Ricorso  del  Presidente  del  Consiglio   dei   ministri   (C.F.
80188230587), rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato (C.F. 80224030587) presso cui e' domiciliato in Roma,  via  dei
Portoghesi 12 (ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it - fax 06/96514000); 
    Contro la Regione Siciliana in persona del Presidente pro tempore
della     giunta      regionale      (C.F.      80012000826;      PEC
segreteria.generale@certmail.regione.sicilia.it                     -
presidente@certmail.regione.sicilia.it                              -
ufficio.legislativo.legale@certmail.regione.sicilia.it) 
    Per la dichiarazione, giusta delibera del Consiglio dei  ministri
del 17 maggio 2022, di illegittimita' costituzionale  degli  articoli
1, commi 1 e 3, degli articoli  2,  3,  e  4  della  legge  regionale
siciliana 18 marzo 2022, n. 3, pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Regione Siciliana  n.  13  del  25  marzo  2022  -  Supplemento
ordinario - n. 14. 
    La legge regionale in epigrafe  reca,  per  quanto  interessa  il
presente ricorso, la «Istituzione e disciplina del registro regionale
telematico  dei  comuni  e  dei  relativi  prodotti  a  denominazione
comunale De.Co.». 
    L'art. 1, comma 1, dispone che la De.Co.  e'  «strumento  per  la
salvaguardia,  la   tutela   e   la   diffusione   delle   produzioni
agroalimentari ed  enogastronomiche  territoriali,  dell'artigianato,
della  biodiversita'  nonche'  per  la  difesa  della  storia,  delle
tradizioni e dei saperi locali e  la  promozione  delle  specificita'
storiche e culturali dei territori comunali.». 
    La De.Co. va a comporre un  registro  telematico  regionale,  che
costituisce la struttura fondamentale del sistema  di  tutela  ideato
dalla legge. Il comma 3 dell'art. 1 prevede,  infatti,  che  «3.  Nel
rispetto della normativa europea e nazionale in materia di protezione
delle indicazioni geografiche e delle denominazioni  di  origine  dei
prodotti  agricoli  e  alimentari,  la  presente  legge  promuove  la
conoscenza, mediante l'istituzione del Registro regionale  telematico
di cui al successivo art. 3, dei comuni e  dei  relativi  prodotti  a
denominale comunale.». 
    Il registro e' disciplinato  dall'art.  3  della  legge,  che  lo
colloca  «presso  l'Assessorato  regionale  dell'agricoltura,   dello
sviluppo rurale e della pesca mediterranea», e prevede  che  in  esso
«vengono iscritti i comuni e i relativi  prodotti  che  ottengono  il
riconoscimento di De.Co.» (comma 1). 
    Spetta all'assessore, giusta l'art. 3, comma 2,  disciplinare  in
dettaglio, con proprio  decreto,  la  struttura  del  registro  e  le
condizioni e procedure di inserimento in esso di un comune  e  di  un
prodotto. 
    In particolare, qui si  prevede  che  il  decreto,  tra  l'altro,
«definisce  gli  adempimenti  che  i   comuni   richiedono   per   il
riconoscimento delle denominazioni comunali e indica  i  modelli  dei
disciplinari di produzione da adottare per ottenere il riconoscimento
di prodotto a denominazione comunale» (lettera d), secondo  periodo);
che il decreto debba «indicare la forma grafica del logo del registro
regionale De.Co. e stabilirne  le  regole  per  la  sua  concessione»
(lettera g)); e «definire gli ambiti di possibile  conflitto  con  le
produzioni  agroalimentari  tradizionali   (P.A.T.)   nel   caso   di
concomitanza di riconoscimento e le modalita'  di  superamento  dello
stesso conflitto» (lettera l)). 
    Le previsioni delle restanti lettere dell'art. 3, comma 2,  hanno
carattere  meramente  organizzativo  e  strumentale   rispetto   alle
previsioni fondamentali contenute nei riportati articoli 1, commi 1 e
3, e 3, commi 1 e 2 lettera d), g) l). 
    Tali  restanti  lettere,  infatti,  si  prescrivono  al   decreto
dell'Assessore  di  individuare   gli   uffici   dell'amministrazione
incaricati della tenuta del registro (lettera a));  di  stabilire  le
sezioni e campi del registro telematico (lettera b)); di definire  le
procedure per l'iscrizione e  l'aggiornamento  delle  iscrizioni  nel
registro (lettera c)); di prevedere, comunque, sezioni  apposite  per
le eventuali denominazioni comunali gia' concesse dai comuni e per le
eventuali  denominazioni  «intercomunali»,  cioe'  riguardanti   piu'
«comuni limitrofi» (lettera e) ed f)); di individuare le modalita'  e
strategie di diffusione informativa e promozione del registro,  e  di
comunicazione promozionale dei prodotti ivi iscritti (lettera  h)  ed
i)). 
    In questo contesto, assume allora importanza  centrale  l'art.  2
della legge, che stabilisce che cosa debba intendersi per  De.Co.,  e
quali siano le caratteristiche dei prodotti che possono ottenerla. 
    Sotto il primo aspetto,  l'art.  2,  comma  1,  prevede  che  «La
denominazione  comunale  De.Co.  e'  una  attestazione  di  identita'
territoriale, deliberata dal consiglio  comunale  su  proposta  della
giunta  comunale,  che  individua  l'origine  ed  il  legame  storico
culturale di un determinato prodotto con il territorio comunale.». 
    Come si vede, la De.Co. nell'intento del legislatore regionale e'
uno strumento informativo, esteriorizzato dal logo previsto dall'art.
