TRIBUNALE DI CATANIA sezione lavoro Ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale (articoli 134 della Costituzione e 23, legge 11 marzo 1953, n. 87) emessa nella causa civile iscritta al n. 8204/2017 R.G.L. ed in quella alla stessa riunita iscritta al n. 313/2020 R.G.L. avente ad oggetto: iscrizione alla gestione separata ex art. 2, comma 26, legge n. 335/1995 degli avvocati non tenuti all'iscrizione alla cassa forense per mancato raggiungimento delle soglie (di reddito e di volume d'affari) ex art. 22, legge n. 576/1980; promosse da Giuseppa Lucia Di Mauro, rappresentata e difesa, giusta procura in atti, dall'avv. Maria Grazia Galdino, presso il cui studio, sito in Giarre, viale Liberta' n. 5/B, e' domiciliata; Vincenzo Albana, rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'avv. Graziella Di Mauro, presso il cui studio, sito in Catania, via Principe Nicola n. 59, e' domiciliato; contro INPS, rappresentato e difeso dall'avv. Riccardo Vagliasindi, domiciliato presso la sede dell'Avvocatura provinciale sita in Catania, piazza della Repubblica, n. 26, per mandato generale alle liti n. 80974 del 21 luglio 2015, a rogito n. 21569 del Notaio dott. Paolo Castellini di Roma. 1. Premessa. Le parti attrici, avvocati del libero foro non tenuti all'iscrizione alla Cassa di previdenza forense per motivi reddituali ex art. 22, legge n. 576/1980, hanno avversato gli atti impugnati emessi dall'INPS, con i quali l'Istituto ha intimato loro il pagamento di contributi richiesti ai sensi dell'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995 (gestione separata) per periodo di competenza relativo all'anno 2010. In particolare, l'avv. Giuseppa Lucia Di Mauro ha agito contro l'avviso del 22 giugno 2016, con il quale l'INPS, in ragione del reddito imponibile di euro 4111 maturato da essa ricorrente nel 2010 quale avvocato, le ha comunicato l'iscrizione d'ufficio alla gestione separata con decorrenza dal 1 gennaio 2010 e l'ammontare degli importi conseguentemente pretesi per tale annualita', pari a complessivi euro 1920,70 (di cui euro 1098,46 a titolo di contributi ed euro 822,24 a titolo di sanzioni). Ha dedotto: 1) l'insussistenza dei presupposti per l'iscrizione alla gestione separata ex art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, tenuto conto che la norma di interpretazione autentica di cui all'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, confermerebbe che i professionisti iscritti in albi, che abbiano peraltro adempiuto al pagamento del contributo integrativo ex art. 11, legge n. 576/1980, non possono essere iscritti presso la gestione separata; che, pertanto, la pretesa dell'INPS nei suoi riguardi e' indebita, essendo essa opponente avvocato iscritto all'albo degli avvocati dal 2009 ed in regola con il pagamento del contributo integrativo ex art. 11 legge n. 576/1980 in favore della Cassa forense; 2) in subordine, la prescrizione dei crediti; 3) in ulteriore subordine, l'illegittimita' dell'avviso opposto per difetto dei requisiti fondamentali dell'atto amministrativo, in violazione degli articoli 21-septies, legge n. 241/1990, 24 e 97 della Costituzione, poiche' il detto atto, non preceduto dalla comunicazione di avvio dell'inizio del procedimento, non recherebbe l'indicazione del responsabile del procedimento, dell'ufficio ove e' possibile prendere visione degli atti, del termine e dell'autorita' per la proposizione di eventuali ricorsi, ne' conterrebbe l'indicazione dei presupposti di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione dell'Istituto. L'avv. Vincenzo Albana, invece, ha agito contro l'avviso di addebito n. 59320170007816123000, notificato il 4 dicembre 2019, con il quale l'INPS, in ragione del reddito imponibile di euro 5655 maturato da esso ricorrente nel 2010 quale avvocato, gli ha intimato il pagamento in favore della gestione separata della somma di euro 2.743,35 (di cui euro 1511 a titolo di contributi ed euro 1131,06 a titolo di sanzioni). Ha dedotto l'illegittimita' dell'avviso di addebito, evidenziando che lo stesso: 1) e' stato notificato mezzo PEC, come allegato in formato pdf, non sottoscritto con firma digitale; 2) e' relativo a somme prescritte ex art. 3, comma 9, legge n. 335/1995; 3) sarebbe stato emesso dopo che l'ente previdenziale sarebbe decaduto dall'iscrizione al ruolo ex art. 25, legge n. 46/1999; 4) erroneamente richiede somme a titolo di contributi, posto che non sarebbe stata superata la soglia reddituale minima fissata in euro 5000, al di sotto della quale non opererebbe l'iscrizione alla gestione separata. In entrambi i giudizi si e' costituito l'INPS, il quale, nel merito, ha sostenuto l'infondatezza dei ricorsi. Al riguardo, ha allegato che, nell'ambito dell'operazione di verifica denominata «Poseidone», iniziata nel corso del 2009, ha proceduto ad iscrivere d'ufficio alla gestione separata di cui all'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, a decorrere dal 1° gennaio 2004, i soggetti che avevano dichiarato redditi nel quadro RE del Mod. Unico PF per relativo anno d'imposta, in assenza di contribuzione alla suddetta gestione. Ha evidenziato che l'interpretazione sostenuta dalle parti ricorrenti risulta contrastare con l'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011 (conv. in legge n. 111/2011). Tale disposizione, secondo l'Istituto, avrebbe individualo con chiarezza le due categorie di lavoratori autonomi soggetti all'iscrizione alla gestione separata INPS, ovverosia: a) i soggetti che svolgono attivita' il cui esercizio non sia subordinato all'iscrizione in albi, e che pertanto siano carenti anche di un ente preposto alla realizzazione di una copertura previdenziale; b) i soggetti che svolgono attivita' che, pur prevedendo l'iscrizione ad un albo, non siano tenuti al versamento dei contributi c.d. soggettivi ai corrispondenti enti di previdenza. L'INPS, quindi, ha osservato che le parti ricorrenti, in quanto regolarmente iscritte all'albo professionale degli avvocati e non assoggettate all'obbligo del pagamento della contribuzione soggettiva, sono state legittimamente iscritte alla gestione separata. Ha, quindi, chiesto: 1) l'accertamento della legittimita' degli atti impugnati, con la loro conferma, ovverosia l'accertamento della legittimita' dell'iscrizione disposta d'ufficio alla gestione separata delle parti ricorrenti e del conseguente credito vantato da esso istituto; 2) in subordine ed in ogni modo, l'accertamento dell'obbligo contributivo gravante sulle parti ricorrenti, come quantificato negli atti impugnati, con condanna degli stessi al pagamento di quanto dovuto. Nel corso del processo, le parti sono state invitate a discutere dei possibili dubbi di costituzionalita' della normativa riguardante la gestione separata dell'INPS. All'udienza del 23 dicembre 2020, veniva acquisita nota informativa dalla Cassa di previdenza forense che evidenziava, per quanto qui di interesse, che, nel regime previgente alla legge n. 247/2012, l'avvocato che non avesse maturato redditi pari o superiori a quelli previsti dall'art. 22, legge n. 576/1980, e che dunque non incorreva nell'obbligo di iscrizione, poteva cionondimeno facoltativamente iscriversi a detto ente, a domanda. A scioglimento della riserva assunta in entrambi i procedimenti, previa loro riunione, si ritiene che gli stessi non possano essere decisi senza lo scrutinio di costituzionalita', in via principale, dell'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, come interpretato dall'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, nella parte in cui prevede l'obbligo di iscrizione alla gestione separata dell'INPS ex art. 2, co.mma 26, legge n. 335/1995 a carico degli avvocati del libero foro, non obbligati all'iscrizione alla Cassa di previdenza forense per mancato raggiungimento delle soglie (di reddito o di volumi di affari) ex art. 22, legge n. 576/1980, ovvero, in via subordinata, dell'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, nella parte in cui non prevede che il predetto obbligo di iscrizione decorra, in ogni modo, solo per i periodi successivi alla sua entrata in vigore. In ordine alla possibilita' del giudice rimettente di prospettare in termini gradatamente sequenziali, e quindi subordinati, i possibili esiti dello scrutinio di costituzionalita', si rinvia alla giurisprudenza costituzionale (ex multis, Corte costituzionale 27 luglio 2018, n. 175; 10 luglio 2019, n. 170). 2. Rilevanza. Appare necessario procedere, innanzitutto, alla disamina delle questioni pregiudiziali e preliminari e del quadro normativa e giurisprudenziale applicabile. 2.1 Disamina delle questioni pregiudiziali e preliminari. Nessuno dei motivi di difesa, sia delle parti attrici, sia dell'INPS, diversi da quelli inerenti all'applicabilita' delle disposizioni di cui agli articoli 2, comma 26, legge n. 335/1995, 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, appaiono assorbenti ed in grado di risolvere i riuniti processi indipendentemente dalle questioni di costituzionalita' che vengono sollevate, la cui verifica appare, pertanto, indispensabile per la decisione. Per quanto concerne il ricorso promosso dall'avv. Di Mauro G.L., appare innanzitutto infondato il motivo sub 2), relativo all'eccezione di prescrizione. Ed invero, pur aderendo questo ufficio all'orientamento di legittimita' secondo cui la prescrizione dei contributi dovuti alla gestione separata decorre dal momento in cui scadono i termini per il relativo versamento (in tal senso, si rinvia a quanto gia' statuito da Cass. Sez. lav. 31 ottobre 2018, n. 27950), si rileva che, nel caso di specie, la prescrizione e' stata utilmente interrotta dall'INPS attraverso la notifica dell'atto opposto, avvenuta per come e' pacifico il 4 luglio 2016, prima dello spirare del termine di prescrizione quinquennale ex art. 3, comma 9, legge n. 335/1995. Occorre, sul punto, ricordare che, per l'anno di imposta 2010, il versamento del saldo era fissato al 6 luglio 2011 come previsto dall'art. 