TRIBUNALE ORDINARIO DI ROVIGO Sezione Esecuzioni Immobiliari Nell'esecuzione immobiliare iscritta al n. r.g. 194/2019; Il giudice dott. Giulio Borella, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 15 gennaio 2021, ha pronunciato la seguente ordinanza: visto il pignoramento notificato in data 12 novembre 2019 col quale Unione di banche italiane Spa ha promosso espropriazione immobiliare nei confronti di Polato Renato; rilevato che il creditore procedente ha iscritto la procedura esecutiva a ruolo; rilevato che il medesimo in data 27 dicembre 2019 ha depositato istanza di vendita e ha depositato la documentazione di cui all'art. 567 del codice di procedura civile; rilevato che all'udienza ex art. 569 del codice di procedura civile del 15 gennaio 2021 il creditore procedente ha chiesto la vendita dell'immobile; rilevato che, a detta del custode, l'immobile pignorato costituisce abitazione principale del debitore e, quindi, dovrebbe essere disposta la sospensione ex lege delle procedure esecutive immobiliari che abbiano ad oggetto l'abitazione principale del debitore, ex art. 54-ter del decreto-legge n. 18/2020, novellato dapprima dall'art. 4 del decreto-legge n. 137/2020 e poi dall'art. 13, comma 14, del decreto-legge n. 183/2021; visto l'art. 54-ter del decreto-legge n. 18/2020, inserito dalla legge di conversione n. 27/2020; visto l'art. 4 del decreto-legge n. 137/2020; visto l'art. 13, comma 14, del decreto-legge n. 183/2020; rilevato che, per effetto delle predette disposizioni normative, l'esecuzione che abbia ad oggetto l'abitazione principale del debitore deve essere sospesa fino al 30 giugno 2021; Solleva eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 4 del decreto-legge n. 137/2020 e dell'art. 13, comma 14, del decreto-legge n. 183/2020, in quanto confliggenti con gli articoli 3, 41, 42, 47, 24, 111, 117 della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, in relazione all'art. 13 della Carta di Nizza, per i seguenti MOTIVI 1. Liberta' di iniziativa economica, affidamento dei cittadini, inosservanza di norme sovraordinate. L'art. 54-ter del decreto-legge n. 18/2020 (inserito dalla legge di conversione n. 27/2020) ha previsto la sospensione delle procedure esecutive per il pignoramento immobiliare, aventi ad oggetto l'abitazione principale del debitore. La sospensione ha avuto inizialmente una durata di sei mesi, dal 30 aprile 2020 fino al 31 ottobre 2020, ma per effetto delle disposizioni censurate essa e' stata dapprima prorogata fino al 31 dicembre 2020, quindi ora fino al 30 giugno 2020. L'art. 4 del decreto-legge n. 137/2020, inoltre, ha previsto l'inefficacia dei pignoramenti immobiliari notificati fino alla entrata in vigore della legge di conversione del decreto stesso (il che non p ancora avvenuto). Ebbene, si ritiene che l'inefficacia dei nuovi pignoramenti e le proroghe all'efficacia dell'art. 54-ter del decreto-legge n. 18/2020 (e quindi la proroga della sospensione delle procedure esecutive immobiliari), dapprima in forza dell'art. 4 del decreto-legge n. 137/2020, poi in forza dell'art. 13, comma 14, del decreto-legge n. 183/2020, contrastino innanzitutto con gli articoli 3, 41, 117 della Costituzione (quest'ultimo in relazione all'art. 2 del Trattato sull'Unione europea, all'art. 3 della Costituzione per l'Europa e all'art. 16 della Carta di Nizza). L'art. 41, comma 1, della Costituzione prevede che l'iniziativa economica privata e' libera. Essa si svolge in un contesto che e' quello descritto dall'art. 2 del Trattato sull'Unione europea, che parla di un'Europa basata sulla crescita economica, la stabilita' dei prezzi, un'economia sociale di mercato altamente competitiva. Le disposizioni censurate pregiudicano l'affidamento dell'imprenditore sulla stabilita' del sistema, sulla certezza e speditezza delle procedure di recupero dei crediti, che come noto costituiscono un mezzo di finanziamento dell'impresa. Con cio' pregiudicano la possibilita' stessa dell'imprenditore di programmare la propria attivita' e, in definitiva, di fare impresa. Infatti per l'art. 2740 del codice civile il debitore risponde delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri; per