Ricorso ex art. 127 della  Costituzione  per  il  Presidente  del
Consiglio   dei   Ministri,   rappresentato   e   difeso   ex    lege
dall'Avvocatura  generale  dello   Stato   (c.f.   80224030587   fax:
0696514000, PEC:  ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it)  presso  i  cui
uffici e' domiciliato in Roma alla via dei Portoghesi, 12; 
    Contro la Regione Lazio, in persona del Presidente  della  Giunta
regionale  pro-tempore  per   la   declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale degli articoli 64, comma l, lettera a), 75,  comma  l,
lettera b) e lettera c) e 81  della  legge  della  Regione  Lazio  11
agosto 2021, n. 14, pubblicata sul B.U.R n. 79 del  12  agosto  2021,
recante «Disposizioni collegate alla legge  di  stabilita'  regionale
2021 e modifica di leggi regionali». 
 
                              Premessa 
 
    Sul B.U.R. Lazio del 12 agosto 2021, n. 79 e' stata pubblicata la
legge  Regionale  11  agosto  2021,  n.  14,  recante   «Disposizioni
collegate alla legge di stabilita' regionale 2021 e modifica di leggi
regionali finanziarie». 
    Alcuni articoli della legge regionale in esame presentano profili
di contrasto con la Costituzione, si propone, pertanto, questione  di
legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 127, comma l Cost. per
i seguenti 
 
                               Motivi 
 
1) Illegittimita' dell'art. 64,  comma  1,  lettera  a)  della  legge
regionale n. 14/2021 per violazione  dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera s) della Costituzione, in relazione agli articoli 135, 143  e
145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui  al  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonche' per violazione  dell'art.
9 della Costituzione e del principio di leale collaborazione. 
    L'art. 64 della legge regionale  in  esame  apporta  modifiche  e
integrazioni alla legge regionale 22 dicembre 1999,  n.  38,  recante
«Norme sul governo del territorio». 
    In particolare, il comma 1 modifica l'art. 54 della legge  n.  38
del 1999, recante la disciplina delle trasformazioni urbanistiche  in
zona agricola. 
    Nel dettaglio, il comma 1, lettera  a),  del  predetto  art.  64,
prevede  la  sostituzione  del  comma  2  dell'art.  54  della  legge
regionale n. 38 del 1999 con il seguente testo: 
    «2. Nel rispetto degli articoli 55, 57 e 57-bis e dei regolamenti
ivi  previsti,  nelle  zone  agricole  sono  consentite  le  seguenti
attivita': 
        a) attivita' agricole aziendali di cui all'art. 2 della legge
regionale n. 14/2006; 
        b) attivita' multimprenditoriali  integrate  e  complementari
con le attivita' agricole aziendali. Rientrano in tali attivita': 
          1) turismo rurale; 
          2) trasformazione e vendita diretta dei prodotti  derivanti
dall'esercizio delle attivita' agricole tradizionali; 
          3)  ristorazione  e  degustazione   dei   prodotti   tipici
derivanti  dall'esercizio  delle  attivita'   agricole   tradizionali
compresi i mercati e le fiere dei prodotti tipici; 
          4) attivita' culturali,  didattiche,  sociali,  ricreative,
sportive e terapeutico-riabilitative; 
          5) accoglienza e assistenza degli animali nonche'  cimiteri
per gli animali d'affezione; 
          6) produzione delle energie rinnovabili anche attraverso la
realizzazione di impianti di trattamento degli scarti  delle  colture
agricole e dei liquami prodotti dagli  impianti  di  allevamento  del
bestiame.». 
    Prima di tale modifica, il testo del comma  2  dell'art.  54  era
cosi' formulato: 
        «2. Nel rispetto  degli  articoli  55,  57  e  57-bis  e  dei
regolamenti ivi previsti, nelle  zone  agricole  sono  consentite  le
attivita' rurali aziendali come individuate all'art.  2  della  legge
regionale n. 14/2006, comprensive delle attivita' multimprenditoriali
individuate  dal  medesimo  art.   2.   Rientrano   nelle   attivita'
multimprenditoriali le seguenti attivita': 
          a) turismo rurale; 
          b) trasformazione e vendita diretta dei prodotti  derivanti
dall'esercizio delle attivita' agricole tradizionali; 
          c)  ristorazione  e  degustazione   dei   prodotti   tipici
derivanti dall'esercizio delle attivita' agricole tradizionali; 
          d) attivita' culturali,  didattiche,  sociali,  ricreative,
sportive e terapeutico-riabilitative; 
          e) accoglienza ed assistenza degli animali; 
          f) produzione delle energie rinnovabili.». 
    La novella  potrebbe  apparire  di  limitata  portata  innovativa
rispetto al testo previgente, atteso che la modifica si  risolve,  in
definitiva: 
        in  una  diversa   articolazione   del   medesimo   contenuto
normativa, mediante la sua distribuzione in due lettere («a» e  «b»),
la seconda delle quali assorbe  il  secondo  periodo  presente  nella
precedente formulazione ed e', a sua volta, articolata in numeri  (da
l a  6)  corrispondenti  alle  lettere  (da  «a»  a  «f»)  del  testo
previgente; 
        nella sostituzione delle parole: «attivita' rurali  aziendali
come individuate all'art. 2 della legge regionale n. 14/2006» con  la
formulazione,  sostanzialmente  equipollente,   «attivita'   agricole
aziendali di cui all'art. 2 della legge regionale n. 14/2006»; 
        nella  precisazione  concernente  la  possibilita'   che   la
«produzione  delle  energie   rinnovabili»   avvenga   anche   «anche
attraverso la realizzazione di impianti di trattamento  degli  scarti
delle colture agricole e  dei  liquami  prodotti  dagli  impianti  di
allevamento del bestiame». 
    A  fronte  di  tali,   modeste,   modificazioni   della   portata
dispositiva  della  previsione,  l'interprete  sarebbe,  in  effetti,
indotto a chiedersi per quale ragione il legislatore regionale non si
sia  limitato  ad  inserire   soltanto   la   predetta   precisazione
concernente le energie  rinnovabili,  ma  abbia  ritenuto  necessario
riscrivere l'intero comma,  distribuendo  diversamente  il  testo  in
lettere e numeri. 
    In realta', cio' che emerge e' che, con la suddetta novella,  non
si e' inteso modificare la disciplina legislativa  regionale  recante
la tipizzazione delle attivita'  astrattamente  previste  nelle  zone
agricole classificate come tali dagli strumenti urbanistici  comunali
(ossia il contenuto  proprio  dell'art.  54,  comma  2,  della  legge
regionale n. 38 del 1999), quanto piuttosto incidere surrettiziamente
sulla  disciplina  contenuta  nel   Piano   territoriale   paesistico
regionale in tema di attivita' in concreto consentite  nelle  aziende
agricole ricadenti m ambiti soggetti a vincolo paesaggistico. 
    Piu' in dettaglio, al  fine  di  apprezzare  l'effettiva  portata
della disposizione introdotta dalla legge regionale n. 14  del  2021,
occorre tenere presente che l'art.  52  (1)  del  Piano  territoriale
paesistico  regionale  (PTPR)  -  approvato  con  deliberazione   del
consiglio regionale n. 5 del 21 aprile 2021 e pubblicato sul B.U.R.L.
n. 56 del 10 giugno 2021 - nel dettare la  disciplina  delle  aziende
agricole in aree vincolate, prevede,  al  comma  l,  che  nell'ambito
delle aziende agricole  ubicate  in  aree  sottoposte  a  vincolo  e'
consentita la realizzazione di manufatti  strettamente  funzionali  e
dimensionati alle attivita' agricole. 
    Il comma 4 della medesima disposizione stabilisce poi che, previa
approvazione di un piano di utilizzazione  aziendale  (d'ora  innanzi
PUA), e' altresi' consentitol'inserimento delle funzioni ed attivita'
compatibili di cui all'art. 54, comma 2, lettera b), della  legge  n.
38 del 1999. 
    Secondo quanto sopra detto, l'art. 54, comma 2, lettera b), della
legge n. 38 del 1999, al tempo dell'approvazione del PTPR e,  dunque,
anteriormente alla modifica apportata dall'art.  64  della  legge  in
oggetto, faceva riferimento alle sole «attivita' di trasformazione  e
vendita diretta dei prodotti derivanti dall'esercizio delle attivita'
agricole tradizionali». 
    In sede di copianificazione,  dunque,  si  e'  deciso  -  per  il
tramite del citato rinvio alla disciplina regionale all'epoca vigente
- che le attivita' consentite, previa  approvazione  Ministero  della
cultura (ex MIBACT), del PUA, nell'ambito di aziende agricole in aree
vincolate fossero, oltre a quelle strettamente rurali, esclusivamente
le  attivita'  di  trasformazione  e  vendita  diretta  dei  prodotti
derivanti dall'esercizio delle attivita' agricole tradizionali. 
    Per effetto della modifica apportata all'art. 54 della  legge  n.
38 del 1999, dall'art. 64, comma l, lettera a), della legge regionale
n. 14 del 2021, il rinvio operato dal  PTPR  all'art.  54,  comma  2,
lettera b), della legge n. 38 del 1999 viene invece  ad  assumere  un
contenuto nettamente piu' ampio, che  esula  dalle  scelte  all'epoca
condivise tra Stato e regione. 
    L'art. 54, comma 2, lettera b), della legge n.  38  del  1999,  a
seguito  della  modifica  apportata  dall'art.  64  della  legge   in
questione, fa infatti riferimento oggi - come  innanzi  visto  -  non
soltanto  alla  «trasformazione  e  vendita  diretta   dei   prodotti
derivanti dall'esercizio delle attivita' agricole  tradizionali»,  ma
anche a tutte le altre  «attivita'  multimprenditoriali  integrate  e
complementari con  le  attivita'  agricole  aziendali»,  nelle  quali
rientrano pure: il turismo rurale; la ristorazione e degustazione dei
prodotti tipici derivanti  dall'esercizio  delle  attivita'  agricole
tradizionali compresi i mercati e le fiere dei  prodotti  tipici;  le
attivita' culturali,  didattiche,  sociali,  ricreative,  sportive  e
terapeutico-riabilitative; l'accoglienza e assistenza  degli  animali
nonche' cimiteri per gli animali  d'affezione;  la  produzione  delle
energie rinnovabili anche attraverso la realizzazione di impianti  di
trattamento  degli  scarti  delle  colture  agricole  e  dei  liquami
prodotti dagli impianti di allevamento del bestiame. 