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 maggio 2011, recante il «Differimento, per l'anno 2011, di termini di effettuazione dei versamenti dovuti dei contribuenti, nonche' dei termini previsti dagli articoli 16 e 17 del decreto ministeriale 31 maggio 1999, n. 64, relativi agli adempimenti delle dichiarazioni modello 730/2011» (Gazzetta Ufficiale n. 111 del 14 maggio 2011), con conseguente slittamento del termine per la maturazione della prescrizione al 6 luglio 2016. Appare parimenti infondato anche il motivo dedotto sub 3), relativo alla presunta illegittimita' dell'atto opposto per vizi dell'atto amministrativo, posto che l'atto gravato e' un mero avviso bonario, si limita a comunicare alla parte ricorrente la sua iscrizione presso la gestione separata, con l'invito a corrispondere quanto dovuto, e non riveste quindi i connotati del provvedimento amministrativo. Non si ravvisano motivi formali, pertanto, per invalidare la nota gravata, i cui eventuali vizi, peraltro, non. farebbero venir meno l'obbligo del giudice di verificare la sussistenza. del fondamento credito contributivo, analogamente ai casi in cui sia ravvisata l'invalidita' formale del ruolo (sul punto, tra le tante, Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., 23 gennaio 2020, n. 1558, piu' ampiamente infra), atteso che l'azione intrapresa dalla parte ricorrente deve qualificarsi come azione di accertamento negativo del credito vantato dall'ente previdenziale. L'INPS del resto, nelle proprie conclusioni, in subordine rispetto alla domanda di accertamento della legittimita' degli atti opposti, ha chiesto l'accertamento dell'obbligo contributivo e la condanna della parte al pagamento dei contributi richiesti, e cio' - in forza della gia' citata giurisprudenza di legittimita' - evidenzia la sussistenza dell'obbligo del giudice di pronunziarsi in merito, indipendentemente dalla validita' formale dell'atto. Il rimanente motivo dedotto sub 1), relativo ai presupposti fattuali e normativi per l'iscrizione alla gestione separata ex art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, presuppone la soluzione delle questioni di costituzionalita', posto che, come si dira' ampiamente nel prosieguo, parte ricorrente risulta aver esercitato abitualmente la professione di avvocato, senza essere iscritta alla Cassa forense per motivi reddituali, e la pacifica giurisprudenza di legittimita' ritiene in tal caso applicabile la normativa in questione. Appaiono inidonee ad assorbire le questioni di costituzionalita' proposte anche le eccezioni formulate in seno al ricorso promosso dall'avv.to Albana V., rubricate ai motivi 1), 2), 3), 4) del ricorso. I motivi sub 1) e 3), attinenti all'asserito difetto di validita' formale del titolo (mancata sottoscrizione digitale dell'avviso di addebito in quanto notificato quale allegato PEC in formato pdf, non sottoscritto digitalmente; decadenza ex art. 25, decreto legislativo n. 46/1999), appaiono innanzitutto tardivi, in quanto qualificabili, a differenza degli altri, come motivi di opposizione «agli atti esecutivi», recando censure di carattere formale del titolo o del processo di notificazione dello stesso, che non riguardano il suo fondamento. Il termine per proporre opposizione agli atti esecutivi e' di venti giorni, come previsto dall'art. 617 c.p.c., quest'ultimo richiamato dall'art. 29, decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, secondo cui «le opposioni all'esecuzione ed agli atti esecutivi si propongono nelle forme ordinarie» (1) Nel caso di specie, il ricorso, depositato il 13 gennaio 2020, e' stato proposto oltre il ventesimo giorno dalla notifica dell'atto opposto, avvenuta mezzo PEC il 4 dicembre 2019, come gia' evidenziato nell'ordinanza emessa nel corso del processo il 29 maggio 2020. Va, in secondo luogo, evidenziato che, anche in caso di loro ammissibilita' e fondatezza, i dedotti vizi formali non farebbero venir meno l'obbligo del giudice di accertare la sussistenza dell'obbligo contributivo, alla stregua dei principi evidenziati dalla giurisprudenza della Suprema Corte gia' citata (di cui adesso si riportano alcuni brani motivazionali), secondo cui «la ritenuta illegittimita' del procedimento d'iscrizione a ruolo non esime il giudice dall'accertamento, nel merito, della fondatezza dell'obbligo di pagamento dei premi e/o contributi (v., da ultimo, Cass. n. 12025 del 2019 e i precedenti ivi richiamati)», e cio' poiche' «un eventuale vizio formale della cartella o il mancato rispetto del termine di decadenza previsto ai fini dell'iscrizione a ruolo comporta soltanto l'impossibilita', per l'istituto, di avvalersi del titolo esecutivo, ma non lo fa decadere dal diritto di chiedere l'accertamento, in sede giudiziaria, dell'esistenza e dell'ammontare del proprio credito», ricorrendo i medesimi principi che governano l'opposizione al decreto ingiuntivo (Corte di Cassazione - Sez. lav. Ord., 23 gennaio 2020, n. 1558). Anche nel caso di specie, peraltro, l'INPS, nelle proprie conclusioni, ha chiesto non solo la conferma degli atti opposti, ma anche, in via subordinata, l'accertamento del credito contributivo reclamato, indipendentemente dalla legittimita' formale degli atti. Cio' impone la verifica della sussistenza del fondamento del detto credito, avendo, peraltro, la Corte evidenziato che «l'opposizione contro la cartella esattoriale di pagamento emessa per la riscossione di contributi previdenziali da' luogo ad un giudizio ordinario di cognizione su diritti e obblighi inerenti al rapporto contributivo, con la conseguenza che, per essere oggetto del giudizio l'obbligazione contributiva, nell'an e nel quantum, l'ente previdenziale convenuto puo' limitarsi a chiedere il rigetto dell'opposizione o chiedere anche la condanna dell'opponente al pagamento del credito di cui alla cartella, in quest'ultimo caso senza che ne risulti mutata la domanda (v., per tutte, Cass. n. 3486 del 2016 e successive conformi), cosi' come se all'esito del giudizio di opposizione il credito contributivo accertato risulti in misura inferiore a quella azionata dall'istituto, il giudice dovra' non gia' accogliere sic et simpliciter l'opposizione, ma condannare l'opponente a pagare la minor somma» (Corte di Cassazione - Sez. lav. Ord., 23 gennaio 2020, n. 1558 cit.). Tali principi appaiono applicabili anche in relazione al denunziato vizio della mancata sottoscrizione digitale dell'avviso opposto, in quanto notificato mezzo PEC, come mero allegato in pdf non sottoscritto digitalmente, dato che l'invalidita' dedotta non puo' far venir meno l'obbligo contributivo ed il dovete del giudice di procedere al relativo accertamento. Del resto, il motivo appare anche infondato, tenuto conto della giurisprudenza della Suprema Corte, secondo cui «In caso di notifica a mezzo PEC, la copia su supporto informatica della cartella di pagamento, in origine cartacea, non deve necessariamente essere sottoscritta con firma digitale, in assenza di prescrizioni normative di segno diverso» (Cass. civ. Sez. V Ord., 27 novembre 2019, n. 30948). La stessa Corte di legittimita' ha anche evidenziato che il difetto di sottoscrizione del titolo notificato (ruolo o cartella esattoriale) non incide sulla sua validita' (Cass. civ. Sez. VI - 5 Ord., 3 ottobre 2016, n. 19761). I motivi sub 1) e 3) appaiono quindi inidonei ad assorbire le questioni proposte. Il motivo dedotto al n. 2), attinente alla prescrizione, sia pur tempestivamente dedotto poiche' qualificabile come motivo di opposizione «al ruolo» ex art. 24, comma 5, decreto legislativo n. 46/1999, e proposto entro il quarantesimo giorno utile (come gia' precisato, il ricorso e' stato depositato telematicamente il 13 gennaio 2020, mentre la notifica PEC dell'avviso di addebito e' avvenuta 4 dicembre 2019), appare infondato. In base ai principi sopra richiamati (Cass. Sez. lav. 31 ottobre 2018, n. 27950 cit.) ed al termine di scadenza del pagamento dei contributi per l'anno 2010, fissato dall'art. 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 maggio 2011 al 6 luglio 2011, si rileva che la prescrizione quinquennale ex. art. 3, comma 9, legge n. 335/1995, decorrente dalla suddetta data del 6 luglio 2011, e' stata utilmente interrotta dall'INPS con la notifica dall'avviso bonario ricevuto dal ricorrente - come risulta dagli atti - in data 1° luglio 2016. La notifica dell'avviso di addebito del 4 dicembre 2019, dunque, e' intervenuta prima dello spirare del successivo termine di prescrizione. Infine, appare infondato gia' in punto di fatto anche il emotivo dedotto al n. 4), attinente al mancato superamento della soglia reddituale pari ad euro 5000 ed alla presunta inapplicabilita' in tal caso della normativa sulla gestione separata (anch'esso qualificabile come opposizione al ruolo e, dunque, da ritenersi tempestivo per le medesime ragioni gia' espresse con riferimento al motivo sub 2)). Ed invero, dagli atti si rileva che parte ricorrente, per il periodo di competenza (anno 2010), ha maturato un reddito imponibile superiore a detta soglia, pari ad euro 5655 (cfr. documentazione prodotta da INPS). Inoltre, a fronte dell'iscrizione d'ufficio alla gestione separata, motivata dall'esercizio abituale di arti e professioni, non ha contestato il carattere abituale dell'esercizio della propria professione. Non ha, dunque, dedotto di aver esercitato la professione solo occasionalmente. Il requisito dello svolgimento abituale della professione, pertanto, puo' ritenersi un dato pacifico e non posto in discussione. Alla luce di quanto premesso, appare evidente che anche nel giudizio promosso dall'avv. Albana, al fine di verificare la legittimita' della richiesta formulata dall'Istituto sia con la notifica dell'avviso di addebito, sia con le conclusioni poste in rassegna nell'atto di costituzione (laddove si richiede espressamente l'accertamento della legittimita' dell'atto impugnato, nonche' del fondamento dell'obbligo contributivo posto a carico di parte ricorrente), risulta indispensabile verificare la costituzionalita' delle norme impugnate con la presente ordinanza. Vanno, infine, rigettate le richieste ed eccezioni preliminari, per lo piu' di mero stile, sollevate dall'INPS. Quanto al procedimento promosso dall'avv. Di Mauro si rilevano innanzitutto le richieste di verifica della giurisdizione e della competenza, nonche' di accertamento della «eventuale nullita' e/ o inesistenza della notifica». Tali richieste sono infondate, posto che la. domanda, vertendo materia di contributi previdenziali richiesti a lavoratori liberi professionisti, derivanti dall'applicazione di norme riguardanti forme di previdenza e assistenza obbligatorie, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro ex art. 442, codice di procedura civile (ex multis, Cass. sez. lav. 18 marzo 2002, n. 1821; S.U. 4 marzo 1988, n. 2264) e, risiedendo parte ricorrente in Piedimonte Etneo (CT), comune del circondario di questo ufficio, e' stata proposta innanzi all'ufficio territorialmente competente, ai sensi dell'art. 444, 1° comma, codice di procedura civile. Risulta, poi, dagli atti la rituale notifica del ricorso (cfr. fascicolo telematica parte ricorrente, deposito del 23 aprile 2018), sicche' anche la richiesta a tal fine formulata dall'INPS - del resto costituitosi tempestivamente, con ampie ed articolate difese - appare del tutto priva di ragione. Si rileva, inoltre, che il ricorso non e' stato mai delegato, per la sua trattazione o decisione, ad alcuno dei magistrati onorari in servizio presso questo ufficio, sicche' e' priva di interesse e rilevanza anche l'istanza di verifica delle ipotesi di astensione ex art. 51, codice di procedura civile, formulata dall'INPS, «nell'ipotesi di delega a GOT», in ordine alla «insussistenza delle ipotesi di astensione di cui all'art. 51, codice di procedura civile, anche in relazione a quanto disposto dal decreto legislativo, n. 116/2017 in ordine alla tutela previdenziale ed assistenziale dei magistrati onorari». Si da' atto, infine, dell'infondatezza dell'eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata dall'INPS poiche' «ex art. 1, comma 415, legge n. 311 /2004, le modalita' di recupero del credito, nonche' le azioni cautelali o conservative successive alla notificazione della cartella esattoriale e/o dell'avviso di addebito, sono di esclusiva competenza del Concessionario». Nel caso di specie, infatti, il ricorso riguarda l'avviso bonario notificato dall'INPS anteriormente alla notifica dell'avviso di addebito, e non gia' atti cautelaci o esecutivi successivi a quest'ultimo del concessionario; sussiste pertanto la piena ed esclusiva legittimazione passiva dell'Istituto in merito all'accertamento della sussistenza dell'obbligo contributivo (ex multis, Cassazione - Sez. lav. 12 maggio 2008 n. 11687). Quanto al procedimento promosso dall'avv. Albana, si ribadiscono i rilievi gia' formulati in merito alle analoghe richieste preliminari formulate dall'Istituto in punto di giurisdizione, competenza e notifica, eventuale ipotesi di astensione ex art. 51, codice di procedura civile, del giudice onorario, posto che il ricorso, per i motivi gia' esposti e considerando che parte ricorrente e' residente in Catania, e' proposto innanzi a giudice avente giurisdizione e competente ai sensi