l'art. 2910 del codice civile poi il creditore, per conseguire quanto gli spetta, puo' far espropriare i beni del debitore, secondo le norme del codice di procedura civile. L'espropriazione civile contribuisce quindi al funzionamento dell'economia di mercato, perche' la certezza di un rapido recupero del credito comporta una maggior sicurezza e speditezza nella circolazione dei beni e servizi e in genere nei traffici economici. L'impatto delle espropriazioni immobiliari sull'economia e' certo ed e' ben espresso nelle linee guida per le esecuzioni immobiliari dell'11 ottobre 2017 del C.S.M., paragrafo § 4, da intendersi in parte qua ivi integralmente richiamato. Vi e' altresi' un necessario e imprescindibile affidamento del privato sulla stabilita' dell'ordinamento, nel momento in cui lo stesso avvia una iniziativa imprenditoriale, quale il recupero giudiziale di un credito. Se e' vero che il processo e' retto dal principio tempus regit actum, cio' e' vero unicamente per le disposizioni di carattere formale, quelle cioe' che disciplinano semplicemente le modalita' di svolgimento del processo, non certo per quelle che, pur disciplinando il processo (come nel caso della sospensione), incidano pero' anche su posizioni giuridiche soggettive, procrastinando il conseguimento del bene della vita cui l'iniziativa e' rivolta. La Corte costituzionale ha gia' precisato che vi e' lesione della liberta' di iniziativa economica, allorche' l'apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio non corrisponda all'utilita' sociale o alla protezione di valori primari, attinenti alla persona umana, ai sensi dell'art. 41, secondo comma, della Costituzione, purche' l'individuazione sociale non appaia arbitraria e gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue. A sua volta la Corte ha precisato, con riferimento alla tutela dell'affidamento dei cittadini, che vi e' lesione del principio del legittimo affidamento nella sicurezza giuridica, salvo che vi siano interessi pubblici sopravvenuti tali da giustificare il fatto di andare ad incidere peggiorativamente su posizioni consolidate, con l'unico limite della proporzionalita' dell'incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti. Nel caso di specie come detto va riconosciuto che le iniziative giudiziarie di recupero dei crediti rientrano nel concetto di attivita' d'impresa e di iniziativa economica. Cio' e' ancor piu' vero, poi, per tutti quei soggetti, quali le banche, tra le cui attivita' istituzionali vi e' la concessione del credito, sicche' il relativo recupero (e l'affidamento sulla prontezza del recupero, attraverso le procedure e i mezzi messi a disposizione dallo Stato) non e' attivita' occasionale, bensi' un ramo determinante dell'attivita'. Ogni discussione sul punto non puo' certo prescindere dalla realta' economica e giudiziaria concreta, che e' quella per cui la maggioranza delle esecuzioni immobiliari sono avviate da istituti di credito. Il complesso tema dei NPL, che non e' qui il caso di affrontare, e' li' a ricordarlo e a dimostrarlo, trattandosi anzi di problema che trascende il singolo creditore, per diventare questione di sistema, dalla cui soluzione dipendono la stabilita' del sistema stesso. Di conseguenza l'impatto delle disposizioni sull'iniziativa economica, in questo settore, deve essere valutato con estremo rigore; i principi di necessita', adeguatezza e proporzionalita' di ogni intervento normativo che vada ad incidere sull'iniziativa economica, nei termini sopra descritti, devono essere valutati con estremo rigore, per le ricadute di sistema che ne possono conseguire nell'ambito di cui si discute e per la qualita' dei soggetti coinvolti. Tradizionalmente sono stati ritenuti legittimi limiti imposti all'iniziativa economica e alla liberta' d'impresa quelli dovuti a motivi di lavoro, ambiente e salute (sempre a condizione di proporzionalita'). Ebbene, deve ritenersi che nel caso di specie manchino i presupposti individuati dalla Corte costituzionale perche' siano legittimi interventi limitativi dell'iniziativa economica, della liberta' d'impresa, dell'affidamento dei cittadini