IL CONSIGLIO DI STATO 
              in sede giurisdizionale (Sezione Seconda) 
 
    ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 7093 del  2013,  proposto  da  Regione  Veneto,  in
persona  del  presidente  pro   tempore   della   giunta   regionale,
rappresentata  e   difesa   dell'avvocato   Maurizio   Salvalaio   ed
elettivamente domiciliata in Roma, alla Via Tommaso  Salvini  n.  55,
presso lo studio dell'avvocato Carlo d'Errico; 
    contro Dissegna Aurea,  rappresentata  e  difesa  dagli  avvocati
Mariagrazia Romeo e Mario Sanino,  con  domicilio  eletto  presso  lo
studio di quest'ultimo, in Roma, Viale Parioli, n. 180; 
    per  la  riforma  della  sentenza  del  Tribunale  amministrativo
regionale per il Veneto (Sezione Prima) n. 111 del 31  gennaio  2013,
resa tra le parti. 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di  costituzione  in  giudizio  della  sig.ra  Aurea
Dissegna; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 aprile 2021  (tenuta
ai sensi dell'art.  84  del  decreto-legge  17  marzo  2020,  n.  18,
convertito con legge 24 aprile 2020, n. 27, richiamato  dall'art.  25
del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito  con  legge  18
dicembre 2020, n. 176) il cons. Roberto Politi; 
    Uditi  gli  avvocati  Maurizio  Salvalaio  per  l'Amministrazione
regionale appellante  e  Mariagrazia  Romeo  per  l'appellata  sig.ra
Dissegna; 
    1. Espone l'appellante Amministrazione regionale che, con decreto
del Presidente del Consiglio regionale, n. 20 del 7 dicembre 2010, la
dott.ssa Aurea  Dissegna  veniva  nominata  a  capo  dell'Ufficio  di
protezione e pubblica tutela dei minori:  figura,  questa,  istituita
con legge regionale n. 42 del 9 agosto 1988, il cui art. 7  stabiliva
che al titolare dell'Ufficio anzidetto  spettasse  «l'indennita',  la
diaria a titolo di rimborso spese, il rimborso spese di  trasporto  e
il trattamento di missione previsti dalla legge regionale 30  gennaio
1997, n. 5, per i consiglieri regionali e secondo  le  modalita'  per
gli stessi previste». 
    Con l'art. 7 della legge regionale n. 13 del 6 aprile 2012 (legge
finanziaria regionale per l'esercizio 2012), il  Consiglio  regionale
modificava l'anzidetta  disposizione,  prevedendo  che  «al  titolare
dell'Ufficio di protezione e pubblica tutela dei minori spetta il 30%
dell'indennita',  della  diaria  a  titolo  di  rimborso  spese,  del
rimborso di spese di trasporto e del trattamento di missione previsti
dalla legge regionale 30 gennaio 1997 n. 5  Trattamento  indennitario
dei consiglieri regionali». 
    2.  Intervenuta  la  comunicazione,  nei  confronti  dell'odierna
appellata,  della  suindicata  modificazione,  in  senso   riduttivo,
dell'ammontare del previsto  trattamento  indennitario  (inizialmente
stabilito in misura equivalente, rispetto a  quello  previsto  per  i
consiglieri regionali), la  dott.ssa  Dissegna  impugnava  tale  atto
dinanzi al tribunale amministrativo regionale Veneto (ricorso  N.R.G.
980 del 2012). 
    Costituitasi l'Amministrazione regionale, il Tribunale ha accolto
il ricorso, con compensazione delle spese di lite. 
    3. Avverso tale pronuncia, la Regione  Veneto  ha  interposto  il
presente appello, con il quale  l'avversata  sentenza  del  tribunale
amministrativo regionale viene censurata sotto i profili  di  seguito
indicati: 
        Violazione di legge. Errata applicazione dell'art.  11  delle
preleggi, anche in riferimento all'art. 7 della legge  regionale  del
Veneto n. 42 del 1988 della Regione del Veneto. Tempus regit actum. 
    Il giudice di prime cure, pur nel ritenere, correttamente, che la
questione al medesimo sottoposta fosse da risolversi parametrando  la
conformita'  della  nota  della  Segreteria  generale  del  Consiglio
generale del Veneto prot. n. 0008338 del 3 maggio  2012  all'art.  11
delle preleggi (irretroattivita'  delle  leggi,  ove  altrimenti  non
espressamente disposto), sarebbe, tuttavia, pervenuto a non condivise
conclusioni, quanto al merito della vicenda contenziosa  al  medesimo
sottoposta. 