degli articoli 442, 444, 1° comma, codice di procedura civile. Inoltre, anche il ricorso in scrutinio e' stato ritualmente notificato, come da documentazione prodotta telematicamente in data 26 maggio 2020, e la sua trattazione non e' stata mai delegata al giudice onorario. Si rileva, ancora, l'infondatezza dell'eccezione di tardivita' del ricorso, nella parte in cui e' qualificabile come opposizione al ruolo ex art. 24, comma 5, decreto legislativo n. 46/1999, posto che la notifica mezzo PEC dell'atto opposto e' stata effettuata il 4 dicembre 2019 ed il ricorso e' stato depositato telematicamente il 13 gennaio 2020, quarantesimo ed ultimo giorno utile: la data del 14 gennaio 2020, indicata dall'INPS nella propria memoria di costituzione a sostegno dell'eccezione, riguarda l'adempimento di cancelleria dell'iscrizione al ruolo (avvenuta un giorno dopo il deposito) e non puo' pertanto incidere ai fini della tempestivita'. Risulta, dunque, rispettato il termine previsto dall'art. 24, comma 5, decreto legislativo n. 46/1999, secondo cui, «contro l'iscrizione a molo il contribuente puo' proporre opposizione al giudice del lavoro entro il termine di quaranta giorni dalla notifica della cartella di pagamento. Il ricorso va notificato all'ente impositore». Per completezza, va poi rilevato che il pregresso tentativo di notifica per mezzo di raccomandata A/R non risulta andato a buon fine, come risulta dalla stessa PEC inviata dall'Istituto alla parte attrice il 4 dicembre 2019, ove si da' atto che «si trasmette in allegato, coon valore di notifica, l'avviso di addebito di cui all'oggetto, formato il 9 dicembre 2017, precedentemente inviato tramite raccomandata A/R risultata non consegnata» (v. allegati al ricorso introduttivo, sub «notif.pdf»). In conclusione, nessuna delle difese spiegate dalle parti e' idonea a consentire la decisione dei giudizi indipendentemente dalle questioni di costituzionalita' che si sollevano con la presente ordinanza. 2.2. Ricostruzione normativa e giurisprudenziale. Al fine di dimostrare la rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni, appare utile effettuare una breve ricostruzione del quadro normativa e giurisprudenziale. Nel periodo di competenza dei contributi richiesti dall'INPS (anno 2010), il regime previdenziale forense risulta regolato dalle disposizioni della legge n. 576/1980, recante le norme sulla «Riforma del sistema previdenziale forense» (nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 27 settembre 1980, n. 266), per come temporalmente applicabili e vigenti prima dell'entrata in vigore dell'art. 21, comma 8, legge 31 dicembre 2012, n. 247 (nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana - 18 gennaio 2013, n. 15), recante la «Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense» (con la quale e' stato stabilito che l'iscrizione all'albo degli avvocati implica la contestuale iscrizione alla cassa di previdenza forense). Dal complesso delle disposizioni ratione temporis applicabili della legge n. 576/1980 e, in particolare, dall'art. 22 della stessa, si evince che l'iscrizione alla Cassa di previdenza forense - a cui si ricollega l'obbligo del pagamento del contributo soggettivo previsto dall'art. 10 - e' obbligatoria solo per gli «avvocati e procuratori che esercitano la libera professione con carattere di continuita', ai sensi dell'art. 2 della legge 22 luglio 1975, n. 319» (art. 22, comma 1). L'obbligo di iscrizione, in particolare, sorge quando l'interessato abbia raggiunto «il minimo di reddito o di volume di affari, di natura professionale, fissati dal comitato dei delegati per l'accertamento dell'esercizio continuativo della professione» (art. 22, cornma 2) (2) In caso di infrazione, l'interessato, che non abbia proposto domanda nei termini fissati, viene iscritto d'ufficio dalla Giunta esecutiva, secondo quanto previsto dall'art. 22, comma 2, legge n. 576 cit.. La legge assegna espressamente al Comitato dei delegati il compito di provvedere periodicamente (ogni cinque anni) «ad adeguare, se necessario, i criteri per accertare l'esercizio della libera professione ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge 22 luglio 1975, n. 319» (art. 22, comma 3) ed esclude che possano iscriversi alla Cassa di previdenza «gli avvocati e i procuratori che, quali iscritti agli elenchi speciali, esercitano la professione nell'ambito di un rapporto di impiego» (art. 22, comma 5). L'art. 22, comma 6, stabilisce poi che «L'iscrizione alla Cassa e' facoltativa per i praticanti abilitati al patrocinio». In assenza di un espresso divieto, deve ritenersi del pari consentita l'iscrizione facoltativa degli avvocati che non raggiungano le soglie di reddito o di volume d'affari previste ai fini dell'iscrizione obbligatoria. In tal senso, si pone anche l'informativa giunta con nota della Cassa di previdenza forense del 23 dicembre 2020, prot. 504628, acquisita telematicamente in pari data ed in atti, secondo cui prima dell'entrata in vigore del regolamento di attuazione dell'art. 21, commi 8 e 9, legge n. 247/2012 «l'iscrizione alla Cassa era facoltativa e, a domanda, nei casi in cui il professionista non raggiungesse una soglia minima di reddito o di volume d'affari IVA, di natura professionale, fissati dal comitato dei delegati per l'accertamento dell'esercizio continuativo della professione». In tale quadro ordinamentale, gli avvocati iscritti alla Cassa di previdenza o che sono obbligati all'iscrizione devono corrispondere il contributo soggettivo previsto e regolato dall'art. 10, legge n. 576 cit. («Il contributo soggettivo obbligatorio a carico di ogni iscritto alla Cassa e di ogni iscritto agli albi professionali tenuto all'iscrizione e' pari...»), mentre il contributo integrativo previsto e regolato dall'art. 11 viene posto a carico di tutti «gli iscritti agli albi di avvocato», nonche' a carico dei «praticanti avvocati iscritti alla Cassa». L'ordinamento previdenziale forense, pertanto, esonera espressamente gli avvocati non iscritti alla Cassa di previdenza, e che non incorrono nell'obbligo di iscrizione, dall'obbligo di pagamento di contributi diversi da quello integrativo di cui all'art. 11. Il pagamento del contributo soggettivo e l'iscrizione alla cassa assumono rilevanza ai fini del riconoscimento delle prestazioni previste dalla legge n. 576/1980, nei termini specificati dagli articoli 2, 3, 4, 5 della legge cit. (pensione di vecchiaia, anzianita', inabilita', invalidita'). Il pagamento del contributo integrativo, da parte degli avvocati non iscritti alla Cassa, assume rilevanza mutualistica ai sensi dell'art. 9, legge n. 576/1980, che prevede che «I provvedimenti assistenziali previsti dalla vigente legislazione possono essere adottati, oltre che a favore degli iscritti alla Cassa e dei loro familiari, a favore degli avvocati e procuratori che abbiano contribuito o contribuiscano alla Cassa ai sensi dell'art. 11 , e dei loro familiari, nonche' degli iscritti agli elenchi speciali di cui all'art. 3, quarto comma, lettera b), della legge 27 novembre 1933, n. 1578 e loro familiari». Nel sistema in esame e sopra sinteticamente descritto, assume un ruolo di oggettivo rilievo l'ente previdenziale forense, rappresentato originariamente dall'ente di previdenza in favore degli avvocati e procuratori di cui alla legge 13 aprile 1933, n. 406, ed oggi dalla Cassa nazionale di previdenza e di assistenza a favore degli avvocati, istituita con legge 8 gennaio 1952, n. 6. L'art. 1 della predetta legge 6 del 1952, in particolare, espressamente prevede che «E' istituita la "Cassa nazionale di previdenza e di assistenza a favore degli avvocati e dei procuratori" allo scopo di provvedere a trattamenti di previdenza e di assistenza. La Cassa, con sede in Roma, ha personalita' giuridica di diritto pubblico». La Cassa e' stata successivamente oggetto del processo di privatizzazione sancito dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (art. 1, commi 1 e 2; All. A al decreto legislativo n. 509/1994), a seguito del quale ha assunto la natura di fondazione con personalita' giuridica di diritto privato, per quanto sottoposta alla vigilanza dello Stato e al controllo della Corte dei conti (art. 3), mantenendo cionondirneno i suoi scopi, atteso che l'art. 1, comma 3, del decreto legislativo n. 509 cit., ha previsto che «Gli enti trasformati continuano a svolgere le attivita' previdenziali e assistenziali in alto riconosciute a favore delle categorie di lavoratori e professionisti per le quali sono stati originariamente istituiti». La Cassa forense, quindi, ha continuato a svolgere la funzione di ente previdenziale per la categoria degli avvocati, rientrando nell'autonomia regolamentare della Cassa - espressamente conferita per legge - il compito di individuare il corretto dimensionamento dei contributi nel modo piu' adeguato per raggiungere la finalita' di solidarieta' mutualistica che l'ordinamento le assegna (in tal senso, Corte costituzionale, 30 marzo 2018, n. 67). In tale contesto normativa, che e' quello vigente nel periodo che rileva nel presente procedimento (anno 2010), si pone l'applicabilita' agli avvocati delle norme sulla gestione separata dell'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, come incise dalla norma di interpretazione autentica prevista dall'art. 18, comma 12, decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, 6 luglio, n. 155), convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111 (nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, 16 luglio, n. 164), recante «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria». L'art. 2, comma 26, legge 8 agosto 1995 n. 335, in particolare, prevede che «a decorrere dal 1° gennaio 1996, sono tenuti all'iscrizione presso una apposita gestione separata, presso e finalizzata all'estensione dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti, i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorche' non esclusiva, attivita' di lavoro autonomo, di cui al comma 1 dell'art. 49 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modificazioni ed integrazioni, nonche' i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al compia 2, lettera a), dell'art. 49 del medesimo testo unico e gli incaricati alla vendita a domicilio di cui all'art. 36 della legge 11 giugno 1971, n. 426. Sono esclusi dall'obbligo i soggetti assegnatari di borse di studio, limitatamente alla relativa attivita'». Tale norma, prima dell'intervento di interpretazione di cui all'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, non appariva riferibile alla categoria degli avvocati, posto che quest'ultima fruiva, sotto il profilo previdenziale, del regime, degli obblighi e delle prestazioni previste dalla legge n. 576/1980, nonche' di un ente espressamente deputato alla gestione dei relativi rapporti, quale e', come visto, la Cassa di previdenza forense. Tale conclusione risultava confermata dall'ulteriore previsione dell'art. 2, comma 25, legge n. 335/1995, riferita ai professionisti iscritti in albi non dotati di un proprio ente previdenziale, nonche' dalla giurisprudenza di legittimita' formatasi prima del decreto-legge n. 98/2011, la quale sul punto evidenziava che le disposizioni di cui ai commi 25 e 26 della legge n. 335/1995 erano state introdotte per assicurare una tutela previdenziale a categorie che in precedenza erano prive di un ente a tal fine istituito e che la gestione separata ex art. 2, comma 26, legge n. 335/1995 non era applicabile ai professionisti iscritti in albi, sia pur privi di copertura assicurativa. In particolare, veniva chiarito dalla Corte di cassazione che «i