che coinvolge organi dello Stato, come il Parlamento, e non puo' riferirsi alla continuita' del Parlamento nel suo complesso, ma determinata in modo giusto alle vicende dei singoli parlamentari, dato che i profili di illegittimita' relativi al voto di preferenza e alle liste bloccate, cosi come evidenziati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 1/2014, ha finito col travolgere l'intero sistema di scelta dei rappresentati, di cui alla legge elettorale n. 270/2005, ovvero ha privato l'elettore a livello nazionale di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti, risultando in tal modo la citata legge elettorale de qua altamente alterata, per l'intero complesso dei parlamentari, proprio nel rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti; che, invero, la grave discrepanza dell'esito elettorale fra le Camere va rammentata nel fatto che proprio nelle elezioni del Parlamento della XVII legislatura, senza il premio di maggioranza, dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla citata Corte costituzionale, e scattato per una differenza di poco piu' di 125.000 voti, alla coalizione che aveva riportato il 29,55 dei voti validi - e cioe' meno di un terzo di essi - senza il premio sarebbero spettati 192 seggi. Ne sono stati, invece, ad essa attribuiti, con un premio di 148 seggi, 340 (cioe' piu' della maggioranza assoluta dei seggi), a fronte di 124 seggi assegnati alla coalizione che aveva avuto circa 125.000 voti in meno di essa; che, pertanto, non risulta difficile sostenere che (per dette elezioni politiche del 2013) non si sia determinata una oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica, nonche' l'evidente divaricazione tra la composizione dell'organo parlamentare e la volonta' dei cittadini espressa col voto, avendo all'incirca 125.000 voti di differenza determinato l'attribuzione di 148 seggi e della maggioranza assoluta della Camera ad una coalizione che aveva riportato meno del 30% dei voti. La coalizione vincente alla Camera ha riportato al Senato il 31,63% dei voti, ottenendo, stante il computo dei premio di maggioranza al Senato su base regionale, previsto dalla relativa legge elettorale, un numero di seggi molto inferiore alla maggioranza, tanto da verificarsi quella discrepanza di esito elettorale fra le Camere; che, quindi, la «continuita' dello Stato», per quanto sopra considerato, viene ad urtare con i principi di cui all'art. 67 della Costituzione, nell'aver concesso una posizione di illecito vantaggio ai singoli individui che compongono, accidentalmente la Camera dei deputati o il Senato, non rappresentando in questo modo la Nazione, tenendo conto che l'istituto della prorogatio, prevista dall'art. 61 della Costituzione, presuppone l'esistenza di una valida legge elettorale, redatta ed attuata da organi validi; che, in definitiva, stando a quanto stabilito in parte qua dalla sentenza della Corte di cassazione con sentenza n. 8878/2014, i cittadini, per la elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica del 2013, svoltasi con la legge n. 270/2005, dichiarata incostituzionale con la sentenza della Corte costituzionale n. 1/2014, non hanno potuto esercitare diritto di voto, secondo le modalita', previste dalla Costituzione, del voto personale, eguale, libero e diretto, con conseguente elezione illegittima di tutti i deputati e senatori, che, esautorati, in quanto soggetti non in possesso della peculiare capacita' giuridica in seguito alla retroattivita' ex tunc delle accertata incostituzionalita' della legge elettorale, per i motivi cosi' come sopra evidenziati (contrariamente a quanto statuito per un verso dalla citata Cassazione con la predetta sentenza), a loro volta, nella XVII legislatura, hanno illegittimamente eletto il Presidente della Repubblica nella persona del prof. dott. Sergio Mattarella, che non poteva emanare e promulgare e rendere operativo il decretolegge n. 34/2020, cosi' come altrettanto illegittimamente convertito con la legge n. 77/2020, tanto da considerarli oggi illegittimi, inesistenti ed incostituzionali; che va evidenziata, quindi, la violazione dell'art. 3 del Protocollo addizionale della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, in cui si afferma che «le alte parti contraenti si impegnano ad organizzare, a intervalli ragionevoli, libere elezioni a scrutino segreto, in condizioni tali da assicurare la libera espressione dell'opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo»; che l'art. 6 del Trattato sull'unione europea statuisce che «L'Unione riconosce i diritti, le liberta' e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati», fermo restando il carattere vincolante degli accordi internazionali da parte dello Stato italiano, giusto art. 216 del TFUE e art. 300 del Trattato di Lisbona; che, pertanto, non resta in questa sede all'odierno giudice di pace di discostarsi - in parte qua - dal giudicato della Corte di cassazione di cui alla sentenza n. 8878/2014 (anche per i fatti successivi all'emanazione di detta sentenza, che, come sopra evidenziato, non possono riguardare ancora il giudice di legittimita'), esclusivamente nella parte in cui si afferma che «la decisione di annullamento delle