IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA Sezione Quarta Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 2093 del 2020 proposto dall'Associazione L.A.C. - Lega per l'Abolizione della Caccia Onlus in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Claudio Linzola ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso in Milano, via Hoepli n. 3; contro: il Consiglio Regionale della Lombardia in persona del Presidente pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Riccardo Caccia, Silvia Snider e Roberto Grazzi e domiciliato in Milano, via Filzi n. 22, presso il Servizio legislativo e legale - Ufficio legale del medesimo Consiglio Regionale; la Regione Lombardia in persona del Presidente pro-tempore, non costituita in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 1217 del 2021 proposto dall'Associazione L.A.C. - Lega per l'Abolizione della Caccia Onlus in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Claudio Linzola ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso in Milano, via Hoepli n. 3; contro: la Regione Lombardia in persona del Presidente pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Piera Pujatti e Alessandro Gianelli e domiciliata in Milano, piazza Citta' di Lombardia n. 1, presso la sede dell'Avvocatura regionale; il Consiglio Regionale della Lombardia, in persona del Presidente pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Riccardo Caccia, Silvia Snider e Roberto Grazzi e domiciliato in Milano, via Filzi n. 22, presso il Servizio legislativo e legale - Ufficio legale del medesimo Consiglio Regionale; la Provincia di Sondrio in persona del Presidente pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Maurizio Carrara e domiciliata ai sensi dell'art. 25 cod. proc. amm.; per l'annullamento quanto al ricorso n. 2093 del 2020: della deliberazione del Consiglio regionale della Lombardia n. 1396 del 10 settembre 2020, avente a oggetto «Individuazione da parte del Consiglio regionale di nuovi valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna nella Provincia di Brescia, ai sensi dell'articolo 43, comma 3, della L.R. 16 agosto 1993, n. 26, in ottemperanza alla sentenza del Consiglio di Stato n. 6630/2019, pubblicata sul B.U.R.L. - Serie ordinaria n. 44 del 6 ottobre 2020; quanto al ricorso n. 1217 del 2021: della deliberazione del Consiglio regionale della Lombardia n. 1883 del 18 maggio 2021, pubblicata sul B.U.R.L. - Serie ordinaria n. 22 del 3 giugno 2021, recante «Individuazione dei valichi montani in Regione Lombardia ai sensi dell'art. 43, comma 3, della l.r. 16 agosto 1993, n. 26. Ottemperanza a sentenza del TAR Lombardia n. 2342 del 28 novembre 2020; della deliberazione della Giunta regionale della Lombardia n. 4370 del 3 marzo 2021, recante «Approvazione della proposta di individuazione dei valichi montani in Regione Lombardia e trasmissione al Consiglio regionale per l'approvazione ai sensi dell'art. 43, comma 3, della l.r. 16 agosto 1993, n. 26. Ottemperanza alla sentenza del TAR Lombardia, Milano n. 2342 del 28 novembre 2020 (proposta di deliberazione)»; del parere reso dall'Osservatorio faunistico venatorio della Regione Lombardia in data 3 febbraio 2021; della deliberazione del Presidente della Provincia di Sondrio n. 25 del 25 febbraio 2021. Visti i ricorsi e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Consiglio Regionale della Lombardia, con riguardo a entrambi i ricorsi, e della Regione Lombardia e della Provincia di Sondrio, con riguardo al ricorso R.G. n. 1217/2021; Viste le istanze di riunione dei ricorsi indicati in epigrafe formulate dall'Associazione ricorrente; Designato relatore il consigliere Antonio De Vita; Uditi, all'udienza pubblica del 16 febbraio 2022, i difensori delle parti, come specificato nel verbale; Fatto 1. Con ricorso R.G. n. 2093/2020 l'Associazione ricorrente, riconosciuta ai sensi dell'art. 13 della legge n. 349 del 1986, ha impugnato la deliberazione del Consiglio regionale della Lombardia n. 1396 del 10 settembre 2020, avente a oggetto «Individuazione da parte del Consiglio regionale di nuovi valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna nella Provincia di Brescia, ai sensi dell'articolo 43, comma 3, della L.R. 16 agosto 1993, n. 26, inottemperanza alla sentenza del Consiglio di Stato n. 6630/2019». A conclusione del giudizio instaurato avverso la deliberazione del Consiglio Provinciale di Brescia n. 17 del 31 marzo 2009, recante l'individuazione di ulteriori