UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE 
                             di Sondrio 
 
    Il giudice di pace dott.ssa Laura  Moroni,  letti  gli  atti  del
procedimento n. 687/2019 R.G., promosso dal sig. B. A., nato in ... e
residente in ...  (CF  ...)  contro  Prefettura  della  Provincia  di
Sondrio, in persona del  prefetto  pro-tempore,  domiciliato  per  la
carica presso il  Palazzo  della  Prefettura  sito  in  Sondrio,  via
Vittorio Veneto 27,  avente  per  oggetto  l'impugnazione,  ai  sensi
dell'art.  6,  decreto  legislativo  n.  150/2011,  dell'ordinanza  -
ingiunzione emessa dal Prefetto della  Provincia  di  Sondrio,  fasc.
968/2019 S.A., notificata in data 12 settembre 2019. 
    In  data  12  settembre  2019  veniva  notificata  al  ricorrente
ordinanza - ingiunzione per la somma  di  euro  5.000,00,  piu'  euro
10,65 di spese del procedimento; 
    Tale ordinanza - ingiunzione, emessa dalla Prefettura di Sondrio,
scaturisce dal verbale redatto  in  data  con  il  quale  il  Comando
stazione  carabinieri  di  Morbegno  ha  contestato  al  sig.  B.  la
violazione dell'art.  726  del  codice  penale  (atti  contrari  alla
pubblica decenza); 
    L'art. 726 del codice penale,  prima  di  essere  modificato  dal
decreto legislativo n. 8/2016, cosi' recitava: «Chiunque, in un luogo
pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie  atti  contrari  alla
pubblica decenza e' punito con  l'arresto  fino  ad  un  mese  o  con
l'ammenda da euro 10,00 ad curo 206,00»; 
    L'illecito configurato nell'art. 726 del codice penale era quindi
una contravvenzione punita con pena alternativa (arresto o ammenda); 
    Come anticipato, l'art. 2, comma 6  del  decreto  legislativo  15
gennaio  2016,  n.  8  ha  depenalizzato  l'illecito  in   questione,
modificando l'art. 726 del codice penale a decorrere dal  6  febbraio
2016; 
    Pertanto, l'attuale formulazione dell'art. 726 del codice  penale
- a seguito delle modifiche  apportate  dal  decreto  legislativo  15
gennaio 2016, n. 8, e' la seguente: «Chiunque, in un luogo pubblico o
aperto o esposto al pubblico,  compie  atti  contrari  alla  pubblica
decenza, e' soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da  euro
5.000,00 ad euro 10.000,00»; 
    L'intervenuta depenalizzazione ad opera del  decreto  legisaltivo
n. 8/2016 ha solo prima facie mutato  la  disciplina  in  melius,  in
quanto se e' vero che la fattispecie di cui all'art. 726  del  codice
penale non e' piu' prevista come reato, e' altrettanto vero  che  per
il  trasgressore   viene   prevista   una   sanzione   amministrativa
sensibilmente maggiore, da un minimo di euro 5.000,00  fino  ad  euro
10.000,00; 
    A parere di questo giudice, l'art. 726 del  codice  panale,  come
modificato dall'art. 2,  comma  6,  decreto  legislativo  n.  8/2016,
presenta profili di  incostituzionalita',  che  verranno  di  seguito
illustrati. 
1. Il fatto. 
    L'ordinanza  ingiunzione  impugnata  dal  sig.  B.   riporta   la
contestazione della violazione di cui all'art. 726 del codice penale,
contenuta nel verbale n. ... del ... Si legge  che  il  sig.  B.  «il
giorno ..., alle ore 00.00 in  ...  -  via  ...  veniva  sorpreso  ad
orinare in luogo pubblico all'interno del parcheggio della  discoteca
«...» in prossimita' di una delle porte di  emergenza,  nonostante  i
bagni riservati al pubblico fossero correttamente funzionanti». 
    Dalla formulazione della contestata violazione,  si  evince  come
non vi sia alcun riferimento all'elemento soggettivo del ricorrente. 