3, comma 2, lettera g), che mira a rendere esplicito e percepibile il
collegamento tra un prodotto e un determinato territorio comunale,  a
cui lo legano l'origine e una relazione storica e culturale. 
    Insomma, la De.Co. vuole identificare,  onde  valorizzarli,  quei
prodotti che siano realizzati in un dato territorio comunale,  e  che
lo siano non accidentalmente, bensi' per effetto di un legame storico
e culturale (di cultura materiale, potrebbe dirsi) tra quei  prodotti
e quel territorio, sicche' i prodotti sono espressione non solo della
tecnica produttiva che li sottende, ma innanzitutto  dalla  specifica
identita' territoriale di quel Comune, dalla quale  traggono,  cosi',
un valore peculiare. 
    Sotto il secondo aspetto, l'art. 2,  nel  comma  2,  distingue  i
«prodotti tipici» e i «prodotti tradizionali locali».  Solo  prodotti
cosi' qualificabili possono ricevere la De.Co.. 
    I «prodotti tipici», stando alla lettera a) dell'art. 2, comma 2,
sono soltanto prodotti  agroalimentari  nei  quali  «si  realizza  la
concomitanza di fattori riconducibili alla localizzazione  geografica
dell'area di produzione o alle relative  tecniche  di  preparazione».
Infatti,  «Tale  prodotto  puo'  derivare  da   attivita'   agricola,
zootecnica, di pesca artigianale o dalla lavorazione e trasformazione
di prodotti derivanti dalle stesse attivita', ottenuto  o  realizzato
sul territorio comunale, secondo modalita' consolidate nei costumi  e
nelle consuetudini locali, anche mediante tecniche innovative che  ne
costituiscono il naturale  sviluppo  e  aggiornamento.  Per  prodotto
tipico si puo' intendere una ricetta o un  prodotto  ad  alto  valore
storico della tradizione locale». 
    Come si vede, cio' che identifica  il  prodotto  (agroalimentare)
tipico e' la modalita' di produzione, che deve essere radicata (anche
se in forma aggiornata) nelle consuetudini del luogo di produzione, e
deve comunque dare origine ad un prodotto che possieda un alto valore
identificante del luogo a cui  e'  legato.  Insomma,  con  la  De.Co.
attribuita ai «prodotti tipici» viene tutelata la riconoscibilita' di
quei prodotti  (agroalimentari)  che  traggono  la  propria  qualita'
specifica dalla tradizione produttiva locale e  che,  reciprocamente,
finiscono per richiamare in chi  li  acquisti  appunto  il  luogo  di
produzione, secondo un processo di valorizzazione  reciproca  tra  il
prodotto e il luogo di origine. 
    Per  «prodotti  tradizionali  locali»,  stando  alla  lettera  b)
dell'art. 2, comma 2, si intendono, invece,  i  prodotti,  in  teoria
anche non agroalimentari, «caratterizzati da metodi di lavorazione  e
trasformazione praticati su un territorio e  consolidati  nel  tempo,
per un periodo non inferiore ai venti anni.». 
    Riguardo  a  questi  prodotti,  il  carattere  determinante   per
attribuire loro rilevanza si fini della De.Co. e', come si  vede,  la
durata almeno ventennale del metodo di lavorazione praticato in  modo
immutato («consolidato»)  nel  territorio  comunale.  Sembra  che  la
differenza rispetto ai prodotti  di  cui  alla  lettera  a)  consista
essenzialmente nel poter essere, questi di cui alla lettera b), anche
prodotti  non  agroalimentari,  e  nel  non  rivestire  un  carattere
necessariamente identitario del luogo di produzione (nel senso  della
valorizzazione reciproca tra prodotto e luogo di cui si e' detto poco
sopra), essendo essi soltanto il risultato di una produzione radicata
in tale luogo. Sembra, quindi, che i «prodotti  tradizionali  locali»
possano anche non provenire necessariamente dal luogo in  cui  si  e'
formata la metodica di lavorazione ad essi sottesa. 
    Conseguenziale al sistema descritto dagli articoli ora commentati
e' quanto previsto, infine, dall'art. 4 della legge regionale, giusta
il quale «La regione, nel  perseguire  le  finalita'  della  presente
legge, valorizza i prodotti De.Co. iscritti nel registro regionale di
cui all'articolo 3, testimonianza del territorio siciliano.». 
    Le disposizioni illustrate  sono  costituzionalmente  illegittime
per i seguenti 
 
                               Motivi 
 
    1. Violazione dell'art. 117, commi 1, 2  lettera  a)  e  3  della
Costituzione, e 14 dello Statuto della Regione  Siciliana  (approvato
con regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n.  455,  e  convertito
dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2). 
    1.1.  La  materia   delle   indicazioni   geografiche   e   delle
denominazioni di origine  dei  prodotti  agroalimentari,  nelle  loro
varie forme di  «denominazioni  di  origine  protette»,  «indicazioni
geografiche tipiche», e simili, e'  ormai  totalmente  armonizzata  a
livello  di  diritto  dell'Unione  europea,  in  particolare  con   i
regolamenti (CE) 21/11/2012, n. 1151/2012 «sui regimi di qualita' dei
prodotti agricoli e alimentari», (CE) 17 dicembre 2013, n.  1308/2013
«recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli», 17
aprile  2019,  n.  2019/787/UE  «relativo  alla   definizione,   alla
designazione, alla presentazione e  all'etichettatura  delle  bevande
spiritose, all'uso delle denominazioni  di  bevande  spiritose  nella
presentazione e  nell'etichettatura  di  altri  prodotti  alimentari,
nonche' alla protezione delle indicazioni geografiche  delle  bevande
spiritose». 