valichi montani di potenziale interesse per i flussi di avifauna migratoria, e' stata emanata la sentenza del Consiglio di Stato, II, n. 6630/2019 che, riformando la pronuncia del T.A.R. Lombardia, Brescia n. 4672/2010, ha ordinato al Consiglio Regionale della Lombardia - nel frattempo individuato quale organo competente in materia dall'art. 2, comma 1, lett. h, della legge regionale n. 21 del 2009 - di rideterminarsi in ordine al precedente provvedimento adottato dal Consiglio Provinciale di Brescia che aveva individuato, in maniera carente e non corretta, i valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna nella Provincia di Brescia. Stante l'inerzia del Consiglio regionale, e' stato proposto un giudizio di ottemperanza, concluso con la sentenza del Consiglio di Stato, II, n. 7102/2020, che ha dichiarato l'improcedibilita' del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, poiche' con la deliberazione del Consiglio regionale della Lombardia del 10 settembre 2020, n. XI/1396 e' stata effettuata la richiesta rivalutazione dei siti originariamente esclusi dal Consiglio provinciale di Brescia, in esecuzione di quanto statuito con l'ottemperanda sentenza n. 6630/2019. Attraverso l'impugnazione proposta nella presente sede, l'Associazione ricorrente contesta la deliberazione del Consiglio regionale del 10 settembre 2020, n. XI/1396 nella quale si e' stabilito, in applicazione dell'art. 43, comma 3, della legge regionale n. 26 del 1993, che la caccia puo' essere vietata solo nei valichi che si trovano nel comparto di maggior tutela della zona faunistica delle Alpi» e, quindi, che «l'individuazione dei valichi interessati dalle rotte di migrazione, per espressa previsione legislativa puo' avvenire esclusivamente nel comparto di maggior tutela», escludendo percio' due valichi che comunque sarebbero interessati dalle rotte migratorie (denominati «Sella di Mandro» e «Valico di Capovalle»), perche' collocati in zone non ricomprese nei comparti di maggior tutela della zona faunistica delle Alpi; inoltre e' stato rilevato che la protezione dei predetti valichi avrebbe determinato il superamento della percentuale massima del 20% del territorio da destinare a protezione della fauna selvatica nella zona Alpi, in violazione del disposto di cui all'art. 10, comma 3, della legge n. 157 del 1992. Con il ricorso oggetto di scrutinio e' stata, in primo luogo, eccepita l'illegittimita' costituzionale dell'art. 43, comma 3, della legge regionale n. 26 del 1993 per contrasto con l'art. 21, comma 3, della legge n. 157 del 1992, quale norma interposta rispetto all'art. 117, secondo comma, lett. s, Costituzione, che attribuisce allo Stato la potesta' legislativa esclusiva in materia di ambiente. Con una seconda censura e' stata eccepita l'illegittima applicazione dell'art. 10, comma 3, della legge 157 del 1992, poiche' i limiti percentuali di tutela della fauna selvatica (compreso tra il 10 e il 20% del territorio delle Alpi) non potrebbero applicarsi alle zone di divieto assoluto di caccia. Si e' costituito in giudizio il Consiglio Regionale della Lombardia, che ha chiesto il rigetto del gravame. 2. Con ricorso R.G. n. 1217/2021, l'Associazione ricorrente ha altresi' impugnato, unitamente agli atti presupposti, la deliberazione del Consiglio regionale della Lombardia n. 1883 del 18 maggio 2021, pubblicata sul B.U.R.L. - Serie ordinaria n. 22 del 3 giugno 2021, recante «Individuazione dei valichi montani in Regione Lombardia ai sensi dell'art. 43, comma 3, della l.r. 16 agosto 1993, n. 26. Ottemperanza a sentenza del TAR Lombardia n. 2342 del 28 novembre 2020». In seguito alla sentenza di questo Tribunale n. 2342/2020 con cui e' stato fatto obbligo al Consiglio regionale della Lombardia di individuare, entro un termine prestabilito, i valichi montani da assoggettare alle misure restrittive dell'attivita' venatoria, previa proposta della Giunta regionale o della Provincia di Sondrio, per il relativo territorio, e' stata adottata la richiamata deliberazione attraverso la quale sono stati individuati otto (8) nuovi valichi montani e ne sono stati confermati tredici (13). A giudizio della ricorrente i predetti valichi sarebbero stati gia' tutti istituiti in precedenza o comunque individuati da parte dei Piani faunistici venatori provinciali, mentre non sarebbero stati affatto tenuti in considerazione gli ulteriori e preesistenti valichi gia' noti e censiti che ammonterebbero a un totale di oltre quaranta (40). La deliberazione consiliare si sarebbe semplicemente limitata a confermare tredici (13) valichi, ignorando tutti gli altri, cosi' incorrendo in un difetto di istruttoria e conseguente carenza di motivazione. A sostegno del ricorso sono state dedotte censure di violazione di varie disposizioni di legge e di eccesso di potere sotto differenti profili. Si sono costituiti in giudizio il Consiglio Regionale della Lombardia, la Regione Lombardia e la Provincia di Sondrio che hanno chiesto il rigetto del ricorso. 