TRIBUNALE DI FIRENZE Prima Sezione Penale Il giudice, dott. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato a carico di G. M. nato a ...; elettivamente domiciliato presso l'avv. Enrico Roccasalvo del Foro di Pisa (elezione nella nomina dep. il 27 ottobre 2020); Libero assente; Difeso dall'avv. di ufficio Stefano Pagliai del Foro di Firenze (nominato il 24 febbraio 2021 a seguito della rinuncia del precedente difensore di fiducia); Imputato dei seguenti reati: a) del reato di cui agli artt. 81 c.p.v. c.p. 640, comma 2, n. 2-bis (con riferimento al 61 n. 5 c.p.) 61 n. 1 e 56 c.p. per avere truffato P. L. e tentato di truffare G. G. Artifici e raggiri consistiti nell'affermare a entrambi di essere povero e, falsamente, di avere un figlio piccolo convivente e di aver bisogno di soldi per comprargli il latte in polvere condensato. Con cio' inducendo in errore la P. che cosi' veniva mossa a pieta' e gli dava euro 50,00. Quindi al fine di procurarsi tale ingiusto profitto di euro 50,00 e con pari danno per la P. Fatto aggravato perche' commesso per motivi abietti ovvero per muovere a pieta' le persone usando falsamente il bisogno di un bambino piccolo e cosi' creando anche condizioni di minorata difesa nei confronti della persona offesa. Evento non consumatosi per cause da lui indipendenti invece nei confronti del G. che non gli dava alcunche'. Con la recidiva, specifica, reiterata. In... in data... ; b) del reato di cui all'art. 624 e 625 n. 7 c.p. perche', al fine di trarne profitto, si impossessava della bicicletta di S. D. sottraendola al legittimo proprietario. Fatto aggravato perche' commesso su bene esposto alla pubblica fede perche' parcheggiata per strada. Con la recidiva, specifica, reiterata. In... in data... ; c) per il reato di cui all'art. 374-bis c.p. per avere dichiarato falsamente al personale Questura... , in sede di verbalizzazione di identificazione, elezione domicilio e nomina difensore nel presente procedimento e come tale destinato all'A.g. procedente «di non avere riportato condanne penali in Italia». Fatto non vero per quanto attestato dal certificato penale da cui risultano due condanne passate in giudicato. Con la recidiva, specifica, reiterata. In... in data... . Sentite le parti; Premesso che: con decreto del Gup del 22 dicembre 2020 G. M. era rinviato a giudizio per i tre reati sopra indicati; nelle udienze dell'11 ottobre 2021 e del 14 febbraio 2022 si svolgeva l'istruttoria; all'esito le parti illustravano le rispettive conclusioni. In particolare il pubblico ministero chiedeva: non doversi procedere per il capo A) per difetto di querela, previa esclusione dell'aggravante ex art. 640, comma 2, n. 2-bis c.p.; la condanna dell'imputato per il reato di cui al capo C), con la contestata recidiva, alla pena di mesi venti di reclusione; l'assoluzione per il capo B). Il difensore chiedeva sentenza di non doversi procedere per i capi A) e B); minimo della pena per il capo C); all'udienza odierna, cui il processo era rinviato per eventuali repliche, le parti vi rinunciavano; Rilevato - con riguardo al capo C) dell'imputazione - che: A) dall'istruttoria svolta e' emerso pacificamente che in data... , mentre era gia' indagato per il furto di cui al capo B) dell'imputazione, M. G. era sottoposto ad identificazione ex art. 349 c.p.p. (con nomina del difensore ed elezione di domicilio), in relazione al citato furto, dal personale della Polizia di Stato (Questura di... Divisione Anticrimine) su delega del pubblico ministero. Come risulta dal verbale e dalla testimonianza dell'assistente capo S. G., in tale sede l'imputato - cui non erano rivolti gli avvisi ex art. 64, comma 3 c.p.p. - dichiarava di non avere riportato precedenti condanne; B) dal certificato penale dell'imputato emerge viceversa che lo stesso aveva gia' riportato due condanne: un decreto penale del 10 gennaio 2007 (esecutivo il 10 aprile 2007) per un furto aggravato commesso il... e una sentenza del 25 maggio 2007 (irrevocabile il 15 ottobre 2007) per il reato ex artt. 483 c.p. e 76, decreto del Presidente della Repubblica n. 445/2000, commesso il... ; C) e' dunque emerso