    E'  dunque  evidente  come  la  legge  regionale  in  esame,  pur
consistendo in una modifica formale  della  disposizione  previgente,
sia diretta in realta' a  introdurre  surrettiziamente  una  modifica
unilaterale  della  disciplina   di   tutela   prevista   dal   Piano
territoriale,   la   cui   revisione,   tuttavia,    puo'    avvenire
esclusivamente  nel  rispetto  dei  presupposti  e  delle   modalita'
previsti    dall'Accordo    di     copianificazione,     sottoscritto
congiuntamente con il Ministero della  cultura,  ai  sensi  dell'art.
143, comma 2, del codice di settore. 
    Del resto, che la volonta' della regione fosse proprio quella  di
ampliare, con la norma in esame, il novero delle attivita' consentite
nell'ambito di aziende agricole ricadenti in aree vincolate si evince
dalla stessa relazione illustrativa della proposta di legge,  ove  si
rappresenta  che  la  modifica  all'art.  54,  comma  2  della  legge
regionale n. 38 del 1999 viene apportata, a seguito dell'approvazione
del Piano territoriale paesaggistico regionale,  «per  un  necessario
coordinamento con quanto dallo stesso previsto  dall'art.  52,  comma
4». 
    E' evidente tuttavia che, ove  in  sede  in  copianificazione  vi
fosse  stata  l'intenzione  di  consentire,  nell'ambito  di  aziende
agricole  in  aree  vincolate,  attivita'  diverse   da   quelle   di
trasformazione   e   vendita   diretta   dei    prodotti    derivanti
dall'esercizio delle  attivita'  agricole  tradizionali,  non  ci  si
sarebbe limitati a inserire, all'art. 52, comma  4  delle  norme  del
Piano, il riferimento all'art. 54, comma 2, lettera b),  della  legge
n. 38 del  1999  (previsione  che,  come  piu'  volte  ricordato,  si
riferiva esclusivamente alle attivita' di «trasformazione  e  vendita
diretta  dei  prodotti  derivanti  dall'esercizio   delle   attivita'
agricole tradizionali»), ma si sarebbe fatto rinvio all'intero  comma
2 dell'art. 54, per come all'epoca vigente. 
    Non  vi  e'  dubbio,  pertanto,  che  la  disposizione  regionale
persegua l'intento e sia diretta a produrre l'effetto di operare  una
modifica unilaterale del Piano paesaggistico approvato  d'intesa  con
lo  Stato,  modifica  comportante  il  rilevante   incremento   delle
attivita'  consentite  nelle  aziende  agricole  ricadenti  in   aree
soggette a vincolo paesaggistico. 
    Per effetto di quanto  sopra,  la  norma  regionale  si  pone  in
diretto contrasto con gli articoli 135, 143 e 145 del codice dei beni
culturali e del paesaggio di cui al decreto  legislativo  22  gennaio
2004, n. 42;  previsioni,  queste  ultime,  che  costituiscono  norme
interposte rispetto all'art. 117, secondo comma,  lettera  s),  della
Costituzione. 
    Come ben noto nel 2004 e' entrato in vigore il  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio, che ha innovato la disciplina  statale  in
materia di pianificazione paesaggistica, introducendo,  tra  l'altro,
il principio della pianificazione congiunta dei  beni  paesaggistici'
tra Stato e regione (artt. 135, comma l, 143,  comma  2  del  decreto
legislativo n. 42 del 2004, nel  testo  risultante  a  seguito  delle
modifiche operate dal decreto legislativo  24  marzo  2006,  n.  157,
recante  «Disposizioni   correttive   ed   integrative   al   decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio», e dal
decreto  legislativo  26  marzo  2008,  n.  63,  recante   «Ulteriori
disposizioni integrative e  correttive  del  decreto  legislativo  22
gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio»). 
    Al riguardo, occorre tenere presente che la parte III del  Codice
dei beni culturali e del paesaggio delinea  un  sistema  organico  di
tutela  paesaggistica,  inserendo  i   tradizionali   strumenti   del
provvedimento   impositivo   del   vincolo   e    dell'autorizzazione
paesaggistica  nel  quadro  della  pianificazione  paesaggistica  del
territorio, che  deve  essere  elaborata  concordemente  da  Stato  e
Regione. Tale pianificazione concordata prevede,  per  ciascuna  area
tutelata, le c.d. prescrizioni d'uso (e cioe' i criteri  di  gestione
del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria)  e  stabilisce
la tipologia delle trasformazioni compatibili e  di  quelle  vietate,
nonche' le condizioni delle eventuali trasformazioni. 
    In  sostanza,  il  legislatore  nazionale,  nell'esercizio  della
potesta' legislativa esclusiva in  materia,  ha  assegnato  al  piano
paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della
pianificazione territoriale. Gli articoli 143, comma 9, e 145,  comma
3, del Codice di settore sanciscono infatti  l'inderogabilita'  delle
previsioni del predetto strumento da  parte  di  piani,  programmi  e
progetti nazionali o  regionali  di  sviluppo  economico  e  la  loro
cogenza rispetto  agli  strumenti  urbanistici,  nonche'  l'immediata
prevalenza  del  piano  paesaggistico  su  ogni  altro   atto   della
pianificazione territoriale e urbanistica (cfr. Corte  costituzionale
n. 180 del 2008). 
    Si  tratta  di  una  scelta  di  principio  la  cui  validita'  e
importanza e' gia'  stata  affermata  piu'  volte  da  codesta  Corte
costituzionale, in occasione dell'impugnazione di leggi regionali che
intendevano mantenere uno spazio decisionale autonomo agli  strumenti
di pianificazione dei comuni e delle regioni, eludendo la  necessaria
condivisione delle scelte attraverso uno strumento di  pianificazione
sovracomunale, definito d'intesa tra lo Stato e la regione. La  Corte
ha, infatti, affermato l'esistenza di  un  vero  e  proprio  obbligo,
costituente un principio inderogabile della legislazione statale,  di
elaborazione congiunta del piano paesaggistico,  con  riferimento  ai
beni vincolati (Corte cost. n.  86  del  2019)  e  ha  rimarcato  che
l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica «e' assunta  a
valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore  regionale  in
quanto espressione di un intervento teso a stabilire una  metodologia
uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali
e paesaggistici sull'intero territorio nazionale»  (Corte  cost.,  n.
182 del 2006; cfr. anche la sentenza n. 272 del 2009). 
    Il suddetto quadro normativa non consente alla regione, una volta
approvato il piano paesaggistico d'intesa con lo  Stato,  di  operare
unilateralmente una modifica meramente formale di una  propria  norma
di legge, al solo scopo di incidere indirettamente  sulla  disciplina
concordemente dettata in sede  di  pianificazione  paesaggistica  con
riferimento alle aree vincolate. 
    L'art. 64, comma l, lettera a), della legge regionale in  oggetto
e', pertanto, illegittimo per violazione della  potesta'  legislativa
esclusiva in materia di tutela del paesaggio, di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost., rispetto alla  quale  costituiscono
norme interposte gli articoli 135, 143 e  145  del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio. 
    D'altro canto, la medesima previsione censurata, determinando  un
abbassamento del livello della tutela del paesaggio,  comporta  anche
la violazione dell'art. 9 della Costituzione, che assegna alla tutela
del  paesaggio  il  rango  di  valore  primario  e  assoluto   (Corte
costituzionale, n. 367 del 2007). 
    Deve, infine, rilevarsi che la modifica apportata  dall'art.  64,
comma 1, lettera a), della legge regionale in  oggetto  all'art.  54,
comma 2 della legge n. 38 del 1999,  laddove  incide  sulla  concreta
portata della disciplina contenuta nel Piano territoriale  paesistico
regionale, costituisce, come  gia'  evidenziato,  il  frutto  di  una
scelta assunta unilateralmente dalla regione, al di fuori  del  lungo
percorso condiviso con lo Stato che ha condotto all'approvazione  del
medesimo piano. 
    In questa prospettiva,  la  previsione  risulta  percio'  dettata
anche in violazione del principio di leale collaborazione, il  quale,
secondo  l'insegnamento  di  codesta  Corte   costituzionale,   «deve
presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e  regioni»,
atteso che «la sua elasticita' e  la  sua  adattabilita'  lo  rendono
particolarmente idoneo a regolare in  modo  dinamico  i  rapporti  in
questione, attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti»
(cosi' in particolare, tra le tante, Corte costituzionale n.  31  del
2006). 
    Al riguardo, codesta Corte  ha  chiarito,  tra  l'altro,  che  il
predetto principio «(...) anche in  una  accezione  minimale,  impone
alle parti  che  sottoscrivono  un  accordo  ufficiale  in  una  sede
istituzionale di tener fede ad un impegno assunto» (cosi'  ancora  la
sentenza da ultimo richiamata). 
    La scelta della Regione di assumere iniziative unilaterali, al di
fuori dell'accordo  con  lo  Stato,  che  ha  condotto  alla  recente
approvazione del Piano territoriale, si pone, pertanto, in  contrasto
anche con il principio di leale collaborazione (con riferimento  alla
leale collaborazione ai fini della pianificazione paesaggistica,  con
specifico  riferimento  proprio  al  PTPR  del   Lazio   cfr.   Corte
costituzionale n. 240 del 2020). 
    Alla luce di tutto quanto sopra indicato,  l'art.  64,  comma  1,
lettera a) e' illegittimo poiche' si pone  in  contrasto  con  l'art.
117, secondo comma, lettera s), della Costituzione,  con  riferimento
agli articoli 135, 143 e 145 del Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.  42,  che
costituiscono  norme  interposte,  nonche'   con   l'art.   9   della
Costituzione in tema di tutela del paesaggio e con  il  principio  di
leale collaborazione. 
2) Illegittimita' dell'art. 75, comma 1, lettera b), numeri 2, 3, 4 e
5 limitatamente all'introduzione del comma 5-bis dell'art. 3.1, della
legge regionale n. 16/2011 e lettera c) per violazione dell'art. 117,
comma 3 (in punto produzione,  trasporto  e  distribuzione  nazionale
dell'energia)  della  Costituzione  con   riferimento   ai   principi
fondamentali dettati dal decreto legislativo  28  dicembre  2003,  n.
387, recante «Attuazione della  direttiva  2001/77/CE  relativa  alla
promozione  dell'energia  elettrica  prodotta  da  fonti  energetiche
rinnovabili nel mercato interno  dell'elettricita'»,  dell'art.  117,
comma primo e dell'art. 117, comma secondo, lettere e)  ed  s)  della
Costituzione. 