3. In prossimita' dell'udienza di trattazione del merito delle cause, i difensori delle parti hanno depositato memorie e documentazione a sostegno delle rispettive posizioni. Alla pubblica udienza del 16 febbraio 2022, su conforme richiesta dei difensori delle parti, i ricorsi sono stati trattenuti in decisione. Diritto 1. In via preliminare, come richiesto dalla difesa della parte ricorrente, va disposta la riunione dei ricorsi indicati in epigrafe, attesa la loro connessione oggettiva e soggettiva, trattandosi dell'impugnazione da parte della medesima Associazione di atti con cui sono stati individuati, dal Consiglio regionale della Lombardia, i valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna da sottoporre a tutela; la deliberazione adottata il 10 settembre 2020 e impugnata con il ricorso R.G. n. 2093/2020 e' stata in parte recepita anche nella successiva deliberazione n. 1883 del 18 maggio 2021, impugnata con il ricorso R.G. n. 1217/2021, come reso evidente dall'espresso richiamo contenuto in quest'ultima (in particolare, laddove si riferisce all'individuazione dei valichi in provincia di Brescia). Quindi l'eventuale accoglimento del ricorso R.G. n. 2093/2000 determinerebbe, in via consequenziale, l'accoglimento, almeno in parte qua, anche del successivo ricorso R.G. n. 1217/2021. 2. Principiando dall'esame dalle questioni proposte attraverso il ricorso R.G. n. 2093/2020 - con cui e' stata impugnata la deliberazione del Consiglio regionale della Lombardia n. 1396 del 10 settembre 2020, avente a oggetto l'individuazione di nuovi valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna nella Provincia di Brescia - deve evidenziarsi che l'atto impugnato e' fondato su due concorrenti e autonome ragioni, ossia (i) che l'applicazione dell'art. 43, comma 3, della legge regionale n. 26 del 1993 (secondo cui la caccia puo' essere vietata solo nei valichi che si trovano nel «comparto di maggior tutela della zona faunistica delle Alpi») esclude la possibilita' cli ricomprendere nel divieto i valichi che, pur interessati dalle rotte migratorie («Sella di Mandro» e «Valico di Capovalle»), sono collocati in zone non ricomprese nei comparti di maggior tutela della zona faunistica delle Alpi, e (ii) altresi' che, in ogni caso, un assoggettamento a protezione dei predetti valichi avrebbe determinato il superamento della percentuale massima del 20% del territorio da destinare a protezione della fauna selvatica nella zona Alpi, in violazione del disposto di cui all'art. 10, comma 3, della legge n. 157 del 1992 (mutuato con identico contenuto nell'art. 13, comma 3, lett. a, della legge regionale n. 26 del 1993). Va specificato che si tratta di due ragioni autonome che sono idonee, ciascuna singolarmente intesa, a sorreggere la deliberazione impugnata, con la conseguenza che l'accertata legittimita' di una sola di esse determinerebbe il rigetto del ricorso; cio' impatta sulla verifica della rilevanza, con riguardo al correlato giudizio, delle questioni di costituzionalita' di cui si trattera' nel prosieguo. Si deve premettere che la deliberazione regionale impugnata risulta perfettamente conforme al dato normativo primario regionale e/o statale che consente, da una parte, di imporre il divieto di caccia soltanto nel comparto di maggior tutela della zona faunistica delle Alpi e che, dall'altra, per siffatto territorio, costituente una zona faunistica a se' stante, rende possibile un livello di protezione che non puo' superare il 20% della sua estensione. Difatti, avuto riguardo alle richiamate disposizioni normative, si deve concludere che, al di fuori della zona di maggior tutela delle Alpi e dei limiti percentuali massimi indicati (pari al 20% del territorio), nessun margine residua in capo al Consiglio regionale nella fase di individuazione di (ulteriori) valichi da sottoporre a protezione, vietandovi l'esercizio della caccia. A cio' consegue la rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale nel citato giudizio - R.G. n. 2093/2020 - sia con riguardo all'art. 43, comma 3, della legge regionale n. 26 del 1993 nella versione attualmente in vigore, sia dell'art. 10, comma 3, della legge n. 157 del 1992. Se fossero dichiarate incostituzionali le predette disposizioni, non vi sarebbe alcun impedimento normativo ad ampliare il numero dei valichi interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna da sottoporre a tutela e, quindi, cio' imporrebbe al Consiglio regionale (previo parere dell'I.S.P.R.A. - Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) di individuare, ove ne sussistessero i presupposti concreti, nuovi valichi senza limiti numerici e/o di superficie e senza l'obbligo di considerare soltanto quelli collocati nella zona alpina, ma ricomprendendovi anche quelli posti sugli Appennini (esistenti nella parte sud della Regione, in Provincia di Pavia: cfr. pag. 4 del ricorso R.G. n. 1217/2021). Si ribadisce che entrambe le questioni devono essere sottoposte al vaglio del Giudice delle leggi, affinche' non venga meno il requisito della rilevanza, e che le stesse questioni rilevano altresi' ai fini della decisione del ricorso R.G. n. 1217/2021, giacche' la deliberazione ivi impugnata (n. 1883 del 18 maggio 2021) e' stata adottata anche in applicazione dell'art. 43, comma 3, della legge regionale n. 26 del 1993, oltre che della legge n. 157 del 1992. 3. Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, le stesse devono essere trattate separatamente, differenti essendo le norme oggetto di scrutinio e risultando pertanto disomogenei i parametri, anche costituzionali, di riferimento. Difatti l'art. 43, comma 3, della legge regionale n. 26 del 1993 deve essere posto in raffronto con l'art. 21, comma 3, della legge n. 157 del 1992, che funge da norma interposta nel giudizio di costituzionalita', sul presupposto della violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. s, Costituzione, che attribuisce allo Stato la potesta' legislativa esclusiva in materia di ambiente. Diversamente l'art. 10, comma 3, della legge 157 del 1992, recepito in Lombardia con l'art. 13, comma 3, lett. a, della legge regionale n. 26 del 1993, si pone in contrasto con le norme della Costituzione relative alla salvaguardia del bene ambiente (artt. 3, 9 e 32 Costituzione) e con la normativa dell'Unione europea che funge da parametro interposto, ai sensi dell'art. 117, primo comma, Costituzione, in particolare con la Direttiva n. 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici. 4. L'art. 43, comma 3, della legge regionale n. 26 del 1993 stabilisce che «la caccia e' vietata sui valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna per una distanza di mille metri dagli stessi; i valichi sono individuati dal Consiglio regionale su proposta della Regione o della provincia di Sondrio per il relativo territorio, sentito l'INFS, e esclusivamente nel comparto di maggior tutela della zona faunistica delle Alpi e devono essere indicali nei piani di cui agli artt. 12 e 14 e nei calendari venatori». Invece l'art. 21, comma 3, della legge statale n. 157 del 1992 si limita a stabilire che «la caccia e' vietata su tutti i valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna, per una distanza di mille metri dagli stessi». Come risulta evidente, la norma regionale contiene ulteriori specificazioni rispetto alla norma statale che ne limitano sensibilmente lo spettro di operativita', riservando una ridotta tutela alla salvaguardia e alla conservazione delle specie di uccelli selvatici. Nello specifico la normativa statale vieta la caccia su tutti i valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna, per una distanza di mille metri dagli stessi, mentre la legge regionale pone il divieto esclusivamente nel comparto di maggior tutela della zona faunistica delle Alpi, escludendo quindi sia le zone montane alpine che non sono ricomprese nel comparto di maggior tutela, sia le zone montane che non si trovano nelle Alpi, come le fasce appenniniche. A tal proposito due dei valichi collocati in Provincia di Brescia, denominati «Sella di Mandro» e «Valico di Capovalle» di cui al ricorso R.G. n. 2093/2020, e quelli posti sugli Appennini, esistenti nella parte sud della Regione in Provincia di Pavia (cfr. pag. 4 del ricorso R.G. n. 1217/2021), sono stati esclusi dalla tutela proprio perche' non ricompresi nel comparto di maggior tutela delle Alpi, pur essendo dei valichi montani a tutti gli effetti