che ne costituisce il presupposto. La ratio della norma non puo' infatti essere individuata nell'esigenza di tutela di una parte colpita dalla crisi scatenata dall'emergenza Covid: le procedure sospese alla data del 30 aprile 2020 riguardano debitori divenuti insolventi ben prima di quella data. La ratio non puo' neppure essere quella, sempre legata all'emergenza sanitaria, di tutela della salute pubblica: non avrebbe senso altrimenti fermare solo le procedure aventi ad oggetto l'abitazione principale del debitore e, in ogni caso, il fine sarebbe gia' adeguatamente assicurato con le ordinarie misure dell'uso della mascherina, del distanziamento sociale e dell'igienizzazione frequente, oltre che con la possibilita' di celebrare le udienze da remoto o con trattazione scritta, oltre che, quanto alle vendite, mediante le vendite telematiche. In questo modo le procedure esecutive immobiliari (sull'abitazione principale del debitore) potrebbero proseguire, al pari di come stanno proseguendo le cause civili ordinarie e i processi penali presso ogni tribunale. La ratio, a giudicare dal riferimento all'abitazione principale del debitore, intende quindi probabilmente tutelare il bisogno abitativo di una categoria di cittadini. Va ribadito tuttavia che una tale finalita' e' estranea all'emergenza Covid (non essendo il problema abitativo dei debitori attualmente esecutati collegato alla pandemia) e si tratta piuttosto di una ordinaria scelta di politica abitativa da parte del legislatore. Si tratta pero' di una scelta alla quale dovrebbe provvedere lo stesso legislatore e che questi, invece, scarica su un'altra parte di cittadini (tra l'altro quella contrapposta al debitore esecutato), con una scelta di parte non giustificata da ragioni redistributive, oltre che pesantemente pregiudizievole per l'affidamento e la liberta' d'impresa dei soggetti interessati. Difetta dunque il requisito di necessita' dell'intervento sospensivo del legislatore, che, nel pregiudicare l'affidamento del cittadino e la liberta' di iniziativa economica (le due cose sono collegate), lo fa per sgravarsi dal dovere di risolvere un problema abitativo di carattere generale e non eccezionale, non determinato cioe' dall'emergenza sanitaria in corso, ma ad esso antecedente. In ogni caso la Corte costituzionale ha gia' affermato che le esigenze di utilita' sociale (soprattutto se riferite ad un generico bisogno abitativo, come nella specie) debbono essere bilanciate col principio della concorrenza (Corte costituzionale n. 386/1996), tenuto altresi' conto che l'individuazione di tali esigenze non deve essere arbitraria e/o perseguita dal legislatore con misure palesemente incongrue (Corte costituzionale n. 548/1990), assumendo valore anche il carattere temporalmente limitato della disciplina che le prevede (Corte costituzionale n. 94/2009), mentre nella specie la sospensione e' destinata a durare oltre un anno. In ogni caso l'iniziativa economica non puo' essere funzionalizzata: sempre a detta della Corte, nell'individuazione da parte del legislatore dell'utilita' sociale, gli interventi legislativi non debbono essere tali da condizionare le scelte imprenditoriali in modo cosi' elevato, da indurre sostanzialmente la funzionalizzazione dell'attivita' economica (Corte Costituzionale n. 548/1990), come e' nella specie, dove una delle ordinarie attivita' di qualsiasi impresa rimane impedita per tutelare (ed e' qui la funzionalizzazione) un generico bisogno abitativo che dovrebbe rimanere a carico della collettivita', per un tempo elevato (oltre un esercizio). Le norme censurate violano l'iniziativa economica anche perche' pregiudicano irragionevolmente, oltre quanto necessario e in maniera sproporzionata, l'imprenditore che debba procedere al recupero forzoso del credito, rispetto all'imprenditore che non debba ricorrere allo Stato per ottenere l'adempimento degli obblighi della propria controparte, impattando sulla concorrenza. La Corte costituzionale ha gia' avuto modo di evidenziare come la liberta' di concorrenza tra imprese abbia una duplice finalita': da un lato essa integra la liberta' di iniziativa economica, che