    Nell'osservare  come  la  nomina  della  dott.ssa  Dissegna   sia
intervenuta  anteriormente  rispetto  alla  introduzione,  da   parte
dell'art. 7, comma 1, della legge regionale 6  aprile  2012,  n.  13,
della nuova normativa concernente il trattamento economico  spettante
al  titolare  del  predetto  organo,  il   tribunale   amministrativo
regionale ha ritenuto che, per tale rapporto,  mantenesse  perdurante
operativita'  l'originaria  formulazione  dell'art.  7  della   legge
regionale  n.   42   del   1988,   con   conseguente   commisurazione
dell'indennita' dovuta  al  titolare  dell'Ufficio  di  protezione  e
pubblica tutela dei minori a quanto da esso stabilito (per l'effetto,
disponendo l'annullamento della nota della  Segreteria  generale  del
Veneto in data 3 maggio 2012, recante  immediata  applicazione  della
legge    finanziaria    successivamente    intervenuta).    Sostiene,
diversamente, parte appellante che il Consiglio regionale abbia  dato
corretta applicazione al suindicato principio, quanto alla  riduzione
del trattamento indennitario spettante alla  dott.ssa  Dissegna,  dal
momento  di  entrata  in  vigore  della   modificativa   legislazione
introdotta nel 2013. 
    La nota regionale, come sopra  annullata  dal  giudice  di  prime
cure, non avrebbe effettuato una  interpretazione  retroattiva  della
legge, limitandosi ad  applicare  la  nuova  disciplina  a  far  data
dall'entrata in vigore della normativa stessa. 
    Viene, peraltro, ulteriormente soggiunto che,  in  ragione  della
limitazione,   costituzionalmente    sancita,    del    divieto    di
retroattivita' della legge alla sola materia penale, e' consentita al
legislatore  l'emanazione   di   norme   innovative   con   efficacia
retroattiva, purche' la retroattivita' trovi adeguata giustificazione
sul piano della ragionevolezza e non contrasti con  altri  valori  ed
interessi costituzionalmente protetti. 
    Conclude la parte per l'accoglimento dell'appello; e, in  riforma
della sentenza impugnata, per  la  reiezione  del  ricorso  di  primo
grado, con ogni statuizione conseguenziale anche in ordine alle spese
del doppio grado di giudizio. 
    4. In data 24 ottobre 2013, la dott.ssa Dissegna si e' costituita
in giudizio  con  memoria  recante  analitiche  controdeduzioni  alle
argomentazioni esposte con l'atto introduttivo. 
    In vista della trattazione nel merito del  ricorso,  quest'ultima
ha depositato in atti  (alla  data  del  19  marzo  2021)  conclusiva
memoria, con la quale, riprodotte le argomentazioni  gia'  articolate
in  sede  di  costituzione,  ha   ribadito   (subordinatamente   alla
applicabilita'  della  legge  regionale  n.   13   del   2012   anche
all'incarico alla medesima  conferito  anteriormente  all'entrata  in
vigore di essa, ove ritenuta) la sollevata questione di  legittimita'
costituzionale dell'art.  7  della  legge  regionale  anzidetta,  per
contrasto con gli articoli 3, 36, 23 e 53 della Costituzione. 
    5. L'appello viene trattenuto  per  la  decisione  alla  pubblica
udienza telematica del 20 aprile 2021. 
    6. Osserva il Collegio come il tribunale amministrativo regionale
Veneto, con l'appellata sentenza: 
        preliminarmente osservato che, in applicazione del  principio
di cui all'art. 11 delle Disposizioni sulla  legge  in  generale,  la
norma  sopravvenuta  debba   «essere   applicata   alle   fattispecie
successive alla sua entrata  in  vigore,  mentre  quella  precedente,
oramai abrogata, continuera' ad aver vigore nei riguardi di  tutti  i
rapporti nati prima dell'abrogazione stessa ed ancora pendenti»; 
        ed ulteriormente rilevato che «nel caso di specie  sussistono
tutti i presupposti per l'applicazione  del  principio  tempus  regit
actum nei termini  dianzi  descritti,  essendo  il  provvedimento  di
nomina della ricorrente  a  titolare  dell'Ufficio  di  protezione  e
pubblica tutela dei minori,  antecedente  all'introduzione  da  parte
dell'art. 7, comma 1, della legge di finanza regionale 6 aprile 2012,
n. 13, della nuova normativa  concernente  il  trattamento  economico
spettante a tale organo, e non avendo contemplato la  predetta  legge
finanziaria una espressa disposizione normativa in deroga all'art. 11
delle Disposizioni sulla legge in generale»; 
        ha  ritenuto  che  «il  trattamento   economico   contemplato
dall'art. 7 della legge regionale n. 42/1988, cosi'  come  modificato
dall'art. 7, comma 1, della legge di finanza regionale 6 aprile 2012,
n. 13, potra' trovare applicazione esclusivamente nei  confronti  dei
successivi titolari dell'Ufficio di protezione e pubblica tutela  dei
minori  istituito  presso  la  Regione   Veneto»,   con   conseguente
accoglimento del ricorso proposto dalla dott.ssa Dissegna. 
    7. La disposizione a fondamento della presente controversia (art.
7 della legge regionale del Veneto, 9 agosto 1988, n. 42), nel  testo
originario, prevedeva che «al titolare dell'Ufficio di  protezione  e
pubblica tutela dei minori spettano l'indennita', diaria a titolo  di
rimborso spese, il rimborso spese di trasporto e  il  trattamento  di
missione previsti dalla legge regionale 30 gennaio 1997, n. 5, per  i
consiglieri  regionali  e  secondo  le  modalita'  per   gli   stessi
previste». 