e quindi rientrando (o potendo astrattamente rientrare) nello spettro di operativita' dell'art. 21, comma 3, della legge statale n. 157 del 1992. Le disposizioni contenute in tale ultima legge (denominata «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio») sono state considerate dalla consolidata giurisprudenza costituzionale regole minime e uniformi, espressive della potesta' statale in tema di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, con la conseguenza che, ove la normativa regionale fosse in contrasto con le richiamate disposizioni statali, risulterebbe invasiva della sfera di competenza legislativa dello Stato e, percio', sarebbe costituzionalmente illegittima (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 139 del 14 giugno 2017). Difatti e' stato evidenziato in piu' occasioni che «a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, la mancata indicazione della materia "caccia" nel novellato art. 117 Costituzione - in precedenza, invece, espressamente annoverata tra le materie rimesse alla potesta' legislativa concorrente - determina la sua certa riconduzione alla competenza residuale regionale (...) anche in tale ambito "e' tuttavia necessario, in base all'art. 117, secondo comma, lettera s), Costituzione, che la legislazione regionale rispetti la normativa statale adottata in tema di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, ove essa esprima regole minime uniformi" (sentenza n. 139 del 2017). Da cio' consegue che, se da un lato i precipui livelli di protezione fissati dalla legge n. 157 del 1992 a salvaguardia dell'ambiente e dell'ecosistema "non sono derogabili in peius dalla legislazione regionale (da ultimo, sentenze n. 139 e n. 74 del 2017)", dall'altro quest'ultima ben puo', invece, intervenire su tale disciplina "innalzando il livello della tutela" (sentenza n. 174 del 2017) nell'esercizio delle proprie competenze» (Corte costituzionale, sentenza n. 7 del 17 gennaio 2019; altresi', n. 40 del 6 marzo 2020; n. 291 del 27 dicembre 2019; n. 174 del 13 luglio 2017; n. 139 del 14 giugno 2017). La riduzione della tutela e della protezione garantite agli uccelli migratori discendente dall'art. 43, comma 3, della legge regionale della Lombardia n. 26 del 1993, rispetto allo standard piu' elevato previsto dall'art. 21, comma 3, della legge statale n. 157 del 1992, quale parametro interposto, rende, di conseguenza, costituzionalmente illegittima la normativa regionale per contrasto con l'art. 117, secondo comma, lett. s, della Costituzione. 5. Passando all'esame dell'art. 10, comma 3, della legge 157 del 1992 - recepito in Lombardia, sostanzialmente nella identica versione, attraverso l'art. 13, comma 3, lett. a, della legge regionale n. 26 del 1993 - lo stesso si pone in contrasto con le previsioni costituzionali relative alla salvaguardia del bene ambiente (artt. 3, 9 e 32 Costituzione) e con la normativa dell'Unione europea che funge da parametro interposto, ai sensi dell'art. 117, primo comma, Costituzione, in particolare con la Direttiva n. 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (il cui recepimento ha imposto la modifica proprio della legge n. 157 del 1992, adottata originariamente al fine di recepire la previgente Direttiva n. 79/409/CEE «Uccelli»). 5.1. Il predetto art. 10, comma 3, stabilisce che «il territorio agro-silvo-pastorale di ogni regione e' destinato per una quota dal 20 al 30 per cento a protezione della fauna selvatica, fatta eccezione per il territorio delle Alpi di ciascuna regione, che costituisce una zona faunistica a se' stante ed e' destinato a protezione nella percentuale dal 10 al 20 per cento. In dette percentuali sono compresi i territori ove sia comunque vietata l'attivita' venatoria anche per effetto di altri leggi o disposizioni»; l'art. 13, comma 3, lett. a, della legge regionale n. 26 del 1993 prevede, sulla falsariga del precedente, che «il territorio agro-silvo-pastorale della regione, la cui estensione e' determinata con deliberazione della Giunta regionale, e' destinato: a) per una quota dal dieci al venti per cento in zona Alpi e per una quota dal venti al trenta per cento nel restante territorio, a protezione della fauna selvatica, in dette quote sono compresi i territori ove e' comunque vietata l'attivita' venatoria anche per effetto di altre leggi o disposizioni comprese tutte le aree in cui l'esercizio venatorio e' vietato dalla presente legge e, in particolare, dalle disposizioni di cui agli