spetta nella stessa misura a tutti gli imprenditori, e dall'altro, e' diretta alla protezione della collettivita', in quanto l'esistenza di una pluralita' di imprenditori in concorrenza tra loro giova a migliorare la qualita' dei prodotti e a contenerne i prezzi (Corte costituzionale n. 94/2009). La concorrenza e' totalmente falsata dalle norme censurate, in quanto, se un imprenditore puo' imputare a rischio d'impresa che certi clienti non onorino gli impegni assunti e, quindi, se puo' imputare sempre a rischio d'impresa la necessita' di dover procedere giudizialmente al recupero dei crediti e i tempi necessari, per tal via, per conseguire il bene della vita (predisponendo all'uopo anche i necessari mezzi, caparre, garanzie, penali, accantonamenti, riserve, ecc.), non rientra certo nel rischio d'impresa che le regole del gioco vengano modificate a partita iniziata, alterando la necessaria, sana programmazione e pianificazione aziendale. Se poi si considera, come gia' evidenziato, che la maggior parte delle espropriazioni immobiliari e' avviata da istituti di credito e/o societa' veicolo per il recupero di NPL, l'aspetto della sana programmazione e pianificazione e l'impatto delle disposizioni censurate sulla programmazione aziendale e sulla concorrenza appare ancor piu' evidente. 2. Ablazioni reali. Sotto altro profilo, le disposizioni censurate violano l'art. 42, comma 3, della Costituzione, a norma del quale la proprieta' privata puo' essere, nei casi previsti dalla legge e dietro indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale. Le modalita' attraverso cui il creditore puo' trovare soddisfazione non contemplano solo la trasformazione del bene pignorato in denaro, mediante la vendita forzata. La soddisfazione del creditore puo' realizzarsi anche attraverso la richiesta di assegnazione del bene, in caso di asta deserta. Sempre nell'ambito del complesso settore dei NPL, anzi, deve rilevarsi come molte delle societa' veicolo, verso le quali le banche cartolarizzano i propri crediti deteriorati, utilizzino questa possibilita' al fine di evitare manovre speculative e, quindi, l'eccessiva svalutazione di assets che magari hanno un mercato e quindi un valore importante (non per niente proprio la disciplina dell'assegnazione venne modificata col decreto-legge n. 83/2015, convertito con legge n. 132/2015), proprio per rendere piu' agevole alle societa' veicolo il ricorso a questo strumento. La sospensione della liquidazione dei beni pignorati impedisce ovviamente anche al creditore di divenirne proprietario tramite l'istanza di assegnazione. All'espropriare, ossia al provvedimento ablativo della proprieta', deve ritenersi equivalente l'impedimento imposto alla possibilita' di divenire proprietario. Tale sacrificio puo' essere imposto per legge, quando sia necessario per finalita' di pubblico interesse, ma solo dietro indennizzo o altra forma di intervento compensativo del pregiudizio. Nel caso di specie non vi e' un interesse pubblico preminente (in forza di tutto quanto sopra detto) e non e' prevista alcuna forma di intervento compensativo. 3. Tutela del risparmio. Sotto altro profilo ancora, la norma viola l'art. 47 della Costituzione. Sul punto basti richiamare quanto sopra evidenziato in ordine all'impatto delle esecuzioni immobiliari sul circuito del credito bancario e sui NPL e, in definitiva, sulla stabilita' stessa del sistema economico. Alla stessa esigenza di tutela della stabilita' del sistema bancario presiede anche la garanzia di celere ed efficiente recupero del credito (cfr linee guida C.S.M.). Eventuali difficolta' eventualmente frapposte all'efficienza del sistema di recupero del credito, tra l'altro a partita in corso, ossia quando l'iniziativa recuperatoria e' gia' stata avviata, possono comportare il default della banca, che, in base alla direttiva UE n. 59/2014 (BRRD), recepita con decreto legislativo n. 180/2015 e n. 181/2015, puo' portare ad intaccare anche il risparmio dei depositanti. Il potenziale sacrificio del risparmio dei cittadini non risulta giustificabile per la semplice finalita' di tutela del bisogno abitativo di una classe di debitori. Ancora, le