    Tale norma, dapprima sostituita dall'art. 2 della legge regionale
31 ottobre 1996, n. 33 e, quindi, dall'art. 60, comma 2, della  legge
regionale 3 febbraio 1998, n. 3, e' stata, poi nuovamente  sostituita
dall'art. 7 della legge regionale 6 aprile 2012, n.  13,  entrato  in
vigore l'11 aprile 2012 (giorno  successivo  alla  pubblicazione  nel
B.U.R.). 
    Il testo  dell'articolo  di  legge  in  rassegna  (ora,  abrogato
dall'art. 17, comma 1, lettera b), della legge regionale 24  dicembre
2013, n. 37), per come  risultante  dall'ultima  delle  sopra  citate
modificazioni, stabiliva che «al titolare dell'Ufficio di  protezione
e pubblica tutela dei minori spetta il 30 per  cento  dell'indennita'
della diaria a titolo  di  rimborso  spese,  del  rimborso  spese  di
trasporto  e  del  trattamento  di  missione  previsti  dalla   legge
regionale  30  gennaio  1997,  n.  5  "Trattamento  indennitario  dei
consiglieri regionali" e successive modificazioni, per i  consiglieri
regionali e secondo le modalita' per gli stessi previste». 
    8. Nell'osservare come il testo normativo  di  che  trattasi  non
rechi alcuna disposizione di  carattere  transitorio,  ne'  alcunche'
disponga in ordine al regime  intertemporale  di  operativita'  della
disposizione (con riferimento, quindi, al trattamento gia'  in  atto,
originariamente commisurato, come si e' visto, all'intero trattamento
previsto per i consiglieri regionali), ritiene  il  Collegio  che  il
giudice di prime cure non  abbia  dato  corretta  interpretazione  al
principio di irretroattivita' della legge. 
    La nomina alla titolarita' dell'Ufficio di protezione e  pubblica
tutela dei minori non ha infatti consolidata,  in  capo  al  soggetto
investito delle relative  funzioni,  alcuna  pretesa,  giuridicamente
tutelabile, al mantenimento  del  medesimo  trattamento  indennitario
stabilito all'atto del conferimento dell'incarico; ne',  tanto  meno,
ha   cristallizzato   siffatto   trattamento   con    carattere    di
insensibilita' rispetto a sopravvenienze normative che, veicolate  da
equiordinata   fonte   normativa,   abbiano    inteso    diversamente
disciplinare la commisurazione e/o la  composizione  del  trattamento
stesso. 
    Se va dato atto della condivisibilita' del ragionamento  condotto
dal  giudice  di  prime  cure,  quanto  alla  irretroattivita'  delle
sopravvenienze normative rispetto a rapporti gia' esauritisi, osserva
il Collegio che, con riferimento alla sottoposta vicenda,  l'incarico
del quale l'appellata era stata officiata era  in  corso  al  momento
dell'introduzione della disposizioni di cui alla legge  regionale  n.
13 del 2012: per l'effetto, dimostrandosi preclusa la  connotabilita'
dello stesso quale rapporto in ordine al quale, esauriti gli  effetti
dallo stesso promananti (e/o allo stesso conseguenti), un  successivo
intervento legislativo di  carattere  modificativo  sia  inidoneo  ad
introdurre elementi di carattere modificativo. 
    Conseguentemente  ritenuto  che  una  corretta  applicazione  del
principio del  tempus  regit  actum  conduca  a  conseguenze  affatto
speculari, rispetto a quelle predicate dal giudice di prime cure, nel
senso che,  con  riferimento  a  rapporti  e,  piu'  in  generale,  a
situazioni giuridiche ancora in corso ben puo' trovare attuazione una
sopravvenuta  disciplina,  a  far  tempo  dall'introduzione  di  essa
nell'ordinamento,  si  rileva  come  il  ragionamento  condotto   dal
Tribunale proponga una  pratica  «ultrattivita'»  delle  disposizioni
pregresse   (siccome    incise    dalla    modificazione    normativa
successivamente intervenuta). 
    Se tale effetto non e', ragionevolmente, sostenibile  in  difetto
di espressa previsione che, pur a fronte  della  introduzione  di  un
nuovo assetto normativo della materia,  nondimeno  mantenga,  per  un
definito  arco  temporale,  la  vigenza  della   disciplina   (ormai)
modificata, deve escludersi che il percorso logico che ha condotto il
giudice  di  primo  grado  all'accoglimento  del   ricorso   proposto
dall'odierna appellata meriti condivisibilita'. 