    L'art. 75 (recante «Modifiche alla legge  regionale  16  dicembre
2011, n. 16 "Norme in materia ambientale e di  fonti  rinnovabili"  e
successive modifiche») presenta, in alcune sue disposizioni,  profili
di illegittimita' in quanto contrasta con i principi fondamentali che
devono essere rispettati nell'esercizio  della  potesta'  legislativa
concorrente  «produzione,   trasporto   e   distribuzione   nazionale
dell'energia», con cio' violando l'art. 117, comma 3 Cost.;  principi
fondamentali  che,  per  costante  giurisprudenza  di  codesta  Corte
costituzionale,  non  tollerano  eccezioni   sull'intero   territorio
nazionale (cfr. da ultimo, sentenza n. 69/2018) e nel cui  ambito  e'
da ricondursi la  disciplina  degli  impianti  di  energia  da  fonti
rinnovabili, regolata in via primaria dal legislatore  nazionale  con
il decreto legislativo 28 dicembre 2003, n. 387, recante  «Attuazione
della direttiva  2001/77/CE  relativa  alla  promozione  dell'energia
elettrica prodotta  da  fonti  energetiche  rinnovabili  nel  mercato
interno  dell'elettricita'»,  costituente,  per  quel   che   occupa,
parametro  statale  interposto  (ex  multis,   Corte   costituzionale
sentenza n. 189 del 2014). 
    In particolare, l'art. 75, comma, comma 1,  lettera  b),  recante
modifica all'art. 3.1, della legge Regione Lazio n. 16/2011 nella sua
attuale formulazione: 
        1) fissa al 30 giugno 2022 il termine entro il quale i comuni
individuano le  aree  non  idonee  per  l'installazione  di  impianti
fotovoltaici a terra (comma 1, lettera b), n. 2); 
        2) inserisce un comma 4-ter, ai sensi del quale  «La  Regione
sostiene i comuni nello svolgimento delle attivita' di individuazione
delle aree non idonee di cui al comma 3, fornendo  adeguato  supporto
tecnico  normativo  tramite  il  gruppo   tecnico   interdisciplinare
istituito ai sensi dell'art. 3.1.1.» (comma 1, lettera b) n. 3); 
        3) abroga il comma 5,  dell'art.  3.1,  ai  sensi  del  quale
«Nelle more  delle  previsioni  di  cui  al  comma  1,  resta  sempre
consentita la produzione di  energia  da  fonti  rinnovabili  con  le
modalita' previste dalla legge  regionale  2  novembre  2006,  n.  14
(Norme in materia di diversificazione  delle  attivita'  agricole)  e
successive  modifiche  per  la  quale  non  trovano  applicazione  le
limitazioni di cui al comma 3 (comma 1, lettera b), n. 4); 
        4) prevede un potere sostitutivo della  Regione  in  caso  di
inerzia dei comuni inserendo il comma 5-bis che prevede: «In caso  di
inerzia  dei  comuni  nell'individuazione  delle  aree   non   idonee
all'installazione degli impianti fotovoltaici entro il termine di cui
al comma 3, la Regione esercita il  potere  sostitutivo,  tramite  le
proprie strutture o la nomina  di  un  commissario  ad  acta,  previo
invito  a  provvedere  entro  un  congruo  termine,  ai  sensi  della
normativa vigente» (comma 1, lettera b), n. 5). 
    Al riguardo occorre innanzitutto, ribadire si e' consapevoli  del
fatto che le previsioni introdotte con legge regionale Lazio n. l del
2020 (nella specie l'art. 10, comma 11), con particolare  riferimento
alla competenza comunale ivi sancita alla individuazione  delle  aree
idonee per l'installazione degli impianti fotovoltaici a terra,  sono
state oggetto di impugnativa da parte del  Presidente  del  Consiglio
dei  ministri  e  che  codesta  Corte  costituzionale  ha  dichiarato
infondata la questione di legittimita' costituzionale (cfr.  sentenza
n. 141/2021), tuttavia, ad avviso del  Presidente  del  Consiglio  la
questione andrebbe riesaminata alla luce del nuovo  quadro  normativo
interposto. 
    A tale proposito e' fondamentale segnalare che la  recente  legge
22 aprile 2021, n. 53, recante «Delega al Governo per il  recepimento
delle direttive europee e  l'attuazione  di  altri  atti  dell'Unione
europea - legge di  delegazione  europea  2019-2020»  nel  dettare  i
criteri ulteriori  di  delega  per  il  recepimento  della  direttiva
2018/2001/CE  sulla  promozione  dell'uso   dell'energia   da   fonti
rinnovabili, ha affrontato in modo dettagliato  il  tema  delle  aree
idonee  e  non  idonee  all'installazione   di   impianti   a   fonti
rinnovabili. 
    In particolare,  all'art.  5,  comma  1,  lettere  a)  e  b),  si
stabilisce che il Governo nell'esercizio della delega deve: 
        a) prevedere, previa intesa con la  Conferenza  unificata  ai
sensi dell'art. 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,  su
proposta del Ministero dello sviluppo economico, di concerto  con  il
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e  del  mare  e
con il Ministero per i  beni  e  le  attivita'  culturali  e  per  il
turismo, al fine del concreto raggiungimento degli obiettivi indicati
nel Piano nazionale integrato per l'energia e il clima  (PNIEC),  una
disciplina per l'individuazione delle superfici e delle aree idonee e
non idonee per l'installazione di impianti a  fonti  rinnovabili  nel
rispetto delle esigenze di tutela  del  patrimonio  culturale  e  del
paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualita'  dell'aria
e dei corpi idrici, nonche' delle specifiche competenze dei Ministeri
per i beni e le attivita' culturali e per il turismo, delle politiche
agricole alimentari e forestali e dell'ambiente e  della  tutela  del
territorio e del  mare,  privilegiando  l'utilizzo  di  superfici  di
strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, e  aree
non  utilizzabili   per   altri   scopi,   compatibilmente   con   le
caratteristiche e le disponibilita' delle risorse rinnovabili,  delle
infrastrutture di rete e della domanda elettrica, nonche' tenendo  in
considerazione la dislocazione della domanda, gli  eventuali  vincoli
di rete e il potenziale di sviluppo della rete  stessa.  A  tal  fine
sono osservati, in particolare, i seguenti indirizzi: 
          1)  la  disciplina  e'  volta  a   definire   criteri   per
l'individuazione di aree idonee all'installazione di impianti a fonti
rinnovabili aventi una  potenza  complessiva  almeno  pari  a  quella
individuata come necessaria dal PNIEC  per  il  raggiungimento  degli
obiettivi di  sviluppo  delle  fonti  rinnovabili.  A  tal  fine,  la
disciplina reca inoltre criteri per la  ripartizione  fra  regioni  e
province autonome e prevede misure di salvaguardia  delle  iniziative
di sviluppo  in  corso  che  risultino  coerenti  con  i  criteri  di
localizzazione  degli  impianti  preesistenti,  rispetto   a   quelli
definiti dalla presente lettera; 
          2) il processo programmatorio di individuazione delle  aree
idonee e' effettuato da ciascuna  regione  o  provincia  autonoma  in
attuazione della disciplina di cui al numero 1) entro sei  mesi.  Nel
caso di mancata adozione, e'  prevista  l'applicazione  dell'art.  41
della legge 24 dicembre 2012, n. 234; 
        b) prevedere che, nell'individuazione delle superfici e delle
aree idonee e non idonee per  l'installazione  di  impianti  a  fonti
rinnovabili di cui alla lettera a), siano rispettati i principi della
minimizzazione degli impatti  sull'ambiente,  sul  territorio  e  sul
paesaggio,  fermo  restando  il  vincolo  del  raggiungimento   degli
obiettivi  di  decarbonizzazione  al  2030  e  tenendo  conto   della
sostenibilita'  dei  costi  correlati  al  raggiungimento   di   tale
obiettivo. 
    Occorre  evidenziare,  da  ultimo  che,  in  attuazione  di  tale
disposizione, lo schema di decreto legislativo di  recepimento  della
direttiva 2018/2001, approvato in prima  lettura  dal  Consiglio  dei
ministri del 5 agosto 2021, all'art. 20, prevede la  «Disciplina  per
l'individuazione di superfici e aree idonee  per  l'installazione  di
impianti a fonti rinnovabili» in conformita'  ai  criteri  di  delega
sopra esposti, stabilendo in particolare, all'art. 20, commi da  6  a
8, che: 
    «6. Non possono essere disposte moratorie ovvero sospensioni  dei
termini   dei   procedimenti   di    autorizzazione,    nelle    more
dell'individuazione delle aree idonee. 
    7. Le aree non incluse tra le  aree  idonee  non  possono  essere
dichiarate non idonee all'installazione di impianti di produzione  di
energia rinnovabile, in sede di  pianificazione  territoriale  ovvero
nell'ambito di singoli procedimenti, in ragione  della  sola  mancata
inclusione nel novero delle aree idonee. 
    8. Nelle more dell'adozione dei decreti di cui al comma  1,  sono
considerate aree idonee, ai fini di  cui  al  comma  1  del  presente
articolo: 
        a) i siti ove sono  gia'  installati  impianti  della  stessa
fonte  e  in  cui  vengono  realizzati  interventi  di  modifica  non
sostanziale ai sensi dell'art. 5, commi 3  e  seguenti,  del  decreto
legislativo 3 marzo 2011, n. 28; 
        b) le aree dei siti oggetto di bonifica individuate ai  sensi
dell'art. 242-ter, comma 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152.». 
    Riguardo, al sopra richiamato schema di  decreto  legislativo  di
recepimento della direttiva 2018/2001, pur  nella  sua  versione  non
definitivamente  approvata,  non  appare   superfluo   ribadirne   la
rilevanza, anche alla luce  dei  principi  di  leale  collaborazione,
nella misura in cui si ritiene  che  lo  stesso  sia  indice  di  una
volonta' legislativa  statale  in  ossequio  alla  quale  la  Regione
dovrebbe  scongiurare,  nelle  more  della  definitiva  approvazione,
l'introduzione di discipline anticipatorie degli  effetti  attuativi,
nonche' derogatorie, implicanti, medio  tempore,  potenziali  effetti
distorsivi. 