chiaramente come il prevenuto in sede d'identificazione ex art. 349 c.p.p. abbia reso false dichiarazioni in ordine ai propri precedenti penali; D) il fatto rientra nell'ambito della previsione di cui all'art. 495 c.p. Secondo la giurisprudenza di legittimita' consolidata, infatti, «Integra il delitto di cui all'art. 495 c.p. la falsa attestazione dell'indagato alla polizia giudiziaria [...] in ordine ai propri precedenti penali» (cosi' Cassazione Sez. 5, sentenza n. 37571 dell'8 luglio 2015 Rv. 264944 - 01 in un caso di dichiarazioni rese in sede d'interrogatorio delegato; nello stesso senso Cassazione Sez. 5, sentenza n. 32741/2014 e Cassazione Sez. 5, sentenza n. 18677/2007 Rv. 236923 - 01, sempre in ipotesi di interrogatorio delegato, e Cassazione Sez. 5, sentenza n. 18476 del 26 febbraio 2016 Rv. 266549 - 01 in un caso di dichiarazioni rese in sede d'identificazione ed elezione di domicilio); alla stessa conclusione e' giunta incidentalmente anche la Corte costituzionale nella sentenza n. 108/1976 («Non e' dubbio che, se l'imputato, alla domanda rivoltagli dall'inquirente sui suoi precedenti penali risponde in modo contrario al vero, egli incorre nelle sanzioni previste dall'art. 495 del codice penale»). Del resto, la disposizione di cui all'art. 374-bis c.p. indicata dal pubblico ministero - a prescindere dal fatto che possa riguardare la condotta dell'indagato/imputato che rilascia dichiarazioni all'autorita' inquirente - fa comunque salvo il caso che il fatto costituisca piu' grave reato; il delitto ex art. 495 c.p. e' per l'appunto piu' grave, essendo il massimo edittale (sei anni di reclusione) piu' elevato di quello previsto dall'art. 374-bis c.p. (cinque anni di reclusione); E) quanto all'affermazione della responsabilita' dell'imputato relativamente al reato in questione, pare pero' necessario il pronunciamento della Corte costituzionale in ordine alla legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 495 c.p. nella parte in cui si applica alle false dichiarazioni rese nell'ambito di un procedimento penale dalla persona sottoposta ad indagini o imputata in relazione ai propri precedenti penali e in generale in relazione alle circostanze indicate nell'art. 21 disp. att. c.p.p.; o, in subordine, in ordine alla legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 64, comma 3 c.p.p. nella parte in cui non prevede che gli avvisi ivi previsti debbano essere formulati nei confronti della persona sottoposta alle indagini/imputata prima di qualunque tipo di audizione della stessa nell'ambito del procedimento penale e della norma di cui all'art. 495 c.p. nella parte in cui non prevede l'esclusione della punibilita' per il reato ivi previsto in caso di false dichiarazioni - in relazione ai propri precedenti penali e in generale in relazione alle circostanze indicate nell'art. 21 disp. att. c.p.p. - rese nell'ambito di un procedimento penale da chi avrebbe dovuto essere avvertito della facolta' di non rispondere; Cio' premesso. Osserva 1. Rilevanza della questione 1.1 M. G. era indagato per il furto di una bicicletta - in ipotesi commesso... in danno di D. S. - allorche' fu sottoposto in data... ad identificazione ex art. 349 c.p.p. dalla polizia giudiziaria. In tale sede non gli furono rivolti gli avvisi di cui all'art. 64, comma 3 c.p.p.; in particolare, il prevenuto non fu avvisato della facolta' di non rispondere alle domande, fatta eccezione per quelle concernenti le sue generalita'. Nel corso dell'identificazione, rispondendo agli operanti, egli dichiaro' contrariamente al vero di non avere precedenti penali. 