    La materia e' inoltre disciplinata in ambito internazionale,  con
riferimento anche ai prodotti  non  agroalimentari,  dall'Accordo  di
Lisbona sulla protezione delle denominazioni d'origine e  sulla  loro
registrazione internazionale del  31  ottobre  1958,  ratificato  con
legge 28 aprile 1976, n. 424. 
    Quest'ultimo e' stato di recente modificato e  integrato  con  il
c.d. «Atto di Ginevra» a cui  l'Unione  europea  ha  aderito  con  la
decisione (UE) 2019/1754 del Consiglio del 7 ottobre 2019. 
    Tutte le fonti sovranazionali  e  internazionali  ora  richiamate
convergono  nel   qualificare   come   «indicazione   geografica»   o
«denominazione di origine» di un prodotto quella che  rappresenti  il
particolare legame tra il prodotto e un dato territorio motivato  dal
fatto che tale legame contribuisce alla  qualita'  o  alla  fama  del
prodotto. 
    Infatti, nel  regolamento  n.  1151/2012,  relativo  ai  prodotti
agroalimentari diversi dal vino e dagli spiriti, si prevede  all'art.
5, paragrafi 1 e 2: 
        «1. Ai fini del presente regolamento, una  "denominazione  di
origine" e' un nome, compreso un  nome  utilizzato  tradizionalmente,
che identifica un prodotto: 
a) originario di un luogo, di una regione o, in casi eccezionali,  di
un paese determinati; 
b)  la  cui  qualita'  o   le   cui   caratteristiche   sono   dovute
essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico
ed ai suoi intrinseci fattori naturali e umani; e 
c) le cui fasi  di  produzione  si  svolgono  nella  zona  geografica
delimitata. 
        2.  Ai  fini   del   presente   regolamento,   un'"ndicazione
geografica" e' un nome, compreso un nome usato tradizionalmente,  che
identifica un prodotto: a) originario di un luogo, di una  regione  o
di un paese determinati; 
b) alla cui origine geografica sono essenzialmente  attribuibili  una
data qualita'; la reputazione o altre caratteristiche; e 
c) la cui produzione si svolge per almeno una delle  sue  fasi  nella
zona geografica delimitata.». 
    Il regolamento n. 1151/2012 ha introdotto anche la  figura  della
«specialita' tradizionale garantita», o  STG,  di  cui  all'art.  18,
secondo cui «1. Un nome e' ammesso a beneficiare della  registrazione
come specialita' tradizionale  garantita  se  designa  uno  specifico
prodotto o alimento: 
        a) ottenuto con un metodo di produzione, trasformazione o una
composizione che corrispondono a una pratica  tradizionale  per  tale
prodotto o alimento; o 
        b)  ottenuto  da  materie  prime  o  ingredienti   utilizzati
tradizionalmente.». 
    Nell'art. 93, par. 1, del regolamento n. 1308/2013,  relativo  al
vino, si trova disposto: 
        «1. Ai fini della presente sezione si intende per: 
a)  "denominazione  d'origine",  un  nome,  compreso  un  nome  usato
tradizionalmente,  che  serve  a  designare  un   prodotto   di   cui
all'articolo 92, paragrafo 1: 
i)  la  cui  qualita'  o   le   cui   caratteristiche   sono   dovute
essenzialmente o esclusivamente a un particolare ambiente  geografico
e ai suoi fattori naturali e umani; 
ii) originario di un luogo, di una regione o, in casi eccezionali, di
un paese determinati; 
iii) ottenuto da uve  che  provengono  esclusivamente  da  tale  zona
geografica; 
iv) la cui produzione avviene in detta zona geografica; e 
v) ottenuto da  varieta'  di  viti  appartenenti  alla  specie  Vitis
vinifera o da un incrocio tra la specie Vitis vinifera e altre specie
del genere Vitis. 
b)  "indicazione  geografica",  un  nome,  compreso  un  nome   usato
tradizionalmente, che identifica un prodotto: 
i) le cui qualita', notorieta'  o  altre  caratteristiche  specifiche
sono attribuibili alla sua origine geografica; 
ii)  originario  di  un  determinato  luogo,  regione  o,   in   casi
eccezionali, paese; 
iii) ottenuto con uve  che  provengono  per  almeno  l'85  per  cento
esclusivamente da tale zona geografica; 
iv) la cui produzione avviene in detta zona geografica; e 
v) ottenuto da  varieta'  di  viti  appartenenti  alla  specie  Vitis
vinifera o da un incrocio tra la specie Vitis vinifera e altre specie
del genere Vitis.». 
    L'art. 3 n. 4) del regolamento 2019/787, in materia di spiriti  e
bevande spiritose, prevede: 
      «Ai fini del presente regolamento si applicano  le  definizioni
seguenti: 
        ... 
        4) "indicazione geografica", un'indicazione che  permette  di
identificare una bevanda spiritosa come originaria del territorio  di
un paese, o di una regione o localita' di  detto  territorio,  quando
una determinata qualita',  la  reputazione  o  altre  caratteristiche
della bevanda spiritosa siano essenzialmente  attribuibili  alla  sua
origine geografica». 