articoli 17, 18, 37 e 43». Il limite di territorio assoggettabile a tutela in favore della fauna selvatica - che puo' raggiungere al massimo il 20% per la zona alpina e il 30% per il restante territorio - risulta in (potenziale) contrasto con gli obiettivi di protezione della fauna selvatica (compresa l'avifauna), poiche' si fonda su un dato meramente quantitativo che opera a prescindere dalle peculiarita' del territorio e dalle eventuali ulteriori esigenze di tutela per le citate specie selvatiche che dovessero manifestarsi nel corso del tempo. Trattandosi di normativa finalizzata a garantire la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 139 del 14 giugno 2017), la stessa deve perseguire efficacemente tale obiettivo, visto che la tutela dell'ambiente e' un valore costituzionale primario e assoluto che non puo' essere compromesso nel suo nucleo fondamentale (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 378 del 14 novembre 2007; sentenza n. 367 del 7 novembre 2007; ordinanza n. 365 del 30 luglio 1993; sentenza n. 641 del 30 dicembre 1987; sentenza n. 210 del 28 maggio 1987). Tale conclusione risulta rafforzata a seguito della riforma entrata in vigore in data 9 marzo 2022, che ha introdotto nella Costituzione uno specifico riferimento alla tutela dell'ambiente e degli animali («[La Repubblica] tutela l'ambiente, la biodiversita' e gli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali»: art. 9, terzo comma, Costituzione, come modificato con Legge costituzionale n. 1 del 2022). La novella costituzionale, quale esplicitazione di principi gia' desumibili dal dettato costituzionale, come si puo' ricavare dalla giurisprudenza costituzionale in precedenza richiamata, non risulta di carattere innovativo, ma appare ricognitiva del valore primario e fondamentale del bene ambiente, secondo una sua concezione unitaria «comprensiva di tutte le risorse naturali e culturali. Esso comprende la conservazione, la razionale gestione ed il miglioramento delle condizioni naturali (aria, acque, suolo e territorio in tutte le sue componenti), la esistenza e la preservazione dei patrimoni genetici terrestri e marini, di tutte le specie animali e vegetali che in esso vivono allo stato naturale ed in definitiva la persona umana in tutte le sue estrinsecazioni» (Corte costituzionale, sentenza n. 210 del 28 maggio 1987). Tale valore, tuttavia, non potendo avere una prevalenza assoluta sugli altri diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione (libera iniziativa economica, attivita' legate al libero sviluppo della personalita', ecc.), deve rinvenire un punto di equilibrio con gli stessi che «deve essere valutalo - dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo - secondo criteri di proporzionalita' e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale» (Corte costituzionale, sentenza n. 85 del 9 maggio 2013). Tra l'altro, proprio nella fase di individuazione da parte del Consiglio regionale della Lombardia dei valichi montani interessati dalle rotte di migrazione da sottoporre a tutela, non e' stato possibile vietare la caccia in relazione a una parte di essi - in particolare quelli denominati «Sella di Mandro» e «Valico di Capovalle» situati nella Provincia di Brescia (ricorso R.G. n. 2093/2020) - in ragione dell'avvenuto raggiungimento del limite massimo di territorio tutelabile (non superiore al 20% nella zona delle Alpi), a nulla rilevando l'importanza dei siti individuati e la tipologia di avifauna interessata. Se, in linea astratta, si puo' giustificare una previsione normativa che stabilisse dei criteri per l'individuazione delle zone del territorio sottoponibili a tutela, in modo da contemperare le finalita' di carattere ambientale anche con le esigenze correlate alla caccia e alle altre attivita' meritevoli di tutela, nondimeno siffatta disposizione non potrebbe essere avulsa dagli obiettivi che si intendono perseguire, oltre che da una intrinseca ragionevolezza e dall'effettivita' delle misure adottate. Procedendo a un bilanciamento dei diversi interessi in rilievo, si rileva come non possa ammettersi un sacrificio totale in danno delle specie di uccelli selvatici da proteggere in ragione dell'esistenza di un limite quantitativo massimo di territorio tutelabile, altrimenti si affermerebbe la (totale) recessivita' del bene ambiente rispetto agli altri valori con lo stesso confliggenti, disattendendo le chiare indicazioni della giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 