professionisti iscritti ad albi o elenchi non sono iscritti nella gestione di cui alla legge n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, ma nella gestione di cui al comma 25 del citato art. 2. Va infatti rammentato che, nel complessivo piano di estensione della tutela previdenziale a categorie che in precedenza ne erano prive, la legge n. 335 del 1995 ha agito con due diverse disposizioni: da un lato, con l'art. 2, comma 25, ha delegato il Governo ad emanare norme volte ad assicurare la tutela previdenziale in favore dei soggetti che svolgono attivita' autonoma di libera professione, il cui esercizio e' subordinato all'iscrizione in appositi albi o elenchi. Si trattava, in questo caso, di regolamentare quei liberi professionisti per i quali esisteva un ente deputato alla tenuta degli albi, ma che non avevano, a differenza di altre categorie, una apposita cassa di previdenza e che erano quindi privi di tutela previdenziale. In attuazione della delega e' stato emanato il decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, che ha demandato proprio agli enti abilitati alla tenuta degli albi di scegliere se partecipare ad un ente pluricategoriale ovvero se costituire un ente di categoria per gestire l'assicurazione di detti professionisti (decreto legislativo n. 103 del 1996, art. 2). Pertanto per i professionisti iscritti all'albo, ossia per professionisti stricto sensu secondo la dizione usata dall'istituto ricorrente, il soggetto deputato nella gestione della tutela previdenziale obbligatoria, viene scelto dall'organo professionale competente e non e' certo la gestione separata presso l'Inps, che invece e' prevista, dal successivo comma 26, per quei lavoratori autonomi che svolgono attivita' professionale per la quale non e' prevista l'iscrizione in albi o in elenchi e che quindi non hanno alcun ente deputato alla relativa tenuta che possa decidere sulla forma di gestione della tutela previdenziale» (Cassazione Civ. sez. lav. 16 febbraio 2007, n. 3622; conf. 13218/2008). Il quadro giuridico e' mutato a seguito dell'introduzione dell'art. 18, comma 12, del decreto-legge n. 98/2011 e del diritto vivente formatosi nella materia. L'art. 18, comma 12, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, conv. in legge legge 15 luglio 2011, n. 111, ha previsto invero che «L'art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, si interpreta nel senso che i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorche' non esclusiva, attivita' di lavoro autonomo tenuti all'iscrizione presso l'apposita gestione separata INPS sono esclusivamente i soggetti che svolgono attivita' il cui esercizio non sia subordinato all'iscrizione ad appositi albi professionali, ovvero attivita' non soggette al versamento contributivo agli enti di cui al comma 11, in base ai rispettivi statuti e ordinamenti, con esclusione dei soggetti di cui al comma 11. Resta firma la disposizione di cui all'art. 3. comma 1, lettera d), del decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103. Sono fatti salvi i versamenti gia' effettuati ai sensi del citato art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995». Sebbene la formula letterale della disposizione sembrasse escludere la categoria degli avvocati dall'obbligo di iscrizione alla gestione separata (trattandosi di professionisti iscritti in albi, tenuti a versare - anche in caso di mancata iscrizione alla Cassa forense - il contributo integrativo al proprio ente previdenziale di riferimento) (3) (4) (5) , tra il 2017 e il 2018, la Suprema Corte e' progressivamente intervenuta nella materia, dapprima con riguardo alle categorie degli ingegneri ed architetti titolari di rapporto di impiego (per i quali sussisteva un divieto di iscrizione alla propria cassa di riferimento), poi con riferimento alla categoria degli avvocati iscritti in altri enti di previdenza, successivamente anche con riguardo agli avvocati del libero foro non iscritti in alcun ente di previdenza, per i quali non operava alcun divieto di iscrizione nella Cassa di previdenza forense. Sin dalle prime pronunce che hanno riguardato la categoria degli avvocati, la Corte, relativamente a contributi richiesti dall'INPS per periodi anteriori all'entrata in vigore del decreto-legge n. 98/2011, e con principi aventi portata generale, ha ritenuto che «l'unica forma di contribuzione obbligatoriamente versata che puo' inibire la forza espansiva della norma di chiusura contenuta nella legge n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, come chiarita dal decreto-legge n. 98 del 2011, art. 18, comma 12, non puo' che essere quella correlata ad un obbligo di iscrizione ad una gestione di categoria, in applicazione del divieto di duplicazione delle coperture assicurative incidenti sulla medesima attivita' professionale» (Corte cassazione, sez. lav. 12 dicembre 2018, n. 32167, C.A c INPS). La Corte, in particolare, sempre con riferimento all'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, ha rimarcato che tale disposizione ha inteso «chiarire quali liberi professionisti siano tenuti alla iscrizione alla gestione separata», ritenendo che anche gli avvocati iscritti in albi vi siano assoggettati, laddove non siano iscritti alla cassa di previdenza forense ed abbiano quindi di adempiuto al pagamento del solo contributo integrativo. Ha, invero, rilevato che «la contribuzione integrativa, in quanto non correlata all'obbligo di iscrizione alla cassa professionale, ed a prescindere dalla individuazione della funzione assolta all'interno del sistema di finanziamento delle attivita' demandate alla cassa professionale, non attribuisce al lavoratore una copertura assicurativa per gli eventi della vecchiaia, dell'invalidita' e della morte in favore dei superstiti per ad non puo' essere rilevante ai fini di escludere l'obbligo di iscrizione alla gestione separata presso l'INPS» (Cassazione 32167/2018, cit.). La Corte, quindi, ha precisato che, in virtu' del principio di universalizzazione della copertura assicurativa ex articoli 35 e 38 della Costituzione, l'unico versamento contributivo rilevante ai fini dell'esclusione di detto obbligo di iscrizione e' quello suscettibile di costituire in capo al lavoratore autonomo una correlata prestazione previdenziale. I giudici di legittimita', a conferma del suesposto indirizzo, hanno escluso che l'uso della congiunzione «ovvero», presente nell'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, possa avere una mera funzione esplicativa anziche' disgiuntiva, tale da escludere dall'obbligo di iscrizione i soggetti che esercitano una attivita' professionale per il cui esercizio e' richiesta l'iscrizione agli albi professionali, indipendentemente da ogni ulteriore obbligo di natura contributiva, quest'ultimo nel senso sopra chiarito. L'orientamento in esame e' stato confermato dalle successive pronunce (Cassazione civ. sez. lavoro, 17 dicembre 2018, n. 32608, I.N.P.S c. I.D.; Cassazione civ. sez. lavoro, 11 gennaio 2019, n. 519, I.N.P.S. c. L.C.) anche relative agli avvocati del libero foro non aventi altre forme di impiego, non iscritti in altre forme di previdenza, ma solo all'albo di categoria e per questo tenuti al pagamento del solo contributo integrativo (Corte di cassazione, sez. VI, 10 gennaio 2020, n. 317, I.N.P.S. c. D.R.; sez. VI, 10 gennaio 2020, n. 318, I.N.P.S. c G.A.; sez. VI, 17 gennaio 2020, n. 1000 M.C. c INPS; sez. VI, 17 novembre 2020, n. 26021, INPS c C.M.A.). In tal senso, e' stato specificato che «Gli avvocati iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie che, svolgendo attivita' libero professionale priva del carattere dell'abitualita', non hanno - secondo la disciplina vigente ratione temporis, antecedente l'introduzione dell'automatismo della iscrizione - l'obbligo di iscrizione alla Cassa forense, alla quale versano esclusivamente un contributo integrativo di carattere solidaristico in quanto iscritti all'albo professionale, cui non segue la costituzione di alcuna posizione previdenziale a loro beneficio, sono tenuti comunque ad iscriversi alla gestione separata presso l'INPS, in virtu' del principio di universalizzazione della copertura assicurativa, cui e' funzionale la disposizione di cui alla legge n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, secondo cui l'unico versamento contributivo rilevante ai fini dell'esclusione di detto obbligo di iscrizione e' quello suscettibile di costituire in capo al lavoratore autonomo una correlata prestazione previdenziale; detto principio va esteso anche al caso che viene qui in rilievo dell'avvocato non iscritto alla Cassa forense alla quale versa il contributo integrativo obbligatorio previsto dal regolamento della Cassa per il solo fatto di essere iscritto all'albo forense» (Corte di cassazione, sez. VI, 10 gennaio 2020 n. 317; VI, 10 gennaio 2020, n. 318, cit.). Si e', dunque, precisato che l'obbligo di iscrizione alla gestione separata viene meno «solo se il reddito prodotto dall'attivita' professionale predetta e' gia' integralmente oggetto di obbligo assicurativo gestito dalla cassa di riferimento» (Cassazione n. 3799 cit.)» (Cassazione, sez. VI, 17 novembre 2020, n. 26021, INPS c C.M.A.). A tale indirizzo si e' ormai conformata la giurisprudenza di merito (tra le tante, Corte appello Brescia sez. lav., 21 settembre 2020, n. 137; Tribunale Catania sez. lav., 3 marzo 2020, n. 974; Corte d'appello di Catania, sez. lav., 17 giugno 2019 n. 677). Alla stregua del conforme indirizzo della Suprema Corte, dunque, deve ritenersi che l'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011 va interpretato nel senso che per soggetti tenuti all'iscrizione alla gestione separata di cui all'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, si intendono sia i soggetti che svolgono attivita' il cui esercizio non e' subordinato all'iscrizione ad appositi albi professionali o elenchi, sia i soggetti che (ancorche' esercenti attivita' che richiedono l'iscrizione in albi o elenchi) non sono sottoposti all'obbligo di versamento del contributo c.d. soggettivo in quanto non iscritti ad alcun ente di gestione, essendo irrilevante il mero versamento dell'eventuale contribuzione integrativa alla cassa previdenziale di categoria. Pertanto, alla luce di tale dato, anche gli avvocati che non incorrano nell'obbligo di iscrizione alla Cassa di previdenza forense, per aver maturato redditi o volumi d'affari sotto le soglie ex art. 22, legge n. 576/1980, devono essere iscritti alla gestione separata ex art. 2, comma 26, legge n. 335/1995. Dati gli effetti «retroattivi» dell'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, quale norma di interpretazione dell'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, e' pacifico che l'obbligo di iscrizione alla gestione separata operi anche per i periodi anteriori all'entrata in vigore dell'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011 cit., come nei casi esaminati dalla Suprema Corte (si considerino, ad es., quelli scrutinati da Cassazione 32167/2018, 32608/2018, 519/2019, riguardanti contributi richiesti dall'INPS per l'anno 2005). 