    Infine, l'art. 2, paragrafo 1, alinea i) e  ii)  dell'Accordo  di
Lisbona come integrato dall'Atto di Ginevra, prevede: 
        «Il presente atto si applica a: 
(i.) qualsiasi  denominazione  protetta  nella  parte  contraente  di
origine costituita dal nome  di  una  zona  geografica  o  contenente
questo nome, o un'altra denominazione notoriamente  riferita  a  tale
zona utilizzata per designare un prodotto che ne e'  originario,  nel
caso in cui la qualita'  o  i  caratteri  del  prodotto  sono  dovuti
esclusivamente o essenzialmente all'ambiente geografico, inteso  come
insieme di fattori naturali e umani, e che ha conferito  al  prodotto
la sua reputazione; nonche' 
(ii.)  qualsiasi  indicazione  protetta  nella  parte  contraente  di
origine costituita dal nome  di  una  zona  geografica  o  contenente
questo nome, o un'altra  indicazione  notoriamente  riferita  a  tale
zona, che identifica un  prodotto  come  originario  di  quella  zona
geografica, nel caso in cui una data qualita',  reputazione  o  altri
caratteri specifici del  prodotto  sono  essenzialmente  attribuibili
all'origine geografica.». 
    Tutte le fonti sovranazionali e internazionali  citate,  oltre  a
riferire  la  denominazione  o  indicazione  geografica  protetta  al
particolare legame tra il prodotto  e  il  territorio,  tale  che  la
qualita'  o  la   reputazione   del   prodotto   siano   attribuibili
essenzialmente alla sua origine geografica, prevedono un  sistema  di
registrazione elettronica.  Si  vedano  gli  articoli  11  e  22  del
regolamento n. 1151/2012, 104 del regolamento n.  1308/2013,  33  del
regolamento n. 2019/787, 4  -  6  dell'Atto  di  Ginevra  integrativo
dell'Accordo di Lisbona. 
    La registrazione dell'indicazione o  denominazione  geografica  o
garantita avviene in tutti i casi  all'esito  di  una  procedura  che
verifica la rispondenza del prodotto alle  definizioni  legali  sopra
riportate, e conferisce ai produttori di esso il  diritto  ad  essere
protetti contro tutti gli usi illegali della denominazione stessa. 
    Si veda  a  titolo  di  esempio  l'art.  13  del  regolamento  n.
1151/2012 (disposizioni  analoghe  si  trovano  nelle  altre  fonti),
giusta il quale (paragrafo 1, lettera a), b), c)): 
        «1. I nomi registrati sono protetti contro: 
a) qualsiasi impiego commerciale  diretto  o  indiretto  di  un  nome
registrato per  prodotti  che  non  sono  oggetto  di  registrazione,
qualora questi ultimi siano comparabili ai  prodotti  registrati  con
tale nome o l'uso di tale nome consenta di  sfruttare,  indebolire  o
svigorire la notorieta' del nome protetto, anche nel caso in cui tali
prodotti siano utilizzati come ingrediente; 
b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l'origine
vera dei prodotti o servizi e' indicata o se il nome protetto e'  una
traduzione o e' accompagnato da espressioni  quali  «stile»,  «tipo»,
«metodo», «alla maniera», «imitazione» o simili, anche  nel  caso  in
cui tali prodotti siano utilizzati come ingrediente; 
c) qualsiasi altra indicazione  falsa  o  ingannevole  relativa  alla
provenienza, all'origine, alla natura o alle qualita' essenziali  del
prodotto usata sulla confezione  o  sull'imballaggio,  nel  materiale
pubblicitario  o  sui  documenti  relativi  al  prodotto  considerato
nonche' l'impiego, per il confezionamento, di recipienti che  possano
indurre in errore sulla sua origine; 
d) qualsiasi altra pratica che possa indurre in errore il consumatore
sulla vera origine del prodotto.». 
    La registrazione e la tutela  dei  prodotti  in  questione,  alla
stregua dei regolamenti e degli accordi internazionali menzionati, si
basano, poi, sulla predisposizione di «disciplinari»  di  produzione,
la conformita' ai quali e' condizione perche' un prodotto ottenga  la
registrazione. 
    Si veda, sempre a titolo di esempio, l'art. 7 del regolamento  n.
1151/2012, giusta il quale: 
        «1. Una denominazione di origine  protetta  o  un'indicazione
geografica protetta deve rispettare  un  disciplinare  che  comprende
almeno i seguenti elementi: 
a) il nome da proteggere come denominazione di origine o  indicazione
geografica, quale utilizzata nel commercio o nel linguaggio comune, e
solo  nelle  lingue  attualmente  o   storicamente   utilizzate   per
descrivere il prodotto specifico nella zona geografica delimitata; 
b) la descrizione del prodotto,  comprese  se  del  caso  le  materie
prime,  nonche'  le  principali  caratteristiche  fisiche,  chimiche,
microbiologiche od organolettiche del prodotto; 
c) la definizione della zona geografica delimitata riguardo al legame
di cui alla lettera f), punto i) o punto ii), del presente  paragrafo
e,  se  del  caso,  gli  elementi  che  indicano  il  rispetto  delle
condizioni di cui all'articolo 5, paragrafo 3; 
d) gli elementi che dimostrano che il prodotto  e'  originario  della
zona geografica delimitata di cui all'articolo 5, paragrafo l° 2; 
e) la descrizione del metodo di ottenimento del prodotto  e,  se  del
caso, dei  metodi  locali,  leali  e  costanti  nonche'  informazioni
relative al confezionamento, quando il gruppo richiedente  stabilisce
in tal  senso  e  fornisce  sufficienti  motivazioni  specifiche  per
prodotto  percui  il  confezionamento  deve  aver  luogo  nella  zona
geografica  delimitata  per  salvaguardare  la  qualita',   garantire
l'origine o  assicurare  il  controllo,  tenendo  conto  del  diritto
dell'Unione, in particolare della libera circolazione dei prodotti  e
della libera prestazione di servizi; 
f) gli elementi che stabiliscono: 
i) per quanto  riguarda  una  denominazione  d'origine  protetta,  il
legame fra la qualita' o le caratteristiche del prodotto e l'ambiente
geografico di cui all'articolo 5, paragrafo 1; dettagli riguardanti i
fattori umani dell'ambiente geografico  che  possono,  se  del  caso,
limitarsi a una descrizione del suolo e della gestione del paesaggio,
delle pratiche di coltivazione o di qualunque altro contributo  umano
volto al mantenimento dei fattori naturali  dell'ambiente  geografico
di cui a tale paragrafo; 
ii) per quanto riguarda un'indicazione geografica protetta, il legame
fra una data qualita', la reputazione o un'altra  caratteristica  del
prodotto e l'origine geografica di cui all'articolo 5, paragrafo 2; 
g) il nome e l'indirizzo delle autorita' o, se disponibili, il nome e
l'indirizzo  degli  organismi  che  verificano  il   rispetto   delle
disposizioni del disciplinare a norma dell'articolo 37, e i  relativi
compiti specifici; 
h) qualsiasi regola specifica per  l'etichettatura  del  prodotto  in
questione. 