disposizioni censurate violano l'art. 47 della Costituzione anche nella parte in cui quest'ultimo prevede che la Repubblica favorisce l'accesso del risparmio alla proprieta' dell'abitazione. Ogni difficolta' (non necessaria, adeguata e proporzionata) frapposta al recupero del credito, provoca come reazione una stretta nell'erogazione di ulteriore credito da parte degli istituti, in particolare ai ceti meno facoltosi della popolazione, cosi che si produce il paradosso per cui una norma pensata per favorire una fascia di soggetti ritenuti deboli (alcuni, quelli insolventi) finisce con il danneggiare proprio l'intera fascia dalla quale molti di quei soggetti provengono. Per salvare alcuni, si danneggiano tutti. 4. Accesso alla giustizia per la tutela dei propri diritti, violazione delle norme sul giusto processo, sotto il profilo della parita' tra le parti e della ragionevole durata del processo, mancato rispetto di norme sovraordinate. Ancora, le disposizioni censurate violano gli articoli 24, 111, 117 della Costituzione. La prima disposizione prevede che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, le disposizioni sovranazionali prevedono il diritto ad un ricorso effettivo. Vi e' poi violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, previsto dall'art. 111 della Costituzione e tutelato anche dall'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, il cui rispetto e' dovuto ex art. 117 della Costituzione. Posto che l'esecuzione e' servente alla cognizione, e' evidente che il diritto di agire in giudizio e il diritto ad un ricorso effettivo vengono svuotati di significato a fronte dell'impossibilita' o eccessiva difficolta' (che e' data anche dalla sospensione continuamente prorogata) a far eseguire le decisioni giudiziarie o gli altri titoli esecutivi previsti dall'art. 474 del codice di procedura civile. Che l'eccessiva durata del processo equivalga a denegata giustizia era evidente fin dai tempi di Calamandrei ed e' oggi principio acquisito, tanto che ogni anno all'inaugurazione dell'anno giudiziario si parla della lentezza della giustizia, dell'ingiustizia e soprattutto dei costi che cio' implica, e da anni si promulgano leggi che accorciano i tempi o eliminano formalismi ritenuti inutili per giungere con rapidita' alla decisione. Nelle esecuzioni immobiliari dal decreto-legge n. 35/2005, alla legge n. 69/2009, al decreto-legge n. 83/2015, al decreto-legge n. 59/2016, per continuare con le linee guida del C.S.M. dell'11 ottobre 2017. Eventuali limitazioni all'esercizio di diritti e/o liberta' fondamentali possono essere ammesse, anche nella giurisprudenza sovranazionale, solo se siano non discriminatorie, giustificate da imperiosi motivi di interesse pubblico, essere idonee al raggiungimento dello scopo e non andare oltre quanto necessario a tal fine (cfr sentenza 31 marzo 1993 causa C-19/1992). Cosi' eventuali misure limitative dell'accesso alla giustizia e della ragionevole durata dei processi debbono essere non discriminatorie, necessarie per raggiungere finalita' di interesse pubblico di pari rango e dignita', adeguate allo scopo e proporzionate, nel senso che possono imporre un sacrificio ad una delle parti, ma non tradursi in denegata giustizia o irragionevole e sbilanciata tutela di una delle parti (che dovrebbero trovarsi in condizioni di parita'), sicche' si richiede che siano previste per un tempo limitato e che prevedano delle contropartite per alleviare il pregiudizio. Nel caso di specie tutti questi principi appaiono violati. Infatti l'intento del legislatore non puo' identificarsi nella tutela di soggetti divenuti insolventi a causa delle misure anti Covid, atteso che le procedure aperte alla data del 30 aprile 2020 riguardavano debitori gia' da tempo insolventi. La ratio non puo' identificarsi neppure nella tutela della salute pubblica, atteso che, se in occasione del primo lockdown c.d. duro vi e' stata chiusura di tutte le attivita' non essenziali, in seguito e all'attualita' vi sono misure diversificate territorialmente, a seconda del grado di rischio sanitario, ma perfino nelle zone c.d. rosse le attivita' lavorative sono