    L'art. 75, poi, al comma 1, lettera  c),  prevede  l'inserimento,
nel corpus della legge n. 16/2011, dell'art. 3.1.1,  (Gruppo  tecnico
interdisciplinare per l'individuazione delle aree idonee e non idonee
FER) ai sensi del quale: 
    «1. Nelle more dell'entrata in vigore del PER e  del  recepimento
della direttiva 11 dicembre 2018, n.  2018/2001/UE  sulla  promozione
dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, e' istituito, senza oneri
a carico del bilancio regionale, il "Gruppo tecnico interdisciplinare
per l'individuazione delle aree idonee e non idonee FER", secondo  le
modalita' e' con i compiti di cui ai commi 2 e 3. 
    2. Il gruppo tecnico interdisciplinare  di  cui  al  comma  1  e'
costituito con apposita deliberazione adottata dalla Giunta regionale
su proposta  dell'assessore  competente  in  materia  di  transizione
ecologica ed e' composto da rappresentanti  delle  diverse  direzioni
regionali competenti per materia, con il compito di: 
        a)  fornire  ai  comuni  adeguato  supporto  tecnico  per  lo
svolgimento delle attivita' di individuazione delle aree  non  idonee
ai sensi dei commi 3 e 4-bis dell'art. 3.1, in coerenza con i criteri
di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico 10  settembre
2010 e con le disposizioni del  PTPR,  in  particolare,  adottando  i
seguenti criteri: 
          1) tutela delle zone agricole caratterizzate da  produzioni
agroalimentari di qualita', quali denominazione di  origine  protetta
(DOP),   indicazione   geografica   protetta    (IGP),    specialita'
tradizionali garantite (STG), denominazione di origine controllata  e
garantita (DOCG) e indicazione geografica tipica (IGT); 
          2) minimizzazione delle interferenze  dirette  e  indirette
sull'ambiente legate all'occupazione del suolo ed alla  modificazione
del suo utilizzo a scopi produttivi; 
          3) tutela della continuita' delle attivita' di coltivazione
agricola, anche mediante  l'utilizzo  di  impianti  agrovoltaici  che
adottino soluzioni integrative con montaggio verticale dei  moduli  e
mediante  sistemi  di  monitoraggio  che  consentano  di   verificare
l'impatto sulle colture; 
          4)  per  gli  'impianti  fotovoltaici  collocati  a   terra
insistenti in aree agricole,  la  disponibilita'  di  superficie  del
fondo pari a tre volte  la  superficie  dell'impianto,  inteso  quale
proiezione sul  piano  orizzontale  dei  pannelli,  in  modo  da  non
compromettere  la  continuita'  delle   attivita'   di   coltivazione
agricola; 
          5) localizzazione area idonea primaria nei  territori  gia'
degradati a causa di attivita' antropiche e della  presenza  di  siti
industriali, cave, discariche o altri siti contaminati ai sensi della
parte quarta, titolo V, del decreto legislativo n. 152/2006, 
          6) localizzazione  area  idonea  secondaria  nei  territori
classificati dal PTPR come "Paesaggio agrario di continuita'",  ossia
caratterizzati  dall'uso  agricolo  ma  parzialmente  compromessi  da
fenomeni di  urbanizzazione  diffusa  o  da  usi  diversi  da  quello
agricolo; 
        b) effettuare un'analisi delle aree potenzialmente idonee per
l'installazione  di  impianti  a  fonti  rinnovabili  previsti  dalla
normativa  europea  e  statale  vigente,  in  armonia  con  il  Piano
nazionale integrato per l'energia e il clima (PNIEC) ed  in  coerenza
con i criteri ivi previsti, nonche' con le disposizioni del PTPR; 
        c) valorizzare e promuovere le  innovazioni  tecnologiche  in
particolare  dell'agro-voltaico  per  una  efficace  integrazione  di
produzione agricola ed energetica, nonche' i progetti  che  prevedono
l'utilizzo di aree gia' degradate da attivita' antropiche, tra cui le
superfici di  aree  industriali  ed  artigianali  dismesse,  le  aree
assoggettate a bonifica, le cave, le discariche, i siti  contaminati,
o comunque il ricorso a criteri  progettuali  volti  ad  ottenere  il
minor consumo possibile  del  territorio,  sfruttando  al  meglio  le
risorse energetiche disponibili. 
    (...)». 
    La disposizione anzidetta  presenta  profili  di  illegittimita',
alla luce del vigente quadro normativo statale ed  eurounitario  gia'
richiamato e da intendersi richiamato anche in questa sede, nel quale
s'inserisce, andando,  per  i  motivi  in  appresso  evidenziati,  ad
interferire con esso. 
    In limine, si evidenzia che  il  Piano  nazionale  integrato  per
l'energia e il clima, inviato alla Commissione  europea  dal  Governo
italiano a fine 2019 in attuazione del  regolamento  (UE)  2018/1999,
prevede, per i profili che  qui  rilevano,  un  cambio  di  approccio
rispetto a quello delineato dall'attuale quadro normativo, nel  senso
di  demandare  alle  regioni,  sulla  base  di  criteri   previamente
prestabiliti e condivisi, l'individuazione delle aree  idonee  e  non
idonee per la localizzazione di impianti a fonte rinnovabile. 
    A tali fini, nell'ambito nel quadro delle misure complessivamente
volte al raggiungimento  degli  obiettivi  sulle  fonti  rinnovabili,
particolare rilievo e' stato ascritto alla individuazione delle  aree
adatte alla realizzazione degli impianti, nonche'  alla  condivisione
degli obiettivi nazionali con le regioni, da perseguire attraverso la
definizione di un quadro regolatorio nazionale che, in  coerenza  con
le esigenze di tutela delle aree agricole e forestali, del patrimonio
culturale e del paesaggio,  della  qualita'  dell'aria  e  dei  corpi
idrici, stabilisca criteri  (previamente  condivisi  con  il  livello
regionale)  sulla  cui  base  le  regioni   stesse   procedano   alla
definizione delle superfici e delle aree  idonee  e  non  idonee  per
l'installazione di impianti a fonti rinnovabili. 
    L'obiettivo dichiarato di tale individuazione concertata e' anche
quello di favorire lo sviluppo coordinato di impianti, rete elettrica
e sistemi di accumulo, con procedure autorizzative rese piu' semplici
e veloci (e coordinate con i meccanismi di sostegno), proprio  grazie
alla preventiva condivisione dell'idoneita' di superfici e aree. 
    In  tal  senso,  quindi,   con   particolare   riferimento   alle
rinnovabili, si prevede  che  il  disegno  di  legge  di  Delegazione
europea 2019 - 2020: nell'ambito dei  principi  e  criteri  direttivi
specifici che si  intendono  perseguire,  rechi  l'individuazione  di
criteri  sulla  cui  base  ciascuna  regione  e  provincia   autonoma
identifica  le  superfici  e   aree   idonee   e   non   idonee   per
l'installazione di impianti a fonti rinnovabili e l'individuazione di
procedure  per  garantire  il  rispetto  dei   termini   massimi   di
conclusione dei procedimenti, anche ambientali. 
    Ebbene, la legge 22 aprile 2021, n. 53 (Delega al Governo per  il
recepimento delle direttive europee  e  l'attuazione  di  altri  atti
dell'Unione europea  -  legge  di  delegazione  europea  2019-2020»),
nell'individuare principi e  criteri  direttivi  per  il  recepimento
della direttiva (UE) 2018/2001 sulla promozione dell'uso dell'energia
da fonti rinnovabili, si incentra sugli  elementi  piu'  rilevanti  e
innovativi, intervenendo in specie sulla finalita'  di  orientare  le
scelte da adottare in sede di predisposizione del decreto legislativo
di attuazione della direttiva. 
    Per quanto di interesse, particolare rilievo si attribuisce  alla
condivisione operativa degli obiettivi con  le  Regioni  in  sede  di
Conferenza  unificata,  attraverso  un  percorso  che  conduca   alla
individuazione delle  superfici  e  aree  idonee  e  non  idonee  per
l'installazione di impianti a  fonte  rinnovabile.  Segnatamente,  il
primo criterio direttivo specifico indicato in  tale  contesto  dalla
citata legge di  delegazione  si  sostanzia  nel  «prevedere,  previa
intesa con la Conferenza unificata ai sensi dell'art. 3  del  decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, su proposta del  Ministero  dello
sviluppo economico, nell'ambito degli obiettivi  indicati  nel  piano
nazionale integrato per l'energia e il clima, una disciplina  per  la
definizione delle superfici e delle aree  idonee  e  non  idonee  per
l'installazione di impianti a fonti rinnovabili  nel  rispetto  delle
esigenze di tutela del patrimonio culturale e  del  paesaggio,  delle
aree agricole e forestali,  della  qualita'  dell'aria  e  dei  corpi
idrici, nonche' delle specifiche competenze dei Ministeri per i  beni
e le attivita' culturali e per il turismo, delle  politiche  agricole
alimentari e forestali e dell'ambiente e della tutela del  territorio
e del  mare,  privilegiando  l'utilizzo  di  superfici  di  strutture
edificate e aree non utilizzabili per  altri  scopi,  compatibilmente
con  le   caratteristiche   e   le   disponibilita'   delle   risorse
rinnovabili». 
    L'attuale quadro  normativo  statale  (cfr.  legge  n.  53/2021),
quindi, introduce una apposita disciplina per l'individuazione  delle
aree idonee e non idonee coinvolgendo in prima battuta i Ministeri di
riferimento (MTE e MIC) nell'individuazione dei criteri e attribuendo
la titolarita' del processo programmatorio alle  regioni  e  province
autonome. 
    Lo  schema  di  decreto   legislativo   di   recepimento,   sopra
richiamato,  puntualizza,  inoltre,  all'art.  20,   comma   4,   che
«Conformemente ai principi e criteri stabiliti dai decreti di cui  al
comma 1, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore dei
medesimi decreti, le regioni e le province autonome  individuano  con
legge le aree idonee, anche con il supporto della piattaforma di  cui
all'art. 21. Nel caso di mancata  adozione  della  legge  di  cui  al
periodo precedente, ovvero di mancata ottemperanza  ai  principi,  ai
criteri e agli obiettivi stabiliti dai decreti di cui al comma 1,  si
applica l'art. 41 della legge 24 dicembre 2012, n. 234». 
    Alla  luce  di  tutto  quanto  sopra,  e  per  i  motivi   dianzi
rassegnati, le disposizioni sopra indicate dell'art. 75  della  legge
regionale in oggetto vanno impugnate, per violazione  degli  articoli
117, comma primo, comma secondo, lettera e)  e  lettera  s)  e  comma
terzo, in riferimento ai  citati  parametri  statali  ed  eurounitari
dianzi citati. 