2.3. Incidenza delle questioni nel caso concreto. Sussiste la rilevanza concreta ed attuale delle questioni poste. Le odierne parti ricorrenti sono, come anticipato, avvocati del libero foro. Come si evince dagli atti, non contestano il carattere abituale dell'attivita' professionale esercitata, del resto comprovata dall'iscrizione all'albo, dal possesso di una partita IVA e della predisposizione di un'organizzazione, sia pur minima, per lo svolgimento dell'attivita'. Nel 2010, periodo di competenza degli oneri di iscrizione e contribuzione richiesti dall'INPS con gli atti opposti, non risultavano iscritte alla Cassa forense, in quanto pacificamente non obbligate in ragione dei parametri economici realizzali, sotto le soglie richiamate dall'art. 22, legge n. 576/1980 (come anticipato, in base alla delibera del Comitato dei delegati del 28 settembre 2007, le soglie minime previste per il 2010 ex art. 22, legge n. 576/1980 ai fini dell'obbligo di iscrizione erano di euro 10.000,00 di reddito professionale netto o euro 15.000,00 di volume di affari). Hanno, pertanto, versato, alla Cassa di previdenza forense, solo il contributo integrativo ex art. 11, legge n. 576/1980. Alla luce del quadro giurisprudenziale sopra descritto, ad esse appare pienamente applicabile l'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, per come interpretato dall'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, e dunque l'obbligo di iscrizione alla gestione separata, tenuto conto che la Suprema Corte di cassazione ha ritenuto operante tale vincolo anche nei riguardi «dell'avvocato non iscritto alla Cassa Forense alla quale versa il contributo integrativo obbligatorio previsto dal regolamento della Cassa per il solo fatto di essere iscritto all'Albo forense» (Corte di cassazione, sez. VI, 10 gennaio 2020 n. 317, INPS c D.R.; VI, 10 gennaio 2020, n. 318, INPS c G.A.). La circostanza che la ricorrente avv. Di Mauro abbia prodotto, nell'anno in considerazione, un reddito poco al di sotto di euro 5000, non esclude, nel caso di specie, l'applicabilita' della disciplina in esame, posto che, come si e' detto, risulta dato pacifico che parte opponente ha svolto l'attivita' professionale con carattere di abitualita'. Non appare, al riguardo, rilevante il dato normativo costituito dall'art. 44, comma 2, decreto-legge n. 269/2003, secondo cui «A decorrere dal 1° gennaio 2004 i soggetti esercenti attivita' di lavoro autonomo occasionale e gli incaricati alle vendite a domicilio di cui all'art. 19 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, sono iscritti alla gestione separata di cui all'art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, solo qualora il reddito annuo derivante da dette attivita' sia superiore ad euro 5.000». Tale disposizione, infatti, fa riferimento, oltre che agli incaricati alle vendite a domicilio, all'attivita' di lavoro autonomo occasionale, e non puo' dunque applicarsi agli avvocati che svolgano la professione con carattere di abitualita'. Ed invero, il limite reddituale ivi previsto, di euro 5000, non serve per qualificare il lavoro come occasionale, ma per individuare il momento a partire dal quale anche il lavoratore autonomo occasionale e' tenuto all'iscrizione alla gestione separata. Come e' noto, il lavoro autonomo occasionale e' un'attivita' autonoma, esercitata senza alcun vincolo di subordinazione o di coordinamento che pero' non richiede l'apertura della partita IVA, perche' e' svolta in modo saltuario (per pochi giorni durante l'anno) ed e' priva dei requisiti dell'organizzazione e della professionalita'. Secondo la giurisprudenza che si e' allineata all'indirizzo espresso dalla Suprema Corte, invece, «l'iscrizione della ricorrente all'albo professionale - requisito indispensabile per l'esercizio della professione come previsto dall'art. 2, comma 1 della legge n. 576/1980 - e l'apertura della partita IVA che costituisce adempimento richiesto a chi intraprende un attivita' di lavoro autonomo a titolo di professione abituale (come si ricava dal combinato disposto degli articoli 35, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633/1972 e 5, comma 1, dello stesso decreto del Presidente della Repubblica), provano in via presuntiva l'abitualita' dello svolgimento dell'attivita' professionale. Pertanto, a fronte di tali elementi, era onere della ricorrente allegare e documentare circostanze specifiche atte a superare la prova presuntiva dell'abitualita' dell'esercizio della professione, onere nella specie non assolto» (Corte d'appello di Catania, sez. lav., 17 giugno 2019, n. 677, INPS c P.S.). Nel caso di specie, quindi, essendo pacifico il requisito dell'abitualita' anche con riguardo all'attivita' esercitata all'avv. Di Mauro, deve ritenersi applicabile l'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, come interpretato dall'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011. Per quanto riguarda il ricorrente avv. Albana, l'applicabilita' dell'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, e' vieppiu' pacifica, dato che, non solo non vi e' contestazione sui requisiti di abitualita' richiesti, ma il reddito percepito e' anche superiore all'importo di euro 5000 (essendo pari ad euro 5655), sicche' in alcun modo puo' richiamarsi, in suo favore, il disposto di cui all'art. 44, comma 2, decreto-legge n. 269/2003. Infine, in sede di ricostruzione normativa e giurisprudenziale, si e' dato atto degli effetti retroattivi dell'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, quale norma di interpretazione dell'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, il che rende operante l'obbligo di iscrizione alla gestione separata anche per i periodi anteriori alla sua entrata in vigore. Cio' consente all'INPS di agire, come fatto nei riguardi delle odierne parti ricorrenti, per il recupero dei contributi relativi a periodi di competenza pregressi. Da quanto premesso, si comprende la rilevanza della questione di costituzionalita' principale, relativa all'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, per come interpretato dell'art. 18, comma 12, decreto-legge 98/2011 (infra § 3, sub A)). Ove, infatti, tale disposizione venisse dichiarata illegittima, per come richiesto, gli odierni ricorsi verrebbero certamente accolti. L'incostituzionalita' della normativa in esame, infatti, farebbe venir meno la fonte da cui trae fondamento l'obbligo di iscrizione delle parti ricorrenti alla gestione separata dell'INPS e, conseguentemente, il credito contributivo reclamato a tale titolo. L'antinomia prodotta dalla norma impugnata, rispetto alle previsioni dell'ordinamento previdenziale forense di cui alla legge n. 576/1980, verrebbe, quindi, eliminata, con conseguente pacifica ed esclusiva applicazione dell'art. 22, legge n. 576/1980. Del pari, laddove non venisse reputata preliminare e fondata la prima questione, appare rilevante anche quella sollevata in via subordinata, in relazione all'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011 (intra § 3, sub B)). Come gia' esposto e come si vedra' in punto di non manifesta infondatezza, solo dopo l'introduzione dell'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011 e la successiva elaborazione giurisprudenziale, e' stato affermato l'obbligo di iscrizione presso la gestione separata per gli avvocati esonerati dall'iscrizione alla cassa di previdenza forense, ex art. 22, legge n. 576/1980. Precedentemente, l'assetto normativo e giurisprudenziale era, invece, nel senso di escludere chiaramente un tale onere. Laddove, pertanto, tale norma venisse dichiara illegittima, nella parte in cui esplica effetti retroattivi, e dunque nella misura in cui non prevede che l'obbligo di iscrizione alla gestione separata per gli avvocati possa decorrere solo dalla sua entrata in vigore, le domande attoree verrebbero parimenti accolte. Ed invero, in tal caso, fino all'entrata in vigore dell'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, verrebbe meno il fondamento normativo dell'obbligo di iscrizione delle parti ricorrenti nella gestione separata, con conseguente insussistenza dei crediti richiesti dall'INPS con riguardo all'anno 2010. Per converso, laddove le questioni poste non venissero accolte e venisse pienamente confermato l'assetto normativo attuale, i ricorsi dovrebbero essere rigettati nel merito, risultando ormai acquisito nell'interpretazione giurisprudenziale il principio secondo cui i contributi richiesti dall'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, ai fini dell'esonero dall'iscrizione dalla gestione separata, non sono quelli integrativi ex art. 11, legge n. 576/1980, ma quelli soggettivi, ex art. 10, legge n. 576 cit., che presuppongono l'iscrizione alla cassa di previdenza forense. 3. Non manifesta infondatezza. A) Art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, come interpretato dall'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011. Violazione dell'art. 3 della Costituzione per irragionevolezza, illogicita' ed incoerenza del sistema normativo. Richiamata la ricostruzione normativa e giurisprudenziale che precede (supra, § 2.2.), sussiste il dubbio che l'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, come interpretato a seguito dell'introduzione dell'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, sia viziato sotto i profili di irragionevolezza, illogicita', incoerenza che esso provoca nel sistema normativo, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, e cio', in specie, nella parte in cui prevede l'obbligo di iscrizione alla gestione separata dell'INPS a carico degli avvocati del libero foro non iscritti alla Cassa di previdenza forense per mancato raggiungimento delle soglie (di reddito o di volume d'affari) ex art. 22, legge n. 576/1980. Come visto, per la materia ed i periodi che rilevano nel presente processo (obblighi previdenziali inerenti ai redditi prodotti nel 2010 per l'esercizio dell'attivita' forense), il sistema previdenziale forense risulta regolato dalla legge n. 576/1980, la quale gradua gli obblighi di natura contributiva e previdenziale, sostanzialmente prevedendo che solo gli avvocati che abbiano raggiunto determinate soglie (di reddito o di volume d'affari) incorrano nell'obbligo di iscrizione alla cassa di previdenza e, quindi, nell'obbligo di pagamento del contributo soggettivo ex art. 10, legge n. 576/1980 e disponendo conseguentemente che gli altri, al di sotto di tali soglie, siano onerati a pagare solo il contributo integrativo ex art. 11, legge n. 576 cit., senza obbligo di iscrizione. Tale sistema non impedisce agli avvocati del libero foro che non raggiungano le soglie previste dall'art. 22, legge n. 576/1980 di iscriversi, a domanda, alla Cassa forense e di avere, dunque, una piena copertura assicurativa, ma rimette tale scelta al professionista. Sul punto, si rinvia alla ricostruzione normativa sopra effettuata e si richiama la nota informativa ivi citata della Cassa forense n. prot. 504628 del 23 dicembre 2020, acquisita telematicamente in pari data ed in atti, che conferma tale assetto (6) . La legge n. 576/1980 costituisce lex specialis dell'ordinamento previdenziale forense e, percio', non puo' ritenersi implicitamente abrogata, neppure parzialmente, da quelle nonne, come l'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, che, ancorche' successive, non riguardano espressamente tale sistema. Quest'ultimo, del resto, ha mantenuto nel tempo la propria specialita', come comprova l'entrata in vigore della legge n. 247/2012, con la quale, peraltro, e' stata confermata l'esclusivita' del ruolo svolto nella materia dall'ente previdenziale forense (v. articoli 21, comma 8 e 9, legge n. 247, cit.) (7) . Stando cosi' le cose, l'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, per come interpretato dall'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, nella parte oggetto della presente questione, appare introdurre un elemento di oggettiva incoerenza normativa, che rende la norma illogica, irrazionale e dunque irragionevole, in violazione dell'art. 3 della Costituzione. Da un canto, invero, l'ordinamento, con la lex specialis destinata