TRIBUNALE DI UDINE 2ª sezione civile II Tribunale di Udine, 2ª sezione civile, riunito in Camera di consiglio nelle persone dei signori magistrati: dott. Francesco Venier, Presidente; dott. Andrea Zuliani, Giudice relatore; dott. Gianmarco Calienno, Giudice; nel procedimento per dichiarazione dello stato di insolvenza di «Zoe' Societa' Cooperativa a r.l. in liquidazione», in liquidazione coatta amministrativa, su ricorso presentato dal commissario liquidatore, dott. Moris Job; sentiti, tramite il giudice delegato all'istruttoria, il commissario liquidatore, il rappresentante dell'autorita' regionale di vigilanza sulle cooperative e il liquidatore della societa' Alessandro Zannier; ha pronunciato la seguente ordinanza. Il processo. «Zoe' Societa' Cooperativa a r.l. in liquidazione» e' stata posta in liquidazione coatta amministrativa con delibera 3. luglio 2020 della Regione Friuli-Venezia Giulia, in quanto insolvente e, quindi, ai sensi dell'art. 2545-terdecies del codice civile. In conformita' a quanto previsto dall'art. 202, legge fallimentare, il commissario liquidatore chiede ora al tribunale di pronunciare sentenza che accerti lo stato di insolvenza sussistente «al tempo in cui e' stata ordinata la liquidazione». Il dato normativo. L'art. 2545-terdecies del codice civile non richiede altri requisiti per l'apertura della liquidazione coatta amministrativa, se non che si tratti di una societa' cooperativa e che sia insolvente. Analogamente, l'art. 202, legge fallimentare non prevede che il giudice accerti altri requisiti per la pronuncia della sentenza di accertamento dello stato di insolvenza, se non che si tratti di un'impresa nei cui confronti e' stata disposta la liquidazione coatta amministrativa e che sia, appunto, insolvente (allo stesso modo, l'art. 195, legge fallimentare, nel disciplinare l'ipotesi in cui l'accertamento dello stato di insolvenza venga richiesto prima che l'impresa sia posta in liquidazione coatta amministrativa, impone al tribunale di accertare soltanto l'insolvenza e che si tratti di impresa «soggetta a liquidazione coatta amministrativa con esclusione del fallimento»). In particolare, l'art. 202 (cosi come l'art. 195) non richiama le disposizioni della legge fallimentare che, ai fini della dichiarazione di fallimento di un'impresa, richiedono la presenza, oltre al requisito oggettivo dell'insolvenza (art. 5), anche del requisito soggettivo attinente alle dimensioni dell'impresa e al tipo di attivita' svolta (art. 1). E' quindi opinione comune, sulla base del dato normativo, che il tribunale debba procedere all'accertamento dello stato di insolvenza di una cooperativa senza che assumano alcuna rilevanza le dimensioni dell'impresa e anche il tipo di attivita' esercitata (in particolare, commerciale o agricola). Per quanto riguarda la giurisprudenza di legittimita', non si conoscono precedenti in termini, ma esiste una decisione che ha escluso la rilevanza, ai fini della pronuncia della sentenza di accertamento dello stato di insolvenza di una cooperativa, del particolare requisito integrativo di fallibilita' posto dall'art. 15, comma 9, legge fallimentare, che stabilisce il divieto di dichiarare il fallimento di un'impresa commerciale se «l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell'istruttoria prefallimentare e' complessivamente inferiore a euro trentamila». Cassazione civ., sez. I, 22 aprile 2013, n. 9681, ha infatti statuito che «la dichiarazione dello stato di insolvenza della societa' cooperativa esclusivamente mutualistica, a norma dell'art. 195, legge fallimentare, non e' impedita dalla circostanza che l'ammontare dei debiti della societa', scaduti e non pagati, sia complessivamente inferiore a euro 30.000, non applicandosi in questo caso l'art. 15, ult. comma della medesima legge». Sebbene motivata anche sul ritenuto carattere eccezionale della norma contenuta nell'art. 15, comma 9, legge fallimentare, e sulla conseguente sua inapplicabilita' in via analogica, la sentenza sottolinea che l'art. 15, comma 9, non e' richiamato dalle disposizioni della legge fallimentare sulla liquidazione coatta amministrativa e, in particolare, dall'art. 195, sicche' essa si puo' considerare un precedente orientato nel senso della interpretazione letterale di tali disposizioni e, quindi, nel senso della irrilevanza dei requisiti soggettivi di fallibilita' ai fini dell'accertamento dello stato di insolvenza. La questione di illegittimita' costituzionale. La competente autorita' amministrativa ha disposto la liquidazione coatta di «Zoe' Societa' Cooperativa a r.l. in liquidazione» in quanto insolvente e in quanto cooperativa, nessun altro requisito essendo previsto dall'art. 2545-terdecies del codice civile. Nel caso di specie, non e' in discussione la scelta del legislatore di assoggettare le cooperative, in quanto tali, alla