3) Illegittimita' dell'art. 75, comma 1,  lettera  b),  n.  5,  nella
parte  in  cui  introduce  i  nuovi  commi  5-quater  e  5-quinquies,
dell'art. 3.1,  della  legge  regionale  n.  16/2011  per  violazione
dell'art.  117,  comma  3   (in   punto   produzione,   trasporto   e
distribuzione  nazionale   dell'energia)   della   Costituzione   con
riferimento ai principi fondamentali dettati dal decreto  legislativo
28  dicembre  2003,  n.  387,  recante  «Attuazione  della  direttiva
2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia  elettrica  prodotta
da   fonti    energetiche    rinnovabili    nel    mercato    interno
dell'elettricita'» nonche' per  violazione  dell'art.  117,  comma  1
della Costituzione in relazione agli articoli 13, della direttiva  n.
2009/28/CE e 15, della direttiva n. 2018/2001/UE e degli articoli  97
e 41 della Costituzione. 
    Art. 75, comma 1, lettera b), n.  5),  introduce  anche  i  commi
5-quater e 5-quinquies,  dell'art.  3.1,  della  legge  regionale  n.
16/2011, prevedendo rispettivamente che: 
    «5-quater. Nelle more dell'individuazione delle aree e  dei  siti
non idonei all'installazione degli impianti da fonti rinnovabili,  di
cui  ai  commi  precedenti,  al  fine   di   garantire   un   maggior
bilanciamento nella diffusione di impianti di produzione  di  energia
elettrica alimentati da fonti rinnovabili nel  territorio  regionale,
sono sospese per otto mesi a  decorrere  dalla  data  di  entrata  in
vigore  della  presente  disposizione  le  nuove  autorizzazioni   di
impianti di produzione  di  energia  eolica  e  le  installazioni  di
fotovoltaico posizionato a terra di  grandi  dimensioni,  nelle  zone
indicate dalla tabella "Classificazione degli impianti di  produzione
di energia in relazione all'impatto su paesaggio" delle "Linee  guida
per la valutazione degli interventi  relativi  allo  sfruttamento  di
fonti energia rinnovabile" approvate con deliberazione del  Consiglio
regionale  21  aprile  2021,  n.  5  "Piano  territoriale  paesistico
regionale (PTPR)" per le quali il relativo  impatto  sul  sistema  di
paesaggio e' indicato come non compatibile (NC), in  quanto  aree  di
pregio e vincolate. 
    5-quinquies. Le sospensioni di  cui  al  comma  5-quater  non  si
applicano alle autorizzazioni di impianti agrovoltaici  che  adottino
soluzioni integrative innovative in  modo  da  non  compromettere  la
continuita' delle attivita' di coltivazione agricola  e  pastorale  e
purche' realizzati con sistemi  di  monitoraggio  che  consentano  di
verificare, anche con  l'applicazione  di  strumenti  di  agricoltura
digitale e di  precisione,  l'impatto  sulle  colture,  il  risparmio
idrico, la produttivita' agricola per le diverse tipologie di colture
e   la   continuita'   delle   attivita'   delle   aziende   agricole
interessate.». 
    Attraverso  le  citate  disposizioni,  il  legislatore  regionale
dispone, pertanto, una sospensione dei procedimenti autorizzativi per
la  costruzione  ed  esercizio  di  impianti  alimentati   da   fonti
rinnovabili ivi indicati (c.d. «moratorie») per otto mesi a decorrere
dalla data di entrata in vigore della legge regionale in esame. 
    A tal proposito, occorre in via preliminare far presente  che  la
disposizione in esame, nel disciplinare  le  procedure  autorizzative
per la costruzione ed  esercizio  di  impianti  alimentati  da  fonti
rinnovabili, e' riconducibile alla materia (attribuita alla  potesta'
legislativa concorrente ex art. 117, comma terzo, Cost.  «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», nel cui  ambito  i
principi fondamentali sono dettati anche dal decreto  legislativo  n.
387 del 2003 (recante «Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa
alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti  energetiche
rinnovabili nel mercato interno  dell'elettricita'»)  e,  in  specie,
dall'art. 12. 
    In particolare, l'art. 12,  comma  4,  del  citato  decreto,  nel
prevedere che l'autorizzazione alla costruzione  ed  esercizio  degli
impianti di produzione  di  energia  elettrica  alimentati  da  fonti
rinnovabili e' rilasciata nell'ambito di un  procedimento  unico  cui
partecipano tutte le amministrazioni interessate, svolto nel rispetto
dei principi  di  semplificazione,  dispone  che  «(...)  il  termine
massimo per la conclusione del procedimento  unico  non  puo'  essere
superiore a novanta giorni, al netto dei tempi previsti dall'art.  26
del  decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.  152,  e   successive
modificazioni,  per  il  provvedimento  di  valutazione  di   impatto
ambientale». 
    Cio' premesso, va evidenziato che l'indicazione  del  termine  di
conclusione del procedimento autorizzativo, di cui al citato art. 12,
comma 4, assurge, secondo il costante orientamento di  codesta  Corte
costituzionale, a principio fondamentale della materia,  dettato  dal
legislatore statale a salvaguardia delle esigenze di semplificazione,
celerita' nonche' di omogeneita' sull'intero territorio nazionale  ed
e' pertanto inderogabile da parte delle regioni. 
    L'art. 75, comma 1, lettera b), n. 5, della  legge  regionale  in
esame, quindi, nello stabilire  la  sospensione  del  rilascio  delle
autorizzazioni degli impianti  a  fonti  rinnovabili  nel  territorio
regionale, si pone in contrasto con l'art. 12, comma 4,  del  decreto
legislativo n. 387  del  2003,  con  conseguente  illegittimita'  per
violazione dei limiti della competenza della Regione  in  materia  di
«produzione, trasporto e distribuzione  nazionale  dell'energia»,  ex
art. 117, comma terzo, Cost. 
    Al riguardo, occorre richiamare la sentenza n. 364 del  2006  con
cui codesta Corte costituzionale  in  relazione  ai  profili  di  che
trattasi, ha stabilito che: 
    «Non vi e' dubbio che la legge regionale impugnata, come  risulta
dalla sua stessa rubrica, nel disciplinare le procedure autorizzative
in materia di  impianti  di  energia  eolica,  incide  sulla  materia
"produzione,  trasporto  e  distribuzione   nazionale   dell'energia"
rientrante nella competenza legislativa concorrente delle regioni, ai
sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione. 
    I principi fondamentali in materia si ricavano dalla legislazione
statale e, attualmente, dal decreto legislativo 29 dicembre 2003,  n.
387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa  alla  promozione
dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili  nel
mercato interno dell'elettricita'). 
    L'art. 12, comma 3, prevede che  "La  costruzione  e  l'esercizio
degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti
rinnovabili, gli interventi di modifica,  potenziamento,  rifacimento
totale o parziale e  riattivazione,  come  definiti  dalla  normativa
vigente, nonche' le opere connesse e le infrastrutture indispensabili
alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi, sono soggetti
ad  una  autorizzazione  unica,  rilasciata  dalla  regione  o  altro
soggetto istituzionale delegato dalla  regione,  nel  rispetto  delle
normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di  tutela  del
paesaggio e del patrimonio storico-artistico". 
    Il successivo comma 4 prevede che  "L'autorizzazione  di  cui  al
comma 3 e' rilasciata a seguito di un procedimento  unico,  al  quale
partecipano tutte le amministrazioni interessate, svolto nel rispetto
dei principi di semplificazione e con le  modalita'  stabilite  dalla
legge  7  agosto  1990,  n.  241,  e   successive   modificazioni   e
integrazioni. [...].  Il  termine  massimo  per  la  conclusione  del
procedimento di cui  al  presente  comma  non  puo'  comunque  essere
superiore a centottanta giorni". 
    L'indicazione del termine, contenuto nell'art. 12, comma 4,  deve
qualificarsi quale principio fondamentale in materia di  "produzione,
trasporto e distribuzione nazionale  dell'energia",  in  quanto  tale
disposizione  risulta  ispirata  alle  regole  della  semplificazione
amministrativa  e  della  celerita'  garantendo,  in  modo   uniforme
sull'intero territorio nazionale, la  conclusione  entro  un  termine
definito del procedimento autorizzativo (cfr. sentenze n.  383  e  n.
336 del 2005). 
    L'art. 1, comma 1, della legge regionale impugnata,  nella  parte
in  cui  sospende,  fino  all'approvazione   del   piano   energetico
ambientale  regionale  e,  comunque,  fino  al  30  giugno  2006,  le
procedure autorizzative presentate dopo il  31  maggio  2005  per  la
realizzazione degli impianti eolici, si  pone  in  contrasto  con  il
suddetto principio, in quanto, non essendo stato adottato il previsto
piano, la sospensione in tal modo disposta e'  superiore  al  termine
fissato dal legislatore statale». 
    Nell'alveo     di     siffatto      consolidato      orientamento
giurisprudenziale, si colloca, altresi', la recente pronuncia n.  177
del 30 luglio 2021, con  cui  e'  stata  dichiarata  l'illegittimita'
della  legge  regionale  Toscana  n.  82/2020  nella  parte  in   cui
introduceva, riguardo alle aree rurali, un limite di potenza ai  fini
della realizzazione di impianti fotovoltaici a terra, al riguardo  si
e' osservato che: 
    «3.1.- Secondo la giurisprudenza costante  di  questa  Corte,  la
disciplina dei regimi abilitativi degli impianti alimentati da  fonti
rinnovabili, riconducibile  alla  materia  "produzione,  trasporto  e
distribuzione nazionale dell'energia" (art. 117, terzo comma, Cost.),
deve conformarsi  ai  principi  fondamentali,  previsti  dal  decreto
legislativo n. 387 del 2003, nonche', in attuazione del suo art.  12,
comma 10, dalle menzionate linee guida (ex plurimis, sentenze n.  258
del 2020, n. 106 del 2020, n. 286 del 2019 e n. 69 del 2018).  (...).