alla previdenza forense, riconosce al professionista - che, per lo svolgimento dell'attivita' di avvocato, non maturi redditi considerevoli, rimanendo sotto le soglie ex art. 22, legge n. 576/1980 - la facolta' di iscriversi alla propria cassa di previdenza; lo assoggetta al solo obbligo del pagamento del contributo integrativo ex art. 11, legge n. 576 cit.; lo esonera da ogni ulteriore onere di iscrizione e contribuzione; riconosce, quindi, all'autonomia regolamentare della Cassa forense il compito di individuare i criteri in forza dei quali assoggettare o l'attivita' forense agli obblighi di iscrizione e di contribuzione ed a dimensionare gli stessi secondo le finalita' solidaristico-mutualistiche (Corte costituzionale, 30 marzo 2018, n. 67), in funzione delle previste prestazioni previdenziali ed assistenziali (articoli 1 e ss. legge n. 576/1980; per gli avvocati non iscritti alla cassa, art. 9, legge n. 576/1980). Dall'altra parte, invece, con la disposizione impugnata, prevede del tutto contraddittoriamente che, laddove i criteri della Cassa, in applicazione dell'autonomia regolamentare che le e' riconosciuta dalla legge, esonerino l'avvocato dagli obblighi di iscrizione e contribuzione teste' descritti, si attivino allora a carico del detto professionista ulteriori e ben distinti oneri previdenziali, quali l'iscrizione alla gestione separata ex art. 2, comma 26, legge n. 335/1995 e l'obbligo di pagamento dei relativi contributi parametrati al reddito, peraltro con ritenute diverse (e piu' esose) rispetto a quelle previste dall'art. 10, legge n. 576/1980. E tutto cio' in favore di una gestione previdenziale, quale e' quella «separata» dell'INPS, avulsa da quella forense e che non sorge affatto per assicurare una tutela previdenziale alla categoria degli avvocati. Appare evidente l'antinomia prodotta dalla norma impugnata, l'oggettiva incoerenza del sistema normativo che essa provoca, l'irrazionalita' normativa di una previsione che impone all'avvocato l'obbligo di iscrizione in un separato ente previdenziale proprio quando e nella misura in cui il suo stesso ordinamento previdenziale, in base a disposizioni di legge, esclude un tale onere nei confronti della sua stessa cassa di categoria. Trattasi, verosimilmente, di un effetto non voluto dal legislatore dell'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, come sembra desumersi dalla lettura dei lavori preparatori (si fa riferimento alla relazione al disegno di legge di conversione n. 2814/2011, alla pag. 29) e cionondirneno prodottosi nel diritto vivente, che contrasta, tuttavia, con riguardo alla categoria professionale degli avvocati sottosoglia ex art. 22, legge n. 576/1980, contro ogni principio di razionalita' normativa (8) (9) (10) . Laddove, invero, il legislatore avesse voluto estendere anche a tali professionisti l'obbligo di iscrizione ad un ente previdenziale - come difatti e' accaduto, per i periodi successivi a quelli che rilevano nella presente causa, con l'art. 21, comma 8, legge n. 247/2012 - esso lo avrebbe fatto agendo sullo stesso sistema previdenziale forense (ad es., modificando l'art. 22, legge n. 576/1980), mantenendone cosi' unitarieta' e coerenza. Con la disposizione in esame, invece, non solo e' stato introdotto un onere che si rivela del tutto incompatibile con il regime delineato dalla lex specialis (art. 22, legge n. 576/1980), ma si e' pervenuti anche all'illogico risultato di disgregare irragionevolmente il regime previdenziale dell'avvocato sotto soglia ex art. 22, legge n. 576/1980, creando un farraginoso frazionamento degli enti a cui lo stesso deve rapportarsi: alla cassa forense per il pagamento del contributo integrativo ex art. 11, legge n. 576/1980 e per la fruizione di eventuali prestazioni assistenziali (art. 9, legge n. 576 cit.); all'INPS per il pagamento dei contributi ex art. 2, comma 26, legge n. 335/1995. Tale scomposizione appare del tutto insensata poiche' l'obbligo di contribuzione richiesto in favore della gestione separata deriva dall'esercizio della medesima attivita' - quella forense - a cui si rapporta l'obbligo del contributo integrativo ex art. 11, legge n. 576/1980 in favore della Cassa forense, l'ente a cui l'ordinamento ha sempre devoluto l'esclusiva competenza della gestione dei rapporti previdenziali della categoria. Non appaiono quindi applicabili, al caso di specie, i principi affermati dalla Suprema Corte in materia di duplicita' delle iscrizioni in distinte gestioni previdenziali, in ragione della duplicita' dell'attivita' esercitata, posto che, nel caso in scrutinio, rileva un'unica attivita', quale e' quella forense, che risulta gia' disciplinata dalla legge n. 576/1980 secondo un ordinamento speciale ed unitario, che la norma impugnata, concepita per altre categorie di lavoratori, mira invece irragionevolmente a mettere in discussione ed a disarticolare. L'effetto disfacente che la norma produce, peraltro, pone l'avvocato, che non raggiunga le soglie previste dall'art. 22, legge n. 576/1980 (e che per questo, non essendo iscritto alla cassa forense, venga assoggettato alla gestione separata), in una condizione previdenziale irrazionalmente diversa ed anche deteriore rispetto a quella dell'avvocato che le abbia raggiunte (e che sia percio' obbligato all'iscrizione alla Cassa forense), non consentendogli di acquisire automaticamente presso la propria cassa di categoria i requisiti di iscrizione e contribuzione derivanti dall'esercizio dell'attivita' forense, previsti dagli articoli 1 e ss. legge n. 576/1980, per la fruizione delle prestazioni previdenziali ivi regolate in favore degli avvocati. Ed infatti, la contribuzione versata alla gestione separata dell'INPS non viene riversata alla Cassa di previdenza forense e, dunque, non viene ivi accredita all'avvocato, ne' in vario modo destinata - benche' applicata su redditi derivanti dall'esercizio della professione forense - all'ente deputato per legge ad assicurare gli scopi mutualistici-solidaristici per la categoria. D'altra parte, l'utilita' della contribuzione versata dall'avvocato alla gestione separata INPS, in vista di possibili prestazioni a carico della stessa, appare davvero limitata, se non improbabile, non solo per la esiguita' del gettito contributivo, in quanto basato su redditi marginali quali sono quelli sotto le soglie ex art. 22, legge n. 576/1980, ma anche per l'estrema esiguita' del periodo contributivo maturabile presso la detta gestione separata. Si consideri, a tal riguardo, che l'operazione «Poseidone», con la quale l'INPS ha iniziato a procedere all'iscrizione alla gestione separata degli avvocati sotto soglia ex art. 22, legge n. 576/1980, e' iniziata nel 2009 e cessata con l'entrata in vigore della legge n. 247/2012, in forza della quale e' venuto meno l'esonero dall'iscrizione alla cassa di previdenza forense per ragioni economiche. Le odierne parti opponenti, ad esempio, sono state iscritte d'ufficio alla gestione separata a decorrere dal 2010 e, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 21, comma 8, legge n. 247/2012, continuando a svolgere l'attivita' forense, sono incorse nell'obbligo di iscrizione nella Cassa forense, con conseguente preclusione dell'INPS di mantenere la loro iscrizione alla gestione separata. Sicche' la contribuzione non coperta da prescrizione, richiedibile e richiesta dall'INPS per la gestione separata, a carico degli avvocati, rimane circoscritta ad un limitato arco temporale (molto spesso pari soltanto a qualche anno), quasi sempre insufficiente per poter generare la maturazione di requisiti di legge utili ai fini di eventuali prestazioni previdenziali a carico della stessa gestione. Del resto, anche considerando la possibilita' per il professionista di chiedere, al sussistere dei presupposti, la ricongiunzione della contribuzione versata a favore della gestione separata presso l'ente di categoria, tale operazione non potrebbe avvenire senza ulteriori aggravi, sia di tipo procedurale, sia di carattere economico. E non si comprende davvero il motivo per il quale, se anche l'avvocato sotto soglia ex art. 22, legge n. 576/1980 debba essere sottoposto a contribuzione con obbligo di iscrizione ad un ente di previdenza, cio' non avvenga con l'iscrizione presso il proprio ente di categoria, anziche' presso la gestione separata dell'INPS. La norma impugnata, dunque, non solo appare incoerente, ma obiettivamente irragionevole, poiche', nel porsi in rapporto di chiara inconciliabilita' con l'art. 22, legge n. 576/1980, genera il risultato di assoggettare le fasce di professionisti piu' deboli e con minori capacita' reddituali - quali sono gli avvocati esonerati dall'obbligo di iscrizione ex art. 22, legge n. 576/1980 - ad un regime previdenziale sui generis, frammentario, disorganico, neppure in grado di garantire una copertura assicurativa certa o utile, o comunque, al piu', in grado di riconoscerne una immotivatamente diversa rispetto a quella goduta dagli avvocati iscritti alla Cassa forense, la cui contribuzione viene, invece, automaticamente riversata alla Cassa di categoria, con l'automatica e certa maturazione dei requisiti di iscrizione e contribuzione presso l'ente previdenziale deputato per legge ad erogare le relative prestazioni, senza ulteriori aggravi. Tutto cio' non appare giustificabile neppure attraverso il richiamo al principio di universalizzazione delle tutele ex art. 38 della Costituzione, posto che tale principio viene applicato dalla stessa Suprema Corte partendo dal presupposto che determinate categorie non possano avere una copertura assicurativa, per la mancanza di un ente previdenziale a cio' preposto ovvero per la presenza di espresse preclusioni che ne impediscono l'iscrizione: si pensi, ad esempio, all'ipotesi gia' menzionata degli ingegneri che esercitano l'attivita' professionale essendo contemporaneamente titolari di un distinto rapporto di lavoro dipendente, per i quali vige il divieto di iscrizione presso l'ente di categoria (sul punto, si rinvia a quanto affermato dalla Suprema Corte a partire dalla pronuncia 18 dicembre 2017, n. 30344; cfr. anche art. 7 Inarcassa, consultabile presso il sito istituzionale www.inarcassa.it/site/home/iscrizione/condizioni-per-liscrizione-obbl igatoria.html) (11) Nell'ipotesi in scrutinio, invece, all'avvocato del libero foro sotto soglia ex art. 22, legge n. 576/1980 non e' preclusa la facolta' di iscrizione alla propria Cassa di previdenza forense, potendo l'avvocato accedere alla piena tutela assicurativa presso il predetto ente di gestione, a domanda: si rinvia alla nota pervenuta da Cassa forense n. prot. 504628 del 23 dicembre 2020 cit. Sul punto, del resto, va osservato che il regime previsto dall'art. 22, legge n. 576/1980 di escludere dall'obbligo - e non gia' dalla facolta' - di iscrizione gli avvocati che abbiano prodotto redditi o volumi d'affari al di sotto delle soglie previste non e' volto a negare una tutela assicurativa o a mettere in discussione i principi costituzionali che regolano la materia previdenziale, quanto a riconoscere - secondo la valutazione del legislatore - un regime di maggior favore nei riguardi degli avvocati che non abbiano potuto produrre redditi o volume d'affari apprezzabili e, dunque, che non abbiano maturato un'effettiva capacita' di concorrere, anche sotto il profilo solidaristico, al sistema previdenziale forense (si considerino, ad es., i modesti redditi prodotti dalle odierne parti ricorrenti, indicati in premessa). E, d'altro canto, va ribadito che quando il legislatore ha ritenuto di eliminare le aree di esonero dall'obbligo di iscrizione all'ente di previdenza