    9. L'accoglibilita' della  censura,  come  sopra  proposta  dalla
parte appellante avverso la gravata sentenza di prime cure, impone la
disamina dell'eccezione (gia' in  prime  cure  articolata;  e,  ora,)
riproposta dall'appellata, sig.ra  Dissegna,  ai  sensi  del comma  2
dell'art.  101  c.p.a.,  relativa  alla   denunciata   illegittimita'
costituzionale della disposizione  di  cui  all'art.  7  della  legge
regionale del Veneto, 6 aprile 2012, n. 13,  per  asserito  contrasto
con i parametri di cui agli articoli 3, comma 2, 23, 36  e  53  della
Costituzione. 
    9.1 Va osservato, in primo luogo,  come  il  citato  art.  7  sia
contenuto nel capo II della legge finanziaria per  l'esercizio  2012,
intitolato «Razionalizzazione della spesa e del costo degli  apparati
amministrativi». 
    Omogenea  operazione  di  «ridimensionamento»   del   trattamento
indennitario, e' stata dal legislatore regionale operata (anche)  con
riferimento alla figura del  difensore  civico,  il  cui  trattamento
indennitario (originariamente omogeneo rispetto a quello riconosciuto
al titolare dell'Ufficio di protezione e pubblica tutela dei minori),
e' stato anch'esso ridotto nella misura del 70% di quello  ab  initio
previsto. 
    Con   riferimento   alla   commisurazione   dell'intervento    di
rimodulazione dell'indennita' di che trattasi,  ritiene  il  Collegio
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale sollevata dalla parte appellata, con riferimento  alle
disposizioni di  cui  agli  articoli  3,  comma  2,  36  e  53  della
Costituzione. 
    L'intervento legislativo in rassegna, dichiaratamente ispirato ad
esigenze di razionalizzazione  e  contenimento  degli  oneri  per  il
funzionamento dell'apparato amministrativo, trae  univoco  fondamento
ed ispirazione dal decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78  (convertito,
con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122); il cui  art.  6,
al comma 3, ha stabilito che, «a decorrere dal  1°  gennaio  2011  le
indennita', i  compensi,  i  gettoni,  le  retribuzioni  o  le  altre
utilita'   comunque   denominate,   corrisposti    dalle    pubbliche
amministrazioni di cui al comma 3 dell'art. 1 della legge 31 dicembre
2009, n. 196, incluse le autorita'  indipendenti,  ai  componenti  di
organi   di   indirizzo,   direzione   e   controllo,   consigli   di
amministrazione  e  organi  collegiali  comunque  denominati  ed   ai
titolari di incarichi di qualsiasi tipo, sono automaticamente ridotte
del 10 per cento rispetto agli importi risultanti alla  data  del  30
aprile 2010». 
    9.2 Tale intervento normativo, con il quale sono stati introdotti
tagli «lineari»  (ovvero,  uniformemente  distribuiti  per  tutte  le
tipologie di remunerazione ivi  previste;  nonche'  recanti  omogenea
commisurazione della relativa decurtazione), rientra nel quadro delle
attivita' preordinate ad un contenimento della spesa  pubblica  (c.d.
«spending review»), in ordine alle quali codesta Corte ha gia'  avuto
modo di ripetutamente  pronunziarsi,  soffermandosi  sui  profili  di
compatibilita' costituzionale di disposizioni legislative che - come,
appunto, nella vicenda all'esame - siano suscettibili di incidere, in
senso peggiorativo, su situazioni soggettive attinenti a rapporti  di
durata. 
    Escluso che tale fattispecie di norme incontri, ex se riguardata,
elementi  di   insuperabile   incompatibilita'   costituzionale,   va
rammentato come la Corte costituzionale abbia ripetutamente  ribadito
che  un  esercizio   costituzionalmente   corretto   della   potesta'
legislativa debba svolgersi nell'alveo  della  necessaria  osservanza
del rispetto dei seguenti valori e principi costituzionali: 
        di ragionevolezza e di eguaglianza (sentenza 15 luglio  2005,
n. 282); 
        di legittimo affidamento dei cittadini sulla stabilita' della
situazione normativa preesistente (sentenze 27 giugno 2013,  n.  160,
22 novembre 2000, n. 525); 
        di certezza delle  situazioni  giuridiche  ormai  consolidate
(sentenze n. 24 del 30 gennaio 2009, n. 74 del 28 marzo 2008, n.  156
dell'8 maggio 2007); 
        di coerenza dell'ordinamento (sentenza n. 209 dell'11  giugno
2010). 
    In particolare, con sentenza 4  giugno  2014,  n.  156  e'  stato
ribadito e chiarito che la eventuale retroattivita'  di  disposizioni
aventi  valenza  «peggiorativa»  rispetto  ad   esistenti   posizioni
giuridiche, deve trovare adeguata giustificazione «nella esigenza  di
tutelare principi, diritti e  beni  di  rilievo  costituzionale,  che
costituiscono altrettanti motivi imperativi di  interesse  generale»;
di talche' la modifica in  senso  sfavorevole  della  disciplina  dei
rapporti di durata non puo' mai essere  arbitraria  o  irrazionale  e
dev'essere, in ogni caso, giustificata  da  esigenze  eccezionali  ed
idonee, come tali, ad imporre sacrifici eccezionali, transeunti,  non
arbitrari e consentanei allo scopo prefisso. 