Il disciplinare puo' contenere una descrizione del  contributo  della
denominazione d'origine o dell'indicazione geografica  allo  sviluppo
sostenibile.». 
    Analoghi sono l'art. 19  dello  stesso  regolamento  a  proposito
delle STG, e l'art. 94, par. 2 del regolamento n. 1308/2013. 
    Il regime posto dalle citate fonti europee e  internazionali  e',
nell'ambito dell'ordinamento interno, esclusivo. 
    Il regime europeo, in  particolare,  deriva,  come  si  vede,  da
regolamenti, cioe' da fonti normative dotate di efficacia  diretta  e
immediata nell'ordinamento interno (art.  288,  par.  2,  TFUE),  che
impedisce di «duplicare» la disciplina del regolamento UE  con  fonti
interne  aventi  contenuto  ed  effetti   in   tutto   o   in   parte
sovrapponibili. 
    E', invero, giurisprudenza consolidata della Corte  di  giustizia
quella secondo cui: 
        «8 Quando, in forza dell'art. 40 del trattato,  la  Comunita'
emana  regolamenti  che  istituiscono  un'organizzazione  comune  del
mercato in un determinato settore, gli Stati membri  sono  tenuti  ad
astenersi da qualsiasi provvedimento che deroghi a tali regolamenti o
ne pregiudichi l'efficacia. 
        9 La compatibilita' delle  disposizioni  citate  dal  giudice
nazionale con i regolamenti comunitari va  esaminata  alla  luce  non
solo di quanto espressamente disposto da detti regolamenti, ma  anche
dello scopo e degli obiettivi di questi.» (Corte  di  giustizia  CEE,
sentenza 2 febbraio 1977, causa C-50/76, Amsterdam Bulb,  punti  8  e
9). 
        Cio' deriva dalla premessa, enunciata nei  punti  da  4  a  7
della sentenza ora citata, secondo cui: 
«l'efficacia diretta dei regolamenti comunitari implica che  la  loro
entrata in vigore e la loro applicazione nei  confronti  dei  singoli
non abbisognano di alcun atto di ricezione nel diritto  interno.  Gli
Stati membri sono tenuti, in forza degli obblighi  che  derivano  dal
trattato,  a  non  ostacolare   l'efficacia   diretta   propria   dei
regolamenti e di altre norme comunitarie. L'osservanza scrupolosa  di
tale obbligo e'  una  condizione  indispensabile  per  l'applicazione
simultanea  e  uniforme  dei   regolamenti   comunitari   nell'intera
Comunita'. Di conseguenza, gli Stati membri non possono emanare,  ne'
consentire agli  enti  nazionali  muniti  di  potesta'  normativa  di
emanare, atti che nascondano agli amministrati la natura  comunitaria
di una norma giuridica e gli effetti che ne derivano.». 
    Posti questi principi, nel presente caso si tratta  di  stabilire
se le disposizioni regionali sopra commentate siano sovrapponibili, o
comunque  siano  suscettibili  di   recare   ostacolo,   alla   piena
applicazione  nell'ordinamento  interno   delle   fonti   europee   e
internazionali richiamate. 
    Come si e' visto commentandole in premessa, le norme regionali in
esame istituiscono le denominazioni comunali De.Co.  (art.  1,  comma
1), e ne prevedono la registrazione (art. 1, comma 3; art.  3,  comma
1).  Regolano  tali  denominazioni  e  tale  registrazione  facendone
l'oggetto di un procedimento di registrazione basato  sulla  verifica
della rispondenza del prodotto ad un disciplinare (art. 3,  comma  2,
lettera c) e d), che ha come  effetto  il  diritto  del  prodotto  di
fregiarsi dell'apposito logo regionale attestante la sua qualita'  di
prodotto «De.Co.» (art. 3, comma 2 lettera g)). 
    Sotto tutti questi aspetti, e' evidente la sovrapposizione  della
normativa regionale rispetto alla normativa europea e  internazionale
che si e', del pari, illustrata. 
    Quanto alle caratteristiche dei prodotti che possono ambire  alla
De.Co., come si diceva e' nodale l'art. 2 della legge impugnata. 