consentite. Senza considerare che, in definitiva, l'unica preoccupazione dal punto di vista sanitario in materia di esecuzioni puo' essere quella di evitare assembramenti, finalita' che tuttavia puo' essere adeguatamente soddisfatta mediante altre misure gia' previste dalla legislazione emergenziale (udienza da remoto, udienza cartolare) o gia' esistenti (aste telematiche). Se la ratio quindi fosse la tutela della salute, bene sicuramente primario, la misura dell'inefficacia dei pignoramenti e della sospensione delle procedure in corso (sull'abitazione principale del debitore), cosi' come prorogata dalle disposizioni censurate, non appare necessaria/o adeguata e, comunque, e' del tutto sproporzionata, andando oltre quanto necessario allo scopo. Ma non e' la tutela della salute che le norme hanno di mira, atteso che, se cosi' fosse, non vi sarebbe ragione di impedire o sospendere solo i pignoramenti e le procedure sull'abitazione principale del debitore. La norma sarebbe allora anche del tutto irrazionale, con violazione dell'art. 3 della Costituzione. Le disposizioni censurate realizzano piuttosto una tutela generalizzata della classe debitoria (quanto meno dei debitori per i quali sia pignorata l'abitazione principale), senza distinguere tra coloro che effettivamente siano divenuti insolventi a causa della crisi Covid e coloro che invece lo erano a prescindere (e il processo, eventualmente una parentesi cognitiva all'interno dell'esecuzione, e' appunto il luogo dove anche queste questioni possono e debbono dipanarsi, nel contraddittorio tra le parti). Ancora, apparentemente la finalita' pare quella di tutelare il bisogno abitativo di una classe di cittadini. Ora la tutela sociale del debitore puo' avvenire o con intervento diretto dello Stato in favore di chi si trovi in situazione di bisogno, a tutela della dignita' della persona, oppure tramite un sacrificio imposto a certe categorie di cittadini. Tuttavia tale sacrificio deve essere necessario, adeguato e proporzionato. Insomma, lo Stato ha il dovere di aiutare i bisognosi e puo' decidere se e come intervenire, ma deve farlo in modo proporzionato e non puo' farlo a costo zero e scaricando su una categoria di cittadini (tra l'altro la parte contrapposta a quella in stato di bisogno) i costi per la tutela di altra categoria di cittadini. Se l'intento del legislatore e' quello di realizzare una tutela generalizzata di una classe di debitori (quelli per i quali e' pignorata l'abitazione principale), lo strumento esiste gia', ed e' la disciplina sul sovraindebitamento (legge n. 3/2012 e, oggi, le disposizioni del C.C.I.I., per effetto della legge n. 176/2020), mentre l'inefficacia dei pignoramenti e la sospensione delle procedure in corso non fa che procrastinare il problema e l'agonia del debitore stesso. Il che vieppiu' fa apparire sproporzionata e irragionevole la misura dell'inefficacia dei pignoramenti prevista dall'art. 4 del decreto-legge n. 137/2020 e la proroga della sospensione delle procedure gia' avviate, prevista dallo stesso art. 4 e dall'art. 13, comma 3, del decreto-legge n. 183/2020. In realta' la finalita' del legislatore pare essere puramente e semplicemente quella di una tutela di principio del ceto debitorio (tutela alla quale gia' provvede adeguatamente la disciplina sovraindebitamento), con una immotivata discesa in campo dello Stato nell'ambito di questioni di carattere privatistico, in violazione della parita' e uguaglianza dei cittadini (art. 3 della Costituzione) e del principio di responsabilita' delle proprie azioni (art. 2 della Costituzione in relazione all'art. 2740 del codice civile). In ogni caso difettano le condizioni della limitata durata (si va verso i quattordici mesi di sospensione, salvo ulteriori proroghe) e delle misure compensative. In relazione alle censure sopra evidenziate meritano di essere richiamati alcuni precedenti della Corte costituzionale su questioni analoghe. Nella sentenza n. 155/2004, avente ad oggetto proroga in materia di sfratti, il giudice delle leggi aveva richiamato la propria precedente sentenza n. 310/2003, nella quale aveva affermato che il legislatore, pur dovendosi