85 del 9 maggio 2013). Anche la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha confermato che, «quando l'autorita' competente e' chiamata a verificare l'assenza di altre soluzioni soddisfacenti, essa deve procedere a una comparazione delle diverse soluzioni che soddisfano le condizioni del regime derogatorio istituito all'articolo 9, paragrafo 1, lettera c), della direttiva "Uccelli" per determinare quella che risulta piu' soddisfacente» (Corte di Giustizia U.E., I, 17 marzo 2021, causa C-900/19, par. 37). La rigidita' del dato normativo contenuto nell'art. 10, comma 3, della legge n. 157 del 1992, non consente di operare alcun bilanciamento e cio' si pone in contrasto sia con la necessita' di tutelare efficacemente l'ambiente, sia con i principi di ragionevolezza e proporzionalita', discendenti dall'art. 3 Costituzione In tal senso, la Corte costituzionale ha sottolineato come «la scelta dello strumento amministrativo consente di motivare in ordine alla ricorrenza delle specifiche condizioni a cui il legislatore statale subordina l'esercizio della deroga [al divieto di catturare e uccidere uccelli selvatici], quale strumento di carattere eccezionale e temporaneo, mentre la previsione dell'autorizzazione nella legge regionale impugnata determina l'assorbimento dell'obbligo di motivazione e finisce con il trasformare la stessa deroga in un rimedio stabile e permanente» (Corte costituzionale, sentenza n. 70 del 5 aprile 2018). La previsione di un limite quantitativo massimo del territorio tutelabile, non suscettibile di incremento alcuno, impedisce di fronteggiare sopravvenute esigenze legate alla necessita' di tutelare nuove specie di uccelli migratori o di modulare la tipologia di conservazione dei loro habitat, diversamente dovendosi procedere all'eliminazione o alla riduzione della tutela per altre zone, al fine di poter adottare misure di protezione per siffatti nuovi contesti. Soltanto un consistente aumento di tale limite massimo o, in alternativa, la previsione di meccanismi di natura qualitativa in grado cli contemperare i diversi obiettivi possono assicurare una efficace protezione della avifauna selvatica e garantirne la conservazione, senza sacrificarla rispetto agli altri interessi, pur meritevoli di tutela. 5.2. La parte della disposizione, secondo cui il territorio delle Alpi e' destinato a protezione in una misura ricompresa tra il 10 e il 20 per cento - con la specificazione che «in dette percentuali sono compresi i territori ove sia comunque vietata l'attivita' venatoria anche per effetto di altri leggi o disposizioni» - risulta peraltro anche irragionevole rispetto al resto della nonna che destina il territorio agro-silvo-pastorale di ogni Regione per una quota dal 20 al 30 per cento a protezione della fauna selvatica, tenuto conto che per comune esperienza la fauna selvatica e' piu' numerosa nelle zone meno antropizzate dove si rinvengono la maggior parte degli habitat incontaminati e non compromessi, stante il ridotto impatto negativo delle attivita' umane sul contesto circostante. Assicurare, percio', una tutela quantitativa inferiore agli ambiti territoriali alpini rispetto al restante territorio rischia di compromettere in maniera irreversibile l'equilibrio complessivo dell'ambiente naturale. Tale compromissione e' tanto piu' rilevante, in quanto nel limite massimo del venti per cento devono essere ricompresi anche i territori ove sia comunque vietata l'attivita' venatoria per effetto di altre leggi o disposizioni: cio' riguarda, ad esempio, le aree ricomprese nei Parchi o nelle riserve (nazionali, regionali o naturali), che solitamente sono situate in zone montane, non eccessivamente popolate, rischiandosi in tal modo di saturare soltanto con tali aree la soglia massima di tutela territoriale prevista dalla legge e lasciandone privi tutti gli ambiti posti all'esterno delle predette riserve. 