Del resto, secondo un orientamento costante di  questa  Corte,  nella
disciplina relativa all'autorizzazione di impianti per la  produzione
di energia da fonti rinnovabili, le regioni non  possono  imporre  in
via  legislativa  vincoli  generali  non  previsti  dalla  disciplina
statale. Una normativa regionale, che  non  rispetti  la  riserva  di
procedimento amministrativo e, dunque, non  consenta  di  operare  un
bilanciamento in concreto degli interessi, strettamente aderente alla
specificita' dei luoghi,  impedisce  la  migliore  valorizzazione  di
tutti gli interessi pubblici  implicati  e,  di  riflesso,  viola  il
principio, conforme alla normativa dell'Unione europea, della massima
diffusione degli impianti da fonti di energia  rinnovabili  (sentenza
n. 286 del 2019, in senso analogo, ex inultis, sentenze  n.  106  del
2020, n. 69 del 2018, n. 13 del 2014  e  n.  44  del  2011).  Per  le
ragioni esposte, l'art. 2, comina 1, della legge n. 82 del 2020  deve
ritenersi costituzionalmente  illegittimo  per  violazione  dell'art.
117, terzo comma, Cost., in relazione ai citati principi fondamentali
della  materia  "produzione,  trasporto  e  distribuzione   nazionale
dell'energia"». 
    Occorre,  altresi',  aggiungere  che  il   richiamato   principio
fondamentale sancito dall'art. 12, comma 4, del  decreto  legislativo
n.  387  del  2003,  attuativo  dell'art.  13,  della  direttiva   n.
2009/28/CE, secondo cui «gli Stati membri  assicurano  che  le  norme
nazionali in materia di procedure di autorizzazione [...] applicabili
agli impianti [...] per la produzione di elettricita' [...] a partire
da  fonti  energetiche  rinnovabili   ...   siano   proporzionate   e
necessarie. Gli  Stati  membri  prendono  in  particolare  le  misure
appropriate per assicurare che: [...] c) le procedure  amministrative
siano semplificate e accelerate al  livello  amministrativo  adeguato
(...)» e' stato poi ripreso dall'art. 15, della direttiva 11 dicembre
2018, n. 2018/2001/UE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti
rinnovabili, a mente del  quale  gli  Stati  membri  sono  tenuti  ad
adottare  misure  appropriate  per  assicurare  che  siano   previste
procedure di  autorizzazione  semplificate  e  meno  gravose  per  la
produzione e lo stoccaggio di energia da fonti  rinnovabili,  con  la
conseguenza che  la  disposizione  regionale  censurata  colliderebbe
anche  con  detta  disposizione  sovranazionale  e,  quindi,  con  il
parametro costituzionale di cui all'art. 117, primo comma, Cost.  che
impone alle regioni di esercitare la potesta' legislativa  anche  nel
rispetto dei vincoli comunitari. 
    Infine, la richiamata disposizione si pone in contrasto  con  gli
articoli  97  e  41  della  Costituzione,  nella  misura  in  cui  la
sospensione del potere autorizzativo relativo a un'attivita' non solo
consentita,  ma  anche  promossa   e   incentivata   dall'ordinamento
nazionale ed europeo, costituirebbe un grave ostacolo  all'iniziativa
economica nel campo della produzione energetica da fonti rinnovabili,
all'uopo richiamandosi la sentenza del 26 luglio 2018,  n.  177,  con
cui la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita'  dell'art.
15, comma  3,  della  legge  Regione  Campania  n.  6/2016,  all'uopo
osservando: 
    «La norma impugnata collide con l'art. 117,  primo  comma,  Cost.
anche per il sostanziale contrasto con la prescrizione  dell'art.  13
della direttiva 2009/28/CE. Come gia' rilevato da questa  Corte,  "la
normativa comunitaria promuove (...) il maggiore ricorso  all'energia
da fonti rinnovabili, espressamente collegandolo alla  necessita'  di
ridurre le emissioni di gas ad  effetto  serra,  e  dunque  anche  al
rispetto del protocollo  di  Kyoto  della  convenzione  quadro  delle
Nazioni Unite  sui  cambiamenti  climatici,  in  una  prospettiva  di
modifica radicale della politica energetica  dell'Unione.  (...).  In
una diversa, non meno importante, direzione, la normativa comunitaria
ha  richiesto  agli  Stati  membri  di  semplificare  i  procedimenti
autorizzatori" (sentenza n. 275 del  2012).  Il  percorso  inaugurato
dalla menzionata direttiva 2001/77/CE, cui e' stata  data  attuazione
con il decreto legislativo n. 387 del  2003,  e'  proseguito  con  la
direttiva 2009/28/CE, sostitutiva della precedente, che  ha  ricevuto
attuazione con il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione
della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia  da
fonti rinnovabili, recante modifica e  successiva  abrogazione  delle
direttive 2001/77/CE  e  2003/30/CE).  (..).  La  normativa  europea,
dunque, da un lato, esige che la procedura amministrativa si ispiri a
canoni di semplificazione e rapidita'  -  esigenza  cui  risponde  il
procedimento di autorizzazione unica - e, dall'altro, richiede che in
tale contesto  confluiscano,  per  essere  ponderati.  gli  interessi
correlati alla tipologia di impianto, quale,  nel  caso  di  impianti
energetici da  fonte  eolica,  quello,  potenzialmente  confliggente,
della tutela del territorio nella dimensione paesaggistica. 
    La  sospensione  disposta  in  via  generale  dalla  disposizione
censurata collide con le norme di principio della legge nazionale  in
materia  di  "produzione,   trasporto   e   distribuzione   nazionale
dell'energia" e con le ricordate norme europee che, per i termini  in
cui  sono  formulate,   mostrano   chiaramente   di   non   tollerare
condizionamenti anche se  giustificati  da  un'asserita  esigenza  di
tutela dell'ambiente. La moratoria prevista dalla  Regione  Campania,
infatti,  si  inserisce  in   una   cornice   normativa   interna   e
sovranazionale  (...)  connotata  dalla  presenza  degli  evidenziati
principi  e  criteri  direttivi   che   impediscono   l'arresto   dei
procedimenti autorizzatori in nome della  salvaguardia  di  interessi
ulteriori,  i  quali  possono  comunque  trovare  considerazione  nel
contesto   procedimentale   unificato,   attraverso   una    concreta
ponderazione della fattispecie in sede amministrativa». 
    Sempre in  relazione  agli  aspetti  procedimentali  legati  agli
impianti  da  fonte  di  energia  rinnovabile,   si   e',   altresi',
evidenziato, nella medesima sentenza, che la norma fosse in contrasto
anche con l'art. 97 della Costituzione in quanto: 
    «[e'] nella sede procedimentale [...] che puo' e deve avvenire la
valutazione  sincronica  degli   interessi   pubblici   coinvolti   e
meritevoli di tutela, a confronto sia con  l'interesse  del  soggetto
privato operatore  economico,  sia  ancora  (e  non  da  ultimo)  con
ulteriori  interessi  di  cui  sono  titolari  singoli  cittadini   e
comunita',  e  che  trovano  nei  principi  costituzionali  la   loro
previsione e tutela. La struttura  del  procedimento  amministrativo,
infatti, rende possibili  l'emersione  di  tali  interessi,  la  loro
adeguata prospettazione, nonche'  la  pubblicita'  e  la  trasparenza
della loro valutazione, in attuazione dei principi di cui all'art.  1
della legge 7  agosto  1990,  n.  241  (Nuove  norme  in  materia  di
procedimento amministrativo e di  diritto  di  accesso  ai  documenti
amministrativi): efficacia, imparzialita' pubblicita' e  trasparenza.
Viene in tal modo garantita, in primo  luogo,  l'imparzialita'  della
scelta,  alla  stregua  dell'art.  97  Cost.,   ma   poi   anche   il
perseguimento, nel modo piu'  adeguato  ed  efficace,  dell'interesse
primario,  in   attuazione   del   principio   del   buon   andamento
dell'amministrazione, di cui allo stesso art. 97 Cost.» (sentenza  n.
69 del 2018). 
    Dunque, «il legislatore  regionale  ha  inserito  una  norma  non
coordinata,  sotto  il  profilo  ...  temporale,  con  l'esigenza  di
concentrare   i   tempi    ...    degli    accertamenti    confluenti
nell'autorizzazione finale.  Il  risultato  di  tale  operazione  non
conforme  al  dettato  costituzionale  e'  quello   di   penalizzare,
attraverso  non  ordinati  "schermi  burocratici"  ...  le  strategie
industriali di settore,  che  non  possono  prescindere  dal  fattore
tempo» (sentenza n. 267 del  2016).  Ne'  la  moratoria  puo'  essere
giustificata con diverso e qualificato interesse  d'ordine  generale,
poiche',  alla  luce  di  quanto  in  precedenza  evidenziato,  nella
specifica fattispecie l'interesse alla tutela  del  territorio  nella
dimensione paesaggistica trova  adeguata  valorizzazione  all'interno
degli schemi procedimentali tipizzati dal legislatore competente. 
    Da ultimo sempre la sentenza n. 177/2018 ha evidenziato  che  una
norma, come quella in esame, che prevede la sospensione del  rilascio
delle autorizzazioni e'  in  contrasto  anche  con  l'art.  41  della
Costituzione. 
    Al riguardo  non  puo'  che  citarsi  quanto  ivi  autorevolmente
affermato: 
    «Merita,  infine,  accoglimento  anche  la   censura   posta   in
riferimento all'art. 41 Cost. Prevedendo la sospensione del  rilascio
di  nuove  autorizzazioni  per  impianti  eolici,   la   disposizione
censurata ha alterato il  contesto  normativo  esistente  al  momento
della  presentazione  della  richiesta   di   autorizzazione   unica,
caratterizzato da una tempistica certa e celere, in coerenza  con  il
particolare favor riconosciuto  alle  fonti  energetiche  rinnovabili
dalla disciplina interna e sovranazionale. 
    Sotto tale profilo essa  sacrifica  l'interesse  del  richiedente
alla tempestiva disamina dell'istanza, che concorre a influenzare  la
relativa scelta di sfruttamento imprenditoriale. Occorre al  riguardo
precisare che la posizione del richiedente non consiste in un diritto
al rilascio dell'autorizzazione, bensi' in un  interesse  qualificato
all'esame   dell'istanza   a   legislazione   vigente,   secondo   il
procedimento valutativo integrato precedentemente descritto». 
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 81 della  legge  regionale
in esame per violazione dell'art. 117 Cost., secondo  comma,  lettera
s), in relazione alla legge 6 dicembre 1991, n. 394,  recante  «Legge
quadro sulle aree protette». 
    L'art. 81 della  legge  in  esame  (2)  recante  «Modifica  della
perimetrazione del Parco  regionale  dell'Appia  Antica»  dispone  la
modifica della perimetrazione del Parco regionale dell'Appia  Antica,
previa riduzione dei confini di tale parco alla luce di una relazione
descrittiva allegata alla legge in esame (allegati C e D). 