forense, stabilendo per tutti gli avvocati iscritti in albi l'obbligo di iscrizione, come avvenuto con l'art. 21, comma 8, legge n. 247/2012, esso lo ha fatto espressamente, confermando al tempo stesso, tuttavia, l'unicita' della gestione affidata alla Cassa di previdenza. Cio', peraltro, senza escludere che i regolamenti della stessa Cassa forense potessero riconoscere trattamenti di maggior favore o regimi di esenzione dall'obbligazione contributiva nei riguardi degli avvocati che versassero in determinate condizioni (v. art. 21, comma 9, legge n. 247/2012). Quanto premesso, dunque, porta a concludere che la norma impugnata, come interpretata a seguito dell'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, sia irragionevole ed illogica, contrasti con i principi di razionalita' normativa e di coerenza del sistema e si ponga in contrasto con l'art. 3 della Costituzione. B) Art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011. Violazione dell'art. 3 della Costituzione, per irragionevolezza e lesione del legittimo affidamento generato dall'art. 22, legge n. 576/1980; violazione dell'art. 117, comma 1 della Costituzione, in relazione all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Si dubita della costituzionalita' dell'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, nella parte in cui esplica effetti retroattivi, non prevedendo che l'obbligo di iscrizione nella gestione separata, a carico degli avvocati del libero foro non iscritti alla Cassa di previdenza forense per mancato raggiungimento delle soglie (di reddito o di volumi di affari) ex art. 22, legge n. 576/1980, decorra dalla sua entrata in vigore, e cio' per possibile violazione dell'art. 3 e 117, comma 1 della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU). I L'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, conv. in legge 15 luglio 2011, n. 111, prevede che: «L'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, si interpreta nel senso che i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorche' non esclusiva, attivita' di lavoro autonomo tenuti all'iscrizione presso l'apposita gestione separata INPS sono esclusivamente i soggetti che svolgono attivita' il cui esercizio non sia subordinato all'iscrizione ad appositi albi professionali, ovvero attivita' non soggette al versamento contributivo agli enti di cui al comma 11, in base ai rispettivi statuti e ordinamenti, con esclusione dei soggetti di cui al comma 11. Resta ferma la disposizione di cui all'art. 3, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103. Sono fatti salvi i versamenti gia' effettuati ai sensi del citato art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995». Come gia' anticipato, a seguito di tale disposizione e del diritto vivente formatosi nella materia a partire dal 2018, e' stato riconosciuto l'obbligo di iscrizione alla gestione separata dell'INPS nei riguardi degli avvocati del libero foro non iscritti alla Cassa di previdenza in quanto con reddito o volume d'affari sotto le soglie previste dall'art. 22, legge n. 576/1980. Prima, la Suprema Corte di Cassazione, alla luce del chiaro dato normativo costituito dai commi 25 e 26 dell'art. 2 della legge n. 335/1995, aveva espressamente escluso l'applicabilita' della gestione separata ex art. 2, comma 26, legge n. 335/1995 ai professionisti iscritti in albi, anche se privi di un ente di previdenza (Cass. Civ. sez. lav. 16 febbraio 2007 n. 3622; conf. 13218/2008 cit.), dovendosi conseguentemente escludere, a fortiori, che tale gestione potesse riguardare gli avvocati iscritti in albi, dotati da sempre di un ente previdenziale. Gli effetti retroattivi dell'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, quale norma di interpretazione, non sono in discussione, dato che e' pacifico che l'obbligo di iscrizione alla gestione separata riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimita', dopo l'introduzione della predetta norma di interpretazione, e' stato accertato per periodi anteriori alla sua entrata in vigore: si considerino, ad es., i casi gia' citati ed esaminati da Cass. 32167/2018, 32608/2018, 519/2019, tutti riguardanti contributi richiesti dall'INPS per l'anno 2005. Anche nell'odierno giudizio, la disposizione in esame e' stata invocata dall'INPS per giustificare la fondatezza dell'iscrizione d'ufficio nella gestione separata disposta con riguardo alle parti ricorrenti e delle conseguenti pretese contributive azionate nei riguardi delle stesse, in relazione ad un periodo di competenza, quale e' il 2010, anteriore all'entrata in vigore della norma. Proprio il riconosciuto effetto retroattivo della disposizione, derivante dalla sua natura di norma di interpretazione dell'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, pone il dubbio che la riguarda sotto i citati profili dell'irragionevolezza e della lesione del legittimo affidamento, ex art. 3 Cost., e cio' alla luce dei medesimi criteri richiamati dalla giurisprudenza costituzionale (ex multis, C. cost. 12 luglio 2019 n. 174). La norma, invero, senza che sussistano interessi imperativi di carattere generale, nel decretare l'applicabilita' degli obblighi di iscrizione e contribuzione ex art. 2, comma 26, legge n. 335/1995 anche per i periodi anteriori alla sua entrata in vigore, incide retroattivamente ed irragionevolmente sulla condizione giuridica ed economica degli avvocati, ledendone il legittimo affidamento in ordine al regime previdenziale e contributivo ad essi applicabile, per come desumibile dal sistema delineato dalla normativa ad essi dedicata e costituita dall'art. 22, legge n. 576/1980. Tale disciplina, come si e' piu' volte ricordato, stabilisce che solo gli avvocati iscritti in albi che raggiungano determinate soglie (di reddito o di volume d'affari), fissate periodicamente dal comitato dei delegati, siano obbligati all'iscrizione all'ente di previdenza e siano assoggettati ad ulteriori contributi, oltre quello integrativo ex art. 11, legge n. 576/1980, e che dunque coloro che non superino le sopraddette soglie siano tenuti a corrispondere solo il pagamento del citato contributo integrativo. L'impianto della legge n. 576/1980, prima dell'entrata in vigore della disposizione dell'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011 e del successivo diritto vivente, sviluppatosi, peraltro e come detto, solo dal 2018 in poi, ha quindi generato nei detti professionisti la piu' che legittima convinzione di non dover essere sottoposti ad alcun ulteriore onere previdenziale e di poter scegliere se iscriversi alla propria cassa di previdenza o meno. La norma prevista dall'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, nel rendere applicabili agli avvocati gli obblighi sulla gestione separata anche per i periodi pregressi alla sua introduzione, lede, quindi, il loro legittimo affidamento, incidendo retroattivamente sulla loro condizione giuridica e patrimoniale, attraverso oneri ed imposizioni originariamente non previsti, rispetto ai quali i diretti interessati non hanno potuto effettuare alcuna preliminare valutazione o scelta (ad es., di non esercitare la professione - o di non esercitarla a determinate condizioni - perche' ritenuta eccessivamente onerosa ovvero di richiedere, a tal punto, l'iscrizione facoltativa alla Cassa forense, onde evitare la frammentazione del proprio regime previdenziale, come sopra descritto § 3, sub A), etc.). Tale lesione avviene, quindi, in forza di una sorta di «tassazione» retroattiva, che nel caso di specie, peraltro, colpisce le fasce piu' deboli della categoria, poiche' produttive di redditi marginali, che vengono cosi' ulteriormente gravate: si consideri, ad es., il caso della ricorrente Di Mauro, avvocato dal 2009 e con un reddito imponibile nel 2010 di euro 4111, che risulta notevolmente inciso dall'importo richiesto per dall'INPS con l'atto opposto, pari ad euro 1920,70 (di cui euro 1098,46 a titolo di contributi ed euro 822,24 a titolo di sanzioni). La stessa Corte di Cassazione ha riconosciuto tali caratteristiche, nella misura in cui ha affermato che «piu' che un contributo destinato ad integrare un settore previdenzialmente scoperto, i conferimenti alla gestione separata hanno piuttosto il sapore di una tassa aggiuntiva su determinati tipi di reddito, con il duplice scopo di "fare cassa" e di costituire un deterrente economico all'abuso di tali forme di lavoro» (Cass. sez. lav. 32167/2018, § 8, pag. 5, che richiama S.U. 3240/2010). Nel caso in esame, tuttavia, l'applicazione della norma agli avvocati esonerati dall'iscrizione alla propria cassa ex art. 22, legge n. 576/1980 determina l'irragionevole conseguenza di assoggettare a tale «tassazione», retroattivamente, anche quei professionisti che non avevano certamente inteso eludere i propri obblighi contributivi, effettuando le prescritte dichiarazioni dei redditi (come riconosciuto dall'INPS, che in forza delle medesime dichiarazioni ha potuto procedere alla loro iscrizione d'ufficio alla gestione separata) e facendo affidamento sul regime ad essi espressamente riconosciuto dall'art. 22, legge n. 576/1980. E del resto, gli stessi lavori preparatori della legge di conversione del decreto-legge n. 98/2011, con riguardo all'art. 18, comma 12, non sembravano preludere alla soluzione poi adottata dal diritto vivente rispetto agli avvocati iscritti in albi, esonerati all'iscrizione ex art. 22, legge n. 576/1980. Si richiama, in merito, quanto gia' evidenziato sul contenuto della relazione al disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 98/2011, n. 2814/2011, pag. 29 e si rinvia, in particolare, alla nota sub 6 del presente provvedimento. Non sussistono, peraltro, quei presupposti che, secondo la stessa giurisprudenza costituzionale, possono consentire un giudizio di legittimita' costituzionale della norma, nella parte in cui esplica effetti retroattivi. Innanzitutto, non sussistono motivi imperativi di carattere generale. Al riguardo, si rileva lo scarso gettito contributivo che la disposizione impugnata appare destinata a produrre, dato che vengono coinvolti solo gli avvocati che hanno prodotto redditi molto bassi, quali sono quelli al di sotto delle soglie ex art. 22, legge n. 576 cit., e peraltro per un periodo di tempo molto limitato (dall'inizio dell'operazione «Poseidone» all'entrata in vigore dell'art. 21, comma 8, legge n. 247/2012). In ogni modo, come e' stato piu' volte rimarcato dalla giurisprudenza, la mera esigenza di un maggior gettito contributivo non costituisce un preminente interesse di carattere generale idoneo a giustificare l'incisione retroattiva di posizioni giuridiche consolidate. La mancanza di un preminente interesse generale e l'irragionevolezza della norma, nella misura in cui dispone anche per il passato, appaiono desumibili anche dalla particolare distanza temporale che corre tra l'epoca di emanazione della norma interpretata (1995) e quella di approvazione della norma interpretatrice (2011). Inoltre, non appaiono sussistere quelle specifiche condizioni che la stessa Corte costituzionale ha piu' volte richiamato, anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, e che possono consentire di considerare ragionevole l'intervento retroattivo, ovverosia la sussistenza di ragioni storiche epocali, la necessita' di porre rimedio ad un'imperfezione tecnica della legge interpretata, ristabilendo un'interpretazione piu' aderente all'originaria volonta' del legislatore, la necessita' di riaffermare l'intento originale del Parlamento, la sussistenza di manifeste sperequazioni determinate da istituti extra ordinem di eccezionale favore, profili di illegittimita' costituzionale