    Invero, l'art. 3 della  legge  n.  689/1981  prevede  che  «nelle
violazioni  in  cui  e'  applicabile  una  sanzione   amministrativa,
ciascuno e' responsabile della propria azione od omissione, cosciente
e volontaria, sia essa dolosa o colposa». Da  tale  disposizione,  la
giurisprudenza  maggioritaria  fa  derivare  una   vera   e   propria
presunzione relativa di colpa a carico del trasgressore: «in tema  di
sanzioni amministrative ai sensi della legge n. 689/1981, art. 3, per
le violazioni colpite da sanzione amministrativa e' necessaria  e  al
tempo stesso sufficiente  la  coscienza  e  volonta'  della  condotta
attiva o omissiva, senza che occorra la  concreta  dimostrazione  del
dolo o della colpa, giacche' la norma pone una presunzione  di  colpa
in ordine al fatto vietato in carico a colui che lo  abbia  commesso,
riservando poi a questo l'onere di provare di aver agito senza colpa»
(ex multis Cass. 13610 dell'11 giugno 2007). 
    Considerato, quindi, che la norma pone una presunzione  di  colpa
in capo al trasgressore e che, nel caso di specie, non  si  ravvisano
circostanze ed elementi tali da  far  ritenere  che  il  coefficiente
soggettivo in capo al ricorrente fosse il dolo e, per altro verso, il
sig. B non ha fornito prova di aver agito senza colpa, deve ritenersi
connotata da colpa la condotta ascritta al sig. B. 
    Il sig. B., infatti, per mera leggerezza, colto da un  impellente
bisogno di orinare, si risolveva a farlo nei pressi della discoteca E
, senza voler, neppure in via eventuale, ledere o mettere in pericolo
il bene giuridico tutelato  dall'art.  726  del  codice  di procedura
civile, ovvero la pubblica  decenza,  intesa  come  senso  comune  di
compostezza. 
    Il fatto ascrittogli puo', quindi, denotare una certa noncuranza,
trascuratezza, leggerezza, disattenzione rispetto alle norme  sociali
che regolano la convivenza, ma sicuramente non la volonta' (id est il
dolo) di offesa. 
2. Violazione dell'art. 3 della Costituzione. 
    Lo scrivente giudicante dubita della legittimita'  costituzionale
dell'art. 726 del codice penale, come modificato dall'art.  2,  comma
6, decreto legislativo n. 8/2016,  laddove  prevede  che  la  forbice
edittale  della  sanzione  amministrativa  pecuniaria  vada  da  euro
5.000,00 nel minimo ad euro  10.000,00  nel  massimo,  anche  per  le
condotte  colpose,  ravvisando  la  violazione  dell'art.   3   della
Costituzione. 
    Orbene, nel caso di specie, la sanzione comminata al sig.  B.  e'
pari ad euro 5.000,00 e la  sua  condotta  si  appalesa  e'  colposa:
pertanto la questione si presenta rilevante nel giudizio a quo. 
    In  particolare,  l'attuale  cornice  edittale   della   sanzione
amministrativa prevista nell'art. 726 del codice penale  si  appalesa
irragionevole, irrispettosa del principio di  proporzionalita'  della
pena (estensibile anche alle  sanzioni  amministrative,  come  verra'
meglio esplicato nel prosieguo) e foriera, nella sua applicazione, di
disparita' di trattamento. 
    A questo proposito, e' doveroso confrontare la fattispecie di cui
all'art. 726 del codice penale con quella prevista dall'art. 527  del
codice penale, ovvero gli «atti osceni», in quanto fattispecie affine
alla prima. 
    La dottrina maggioritaria sostiene che il criterio discretivo tra
le due fattispecie sia misto, qualitativo ma anche  quantitativo:  il
concetto di decenza, infatti, racchiuderebbe le manifestazioni  della
vita non limitate alle sessualita', presentando carattere di maggiore
ampiezza rispetto a quello di  pudore,  mentre  il  delitto  di  atti
osceni sarebbe configurabile solo qualora il  pudore  sia  offeso  in
modo giuridicamente rilevante. 