    Va evidenziato il palese contrasto  dell'articolo  in  esame  con
l'art. 23, della legge 6 dicembre  1991,  n.  394,  per  effetto  del
quale: 
    «1. La legge regionale istitutiva del parco  naturale  regionale,
tenuto conto del documento di indirizzo di cui all'art. 22, comma  1,
lettera a), definisce la perimetrazione provvisoria e  le  misure  di
salvaguardia, individua il soggetto  per  la  gestione  del  parco  e
indica gli elementi del piano per il parco, di cui all'art. 25, comma
1, nonche' i principi del regolamento del parco.». 
    L'ivi richiamato art. 22, comma 1, lettera a), della legge n. 394
del  1991,  a  sua  volta,  stabilisce  che  «Costituiscono  principi
fondamentali  per  la  disciplina  delle   aree   naturali   protette
regionali: a)  la  partecipazione  delle  province,  delle  comunita'
montane  e  dei  comuni  al  procedimento  di  istituzione  dell'area
protetta, fatta salva l'attribuzione  delle  funzioni  amministrative
alle province, ai sensi dell'art. 14 della legge 8  giugno  1990,  n.
142. Tale partecipazione si realizza, tenuto conto dell'art. 3  della
stessa legge n. 142 del 1990; attraverso conferenze per la  redazione
di  un  documento  di  indirizzo  relativo  all'analisi  territoriale
dell'area da destinare a protezione, alla perimetrazione provvisoria,
all'individuazione degli obiettivi da  perseguire,  alla  valutazione
degli effetti dell'istituzione dell'area protetta sul territorio». 
    Lo stesso art. 22, comma 1, della legge quadro alla  lettera  c),
garantisce,  altresi',  agli  enti  locali  la  partecipazione   alla
gestione  dell'area  protetta,  sicche'  essi  non   possono   essere
estromessi dal procedimento con cui si compie  un  atto  di  evidente
rilievo gestionale stricto sensu considerato, qual e'  la  variazione
dei confini del parco. 
    A quanto sopra deve aggiungersi che la  disciplina  in  esame  ha
riflessi anche  sulla  disciplina  dei  Piani  dei  Parchi  rivelando
termini di contrasto anche con l'art. 6, del  decreto  legislativo  3
aprile 2006, n. 152 «in considerazione dei  possibili  impatti  sulle
finalita' di conservazione dei siti designati come zone di protezione
speciale per  la  conservazione  degli  uccelli  selvatici  e  quelli
classificati come siti di importanza comunitaria  per  la  protezione
degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatica». 
    Quanto sopra, tenuto conto, per l'appunto, della ampia nozione di
«piano» stessa recata dalla direttiva  42/2001/CE  sulla  Valutazione
ambientale strategica, come recepita dal  legislatore  nazionale,  in
relazione alla quale la Commissione europea e' intervenuta piu' volte
chiarendo, sulla base di una uniforme giurisprudenza della  Corte  di
giustizia,  che  («[...]  in  considerazione  della  finalita'  della
direttiva 2001142, consistente nel garantire un  livello  elevato  di
protezione dell'ambiente, le disposizioni che delimitano l'ambito  di
applicazione di  tale  direttiva,  ed  in  special  modo  quelle  che
enunciano le definizioni  degli  atti  ivi  previsti,  devono  essere
interpretate in senso ampio» (sentenza C-567/10, punti 24-43). 
    La  Valutazione  ambientale  strategica  deve,   dunque,   essere
prevista per tutte quelle decisioni  che  determinano  effetti  sulle
modalita' di uso di una determinata area, provocandone un sostanziale
cambiamento. A tal proposito, sul concetto di «piano», si  richiamano
i paragrafi 3.3, 3.4, 3.5  e  3.6  del  documento  della  Commissione
europea  «Attuazione  della  direttiva  2001/42/CE   concernente   la
valutazione  degli  effetti  di   determinati   piani   e   programmi
sull'ambiente»,  in   cui,   appunto,   si   chiarisce   in   maniera
inequivocabile che «uno dei possibili parametri di  valutazione  puo'
essere la misura in cui  e'  probabile  che  un  atto  abbia  effetti
significativi sull'ambiente. Una possibile interpretazione e'  che  i
termini includano qualsiasi dichiarazione ufficiale che vada oltre le
aspirazioni e stabilisca un corso di azione per il  futuro»  e,  piu'
avanti,  «Cio'  potrebbe  includere,  ad  esempio,   piani   per   la
destinazione dei suoli che stabiliscano le modalita' di riassetto del
territorio o che fissino delle regole o un orientamento sul  tipo  di
sviluppo che potrebbe essere appropriato o consentito in  determinate
aree o ancora che propongano i criteri da  tenere  in  considerazione
nel concepimento del nuovo progetto». 
    Tra l'altro, nel caso  di  specie,  poiche'  la  riperimetrazione
sancita normativamente interessa «piccole aree a livello locale» e si
sostanzia in una «modifica minore» al piano previgente, ai sensi  del
decreto legislativo n. 152 del 2006, art. 6, comma 3, dovrebbe essere
l'autorita' competente a valutare se la riperimetrazione stessa possa
produrre   «impatti   significativi   sull'ambiente,    secondo    le
disposizioni di cui all'art. 12 e tenuto conto del diverso livello di
sensibilita' ambientale dell'area oggetto  di  intervento»,  da  cio'
derivandone  l'eventuale  necessita'  di  un  suo  assoggettamento  a
verifica  di  assoggettabilita'  a  VAS,  ovvero  -  nella   rilevata
insussistenza dei presupposti  -  il  relativo  esonero  da  siffatta
verifica. 
    In tale ottica, alla suddetta violazione si  accompagnerebbe,  in
maniera   conseguenziale,   quella,    correlata,    della    mancata
sottoposizione  del  provvedimento   a   Valutazione   di   incidenza
ambientale di cui all'art. 6, comma 3 della direttiva 43/92/CE,  come
recepito dall'art. 6, del decreto del Presidente della Repubblica  12
marzo 2003, n. 120, che ha  sostituito  l'art.  5,  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 8 settembre  1997,  n.  357,  applicabile
anche ai piani e ai programmi (anche in questo  caso  la  Commissione
europea, a pag. 41 del documento «Gestione dei  siti  Natura  2000  -
Guida  all'interpretazione  dell'art.  6  della  direttiva  92/43/CEE
(direttiva Habitat)» ha osservato che «di  ovvia  rilevanza  a  norma
della direttiva Habitat sono i piani territoriali o  di  destinazione
dei suoli. Alcuni  di  essi  hanno  effetti  legali  diretti  per  la
destinazione d'uso dei terreni altri  invece  soltanto  indiretti.  A
titolo di esempio, i piani territoriali regionali o  aventi  un'ampia
estensione geografica spesso non sono applicati direttamente,  bensi'
costituiscono la base per piani piu' dettagliati o fungono da  quadro
generale per consensi  allo  sviluppo  con  effetti  legali  diretti.
Entrambi i tipi di piani di  destinazione  dei  suoli  si  dovrebbero
considerare coperti dall'art. 6, paragrafo 3,  nella  misura  in  cui
possono avere effetti significativi su un sito Natura 2000.»). 
    Sul punto va, pertanto,  ribadito  quanto  gia'  affermato  dalla
Corte costituzionale con la sentenza n. 38  del  2015,  per  cui  «la
disciplina della valutazione di incidenza  ambientale  (VINCA)  sulle
aree protette ai sensi di «Natura 2000», contenuta  nell'art.  5  del
regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  357
del 1997, deve ritenersi ricompresa  nella  «tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema», rientrante nella competenza esclusiva statale, e si
impone  a  pieno  titolo,  anche  nei  suoi  decreti  attuativi,  nei
confronti delle Regioni ordinarie». 
    Occorre, inoltre, evidenziare che la stessa legge regionale Lazio
6 ottobre 1997, n. 29, recante «Norme in  materia  di  aree  naturali
protette regionali» non prevede che possa operarsi la modifica  della
perimetrazione di un parco naturale regionale attraverso  una  legge,
all'uopo disponendo bensi' all'art. 26, comma 5-bis - in coerenza con
la legge quadro di riferimento 394/1991 - che 
    «il piano dell'area naturale protetta e' aggiornato  almeno  ogni
dieci anni, secondo le procedure previste dal presente  articolo  per
la sua adozione ed approvazione, le quali prevedono che: 
        "2. Il piano dell'area naturale protetta e'  redatto  a  cura
dell'ente di gestione, con l'assistenza dell'Agenzia regionale per  i
parchi, ed e' adottato e  trasmesso  alla  Regione  entro  nove  mesi
dall'insediamento degli organi dell'ente di gestione. 
        3. Decorso inutilmente il termine  di  cui  al  comma  2,  la
Giunta regionale si sostituisce all'ente di gestione  per  l'adozione
del piano, affidandone la redazione alle proprie strutture competenti
in  materia  o  all'Agenzia  regionale  per  i  parchi  che   debbono
provvedere nel termine di un anno. 
        4. Il  piano  adottato  ai  sensi  dei  commi  precedenti  e'
depositato per quaranta giorni  presso  le  sedi  degli  enti  locali
interessati e  della  Regione.  La  Giunta  regionale  provvede,  con
apposito  avviso  da  pubblicare  su  un  quotidiano   a   diffusione
regionale, a dare  notizia  dell'avvenuto  deposito  e  del  relativo
periodo. Durante questo periodo chiunque  puo'  prenderne  visione  e
presentare  osservazioni  scritte  all'ente  di  gestione,  il  quale
esprime  il  proprio  parere  entro  i  successivi  trenta  giorni  e
trasmette il parere e le osservazioni alla  Giunta  regionale.  Entro
tre mesi dal ricevimento di tale parere la Giunta  regionale,  previo
esame congiunto della sezione aree naturali protette e della  sezione
prima del CTCR, propone al consiglio  regionale,  l'approvazione  del
piano,   apportando   eventuali   modifiche   ed    integrazioni    e
pronunciandosi contestualmente sulle osservazioni pervenute. 
        5. Il piano approvato dal Consiglio regionale  e'  pubblicato
nel  Bollettino  Ufficiale  della  Regione   ed   e'   immediatamente
vincolante  nei  confronti  delle  amministrazioni  pubbliche  e  dei
privati."». 