    Nell'osservare  come   la   irragionevolezza   (e,   quindi,   la
incostituzionalita') delle misure possa, inoltre, essere esclusa  ove
le decurtazioni introdotte siano imposte da esigenze straordinarie di
contenimento della spesa pubblica e presentino un'efficacia temporale
limitata e circoscritta (e, cioe', se non modificano a regime diritti
incisi: cfr. sentenza n. 310 del  17  dicembre  2013),  va  nondimeno
rilevato come, pur integrando la straordinarieta' delle finalita'  di
contenimento   della    spesa    pubblica    causa    giustificatrice
dell'approvazione  di  leggi  con  efficacia  retroattiva,  nondimeno
siffatte previsioni rimangono subordinate alla presenza di  un  alveo
espansivo integrato, al contempo: 
        dal carattere temporaneo dei sacrifici imposti ai cittadini; 
        e  dalla  stretta  strumentalita'   di   questi   ultimi   al
soddisfacimento delle necessita' di bilancio. 
    9.3 Con riferimento  ai  limiti  da  ultimo  indicati  (carattere
temporaneo del sacrificio imposto; preordinazione  del  risparmio  di
spesa  al  soddisfacimento  di  straordinarie  esigenze  di   finanza
pubblica), si puo' rilevare che, quanto al primo di essi: 
        se in numerose pronunce la Corte, investita  della  questione
della compatibilita' costituzionale di  disposizioni  sfavorevolmente
incidenti su diritti perfetti  relativi  a  rapporti  di  durata,  ha
indicato il carattere transeunte  delle  norme  (e,  cioe',  la  loro
efficacia temporale limitata) quale indefettibile  presupposto  della
costituzionalita' delle stesse (ordinanza n. 299 del 14 luglio  1999;
sentenza n. 99 del 31 marzo 1995); 
        e se la durata limitata  nel  tempo  dev'essere  strettamente
preordinata a coprire un arco temporale pari a quello al  quale  sono
riferite  le  esigenze  di  bilancio   che   hanno   determinato   (e
giustificato) l'intervento; 
        diversamente, disposizioni che  modifichino  a  regime  (non,
quindi, con efficacia temporanea  e  strumentale  al  soddisfacimento
delle  straordinarie  esigenze  finanziarie   addotte   quale   causa
giustificatrice dell'intervento)  diritti  patrimoniali  attinenti  a
rapporti di durata, ben sono suscettibili di indurre perplessita'  di
compatibilita' costituzionale. 
    Quanto, invece, al  secondo  dei  limiti  sopra  indicati,  basti
rilevare che, anche qui, la  Corte  ha  chiarito  che  solo  esigenze
eccezionali di bilancio  integrano  gli  estremi  di  una  causa  che
giustifichi ed autorizzi l'incisione, con efficacia  retroattiva,  di
diritti  perfetti  attinenti  a  rapporti  di  durata  (ordinanza  n.
299/1999 cit.). 
    Se, quindi, solo esigenze extra ordinem di finanza pubblica  sono
state  ritenute  idonee  a  legittimare  interventi  del   tipo   qui
considerato (sicche' esigenze finanziarie  diverse,  soprattutto  ove
riferite a provvedimenti  che  avvantaggino  categorie  di  cittadini
diverse da quelle pregiudicate, si rivelano inidonee ad assicurare la
compatibilita' costituzionale delle disposizioni in questione),  deve
allora ritenersi che i  valori  della  certezza  del  diritto  e  del
legittimo   affidamento,   possano   ritenersi   ragionevolmente    e
proporzionalmente  sacrificati  (secondo  il  ricordato  insegnamento
della Corte) solo se i relativi interventi  risultino  finalizzati  a
soddisfare imperiose ed indifferibili esigenze di  bilancio,  ma  non
certo se si rivelano preordinati a coprire altre norme di spesa. 
    Conseguentemente, norme che inducano (attraverso «tagli lineari»,
ovvero identicamente commisurati in ragione di classi di  reddito,  o
di tipologie di compensi  e/o  indennita'  afferenti  a  rapporti  di
durata; o, ancora, a mezzo della introduzione di «tetti retributivi»,
suscettibili di produrre effetti di decurtazione  di  stipendi  o  di
pensioni  in  godimento),  possono  ritenersi  immuni  da   vizi   di
incostituzionalita' solo se rivestano un'efficacia temporale limitata
e  se  risultino  strettamente  funzionali  alla   soddisfazione   di
eccezionali esigenze di finanza pubblica. 