far carico dei soggetti in situazioni di bisogno, non puo' tuttavia indefinitamente limitarsi, per di piu' senza alcuna valutazione comparativa, a trasferire l'onere relativo in via esclusiva a carico del privato (il locatore nel caso all'esame della Corte), che potrebbe trovarsi in identiche o anche peggiori situazioni di disagio. Sicche', sempre a giudizio della Corte, il sacrificio imposto ad un soggetto per tutelare altro soggetto debole puo' giustificarsi solo per un periodo transitorio ed essenzialmente limitato, il che non e' nella specie, atteso che la sospensione delle esecuzioni immobiliari perdura da aprile 2020 e, nell'intenzione del legislatore, e' destinata a protrarsi fino a giugno 2021 (salvo ulteriori proroghe). Infatti, prosegue la Corte, non solo non e' prevista alcuna comparazione tra la posizione delle parti, ma neppure e' prevista una congrua misura che, addossando alla collettivita' l'onere economico inerente la protezione di una categoria di soggetti, allevii il pregiudizio delle categorie sacrificate. Il vulnus che le proroghe arrecano alla ragionevole durata del processo e alla coerenza dell'ordinamento e' evidenziato anche in altre sentenze (cfr Corte costituzionale n. 108/1986). Per concludere, con la sentenza n. 186/2013 la Corte ha ritenuto lesi i principi di ragionevolezza, uguaglianza, tutela giurisdizionale dei diritti, legittimo affidamento dei creditori, le condizioni di parita' tra i litiganti, in quanto venivano ad essere vanificati gli effetti della tutela giurisdizionale gia' conseguita da numerosi creditori (nel caso della sentenza in commento i creditori delle ASL), in assenza delle condizioni di temporaneita' e di garanzia di realizzazione del diritto oggetto di procedura esecutiva, in presenza delle quali la stessa aveva, in precedenza, ritenuto tollerabili i sacrifici imposti. Infine, quanto alla tutela del bisogno abitativo di alcuni cittadini, valga quanto segue. Va premesso e ribadito innanzitutto che trattasi di problema che prescinde dall'emergenza sanitaria, trattandosi di bisogno abitativo non generato dalla pandemia, sicche' trattasi di una ordinaria scelta politica nell'affrontare il problema della soluzione abitativa di una classe di cittadini. Cio' deve essere tenuto ben presente nel giudicare della necessita', adeguatezza e proporzionalita' delle misure, in quanto e' evidente che, se il bisogno fosse creato dall'emergenza, l'urgenza di provvedere del legislatore giustificherebbe un minor rigore nella valutazione. Nella Costituzione non esiste un diritto alla casa (tanto meno a conservarla quando, ad esempio, la si e' data in garanzia o, comunque, il che e' lo stesso, si debba rispondere ex art. 2740 del codice civile), atteso che l'art. 47 della Costituzione prevede unicamente la tutela del risparmio (necessario per poter accedere alla proprieta') e il dovere dello Stato di creare le condizioni affinche' tutti possano accedere alla proprieta'. Il discorso dell'abitazione e' quindi piu' che altro un discorso di dignita' umana, da inquadrare nell'ambito dell'art. 2 della Costituzione, come emerge anche dall'art. 25 della Carta ONU, ove si legge che ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali essenziali. Si possono quindi leggere pronunce della Corte costituzionale che affermano come sia doveroso da parte della collettivita' impedire che delle persone possano rimanere prive di abitazione (Corte Costituzionale n. 49/1987), o che il diritto all'abitazione rientra tra i requisiti essenziali caratterizzanti la societa' cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione (cfr Corte costituzionale n. 217/1988). Tuttavia deve comunque rilevarsi che le misure previste dalle disposizioni censurate, se la ratio e' quella di risolvere un bisogno abitativo, lo fanno addossando l'onere alla controparte processuale (e sostanziale), non ponendo l'onere a carico della collettivita', cosi' violando la parita' tra le parti in causa stabilita dall'art. 111 della Costituzione. Le disposizioni censurate inoltre non appaiono indispensabili allo scopo e, comunque, sono del tutto inadeguate e sproporzionate atteso che basterebbe