dalla disciplina anteriore interpretata (da ultimo, C. cost. 12 luglio 2019, n. 174, cit.). Anzi, va ulteriormente ribadito come l'interpretazione autentica in esame abbia una valenza sostanzialmente innovativa, atteso che l'applicazione della norma interpretata dell'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, alla luce della sua esegesi anche sistematica con il comma 25 dello stesso articolo, appariva chiaramente preclusa agli avvocati del libero foro, in quanto professionisti iscritti in albi dotati di un proprio ente di gestione previdenziale, come in generale a tutti i professionisti comunque iscritti in albi (in tal senso, prima del decreto-legge n. 98/2011, Cass. Civ. sez. lav. 16 febbraio 2007 n. 3622; conf. 13218/2008, cit.). La norma in scrutinio, pertanto, appare incidere irragionevolmente sulla posizione giuridica degli avvocati, addossando retroattivamente oneri previdenziali non previsti dalla legislazione anteriore e, dunque, incidendo negativamente sulla condizione patrimoniale degli stessi, senza che sussistano motivi che possano giustificare una siffatta lesione del legittimo affidamento, dei principi di certezza del diritto e dei diritti acquisiti. La giurisprudenza della Corte costituzionale, sul tema, ha piu' volte ricordato che negli ambiti diversi da quello del settore penale il legislatore, se e' pur libero di emanare disposizioni retroattive, anche di interpretazione autentica, incontra il limite nell'adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza, che presuppone un puntuale bilanciamento tra le ragioni che hanno motivato la previsione della norma retroattiva e i valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall'efficacia a ritroso della norma adottata, specificando che «i limiti posti alle leggi con efficacia retroattiva si correlano alla salvaguardia dei principi costituzionali dell'eguaglianza e della ragionevolezza, alla tutela del legittimo affidamento, alla coerenza e alla certezza dell'ordinamento giuridico, al rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario» (C. Cost., 12 luglio 2019 n. 174, cit.). II Infine, per completezza, appare doveroso evidenziare come la norma in esame presenti un ulteriore elemento di possibile contrasto con i parametri costituzionali invocati. Come ha evidenziato l'INPS nelle proprie memorie di costituzione, la posizione di conflitto tra l'Istituto e la categoria dei professionisti non iscritti alla gestione separata - tra cui, gli avvocati non iscritti alla cassa forense, per mancato raggiungimento delle soglie previste dall'art. 22, legge n. 576/1980 - e' sorta nel 2009, allorquando l'INPS, a fronte della mancata iscrizione di detti professionisti alla gestione separata, ha ritenuto di iscriverli d'ufficio e di procedere al recupero degli importi ritenuti spettanti (c.d. operazione Poseidone). All'epoca della comparsa di tale posizione di conflitto, la giurisprudenza di legittimita' aveva gia' chiaramente escluso l'applicabilita' della gestione separata per i professionisti iscritti in albi (ex multis, Cass. Civ. sez. lav. 16 febbraio 2007 n. 3622; 13218/2008 cit.). Appare pertanto oggettivo che, con l'intervento del legislatore, avvenuto con la formulazione dell'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, e' stata introdotta una norma che ha alterato la «parita' delle armi» nell'ambito di un contenzioso gia' chiaramente delineatosi tra l'INPS e i professionisti, ribaltando l'orientamento dapprima espresso dalla giurisprudenza di merito e di legittimita'. La norma in esame, pertanto, nella parte in cui non prevede che gli obblighi di iscrizione previsti dalla norma interpretata (art. 2, comma 26, legge n. 335/1995) possano decorrere solo dalla entrata in vigore della norma interpretatrice, appare collidere non solo con l'art. 3 Cost., ma anche con i principi di cui all'art. 6 CEDU, per come richiamati. dall'art. 117, comma 1, Cost., posto che essa incide in favore dell'INPS, con effetti retroattivi, su di un contenzioso gia' in atto al momento della sua emanazione e rispetto al quale sussisteva un indirizzo della Suprema Corte di Cassazione opposto a quello poi seguito dal legislatore. 4) Interpretazioni costituzionalmente orientate. Esclusione. Tenuto conto del quadro giurisprudenziale evidenziato in sede di ricostruzione normativa, che consente di individuare un orientamento univoco e stabile della Suprema Corte in ordine all'applicabilita' della disciplina di cui all'art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, come interpretato dall'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, alla categoria degli avvocati che non abbiano raggiunto le soglie previste ex art. 22, legge n. 576/1980, appare vano ogni tentativo di procedere secondo interpretazioni costituzionalmente orientate. Al riguardo, si richiama, peraltro, l'indirizzo piu' volte espresso dalla giurisprudenza costituzionale, secondo cui «in presenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato, il giudice a quo - se e' pur libero di non uniformarvisi e di proporre una sua diversa esegesi, essendo la "vivenza" della norma una vicenda per definizione aperta, ancor piu' quando si tratti di adeguarne il significato a precetti costituzionali - ha alternativamente la facolta' di assumere l'interpretazione censurata in termini di "diritto vivente" e di richiederne su tale presupposto il controllo di compatibilita' con parametri costituzionali (sentenze n. 191 del 2013, n. 258 e n. 117 del 2012 e n. 91 del 2004)» (C. cost. 24 ottobre 2014, n. 242). (1) Norma applicabile anche all'opposizione all'avviso di addebito ai sensi dell'art. 30, comma 14, D.L. 31/5/2010 2010, n. 78 (in Suppl. ordinario n. 114 alla G. U., 31/5/2010, n. 125), convertito, con mod., in legge 30/7/2010, n. 122, secondo cui "Ai fini [della procedura di riscossione] di cui al presente articolo, i riferimenti contenuti in norme vigenti al ruolo, alle somme iscritte a ruolo e alla cartella di pagamento si intendono effettuati ai fini del recupero delle somme dovute a qualunque titolo all'INPS al titolo esecutivo emesso dallo stesso Istituto, costituito dall'avviso di addebito contenente l'intimazione ad adempiere l'obbligo di pagamento delle medesime somme affidate per il recupero agli agenti della riscossione". (2) In base alla delibera del Comitato dei delegati del 28 settembre 2007, le soglie minime ex art. 22 l. 576/1980 ai fini dell'obbligo di iscrizione previste per il 2010 erano di €. 10.000,00 di reddito professionale netto o €. 15.000,00 di volume di affari. (3) In tal senso, sembra deporre anche la relazione al disegno di legge di conversione n. 2814/2011, alla pag. 29, consultabile in (4) http://www.senato.it/bgt/pdf/s2814-1.pdf (5) (su cui piu' ampiamente infra, nota sub 6)). (6) Per comodita' di lettura, si riporta la nota in questione, nella parte di interesse, secondo cui prima dell'entrata in vigore del regolamento di attuazione dell'art. 21, commi 8 e 9, legge n. 247/2012, «l'iscrizione alla Cassa era facoltativa e, a domanda, nei casi in cui il professionista non raggiungesse una soglia minima di reddito o di volume d'affari IVA, di natura professionale, fissati dal comitato dei delegati per l'accertamento dell'esercizio continuativo della professione». (7) Ai sensi dell'art. 21, comma 8, legge n. 247/2012, invero, e' stato previsto che «l'iscrizione agli albi comporta la contestuale iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense» e, ai sensi dell'art. 21, comma 9, che o «La Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, con proprio regolamento, determina, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, i minimi contributivi dovuti nel caso di soggetti iscritti senza il raggiungimento di parametri reddituali, eventuali condizioni temporanee di esenzione o di diminuzione dei contributi per soggetti in particolari condizioni e l'eventuale applicazione del regime contributivo». (8) La relazione al disegno di legge n. 2814 cit. e' consultabile in (9) http://www.senato.it/bgt/pdf/s2814-1.pdf (10) La stessa, proprio in merito all'art. 18, comma 12, decreto-legge n. 98/2011, sembra giustificare la sua introduzione in relazione al fenomeno dell'elusione contributiva favorita da disposizioni statutarie e regolamentari di «alcuni enti» previdenziali, relativamente all'attivita' professionale esercitata «dopo la pensione», e non gia' all'esonero per motivi reddituali previsto da specifiche norme di legge dell'ordinamento previdenziale forense, come l'art. 22, legge n. 576/1980. La relazione, inoltre, sembra escludere dall'obbligo di iscrizione alla gestione separata coloro che svolgono un'attivita' il cui esercizio presuppone l'iscrizione ad appositi albi o elenchi. Essa, invero, illustra che «Il comma 12 riguarda la contribuzione in tutti i casi di svolgimento dell'attivita' professionale. Le vigenti disposizioni statutarie e regolamentari di alcuni enti previdenziali di diritto privato di cui ai decreti legislativi n. 509/1994 e n. 103/1996, approvati dai vigilanti Ministeri del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e delle finanze, hanno previsto la possibilita', su base volontaria, di proseguire l'esercizio della attivita' professionale una volta liquidato il trattamento pensionistico, senza essere tenuti al versamento della contribuzione ordinaria. Tali previsioni si sono rivelate non coerenti con il principio di carattere generale in base al quale i redditi prodotti devono essere assoggettati a contribuzione previdenziale, per cui l'INPS nell'ambito di una vasta operazione finalizzata a contrastare l'evasione ed elusione contributiva, ha ritenuto di contestare in tali ipotesi il mancato versamento della contribuzione presso la propria gestione separata, di cui all'art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335». Specifica, quindi, che «la norma in esame intende offrire quindi una soluzione alla questione, da una parte, imponendo per il futuro l'obbligo per i citati enti previdenziali di diritto privato di prevedere negli statuti e nei regolamenti l'obbligatorieta' dell'iscrizione e della contribuzione in tutti i casi di svolgimento dell'attivita' professionale (ossia, anche una volta maturato il trattamento pensionistico) e, dall'altra, precisando che sono soggetti all'iscrizione presso la gestione separata INPS coloro che svolgono attivita' il cui esercizio non e' subordinato all'iscrizione ad appositi albi o elenchi, salvo diversa previsione legislativa». (11) Anche con riguardo alla categoria forense, la Cassazione, nel confermare i principi espressi con riguardo agli ingegneri, sembra presupporre l'impossibilita' del professionista con redditi sotto le soglie ex art. 22, legge n. 576/1980 di iscriversi alla Cassa forense: si consideri, in proposito, quanto affermato da Cass. 32167/2018 cit., al paragrafo 7, secondo cui «Giova ricordare, con riguardo al caso di specie, che per l'iscrizione alla Cassa di Previdenza ed Assistenza Forense, al tempo in cui si colloca la fattispecie, occorrevano due requisiti: l'iscrizione all'albo professionale e l'esercizio della professione con carattere di continuita'. Non potevano usufruire della previdenza forense coloro che esercitavano la libera professione in modo occasionale pur rimanendo iscritti all'albo professionale. L'obbligo di iscriversi alla Cassa Forense, con conseguente obbligo di contribuzione nei limiti fissati dal Comitato dei Delegati della Cassa, conseguiva al raggiungimento, nel corso dell'anno, di un reddito netto e di un volume di affari (Iva) superiore ai limiti determinati, anno per anno, sempre dal Comitato dei Delegati».