    Recentemente, la Cassazione ha affermato che  la  differenza  tra
gli atti osceni e quelli contrari alla pubblica decenza  risiede  nel
fatto  che  i  primi  presentano  sempre  una  connotazione  di  tipo
sessuale, mentre i secondi comprendono, piu' genericamente, le offese
al  pudore  intese  come  conseguenze  della  violazione   di   norme
etico-sociali che impongono decoro, riserbo e  compostezza.  In  tale
occasione, inoltre,  a  proposito  del  bene  giuridico  tutelato,  i
giudici hanno precisato che gli  atti  osceni  ledono  il  sentimento
della moralita'  sessuale  in  maniera  cosi'  elevata  da  suscitare
disprezzo e repulsione in chi vi assista, mentre, nel  caso  di  atti
contrari alla pubblica decenza, il bene giuridico si concreta con  il
venire meno del doveroso riserbo  attinente  la  sfera  sessuale  che
genera disagio, fastidio o riprovazione (Cassazione penale, sez. III,
sentenza n. 30242 del 29 luglio 2011). 
    Il criterio discretivo tra le fattispecie di  cui  agli  articoli
527 e 726 va, quindi, individuato nel contenuto  piu'  specifico  del
delitto di atti osceni, che si  richiama  alla  verecondia  sessuale,
rispetto a quel complesso di regole etico-sociali,  che  impongono  a
ciascuno di astenersi da tutto quanto possa offendere  il  sentimento
collettivo della piu' elementare costumatezza (Cassazione, sez.  III,
sentenza n. 26388 dell'11 giugno 2004). 
    Orbene, l'art. 527, primo  comma,  del  codice  penale  e'  stato
depenalizzato  dall'art.  2,  comma  1,  lettera   a)   del   decreto
legislativo 15 gennaio 2016, n. 8. 
    Prima della intervenuta depenalizzazione, l'art. 527, comma primo
del codice penale prevedeva che «chiunque  in  un  luogo  pubblico  o
aperto o esposto al pubblico, compie atti osceni  e'  punito  con  la
reclusione da tre mesi a tre anni», punendo quindi  gli  atti  osceni
compiuti con dolo. 
    A seguito della depenalizzazione operata dal decreto  legisaltivo
n. 8/2016, il primo comma  dell'art.  527  del  codice  penale  cosi'
recita: «chiunque  in  un  luogo  pubblico  o  aperto  o  esposto  al
pubblico, compie atti osceni e' soggetto alla sanzione amministrativa
pecuniaria da euro 5.000,00 ad euro 30.000,00». 
    La sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di cinquemila
euro ad un massimo di trentamila euro, e'  tuttora  applicabile  alle
sole ipotesi di atti osceni compiuti in forma dolosa. 
    Infatti, e' il terzo comma dell'art. 527  del  codice  penale  ad
essere applicabile alle fattispecie colposa,  per  espresso  disposto
legislativo: «se il fatto avviene per colpa, si applica  la  sanzione
amministrativa pecuniaria da euro 51 ad euro 309». Gli atti osceni in
forma colposa erano gia' stati depenalizzati per effetto del  decreto
legislativo n. 507/1999. 
    A parere dello scrivente giudicante, e' evidente la  lesione  del
principio di proporzionalita' della sanzione e, dunque,  dell'art.  3
della Costituzione. 
    Il legislatore, infatti, intervenendo con il decreto  legislativo
n. 8/2016 sia sull'art. 527 del  codice  penale,  primo  comma  (atti
osceni dolosi), sia sull'art. 726 del codice  penale  (atti  contrari
alla pubblica decenza), ha previsto, nell'ipotesi  di  cui  al  primo
comma dell'art. 527 (atti osceni  commessi  con  dolo)  una  sanzione
amministrativa pecuniaria da euro 5.000,00 ad euro 30.000,00, mentre,
nell'ipotesi di cui all'art. 726 del  codice  penale  (atti  contrari
alla pubblica decenza, commessi  sia  con  dolo  sia  con  colpa)  ha
introdotto una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000,00 ad
euro 10.000,00. 