prevedere una graduazione degli sfratti, come gia' previsto in passato - e di recente dal decreto-legge n. 102/2013, convertito con legge n. 124/2013, attuato con decreto ministeriale 14 luglio 2014 del Ministero delle infrastrutture -, per consentire alla pubblica autorita' competente di reperire un'alternativa abitativa, mentre appare ultroneo rendere inefficaci i pignoramenti e/o sospendere l'intero processo. Comunque si tratta di misure non previste per un periodo limitato di tempo (lo erano forse nella prima fase, ma ormai perdurano da otto mesi e sono destinate a proseguire per altri sei mesi almeno) e che non prevedono alcuna compensazione per la classe di cittadini danneggiata. Se poi l'idea del legislatore - come in definitiva risulta evidente essere - e' quella di introdurre una sorta di homestead exemption, anche solo temporanea, ma protratta per un periodo di tempo apprezzabile e ormai divenuto eccessivo, puo' naturalmente farlo, ma solo per il futuro (in quanto cambierebbero le condizioni di accesso al credito, le condizioni alle quali gli istituti di credito avrebbero concesso il credito finalizzato all'acquisto dell'abitazione; cosi come le condizioni e le garanzie dietro le quali i privati avrebbero concluso affari coi debitori), oppure, se intenda farlo con efficacia retroattiva, vi e' obbligo di rispetto delle condizioni previste dall'art. 3 della Costituzione e nei limiti di cui agli articoli 24, 111, 117 della Costituzione e all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, sopra descritti. La Corte della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali ha sul punto piu' volte avuto modo di censurare interventi legislativi retroattivi a processo in corso, precisando che il principio di preminenza del diritto e del processo equo di cui all'art. 6 della Convenzione si oppongono, salvo imperativi motivi di interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia (cfr Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali Scordino contro Italia 29 marzo 2006). Nella specie i motivi imperativi di interesse generale difettano, in quanto, come gia' esposto, le disposizioni censurate mirano unicamente a realizzare una tutela a partita in corso di una classe specifica di cittadini-debitori, ritenuta parte debole, oppure, a tutto concedere, a risolvere un bisogno abitativo di una parte dei cittadini, scaricandolo pero' sulla parte avversa. Limiti nel caso di specie tutti palesemente violati. A livello di giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, e' stato detto, quanto al diritto di accesso al processo - ma il discorso puo' traslarsi anche sui provvedimenti che creino immotivati ostacoli, interruzioni, sospensioni -, esiste un margine di discrezionalita' degli Stati, ed e' quindi concesso che la relativa disciplina possa variare nel tempo e nello spazio in funzione dei bisogni e delle risorse della comunita' degli individui (cfr Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali Ashingdane contro Regno Unito 28 maggio 1985 §57), ma eventuali limiti non possono restringere l'accesso in modo che il diritto venga intaccato nella sua sostanza (cfr Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali Airey contro Irlanda 9 ottobre 1979 §24) e comunque i limiti sono legittimi solo in quanto sia legittimo lo scopo e se esiste un ragionevole rapporto di proporzionalita' tra mezzi impiegati e obiettivo perseguito dallo Stato (cfr Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali Khalfaoui contro Francia 14 dicembre 1999 §36). Non v'e' dubbio che le regole del giusto processo si applichino anche alla fase esecutiva, poiche', precisa la Corte, il diritto di accesso ad un giudice sarebbe illusorio se l'ordinamento interno dello Stato permettesse che una decisione giudiziaria definitiva e obbligatoria restasse inoperante - seppur per un apprezzabile periodo di tempo, ndr -, a detrimento di un'altra parte (cfr Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali Immobiliare Saffi contro Italia 28 luglio 1999 §63). Anche alla luce della giurisprudenza sovranazionale citata, dunque, le norme censurate risultano vieppiu' illegittime.