1.2 Il fatto di per se' integrerebbe il reato di cui all'art. 495 c.p. L'imputato andrebbe tuttavia esente da responsabilita' - con riguardo alla citata contestazione - qualora la norma di cui all'art. 495 c.p. fosse dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui si applica alle false dichiarazioni rese nell'ambito di un procedimento penale dalla persona indagata/imputata in relazione ai propri precedenti penali e in generale in relazione alle circostanze indicate nell'art. 21 disp. att. c.p.p. 1.3 Parimenti l'imputato dovrebbe essere assolto (con riguardo al citato reato) qualora fosse accolta la questione subordinata, e cioe' se fosse dichiarata l'illegittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 64, comma 3 c.p.p. nella parte in cui non prevede che gli avvisi ivi previsti debbano essere formulati nei confronti della persona indagata/imputata prima di qualunque tipo di audizione della stessa nell'ambito del procedimento penale, nonche' della norma di cui all'art. 495 c.p. nella parte in cui non prevede l'esclusione della punibilita' per il reato ivi previsto in caso di false dichiarazioni - in relazione ai propri precedenti penali e in generale in relazione alle circostanze indicate nell'art. 21 disp. att. c.p.p. - rese nell'ambito di un procedimento penale da chi avrebbe dovuto essere avvertito della facolta' di non rispondere. 2. Non manifesta infondatezza 2.1 Pare opportuno preliminarmente procedere ad una breve ricognizione del quadro normativo e giurisprudenziale. 2.1.1 L'art. 495 c.p. incrimina la condotta di «chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l'identita', lo stato o altre qualita' della propria o dell'altrui persona»; come si e' gia' evidenziato, la giurisprudenza consolidata qualifica ai sensi della citata norma la condotta del soggetto che rilasci false dichiarazioni in ordine ai propri precedenti penali; alla stessa conclusione la Corte di cassazione giunge anche con riguardo ad altre circostanze indicate dall'art. 21 disp. att. (Cassazione Sez. F, sentenza n. 34536 del 4 settembre 2012 Rv. 253428 - 01 in relazione alla falsa dichiarazione relativa al titolo di studio in sede d'interrogatorio dinanzi al Gip; Cassazione Sez. 4, sentenza n. 2497 del 14 gennaio 2022 Rv. 282572 in relazione in generale alle dichiarazioni circa le proprie condizioni e qualita' personali). 2.1.2 L'art. 64 c.p.p., nel dettare le regole per l'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini, al comma 3 prevede: «3. Prima che abbia inizio l'interrogatorio, la persona deve essere avvertita che: a) le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti; b) salvo quanto disposto dall'art. 66, comma 1, ha facolta' di non rispondere ad alcuna domanda, ma comunque il procedimento seguira' il suo corso; c) se rendera' dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilita' di altri, assumera', in ordine a tali fatti, l'ufficio di testimone, salve le incompatibilita' previste dall'art. 197 e le garanzie di cui all'art. 197-bis». Il successivo comma 3-bis dell'art. 64 c.p.p. prevede: «L'inosservanza delle disposizioni di cui al comma 3, lettere a) e b), rende inutilizzabili le dichiarazioni rese dalla persona interrogata. In mancanza dell'avvertimento di cui al comma 3, lettera c), le dichiarazioni eventualmente rese dalla persona interrogata su fatti che concernono la responsabilita' di altri non sono utilizzabili nei loro confronti e la persona interrogata non potra' assumere, in ordine a detti fatti, l'ufficio di testimone». L'art. 66, comma 1 c.p.p. - richiamato dal citato art. 64, comma 3 c.p.p. - recita: «1. Nel primo atto cui e' presente l'imputato, l'autorita' giudiziaria lo invita a dichiarare le proprie generalita' e quant'altro puo' valere a identificarlo, ammonendolo circa le conseguenze cui si espone chi si rifiuta di dare le proprie generalita' o le da' false». L'art. 21 disp. att. c.p.p. prevede: «Quando procede a norma dell'art. 66 del codice, il giudice o il pubblico ministero invita l'imputato o la persona sottoposta alle indagini a dichiarare se ha un soprannome o uno pseudonimo, se ha beni patrimoniali e quali sono le sue condizioni di vita individuale, familiare e sociale. Lo invita inoltre a dichiarare se e' sottoposto ad altri processi penali, se ha riportato condanne nello Stato o all'estero e, quando ne e' il caso, se esercita o ha esercitato uffici o servizi pubblici o servizi di pubblica necessita' e se ricopre o ha ricoperto cariche pubbliche». L'art. 349 c.p.p. disciplina l'attivita' di identificazione della persona sottoposta ad indagini da parte della polizia giudiziaria, prevedendo: «1. La polizia giudiziaria procede alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti. [...] 