    10. Quanto alla questione sottoposta all'esame del  Collegio,  si
rileva che: 
        il   trattamento   indennitario   spettante    al    titolare
dell'Ufficio di protezione e pubblica tutela  dei  minori,  istituito
presso la Regione Veneto, ha subito - ad opera della legge  regionale
n. 13 del 2012 - una decurtazione in  misura  pari  al  70%  rispetto
all'importo  previsto  all'atto  dell'istituzione  di   tale   figura
(commisurandosi,  alla  stregua  di  quanto  stabilito  dalla   legge
regionale n. 13 del 2012, al  30%  dell'indennita',  della  diaria  a
titolo di rimborso spese, del rimborso di spese di  trasporto  e  del
trattamento di missione previsti per i consiglieri regionali); 
        a fronte di tale modificazione del trattamento economico, non
e' corrisposta alcuna diversa configurazione  delle  funzioni  svolte
dall'ufficio di che trattasi; 
        l'ufficio di che trattasi , «e'  comunque  incompatibile  con
l'esercizio di qualsiasi attivita' di lavoro autonomo o subordinato e
di qualsiasi commercio o professione» (art. 5, comma 3,  della  legge
regionale 9 agosto 1988, n. 42); 
        la   suindicata   riduzione    del    previsto    trattamento
indennitario,  nell'ambito  della  legge  regionale   anzidetta,   ha
unicamente riguardato, oltre che la figura del titolare  dell'Ufficio
di protezione e pubblica tutela dei minori, la figura  del  difensore
civico. 
    10.1   Ritiene   il   Collegio,   alla   stregua   delle   svolte
considerazioni,  non  manifestamente  infondata   la   questione   di
legittimita' costituzionale  della  norma  da  ultimo  indicata,  con
riferimento ai parametri di cui agli articoli 3, comma  2,  36  e  53
della Costituzione. 
    Quanto all'art. 36, si rammenta che, con risoluzione n. 126/E del
9 dicembre 2010, Agenzia delle entrate  ha  ritenuto  che  «le  somme
ricevute  per  l'esercizio  di  pubbliche  funzioni,  e   dunque   le
indennita' corrisposte al difensore civico, compresi i rimborsi spese
per  convegni,  seminari,  conferenze,  gruppi   di   lavoro   svolti
nell'assolvimento di  compiti  istituzionali,  costituiscono  reddito
assimilato al lavoro dipendente e  sono  assoggettati  alla  relativa
tassazione ai sensi degli articoli 51 e 52 del Tuir». 
    Nel dare atto della chiara assimilabilita', quoad effectum, della
natura del  trattamento  indennitario  riconosciuto  alla  figura  da
ultimo indicata, rispetto al titolare dell'Ufficio  di  protezione  e
pubblica  tutela  dei  minori  istituito  presso  la  Regione  Veneto
(peraltro,  omogeneamente  incisi  dalla  decurtazione  per  cui   e'
controversia), va ulteriormente rammentato il gia' indicato carattere
di incompatibilita', legislativamente fissato, dell'incarico  di  che
trattasi con lo svolgimento di altra attivita' di lavoro  autonomo  o
subordinato e di  qualsiasi  commercio  o  professione:  circostanza,
questa,  ulteriormente  asseverante  la  piena  assimilabilita'   del
reddito riveniente dalla  percezione  della  prevista  indennita'  al
reddito da attivita' lavorativa. 
    Se, per effetto di  quanto  sopra,  appieno  rileva  il  richiamo
all'art.  36  della   Costituzione,   in   ragione   della   incisiva
decurtazione reddituale (70%) operata dalla legge regionale all'esame
con riferimento ad attivita'  identicamente  caratterizzata  anche  a
seguito  della  modificazione  legislativa  di   che   trattasi,   va
ulteriormente   dato   atto   della   non   manifesta    infondatezza
dell'affermata  violazione  del  parametro  ex  art.  3  della  Carta
fondamentale, atteso che l'intervento normativo in rassegna ha inteso
operare, a fini  di  razionalizzazione  e  contenimento  della  spesa
pubblica, una decurtazione del solo trattamento previsto per  le  due
anzidette figure, senza estendere il ridimensionamento di  indennita'
e compensi, pur variamente previsti, ad altre posizioni. 
    Viene, per l'effetto, ad atteggiarsi una «selezione» delle figure
professionali  interessate  dalla  previsione   di   un   trattamento
indennitario,  non  giustificata   dalla   normativa   regionale   di
riferimento; ne', altrimenti, caratterizzata da  chiara  concludenza,
quanto alla idoneita' della  prevista  «decurtazione»,  ai  fini  del
conseguimento del (pur dichiarato) obiettivo  di  contenimento  della
spesa pubblica. Quanto, poi, all'ulteriore riferimento (art. 53)  che
il   Collegio   intende   rimettere   all'attenzione   della    Corte
costituzionale, e' indubbio che l'operata riduzione  del  trattamento
indennitario in  discorso  venga  a  configurarsi  quale  prestazione
patrimoniale imposta, di natura sostanzialmente tributaria. 