    Rinviando all'interpretazione di tale disposizione  gia'  operata
in premessa, sembra anche a questo proposito evidente che  la  De.Co.
non solo dipenda dal legame «genetico» tra  il  prodotto  e  un  dato
territorio, ma che tale  legame  rilevi,  altresi',  quale  connotato
integrante la qualita' o la rinomanza del prodotto (che a sua  volta,
proprio per questo, contribuisce alla notorieta' e  all'attrattivita'
del comune di origine). 
    Come si  e'  visto,  infatti,  deve  trattarsi  di  prodotti  che
manifestino il loro legame storico culturale con il territorio  (art.
2, comma 1)  a  causa  dell'impiego  di  «modalita'  consolidate  nei
costumi  e  nelle  consuetudini  locali»  (comma  2  lettera  a)),  o
«praticati sul territorio e consolidati nel tempo» (comma 2,  lettera
b)); cioe' risultanti da metodi  produttivi  non  presenti  in  altri
territori comunali, e quindi di per se' qualificanti  i  prodotti  in
questione, che sono tali, insomma, solo perche' realizzati mediante i
metodi produttivi caratteristici di quei territori e non di altri. 
    Non si tratta, quindi, di un semplice legame di  provenienza  del
prodotto dal territorio, ma della influenza determinante  del  metodo
di produzione caratteristico di  quel  territorio  nella  definizione
delle qualita', e in definitiva dell'identita', del prodotto stesso. 
    Siamo,  come  si  vede,  al  di  fuori  dell'ambito  delle   mere
«indicazioni geografiche semplici», cioe' delle  indicazioni  che  si
limitano a legare il prodotto al luogo di  origine,  senza  che  tale
relazione con tale luogo determini, altresi', la qualita' o  la  fama
del prodotto. 
    Ha chiarito la giurisprudenza della Corte di giustizia  (sentenza
7 novembre 2000, causa C-312/98, Warsteiner, punti 42-45): 
        «42. Si deve rilevare in seguito che, conformemente  ai  suoi
artt. 1, n. 1, e 2, nn. 1 e 2, il regolamento n.  2081/92  disciplina
la protezione  comunitaria  delle  denominazioni  d'origine  e  delle
indicazioni geografiche di cui al detto regolamento. 
        43. Orbene, ai sensi del suo art. 2, n.  2,  lettera  b),  il
regolamento n. 2081/92 ha ad oggetto solo le indicazioni  geografiche
per le quali esiste un nesso diretto tra una particolare qualita', la
reputazione o un'altra caratteristica del prodotto, da un lato, e  la
sua origine geografica specifica, dall'altro (v., in  tal  senso,  la
citata sentenza Pistre e a., punto 35). 
        44. E' pacifico che  le  indicazioni  di  origine  geografica
semplici che, secondo i termini usati  dal  giudice  nazionale  nella
questione  pregiudiziale,  non  implicano  nessun  rapporto  fra   le
caratteristiche  del  prodotto  e  la  sua  origine  geografica,  non
rientrano in  questa  definizione  e  non  possono  pertanto  trovare
protezione in virtu' del regolamento n. 2081/92. 
      45. Tuttavia, non vi e' nulla nel regolamento  n.  2081/92  che
indichi che tali indicazioni di origine geografica non possano essere
tutelate in forza di una disciplina nazionale di uno Stato membro». 
    Se, al contrario, il legame tra prodotto e territorio e' anche  e
soprattutto  «qualitativo»   e   non   meramente   geografico,   come
indiscutibilmente  emerge  dalle  definizioni   normative   contenute
nell'art. 2 della legge regionale impugnata,  la  sovrapposizione  di
quest'ultima alla competenza esclusiva esercitata dall'Unione  con  i
regolamenti illustrati e' inevitabile. 
    Evidente e', poi, in ogni caso, la coincidenza  tra  i  «prodotti
tradizionali locali» di cui all'art. 2, comma  2,  lettera  b)  della
legge impugnata, e le STG di cui al regolamento 1151/2012: gli uni  e
le  altre  sono  infatti  connotati  dall'impiego  di  un  metodo  di
produzione  tradizionale,  che  e'  cio'  che  conferisce   loro   la
caratteristica che li rende meritevoli di protezione. 
    Dal contesto descritto scaturisce quindi sul piano sostanziale la
violazione dell'art. 117, comma 1, della Costituzione, per  avere  la
regione   legiferato   in   difformita'   dai    vincoli    derivanti
dall'ordinamento  comunitario   con   l'istituire   un   sistema   di
identificazione, registrazione e protezione di  prodotti  qualificati
dalla  loro  origine  territoriale  idoneo  a  sostituirsi  a  quello
disciplinato dal diritto dell'Unione nelle fonti «interposte» che  si
sono illustrate. 
    E comunque, per quanto riguarda i «prodotti tradizionali locali»,
fermo tutto cio', per avere, inoltre, introdotto una figura del tutto
sovrapponibile a quella della STG di cui al regolamento n. 1151/2012. 
    Invero, non e' illegittimo soltanto l'art.  2,  che  definisce  i
prodotti suscettibili di De.Co. in modo analogo alle definizioni  dei
prodotti suscettibili di denominazione di origine  o  di  indicazione
geografica  di  registrazione  STG  di  cui  alle  fonti  europee   e
internazionali esaminate; ma conseguentemente sono illegittimi  anche
gli articoli 1 e 3 nelle parti indicate, perche' queste disposizioni,
istituendo  e  articolando  in  dettaglio,  la  denominazione  e   la
registrazione dei prodotti definiti  dall'art.  2,  costituiscono  il
necessario sviluppo applicativo di questo, e quindi rendono  concreta
la violazione costituzionale che discende dal contenuto di esso. 