norme censurate non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate; compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto», con la conseguenza che «le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono, in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso»; che, parimenti, non puo' condividersi l'errata giustificazione ed interpretazione sulla «continuita' dello Stato», dato che dette statuizioni confliggono prima di tutto con il citato art. 136 della Costituzione e l'art. 30 della legge n. 87/1953, in quanto, fronte a rapporti pendendi (e non esauriti) esistenti in Parlamento al momento della pubblicazione sentenza della Corte costituzionale n. 1/2014 (cosi' come anche quelli successivi), come sopra motivato, la sentenza della Corte costituzionale ha efficacia ex tunc ovvero annulla completamente le elezioni politiche effettuate nel 2013 sin dall'origine, saturando completamente l'elezione dei parlamentari eletti nella XVII legislatura ovvero la loro capacita' giuridica nell'ambito di tali funzioni, ivi compresa l'elezione del Presidente della Repubblica avvenuta nel gennaio 2015, con evidente lesione del diritto di voto del cittadino ovvero lesione dei principi sanciti dal citato art. 3 del Protocollo addizionale della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, potendo lo stesso odierno giudice di pace svincolarsi dalle valutazioni svolte in parte qua dalla Corte di cassazione nel caso di specie, in quanto non conformi al diritto dell'Unione europea, cosi come teste' rappresentate (Corte di giustizia europea - sentenza 20 ottobre 2011 - causa C-396/2009); che la suddetta tesi e' confermata dal saggio' del Presidente Emerito della Corte costituzionale dott. prof. Gustavo Zagrebelski «Un anno di Parlamento abusivo», riportato sulla Rivista «Giurisprudenza costituzionale» n. 3/2014 (vedi allegato n. 9). Cosi' anche: Francesco Felicetti (Presidente di sezione Corte di cassazione), nel saggio «Democrazia rappresentativa e illegittimita' costituzionale delle leggi elettorali» osservatorio costituzionale fascicolo 1/26 del 26 aprile 2016. Cosi' anche le dichiarazioni di altro Presidente della Corte costituzionale ovvero di Pietro Alberto Capotosti (estrapolate da: «Orizzonte 48-Gli effetti della sentenza sul porcellum»): «Dal giorno dopo la pubblicazione della sentenza questo Parlamento e' esautorato perche' eletto in base ad una legge dichiarata incostituzionale. Quindi non potra' piu' fare niente e questo e' drammatico». Tesi, quindi, confermate dalle sentenze della Corte costituzionale n. 139/1984, n. 50/1989, n. 266/1988, ecc.), in ordine all'efficacia ex tunc ed ex nunc della sentenza della Corte costituzionale n. 1/2014. che anche la Corte di cassazione, con varie sentenze dello stesso tenore giuridico (ad es. n. 1384/1975, n. 585/1976) ha statuito che: «La dichiarazione di illegittimita' costituzionaie di una norma di legge comporta non gia' l'abrogazione, o la declaratoria di inesistenza o di nullita', o l'annullamento della norma dichiarata incostituzionale, bensi' la disapplicazione della stessa dando luogo a un fenomeno che si colloca, sul piano effettuale, in una posizione intermedia tra l'abrogazione, avente di regola efficacia ex nunc, e l'annullamento che, normalmente, produce effetti ex tunc. Pertanto, la norma dichiarata costituzionalmente illegittima deve essere disapplicata con effetti ex nunc o con efficacia ex tunc, a seconda che tale diversa efficacia nel tempo della dichiarazione di incostituzionalita' discenda dalla natura o dal contenuto della norma illegittima, oppure dalla portata del precetto costituzionale violato o dal diverso grado del contrasto tra quest'ultimo e la norma di legge, ovvero, infine, dalla natura del rapporto sorto nel vigore della norma successivamente dichiarata incostituzionale. Fuori delle ipotesi, aventi caratteri di eccezionalita', in cui essa travolge tutti gli effetti degli atti compiuti in base alla norma illegittima; la dichiarazione di incostituzionalita' (avuto riguardo al precetto costituzionale violato, alla disciplina dettata dalla norma riconosciuta costituzionalmente illegittima e alla natura del rapporto disciplinato da quest'ultima) comporta la caducazione dei soli effetti non definitivi e, nei rapporti ancora in corso di svolgimento, anche degli effetti successivi alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, restando quindi fermi quelli effetti anteriori che, pur essendo riconducibili allo stesso rapporto non ancora esaurito, abbiano definitivarnente conseguito, in tutto o in parte, la loro funzione costitutiva, estintiva, modificativa o traslativa di situazioni giuridicamente rilevanti; che la norma residua della legge elettorale de qua, derivante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 1/2014, cioe' quella risultante dalla abrogazione o annullamento costituzionale, doveva ritenersi, in ogni caso, immediatamente applicabile, tanto da consentire la rinnovazione delle elezioni delle assemblee parlamentari, e non determinare illegittimamente (diciamo cosi') la continuazione dell'attivita' parlamentare della XVII legislatura (vedi Corte costituzionale sentenza n. 13/1999, n. 26/1997, ecc.).