    La Corte costituzionale ha riconosciuto il vizio di disparita' di
trattamento  con  riferimento  a  disposizioni  che,  prevedendo   un
contributo  a  carico  di  dipendenti  pubblici  il  cui  trattamento
reddituale si ponga al di sopra di  una  individuata  soglia,  devono
essere  qualificate  come  norme  dispositive  di   una   prestazione
patrimoniale   imposta   e,   quindi,   di   un   prelievo   fiscale,
incostituzionalmente applicato ad una sola categoria di  contribuenti
(sentenze n. 223 dell'11 ottobre 2012 e n. 116 del 5 giugno 2013), in
violazione degli articoli 3 e  53  della  Costituzione;  e  cio',  in
quanto e' stata esclusa la  compatibilita'  costituzionale  di  norme
«surrettiziamente» qualificate alla stregua di  una  «riduzione»  del
trattamento economico dei  dipendenti  pubblici,  ma  sostanzialmente
impositive di un prelievo fiscale a carico  solo  di  questi  ultimi,
siccome violative del principio di eguaglianza,  che  esige  il  pari
trattamento,  a  parita'  di  reddito,  tra  diverse   categorie   di
contribuenti. 
    In considerazione del principio della capacita' contributiva,  ex
art.  53  della  Costituzione,  se  il  limite  espansivo  intrinseco
dell'esercizio   del   potere   impositivo   va   individuato   nella
corrispondenza fra situazioni incise e commisurazione del  sacrificio
richiesto  (anche  a  fronte  dell'applicazione  del   principio   di
uguaglianza di cui all'art. 3  della  Costituzione  e  del  principio
solidaristico  di  cui  al  precedente   art.   2),   il   sacrificio
patrimoniale che venga ad incidere soltanto sulla  condizione  o  sul
patrimonio di una determinata categoria di soggetti (tenendo indenni,
a  parita'  di  capacita'  reddituale,  altri),  confligge   con   le
coordinate di uguaglianza e ragionevolezza del prelievo. 
    Nell'osservare come la disposizione oggetto di censura non  abbia
carattere transitorio (con essa essendo stata introdotta,  a  regime,
la suindicata variazione peggiorativa del trattamento  indennitario),
va  quindi  escluso  che  la  norma  in  rassegna  abbia   introdotto
«sacrifici ... eccezionali, transeunti, non arbitrari  e  consentanei
allo scopo  prefisso»  (come  dalla  Corte  indicato  con  la  citata
ordinanza n. 299 del 1999); ulteriormente dovendosi rilevare,  sempre
con riferimento alla legittimita' e  razionalita'  della  prestazione
patrimoniale imposta in nome di esigenze di  finanza  pubblica,  come
l'art. 7 della legge regionale n. 13 del 2012 abbia riguardato  anche
voci indennitarie (la diaria ed il rimborso delle spese di trasporto)
che, in quanto  caratterizzate  da  finalita'  di  ristoro  di  oneri
sostenuti per  lo  svolgimento  dell'incarico,  non  integrano,  esse
stesse, un «sintomo di arricchimento», suscettibile di essere  inciso
ai sensi del predetto art. 53 della Costituzione. 
    10.2 La norma regionale all'esame,  inoltre,  viene  a  porsi  in
violazione del  -  pure  in  precedenza  illustrato  -  parametro  di
ragionevolezza, risultante dalla  correlazione  della  configurazione
del sacrificio imposto per effetto della introdotta modificazione del
trattamento  indennitario,  rispetto  alle  perseguite  finalita'  di
contenimento della spesa pubblica. 
    Quanto sopra viene in considerazione, laddove si osservi che: 
        laddove la decurtazione del trattamento spettante al titolare
dell'Ufficio di protezione e pubblica tutela dei minori  (operato  ex
art. 7 della legge regionale n. 13 del 2012) e'  venuto  ad  incidere
soltanto su  tale  posizione  (oltre  che  su  quella  del  difensore
civico), senza che  il  legislatore  regionale  abbia  dato  adeguata
emersione alla funzionalizzazione del sacrificio, come sopra imposto,
rispetto alle finalita' dal medesimo dichiaratamente perseguite; 
        in ogni caso, l'elevata commisurazione del  «taglio»  operato
al trattamento spettante alla  suindicata  figura  (70%  rispetto  al
trattamento per  essa  originariamente  previsto),  se  non  incontra
congrua emersione giustificativa rispetto alle predette  esigenze  di
contenimento della spesa pubblica,  d'altro  canto  si  atteggia  con
carattere   grandemente    sperequato    rispetto    all'assimilabile
ridimensionamento (operato dall'art. 6, comma 3, del decreto-legge 31
maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio
2010, n. 122), di  indennita',  compensi,  gettoni,  retribuzioni  od
altre  utilita'  comunque  denominate,  corrisposti  dalle  pubbliche
amministrazioni,  fra  gli  altri,  ai  «titolari  di  incarichi   di
qualsiasi tipo», che la norma da ultimo richiamata ha  fissato  nella
(ben  inferiore,  rispetto  all'intervento  del  legislatore  veneto)
misura del 10 %. 