5.3. Anche per l'ordinamento sovranazionale la necessita' di garantire la conservazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo a un livello che corrisponde alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali (cfr. art. 2 della Direttiva n. 2009/147/CE), non puo' essere efficacemente perseguita prevedendo dei limiti quantitativi massimi, peraltro rigidi, con riguardo al territorio sottoponibile a tutela, giacche' in tal modo si subordina la protezione delle specie di uccelli selvatici al mancato raggiungimento di tali limiti massimi, che, laddove superati, impediscono di garantire una protezione alle richiamate specie animali, a prescindere dalla loro tipologia e dallo stato di conservazione (cfr. i presupposti richiesti dall'art. 4 della Direttiva n. 2009/147/CE, per applicare misure speciali di conservazione alle specie di uccelli; richiama il principio di precauzione in materia ambientale, Corte di Giustizia U.E., 23 aprile 2020, causa C-217/19, par. 91). Risulta evidente che il disposto normativo oggetto di scrutinio funzionalizza e pospone la tutela delle specie di uccelli selvatici a esigenze extrambientali (nemmeno specificamente individuate) dei contesti territoriali interessati, invertendo l'ordine di priorita' fissato dalla normativa europea che, invece, individua la protezione degli uccelli selvatici quale obiettivo prioritario, stante la diminuzione, in certi casi rapidissima, della loro popolazione che «rappresenta un serio pericolo per la conservazione dell'ambiente naturale, in particolare poiche' minaccia gli equilibri biologici» (terzo considerando della Direttiva n. 2009/147/CE; cfr. Corte di Giustizia U.E., I, 17 marzo 2021, causa C- 900/19, par. 58), e tenuto conto che «la conservazione delle specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri e' necessaria per raggiungere gli obiettivi comunitari in materia di miglioramento delle condizioni di vita e di sviluppo sostenibile» (quinto considerando della Direttiva n. 2009/147/CE). La rilevanza degli interessi ambientali rispetto alle ulteriori e differenti esigenze correlate allo svolgimento delle attivita' antropiche (caccia, attivita' produttive, attivita' commerciali, ecc.) rende inidoneo un meccanismo di protezione che, in maniera rigida, prevede una consistente limitazione del territorio da sottoporre a tutela, tale da impedire, anche solo potenzialmente, la salvaguardia delle specie di uccelli selvatici che sono a rischio di sparizione o si trovano in situazioni di particolare difficolta'. Del resto, in ragione del suo carattere eccezionale (Corte di Giustizia U.E., I, 17 marzo 2021, causa C-900/19, par. 29; III, 21 giugno 2018, C-557/15, par. 47), la dispensa «al divieto generale di cacciare le specie protette e' subordinata alla adozione di misure di deroga dotate di una motivazione che faccia riferimento esplicito e adeguatamente circostanziato alla sussistenza di tutte le condizioni prescritte dall'art. 9, paragrafi 1 e 2 [della Direttiva n. 2009/147/CE]» (Corte costituzionale, sentenza n. 190 del 15 giugno 2011, che richiama Corte di Giustizia C.E., 8 giugno 2006, causa G 118/94; piu' di recente, Corte costituzionale, sentenza n. 158 del 20 luglio 2021). Da quanto evidenziato risulta palese che l'individuazione di un limite esclusivamente quantitativo di tutela territoriale, neppure molto elevato e altresi' nemmeno suscettibile di adattamento alcuno, al posto di un meccanismo di tipo qualitativo in grado di garantire efficacemente l'obiettivo di tutela delle specie migratorie di uccelli selvatici si pone anche in contrasto con gli obiettivi contenuti nella Direttiva europea n. 2009/147/CE, quale parametro interposto ai sensi dell'art. 117, primo comma, Costituzione (la deroga al regime di tutela di cui uno Stato membro intende avvalersi deve essere proporzionata alle necessita' che la giustificano: Corte di Giustizia U.E., 23 aprile 2020, causa C-217/19, par. 67). 6. Sulla scorta delle suesposte considerazioni, i giudizi oggetto di scrutinio devono essere sospesi e gli atti vanno trasmessi alla Corte Costituzionale in quanto risultano rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di costituzionalita' (i) dell'art. 43, comma 3, della legge regionale della Lombardia n. 26 del 1993 (sostituito dall'art. 1, comma 21, lett. f, della legge regionale n. 7 del 2002 e successivamente modificato dall'art. 2, comma 1, lett. h, della legge regionale n. 21 del 2009 e dall'art. 3, comma 5, lett. p, della legge regionale n. 7 del 2016), per violazione dell'art. 21, comma 3, della legge n. 157 del 1992, quale norma interposta ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. s, della Costituzione, e (ii) dell'art. 10, comma 3, della legge 157 del 1992, e di conseguenza dell'art. 13, comma 3, lett. a, della legge regionale n. 26 del 1993, per violazione degli artt. 3, 9, 32 e 117, primo comma, della Costituzione, secondo quanto specificato in precedenza. 7. Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e sulle spese resta riservata alla decisione definitiva.