    A questo proposito, si evidenzia come la sanzione  amministrativa
da  euro  5.000,00  ad  euro  30.000,00  introdotta  al  primo  comma
dell'art. 527 del codice penale riguardi  soltanto  gli  atti  osceni
commessi con dolo; nel  caso  di  atti  osceni  colposi,  invece,  la
cornice edittale della sanzione  amministrativa  e'  (rimasta)  molto
piu' bassa, ovvero da euro 51,00 ad euro 309,00. 
    Nel caso degli atti contrari alla pubblica  decenza,  invece,  il
legislatore ha previsto, sia per le ipotesi dolose,  sia  per  quelle
colpose, un'unica cornice edittale per la sanzione amministrativa: da
euro 5.000,00 ad euro 10.000,00. 
    Tale scelta legislativa, lo si ribadisce, si  appalesa  violativa
del  principio  della  proporzionalita'  della  sanzione   e   quindi
dell'art. 3 della Costituzione. 
    Infatti,  da  cio'  deriva  una  disparita'  di  trattamento   in
relazione al trattamento sanzionatorio, in  quanto  un  soggetto  che
dovesse  commettere  colposamente  atti  osceni  in  luogo  pubblico,
rischierebbe solo una sanzione amministrativa da euro 51,00  ad  euro
309,00  mentre  compiendo,  sempre  per  colpa,  atti  contrari  alla
pubblica decenza, la cornice sanzionatoria risulterebbe sensibilmente
e irragionevolmente superiore: da euro 5.000,00 ad euro 10.000,00. 
    Il vulnus inflitto dal legislatore all'art. 3 della Costituzione,
sub specie di irragionevolezza e non  proporzionalita'  della  misura
della sanzione  amministrativa  prevista  dall'art.  726  del  codice
penale e' massimo se si ha riguardo alla previsione di  cui  all'art.
3, legge n. 689/1981, per cui ciascuno e' responsabile della  propria
azione ed omissione,  cosciente  e  volontaria,  sia  essa  dolosa  e
colposa. 
    Infatti, per giurisprudenza pacifica, l'art. 3, legge n. 689/1981
pone una presunzione relativa di colpa, (ex multis,  Cass.  sent.  n.
3251 dei 10 febbraio 2009 e n. 1554 del 21 gennaio 2009), che  spetta
all'opponente in giudizio vincere. 
    Pertanto,  affinche'  possa   essere   comminata   una   sanzione
pecuniaria di (almeno) euro 5.000,00, basta che il soggetto (come  il
sig. B.), lungi dal  volere  consapevolmente  offendere  la  pubblica
decenza, colto da un impellente bisogno  di  orinare,  si  risolva  a
farlo in un luogo pubblico o aperto al pubblico. 
    Nella condotta ascritta al sig. B. puo' riscontrarsi  leggerezza,
trascuratezza rispetto a quelle  che  sono  le  norme  di  convivenza
sociale, giammai lucida  volonta'  di  porre  in  percolo  (o  peggio
ledere) il bene giuridico  protetto  dalla  norma,  ovvero  i  comuni
sentimenti  di  compostezza  e  riservatezza.   Fattispecie   colposa
connotata da una disvalore di gran lunga inferiore  rispetto  a  chi,
consapevolmente, compie atti osceni ai  sensi  dell'art.  527,  comma
primo, del codice penale, ma punita con una  sanzione  amministrativa
ingiustificatamente elevata nell'importo specie confrontandola con il
terzo comma dell'art. 527, comma terzo, del codice  penale,  che  per
gli atti osceni in forma colposa prevede una sanzione da  euro  51,00
ad euro 309,00. 
    Il  legislatore  ha  creato  una  irragionevole   disparita'   di
trattamento tra chi compie atti contrari  alla  pubblica  decenza  in
forma colposa (726 del codice penale)  e  il  soggetto  che  commette
colposamente atti osceni, per cui e' prevista una  ben  piu'  modesta
sanzione amministrativa (art. 527, terzo comma del codice penale). 