liquidazione coatta amministrativa piuttosto che al fallimento (ne' che tale scelta del legislatore sia stata solo parziale per le cooperative che svolgono attivita' commerciale, le quali - ai sensi dell'art. 2545-terdecies, comma 10, secondo periodo - possono essere assoggettate tanto a fallimento quanto a liquidazione coatta amministrativa, in base al criterio della priorita' cronologica, nel senso che la dichiarazione di fallimento preclude la liquidazione coatta amministrativa, e il provvedimento di liquidazione coatta amministrativa preclude la dichiarazione di fallimento»: art. 196, legge fallimentare e art. 2545-terdecies comma 2 del codice civile). La scelta di sottoporre le societa' cooperative insolventi a una procedura concorsuale affidata prevalentemente all'autorita' amministrativa e' coerente con il sistema di controlli predisposto dal codice civile e dalle leggi speciali a presidio della corretta destinazione e gestione degli incentivi pubblici elargiti, sotto varie forme, a questo specifico settore economico. Si tratta, invece, di verificare se sia altrettanto coerente al sistema e, soprattutto, se sia rispettoso dei principi e delle disposizioni costituzionali, che di una impresa in forma di societa' cooperativa debba essere accertato con sentenza lo stato di insolvenza anche quando le dimensioni o il tipo di attivita' svolta siano tali per cui quell'impresa, ove fosse stata costituita in altra forma e, in particolare, in forma di societa' lucrativa, non sarebbe assoggettabile a fallimento. Si tratta, in altri termini, di considerare se sia legittimo che di una cooperativa, in quanto tale, sia accertato con sentenza lo stato di insolvenza, a prescindere dai requisiti soggettivi che sono richiesti per assoggettare al fallimento una impresa costituita in forma non cooperativistica. A tal fine, occorre considerare quali sono gli effetti dell'accertamento, con una sentenza, dello stato di insolvenza che l'autorita' amministrativa ha gia' accertato, per quanto le compete, quale presupposto per disporre la liquidazione coatta amministrativa. Gli effetti della sentenza sono essenzialmente due: a) l'applicabilita', a far tempo dalla messa in liquidazione coatta, del particolare regime delle azioni revocatorie fallimentari (titolo II, capo III, sezione III, della legge fallimentare, cui fa rinvio l'art. 203); b) l'applicabilita' delle disposizioni penali contenute nel titolo VI della legge fallimentare (come precisa l'art, 237). A tali specifici fini, la legge non considera sufficiente l'accertamento dell'insolvenza da parte dell'autorita' amministrativa, ma richiede il passaggio davanti all'autorita' giudiziaria per un accertamento con sentenza, previa instaurazione del contraddittorio «nei confronti degli ultimi titolari dell'organo esterno della societa'» (Cass. civ., sez. I, 4 luglio 2013, n. 16746, che interpreta l'attuale art. 195, legge fallimentare, che rinvia all'art. 15, cosi' rendendosi rispettoso dell'obbligo, per il tribunale, di disporre previamente la comparizione del «debitore» che era stato affermato da Corte cost. 27 giugno 1972, n. 110, pronunciando l'illegittimita' del testo originario della legge fallimentare). E tale scelta del legislatore si spiega in quanto il particolare regime di inopponibilita' alla massa dei creditori degli atti giuridici posti in essere dall'impresa prima dell'apertura della procedura concorsuale e, piu' ancora, le gravi conseguenze penali dei comportamenti dolosi a danno dei creditori rappresentano il nucleo essenziale della specialita' del diritto fallimentare, che deroga al diritto comune per affermare la par condicio creditorum e sanzionare severamente chi cerca di trarre illecito profitto dalla inevitabile necessita', per una platea potenzialmente ampia di terzi interlocutori, di esporsi nei confronti dell'impresa, facendole credito e confidando nella sua solvibilita'. Si tratta, in definitiva, di un inasprimento delle norme di diritto comune per ragioni di tutela generale, che il legislatore considera prevalenti solo laddove sussistano talune caratteristiche dell'impresa non mutualistica: attivita' commerciale e dimensioni superiori a certi limiti. La questione e' dunque se l'esercizio dell'impresa in forma di societa' cooperativa rappresenti, di per se', una valida giustificazione - alternativa rispetto alle dimensioni dell'impresa e all'attivita' commerciale - per l'applicabilita' del citato inasprimento delle norme di diritto comune. Ma il fatto stesso che questo richieda una sentenza del tribunale (analogamente a quanto avviene per la dichiarazione di fallimento) e non derivi dall'atto amministrativo, che pure ha ad oggetto il medesimo accertamento (insolvenza), induce piuttosto a pensare che gli interessi generali tutelati siano sempre quelli tipici del diritto fallimentare e non quelli a