    Unitamente all'art. 117, comma 1, della Costituzione, e'  violato
di conseguenza l'art. 14  dello  Statuto  regionale  siciliano  nella
parte in cui prevede che l'Assemblea legifera, tra l'altro in materia
di agricoltura e di  commercio,  «nell'ambito  della  regione  e  nei
limiti delle leggi costituzionali dello Stato». 
    Ad escludere il vizio qui denunciato  non  potrebbero  valere  le
previsioni dell'art. 1, commi 2 e 4 (non impugnati), giusta i quali: 
        «2.  La  De.Co.  non  e'  un  marchio  di   qualita'   o   di
certificazione.  Le   denominazioni   comunali   sono   istituite   e
disciplinate  nell'esercizio  delle  funzioni  proprie   dei   comuni
indicate  all'articolo  118,  secondo  comma,  della  Costituzione  e
all'articolo 2 della legge regionale 23 dicembre 2000, n. 30, recante
"Norme sull'ordinamento degli enti locali". 
        ... 
        4.  Non  possono  essere  inclusi  nel   registro   regionale
telematico De.Co. i prodotti interessati da  indicazioni  geografiche
(DOP-IGP-STG)  nonche'  i  prodotti  inseriti  nell'elenco   di   cui
all'articolo 8 del  decreto  legislativo  30  aprile  1998,  n.  173,
recante  "Disposizioni  in  materia  di  contenimento  dei  costi  di
produzione per il rafforzamento strutturale delle imprese agricole, a
norma dell'articolo 55, commi 14 e 15, della legge 27 dicembre  1997,
n. 449". Nel caso di riconoscimento europeo  di  un  prodotto  De.Co.
nonche' in caso di iscrizione nell'elenco di cui al predetto articolo
8 del decreto legislativo 173/1998, la denominazione comunale  decade
automaticamente.». 
    Queste previsioni, anzi,  confermano  la  sussistenza  del  vizio
perche' pongono un  rapporto  di  identita'/incompatibilita'  tra  le
De.Co. e le DOP, IGT,  STG,  che  non  avrebbe  senso  se  lo  stesso
legislatore regionale non  fosse  consapevole  di  avere  configurato
delle fattispecie identiche o per lo meno analoghe a quelle  regolate
in via esclusiva dalle citate fonti sovranazionali. 
    In realta', le previsioni  regionali  qui  impugnate  chiaramente
«anticipano»  a  livello  regionale,  ma  con   evidente   proiezione
sull'intero mercato nazionale, dell'Unione  e  dei  paesi  terzi,  le
forme  di  tutela  assicurate  dai  regolamenti   e   dagli   accordi
commentati. Con la conseguenza che la  loro  attuazione  si  porrebbe
inevitabilmente come  un  ostacolo  all'attuazione  di  queste  fonti
rispetto a prodotti per i quali l'ottenimento della  De.Co.  potrebbe
far venire meno l'interesse dei produttori ad attuare le procedure di
riconoscimento come DOP, IGT, STG. 
    1.2. In secondo luogo, le disposizioni regionali sopra analizzate
violano sul  piano  della  competenza  l'art.  117,  comma  3,  della
Costituzione,  nella  parte  in   cui   riserva   alla   legislazione
concorrente quella relativa ai rapporti internazionali e con l'Unione
europea delle regioni; e l'art. 117, comma 2, lettera a) nella  parte
in cui riserva alla legislazione esclusiva  dello  Stato  i  rapporti
internazionali dello Stato e quelli con l'Unione europea. 
    Le  disposizioni  impugnate  vanno  infatti  a  sovrapporsi  alle
menzionate fonti europee e internazionali (Accordo di  Lisbona;  Atto
di Ginevra, ora incorporato anche tra le fonti  europee  mediante  la
citata decisione (UE) 2019/1754 del  Consiglio  del  7  ottobre  2019
relativa all'adesione dell'Unione europea a tale atto). 
    Senonche' nessuna di tali fonti regola una materia che attenga ai
rapporti  internazionali  o  «unionali»  della  regione;   per   cui,
comunque, la regione  non  e'  competente  ad  adottare  disposizioni
legislative che direttamente o indirettamente pongano in  discussione
l'adempimento da parte dello Stato di obblighi da esso contratti  sul
piano internazionale o dell'Unione, con l'affiancarvi  o  sovrapporvi
norme e procedure oggettivamente concorrenti con tali obblighi. 
    Non potrebbe osservarsi che la  legge  regionale  e'  espressione
della competenza  della  Regione  in  materia  di  agricoltura  e  di
commercio. La materia delle denominazioni protette, infatti,  implica
evidenti interessi di carattere unitario, perche'  nella  materia  e'
essenziale prevenire discriminazioni a  danno  dei  produttori  delle
diverse  parti  del  territorio  nazionale,  e  possibili  fonti   di
confusione per i consumatori, che sono  i  destinatari  ultimi  delle
tutele in questione. Soltanto lo Stato puo', quindi,  disciplinare  i
profili esterni della  materia  in  questione,  con  lo  stipulare  i
necessari  accordi  internazionali  con  i  paesi  terzi,  o  con  il
rinunciare ad intervenirvi a favore  della  legislazione  armonizzata
dell'Unione nei rapporti con gli Stati membri. 
    2.  Violazione  dell'art.  117,  comma  2,  lettera   e),   della
Costituzione e dell'art. 14 dello  Statuto  della  Regione  Siciliana
approvato con regio decreto legislativo 15 maggio  1946,  n.  455,  e
convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2. 
    Sotto altro aspetto, la disciplina delle  denominazioni  protette
in  tutte  le  loro  forme  attiene  chiaramente  alla  tutela  della
concorrenza. 