    Risulta, dunque, chiaro che le sancite riperimetrazioni avrebbero
dovuto seguire o l'iter previsto dalla legge n. 394 del 1991  per  la
sua istituzione, ovvero l'iter previsto dalla legge  regionale  Lazio
29/1997 per l'aggiornamento al piano del  parco  che,  ai  sensi  del
relativo art. 26, comma 1, lettera  a),  include  «la  perimetrazione
definitiva dell'area naturale protetta». 
    In tale contesto va richiamato,  stante  la  relativa  attinenza,
quanto sancito dalla stessa Corte costituzionale, con sentenza n. 134
del  2020  con  la  quale  e'   stata   dichiarata   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 8 della legge della Regione Liguria n. 3 del
2019, nella parte in cui andava a modificare con  legge  regionale  i
confini dei parchi naturali regionali delle Alpi Liguri, dell'Antola,
dell'Aveto e del Beigua. 
    A giudizio della Consulta, ognuna di queste variazioni,  «non  e'
stata affidata a modifiche del piano del parco, alle quali  avrebbero
potuto partecipare i rappresentanti degli enti locali, ma e' avvenuta
direttamente  con  legge,  e  deve  percio'  osservare  il   medesimo
procedimento seguito dal legislatore  ai  fini  della  perimetrazione
provvisoria dei confini, ai sensi dell'art. 22  della  legge  quadro,
compresa la interlocuzione con le autonomie locali». 
    Attraverso, dunque, le censurate disposizioni recate dalla  legge
regionale in esame la Regione si propone di  modificare  d'imperio  i
confini  dei  parchi  naturali  regionali  interessati,  eludendo  le
previste procedure di revisione del piano del parco, attraendo  cosi'
a se' interamente il governo delle aree protette, che viene sottratto
agli enti parco previsti dalla legge statale n. 394/1991. 
    D'altro canto, pur nel prendere atto  -  per  come  rappresentato
dalla Regione - che la «modifica del perimetro» operata con la  legge
regionale in oggetto con riferimento al  Parco  regionale  dell'Appia
Antica (art.  81)  risulta  essere  stata  realizzata  attraverso  le
prescritte procedure di consultazione e  partecipazione  pubblica  di
cui all'art. 22, comma 1, lettera a), della legge quadro n.  394  del
1991, nondimeno, la lettera  della  norma  stessa  non  rende  chiaro
siffatto aspetto istruttorio, che risulta  fondamentale  al  fine  di
misurare le ricadute della  disposizione  di  legge  in  termini,  ad
esempio   di   prevalenza   sulla   pianificazione   urbanistica    e
paesaggistica. 
    Al  riguardo  la  sopra  richiamata  sentenza  di  codesta  Corte
costituzionale n. 134/2020 chiarisce che «dall'art.  23  della  legge
quadro  si  evince   che   il   legislatore   puo'   limitarsi   alla
perimetrazione provvisoria dei confini con la  legge  istitutiva  del
parco regionale» essendo «implicito nel sistema  legislativo  statale
che la perimetrazione definitiva possa essere  affidata  dalla  legge
regionale ad una fase procedimentale successiva, ed in particolare al
piano del parco». 
    La successiva sentenza della Corte  costituzionale  n.  276/2020,
nell'inserirsi del solco della precedente, chiarisce, inoltre, che in
base  agli  articoli  9  e  26  della  regionale  Lazio  n.  29/1997,
disciplinanti  rispettivamente,  l'istituzione  delle  aree  naturali
protette e il piano dell'area naturale protetta,  «l'ampliamento  del
parco puo' essere disposto con legge, che fissa anche  le  misure  di
salvaguardia, spettando poi  al  piano  del  parco  di  precisare  la
disciplina della nuova area tutelata; ma se, come nel caso in  esame.
non si da' luogo ad un  ampliamento  ma,  bensi',  ad  una  riduzione
dell'area del parco, e se  dunque,  la  legge  non  detta  misure  di
salvaguardia che possano esse successivamente tradotte nel piano  del
parco, la legge stessa di «modifica del perimetro»  si  appalesa  non
legittima». 
    Una modifica, quindi, che, come per quel che occupa, comporti  la
riduzione  del  perimetro  di  un'area  protetta  non  puo'  avvenire
attraverso la  mera  previsione  di  una  norma  regionale,  ma  solo
attraverso l'approvazione di un aggiornamento al piano del parco, non
sussistendo in tal caso l'imposizione delle  misure  di  salvaguardia
previste dall'art. 6 della legge n. 394 del 1991, stante l'erroneita'
concettuale e sistematica della ipotizzata equivalenza della modifica
(del «perimetro») operata appunto con legge  regionale,  rispetto  al
procedimento di riperimetrazione  attuato  attraverso  l'approvazione
del Piano del Parco, in ossequio alle procedure prescritte  dall'art.
23, della legge quadro n. 394 del 1991. 
    Quanto sopra, tenuto,  altresi',  conto  delle  sopra  richiamate
ricadute, discendenti e consequenziali, anche in tema di  valutazione
ambientale   strategica   e   di   valutazione   di   incidenza,   in
considerazione dell'obbligo di relativa assoggettabilita' (anche solo
nella forma della verifica di assoggettabilita' o dello screening  di
incidenza) cui soggiace, in quanto tale, il piano del parco,  ma  non
anche le misure di salvaguardia  che,  rivestono,  invece,  carattere
normativo e non pianificatorio nonche'  di  assoluta  provvisorieta',
risultando,  tra  l'altro,  attivabili,  solo  qualora   le   regioni
individuino nuove «aree da proteggere») e, fra l'altro, «in  caso  di
necessita' ed urgenza», non rinvenibili, tra l'altro,  nel  caso  che
occupa. 
    Alla luce  di  quanto  sopra  indicato,  l'art.  81  della  legge
regionale in esame e' illegittimo per violazione del  secondo  comma,
lettera s), dell'art. 117, Cost.,  in  quanto  contrastante  con  gli
standard  di  tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema   posti   dal
legislatore statale, con la normativa sopra indicata, in  materia  di
revisione e tutela delle aree naturali protette. 

(1) Per maggiore comodita' di lettura si riporta il  testo  dell'art.
    52 «Aziende agricole in aree  vincolate»:  l.  Nell'ambito  delle
    aziende agricole, condotte sia in forma  singola  che  associata,
    ubicate in aree sottoposte a  vincolo  ai  sensi  dell'art.  134,
    comma l, lettere a), b), c) del codice e comunque individuate dal
    PTPR, e' consentita la realizzazione di  manufatti,  strettamente
    funzionali e dimensionati alle attivita'  agricole.  In  caso  di
    preesistenze, i nuovi interventi sono subordinati al recupero del
    patrimonio  edilizio  esistente  con  esclusione   della   totale
    demolizione   e   ricostruzione    per    i    beni    identitari
    dell'architettura rurale  individuati  ai  sensi  dell'art.  134,
    comma l, lettera c) del codice, per i manufatti rurali  anteriori
    al 1945 o  comunque  per  gli  edifici  esistenti  aventi  valore
    estetico  tradizionale.  Le  nuove  costruzioni  sono  consentite
    esclusivamente se non sono possibili  o  ammissibili  ampliamenti
    dei fabbricati esistenti. 2. Gli interventi di  cui  al  comma  l
    sono  subordinati,  se   in   deroga   alle   norme   del   PTPR,
    all'approvazione da parte del consiglio  comunale  del  piano  di
    utilizzazione aziendale (PUA) di  cui  all'art.  57  della  legge
    regionale  n.  38/1999   e   sono   corredati   della   relazione
    paesaggistica di cui all'art. 54. 3. Il PUA di cui al  precedente
    comma consente deroghe al  lotto  minimo  ed  al  dimensionamento
    degli annessi agricoli previsti nella disciplina dei paesaggi. In
    ogni caso il PUA non consente deroghe agli indici edificatori per
    le strutture adibite a scopo abitativo stabiliti dalla disciplina
    dei paesaggi o  dagli  strumenti  urbanistici  vigenti  ove  piu'
    restrittivi. 4. Previa  approvazione  di  un  PUA  e',  altresi',
    consentito l'inserimento delle funzioni ed attivita'  compatibili
    di cui all'art. 54, comma  2,  lettera  b),  legge  regionale  n.
    38/1999,  cosi'  come  disciplinate  dal  regolamento   regionale
    11/2015 (Attuazione  della  ruralita'  multifunzionale  ai  sensi
    dell'art. 57 della legge regionale 22  dicembre  1999,  n.  38  e
    successive modifiche), fermo restando l'obbligo del recupero  del
    patrimonio  edilizio  esistente,  con  esclusione  della   totale
    demolizione   e   ricostruzione    per    i    beni    identitari
    dell'architettura rurale  individuati  ai  sensi  dell'art.  134,
    comma l, lettera c) del codice, per i manufatti rurali  anteriori
    al 1945 o  comunque  per  gli  edifici  esistenti  aventi  valore
    estetico   tradizionale.   In    ogni    caso    l'autorizzazione
    paesaggistica per gli interventi di  cui  al  presente  comma  e'
    rilasciata    esclusivamente    ove     sia     gia'     presente
    l'infrastrutturazione viaria necessaria alla  accessibilita'.  5.
    Tutti  gli  interventi  di  cui  al  presente   articolo   devono
    mantenere, ripristinare e riproporre le tipologie edilizie e  gli
    elementi  architettonici  degli  edifici  rurali,  impiegando   i
    materiali e le finiture tradizionali. La relazione  paesaggistica
    di cui all'art. 54 deve contenere  elementi  di  valutazione  sul
    rapporto con il  contesto  agrario  circostante  ed  indicare  le
    azioni per la mitigazione dell'impatto sul paesaggio. 

(2) L'art. 81 recita testualmente: «l. La  perimetrazione  del  Parco
    regionale dell'Appia Antica, istituito con la legge regionale  10
    novembre 1988, n. 66 (Istituzione del Parco regionale  dell'Appia
    Antica)  e   successive   modifiche,   corse   modificata   dalla
    deliberazione del consiglio regionale 18 luglio 2018, n. 9 (Piano
    del Parco regionale dell'Appia Antica - Roma di cui  all'art.  26
    della legge regionale 6 ottobre 1997, n. 29 "Norme in materia  di
    aree naturali  protette  regionali"  e  successive  modifiche)  e
    dall'art.  7  della  legge  regionale  22  ottobre  2018,  n.   7
    (Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale), e'
    ridotta  secondo  la  planimetria   e   la   relativa   relazione
    descrittiva di cui, rispettivamente, agli  allegati  C  e  D  che
    costituiscono parte integrante della presente legge».