presidio dei quali e' posta l'autorita' amministrativa. In definitiva, questo collegio non riesce a ravvisare valide ragioni per cui l'inasprimento delle norme di diritto comune previsto dalla legge fallimentare dovrebbe applicarsi - solo per le societa' cooperative - a prescindere dal tipo di attivita' svolta (quindi anche per l'impresa agricola) e dalle dimensioni dell'impresa. E' da notare che, dopo l'introduzione della legge 27 gennaio 2012, n. 3 (come modificata dal decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, anch'esso con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012) le imprese non assoggettabili a fallimento (principalmente, ma non solo, imprese agricole e imprese c.d. sottosoglia) sono tuttavia assoggettabili ad altre procedure concorsuali ad esse riservate e, in particolare, alla procedura di liquidazione del patrimonio, diretta a liquidare i beni del debitore al fine di ripartirne il ricavato tra i creditori, analogamente - sotto questo profilo - a quanto avviene nel fallimento. Ebbene, la piu' vistosa differenza di disciplina tra fallimento e liquidazione del patrimonio ai sensi della legge n. 3 del 2012 consiste proprio nell'assenza, in quest'ultima procedura, di speciali azioni recuperatorie a servizio dei creditori concorsuali e di fattispecie di reato e sanzioni penali paragonabili a quelle predisposte in ambito fallimentare. In prospettiva futura, la situazione non e' destinata a cambiare, perche' le attuali disposizioni rilevanti nel caso di specie vengono riprodotte anche nel codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14: in particolare, articoli 297, comma 1, e 298, comma 1, rispettivamente corrispondenti all'art. 195 e all'art, 202, legge fallimentare, ma lo stesso vale per gli effetti della sentenza di accertamento delle stato di insolvenza e per le differenze di regime tra procedura liquidatoria «maggiore» e procedura liquidatoria «minore», al di la' del mutamento dei nomi delle procedure: liquidazione giudiziale, in luogo di fallimento; liquidazione controllata, in luogo di liquidazione del patrimonio). A questo punto, la questione che viene sottoposta alla Corte costituzionale si pone nei termini seguenti: a) e' legittima la disparita' di trattamento tra societa' cooperativa e societa' lucrativa, laddove solo per la prima, e non per la seconda, l'accertamento giudiziale dello stato di insolvenza (e, quindi, l'applicabilita' delle piu' rigorose norme fallimentari in punto azioni revocatorie e disciplina penale) deve avvenire a prescindere dalla considerazione dei profili soggettivi di fallibilita', ovverosia esercizio di un'attivita' commerciale e superamento di almeno una delle soglie dimensionali dell'art. 1, legge fallimentare? (art. 3 Cost.); b) e' legittimo il conseguente inasprimento delle norme nei confronti delle sole societa' cooperative, e dei loro amministratori, a fronte dell'impegno della Repubblica a promuovere e favorire l'incremento della cooperazione con i mezzi piu' idonei, assicurandone, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalita? (art. 45 Cost.). La rilevanza della questione. Come si desume in modo chiaro, da quanto riferito sia dal commissario liquidatore che dal precedente legale rappresentante, ma anche dal verbale di revisione dell'autorita' di vigilanza e dai bilanci di «Zoe' Societa' Cooperativa a r.l. in liquidazione», il passivo di cui quest'ultima e' gravata ammonta a euro 3.422, i ricavi degli ultimi tre esercizi sono stati nulli o modesti (nulla nel 2019 e nel 2018, euro 16.595 nei 2017) e l'attivo e', ed e' pressoche' sempre stato, pari a zero. Si tratta, quindi, chiaramente di un'impresa (l'attivita' svolta in concreto era commercio di fiori e piante, fino alla messa in liquidazione nella primavera del 2018) che, anche ove fosse stata costituita in forma di societa' lucrativa, non sarebbe stata assoggettabile a fallimento, perche' ampiamente al di sotto di tutti i limiti dimensionali previsti dall'art. 1, comma 2, legge fallimentare. Inoltre, essendo l'ammontare complessivo dei debiti ben lontano dall'importo di euro 30.000, di un'impresa individuale o di una societa' lucrativa che si trovasse nelle medesime condizioni non si potrebbe dichiarare il fallimento anche per il disposto dell'art. 15, comma 9, legge fallimentare. Di conseguenza, ora il Tribunale si trova nella condizione di accogliere la domanda del commissario giudiziale, accertando con sentenza lo stato di insolvenza di «Zoe' Societa' Cooperativa a r.l. in liquidazione», solo perche' l'art. 202, legge fallimentare, non prevede, a tal fine, altri requisiti che lo stato di insolvenza. Viceversa, il Tribunale dovra' rigettare la domanda, per la mancanza di uno dei presupposti di legge, qualora dovesse essere dichiarata l'illegittimita' della disposizione di legge, nei termini qui prospettati.