    Come chiariscono i regolamenti UE in materia (si vedano per tutti
i considerando da 1 a 5 del regolamento n. 1151/2012, o l'art.  4  di
questo, intitolato «Obiettivo», giusta  il  quale  «E'  istituito  un
regime  di  denominazioni  di  origine  protette  e  di   indicazioni
geografiche protette alfine  di  aiutare  i  produttori  di  prodotti
legati a una zona geografica nei modi seguenti: 
        a) garantendo una giusta remunerazione per  le  qualita'  dei
loro prodotti; 
        b) garantendo una protezione  uniforme  dei  nomi  in  quanto
diritto di proprieta' intellettuale sul territorio dell'Unione; 
        c)  fornendo  ai  consumatori   informazioni   chiare   sulle
proprieta' che conferiscono  valore  aggiunto  ai  prodotti.»),  tale
tutela protegge le imprese produttrici, che  vedono  riconosciuto  il
valore aggiunto delle produzioni  tradizionali,  che  sono  poste  al
riparo da contaminazioni  o  imitazioni  che  finirebbero  per  farlo
svanire.  E  protegge  i  consumatori,  ai  quali  assicura  maggiore
varieta' qualitativa e una informazione piu' sicura circa  le  scelte
di acquisto. 
    Siamo, quindi, pienamente nel campo della concorrenza in entrambe
le sue accezioni di concorrenza  «nel  mercato»  (disciplina  di  una
competizione corretta), e di concorrenza «per il mercato» (promozione
di un mercato maggiormente efficiente,  nell'interesse  generale  dei
consumatori). 
    E' allora chiaro  come  la  normativa  regionale  qui  impugnata,
persino a prescindere dalla questione, approfondita nel primo motivo,
se essa si «sovrapponga» o  meno  alla  disciplina  sovranazionale  e
internazionale delle denominazioni  protette,  comunque  esula  dalla
competenza del  legislatore  regionale  alla  stregua  del  combinato
disposto degli articoli 117,  comma  2,  lettera  e)  («tutela  della
concorrenza»)  della  Costituzione,  e  dell'art.  14  dello  Statuto
regionale siciliano, che vincola il legislatore regionale ad  operare
«nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato». 
    Quale che sia la portata interpretativa che  si  vuole  assegnare
alle definizioni contenute nell'art. 2 della legge, e,  quindi,  alla
portata applicativa delle disposizioni sulle denominazioni comunali e
sul registro regionale, di cui  agli  articoli  1  e  3  della  legge
impugnata, e' chiaro che la disciplina di tali denominazioni  attiene
direttamente alla concorrenza come sopra definita, e  quindi  compete
in via esclusiva  allo  Stato,  esulando  dai  titoli  di  competenza
regionale di cui all'art. 14 dello  Statuto  citato  (essenzialmente,
agricoltura, industria e commercio). 
    Cio' e' dimostrato, conclusivamente, dalla disciplina del decreto
legislativo n. 173/1998 (richiamato anche dall'art. 1, comma 4, della
legge impugnata), che anteriormente all'attrazione  anche  di  questa
materia  alla  competenza  dell'Unione  tramite  il  regolamento   n.
1151/2012, introdusse una disciplina nazionale, affidata alle regioni
a livello attuativo, per la  tutela  e  registrazione  dei  «prodotti
tradizionali», definiti all'art.  8  come  quelli  caratterizzati  da
«metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura  il  cui  uso
risulta consolidato dal tempo». 
    Il corretto assetto della disciplina in  materia  appare  appunto
quello espresso dall'art. 8 del decreto legislativo n. 173/1998 e dal
suo regolamento attuativo (decreto ministeriale n. 350/1999):  spetta
alla disciplina statale individuare l'oggetto,  i  presupposti  e  le
procedure della  tutela;  spetta  alle  regioni,  in  conformita'  al
principio di sussidiarieta', applicare a  livello  amministrativo  la
materia,  istituendo  e  gestendo  i  registri  dei  prodotti   cosi'
tutelati. 
    E' palese come  le  norme  della  legge  regionale  impugnata  si
pongano tutte in contrasto con questo  quadro,  poiche'  disciplinano
direttamente, appunto, oggetto, presupposti e  procedure  di  tutela,
demandando ai comuni l'attuazione amministrativa. 
    La qualita'  intrinsecamente  «concorrenziale»  della  disciplina
esclude, pero', che essa  possa  essere  dettata  dalla  regione.  Le
inevitabili difformita' tra le ipotetiche legislazioni  regionali  in
argomento produrrebbero infatti discriminazioni tra  i  produttori  e
confusione tra i consumatori, in modo in  definitiva  pregiudizievole
per gli stessi interessi,  indubbiamente  meritevoli,  che  la  legge
regionale intende perseguire. 
    Donde, in ogni caso, il vizio di incompetenza qui denunciato. 
3. Illegittimita' derivata. 
    Infine, per immediata derivazione dai vizi denunciati nei  motivi
che precedono, e' costituzionalmente illegittimo anche l'art. 4 della
legge impugnata, che affida alla regione il compito di valorizzare  i
prodotti oggetto di De.Co. 
    La disposizione programmatica  di  politica  economica  contenuta
nell'art. 4 e', infatti, costituzionalmente illegittima in quanto  ha
ad oggetto non genericamente la valorizzazione dei prodotti che siano
testimonianza del  territorio  siciliano,  bensi'  specificamente  la
valorizzazione dei risultati di un sistema  di  tutela  a  sua  volta
costituzionalmente illegittimo nei sensi sopra chiariti.