    In merito al  sindacato  sulla  proporzionalita'  della  sanzione
amministrativa che la Corte costituzionale puo' svolgere, si richiama
Corte costituzionale n. 115/2019, in cui la Corte  ha  affermato  che
«possono  essere  infatti  estesi   alla   materia   delle   sanzioni
amministrative gli approdi  della  giurisprudenza  costituzionale  in
tema di ampiezza e di limiti degli interventi di questa  Corte  sulla
misura delle sanzioni penali fissata  dal  legislatore.  In  base  ad
essi, se e' vero che non  appartengono  a  questa  Corte  valutazioni
discrezionali di dosimetria sanzionatoria,  di  esclusiva  pertinenza
del legislatore, spettando alla rappresentanza politica il compito di
individuare il grado di reazione dell'ordinamento al  cospetto  della
lesione di un determinato bene giuridico, cio' tuttavia non  preclude
l'intervento di questa stessa Corte laddove le  scelte  sanzionatorie
adottate dal legislatore si siano rivelate manifestamente  arbitrarie
o irragionevoli e il sistema legislativo consenta l'individuazione di
soluzioni, anche alternative tra loro che, per la omogeneita' che  le
connota rispetto alla norma censurata, siano  tali  da  ricondurre  a
coerenza le scelte gia' delineate a tutela  di  un  determinato  bene
giuridico, procedendo puntualmente, ove  possibile,  all'eliminazione
di ingiustificabili incongruenze».  (Corte  costituzionale,  sentenza
115/2019 che richiama la n. 236/2016 e 233/2018). «Perche'  cio'  sia
possibile - aggiunge la Corte - non e'  necessario  che  esista,  nel
sistema, un'unica soluzione costituzionalmente vincolata, in grado di
sostituirsi a quella dichiarata illegittima, come quella prevista per
una norma avente identica struttura e ratio, idonea ad essere assunta
come tertium comparationis, essendo sufficiente che  il  sistema  nel
suo complesso  offra  alla  Corte  precisi  punti  di  riferimento  e
soluzioni  gia'  esistenti  (sentenza  n.  236/2016),  ancorche'  non
costituzionalmente obbligate, che possano sostituirsi alla previsione
sanzionatone  dichiarata  illegittima»  (sentenza  n.  115/2019   che
richiama la n. 40/2019 e la n. 222/2018). 
    Sulla scorta di tali insegnamenti, si ritiene che,  nel  caso  di
specie,  l'art.  726  del  codice  penale  debba  essere   dichiarato
incostituzionale nella parte in  cui  prevede,  anche  per  gli  atti
contrari alla pubblica decenza colposi, una  sanzione  amministrativa
pecuniaria da euro 5.000,00 ad euro 10.000,00, anziche'  la  sanzione
amministrativa prevista per le ipotesi di atti  osceni  colposi)(art.
527, terzo comma, del codice penale) che va da  euro  51,00  ad  euro
309,00. 
3.  Sulla  rilevanza  e  sulla  non  manifesta   infondatezza   della
questione. 
    La rilevanza presuppone un collegamento giuridico fra norma della
cui costituzionalita' si  dubita  e  la  controversia  all'esame  del
giudice. 
    La questione  si  palesa  rilevante  nella  fattispecie  concreta
giacche' la  stessa  ha  una  incidenza  immediata  e  diretta  sulla
questione dedotta in giudizio. Infatti, posto  il  carattere  colposo
della condotta ascrivibile al sig.  B.,  troverebbe  applicazione  la
sanzione amministrativa di cui all'art. 726 del codice penale, la cui
cornice edittale va da euro 5.000,00 ad euro 10.000,00, concretandosi
la violazione dell'art. 3 della Costituzione. 
    Quanto alla non  manifesta  infondatezza,  essa  appare  evidente
laddove si consideri che non  vi  e'  spazio  per  procedere  ad  una
interpretazione cosiddetta adeguatrice della norma censurata, visto e
considerato  che  ad  essere  illegittima  costituzionalmente  e'  la
cornice sanzionatoria predisposta dal legislatore per  l'illecito  e,
sotto altro profilo, lo scrivente giudicante non puo' sottrarsi  alla
disposizione di legge procedendo alla semplice disapplicazione  della
norma reputata illegittima.