    Non intende con cio' il Collegio  sostenere  che  tale  parametro
commisurativo integri la presenza di una coordinata avente  carattere
di obbligata  -  quanto  pedissequa  -applicazione,  da  parte  delle
amministrazioni (diverse da quelle contemplate dalla norma da  ultimo
citata), ai fini di correlare il  ridimensionamento  dei  trattamenti
indennitari alle finalita'  di  contenimento  della  spesa  pubblica;
quanto,   piuttosto,   evidenziare   come   un   cosi   significativo
«sbilanciamento» nella misura della decurtazione, se ex se integra la
presenza di un  elemento  sintomatico  della  irragionevolezza  della
previsione  legislativa,  assume  rincarato  profilo  di   rilevanza,
laddove la quantificazione del  sacrificio  come  sopra  imposta  (di
sette volte superiore, nel caso che ne occupa,  rispetto  all'omologa
previsione  dell'anzidetta  legge  statale)  non  incontra   elementi
giustificativi, ai quali il legislatore regionale abbia dato  congrua
emersione. 
    11.  Se,  alla  stregua  di  quanto  precede,  la  questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 7  della  legge  regionale  del
Veneto si dimostra non manifestamente infondata, con riferimento agli
articoli 3, comma 2, 36 e 53 della Costituzione, rileva ulteriormente
il Collegio come tale questione evidenzi,  quanto  alla  controversia
all'esame, carattere di rilevanza. 
    Premessa,  infatti,  l'accoglibilita'  della  censura,  formulata
dall'appellante Regione Veneto (si confrontino i precedenti punti  8.
e 9.), va rilevato come il soddisfacimento della pretesa  sostanziale
della quale e' portatrice la parte appellata (la quale, nel  presente
grado di appello, cosi' come dinanzi al giudice  di  prime  cure,  ha
eccepito l'incostituzionalita' della norma) necessariamente  venga  a
trovarsi intermediato dalla caducazione della disposizione  di  legge
regionale  di  che  trattasi,  atteso  che  soltanto  la   dichiarata
incostituzionalita' di  quest'ultima  potrebbe  consentire  la  piena
riespansione della modificata previsione  di  cui  all'art.  7  della
legge regionale n. 42 del 1988, con riveniente (ri)configurazione del
trattamento  indennitario  in  discorso  nella  sua   integrale   (ed
originaria) commisurazione. 
    Ne' la sopravvenuta  abrogazione  della  disposizione  da  ultimo
richiamata per effetto dell'art. 17 della legge regionale del Veneto,
24 dicembre 2013, n. 37 attenua la rilevanza della questione,  atteso
che: 
        se, ai sensi del successivo art. 19, comma 2,  «il  difensore
civico di cui alla legge regionale 6 giugno 1988, n.  28  nonche'  il
titolare dell'Ufficio di protezione e pubblica tutela dei  minori  di
cui alla legge regionale 9 agosto 1988, n. 42, in carica  all'entrata
in  vigore  della  presente   legge,   rimangono   in   carica   fino
all'insediamento  del  Garante  e  ad  essi  ed  all'esercizio  delle
rispettive  funzioni  continuano  ad   applicarsi   le   disposizioni
rispettivamente di cui alle leggi regionali 6 giugno 1988, n. 28 e  9
agosto 1988, n.  42  e  successive  modificazioni,  ivi  compresa  la
disciplina di cui all'art. 61, comma  2,  della  legge  regionale  31
dicembre 2012, n. 53 «Autonomia del Consiglio regionale»; 
        e se l'appellata dott.ssa Assegna, per quanto emergente dagli
atti di causa, ha continuato a svolgere  le  funzioni  alle  medesima
conferite, fino al previsto esaurimento della durata del mandato; 
        con ogni evidenza, la persistente  attualita'  dell'interesse
riconoscibile in capo alla parte (e, con  essa,  la  rilevanza  della
questione da essa  sollevata)  consegue  alla  reintegrabilita',  con
valenza evidentemente  ex  tunc,  del  trattamento  indennitario  che
quest'ultima assume essere stato illegittimamente decurtato;  ne'  la
presente controversia e' suscettibile  di  definizione,  fuori  dalla
delibazione della questione precedentemente illustrata. 
    12.  Conclusivamente  ritenuta  rilevante  e  non  manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale  dedotta  dalla
parte appellata, questo Consiglio di Stato solleva - con  riferimento
agli articoli 3, comma 2, 36 e 53 della Costituzione -  la  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 7 della legge regionale  del
Veneto 6 aprile 2012, n. 13, nella parte in cui prevede(va)  che  «al
titolare dell'Ufficio di protezione  e  pubblica  tutela  dei  minori
spetta il 30 per cento  dell'indennita'  della  diaria  a  titolo  di
rimborso spese, del rimborso spese di trasporto e del trattamento  di
missione previsti  dalla  legge  regionale  30  gennaio  1997,  n.  5
"Trattamento indennitario dei  consiglieri  regionali"  e  successive
modificazioni, per i consiglieri regionali e secondo le modalita' per
gli stessi previste». 
    Il  presente  giudizio  deve,  pertanto,  essere   sospeso,   con
trasmissione  degli  atti  alla  Corte   costituzionale,   per   ogni
conseguente statuizione.