3. Quando procede alla identificazione, la polizia giudiziaria invita la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini a dichiarare o a eleggere il domicilio per le notificazioni a norma dell'art. 161. Osserva inoltre le disposizioni dell'art. 66 [...]». 2.1.3 In giurisprudenza e' pacifico che l'art. 66, comma 1 c.p.p. limiti l'obbligo di rispondere del soggetto interrogato alla dichiarazione delle generalita' e a quelle strettamente finalizzate all'identificazione, con esclusione viceversa delle dichiarazioni relative ai precedenti penali e agli altri dati di cui all'art. 21 disp. att. c.p.p.; con riguardo a tali circostanze, l'indagato/imputato puo' infatti legittimamente rifiutarsi di rispondere senza incorrere in responsabilita' penale; se tuttavia egli decide di rispondere e rende false dichiarazioni, risulta integrato il reato di cui all'art. 495 c.p. In questo senso si sono espresse le sentenze Cassazione Sez. 5, n. 37571 dell'8 luglio 2015, Cassazione Sez. 5, n. 32741 del 9 luglio 2014 e Cassazione Sez. 5, n. 18677 del 6 marzo 2007 Rv. 236923 - 01 (nello stesso senso si pronunciava, con la sentenza n. 108/1976, anche la Corte costituzionale, sia pur avendo riguardo alla disciplina del vecchio c.p.p.). 2.1.4.1 Il disposto dell'art. 64 c.p.p. e' richiamato, in tutto o in parte, oltre che dalle norme che disciplinano le varie ipotesi di interrogatorio previste dall'ordinamento (a seguito dell'applicazione di misure cautelari, in udienza preliminare, ecc.), anche da altre norme processuali che ne estendono l'ambito applicativo: l'art. 210 c.p.p. relativamente all'esame dibattimentale delle persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12 c.p.p. o di un reato collegato a norma dell'art. 371, comma 2, lettera b) c.p.p.; l'art. 350, comma 1 c.p.p. relativamente alle sommarie informazioni utili per le investigazioni assunte dalla polizia giudiziaria dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini; l'art. 363 c.p.p. - tramite il richiamo all'art. 210 c.p.p. - relativamente all'interrogatorio da parte del pubblico ministero delle persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12 c.p.p. o di un reato collegato a norma dell'art. 371, comma 2, lettera b) c.p.p.; l'art. 374 c.p.p. relativamente alla presentazione spontanea al pubblico ministero. 2.1.4.2 Con l'ordinanza n. 191/2003 la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata con riguardo all'art. 64 c.p.p. nella parte in cui - si asseriva - non prevede che il giudice del dibattimento debba dare all'imputato in sede di esame gli avvisi di cui alla disposizione suddetta. La Corte in tale sede - disattendendo l'impostazione da cui muoveva il giudice remittente e argomentando sulla base della riconducibilita' dell'interrogatorio e dell'esame ad un unico genus - riteneva possibile un'interpretazione della norma che consenta di rendere applicabile la disciplina degli avvisi anche all'istituto dell'esame. 2.1.4.3 Varie pronunce di legittimita', sulla base di ragioni di carattere sistematico, hanno poi riconosciuto la doverosita' degli avvisi di cui all'art. 64 c.p.p. anche in relazione ad ipotesi per le quali gli stessi non sono espressamente previsti: cosi' Cassazione Sez. 1, sentenza n. 22643 del 10 maggio 2012 Rv. 252741 - 01 e Cassazione Sez. 1, sentenza n. 15849 del 18 dicembre 2017 hanno affermato che i citati avvisi devono essere formulati dalla polizia giudiziaria anche allorche' proceda ai sensi dell'art. 351, comma 1-bis all'assunzione di informazioni da persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12 c.p.p. o di un reato collegato a norma dell'art. 371, comma 2, lettera b). 2.1.4.4 L'applicabilita' dell'art. 64 c.p.p. e' stata viceversa esclusa dalla giurisprudenza di legittimita' con riguardo ad ulteriori ipotesi. In particolare, la sentenza Cassazione Sez. 5, n. 18476 del 26 febbraio 2016 ha escluso che le garanzie di cui all'art. 64 c.p.p. si applichino all'indagato in sede di identificazione ed elezione di domicilio («Poiche' l'atto di cui si tratta e' un verbale di identificazione ed elezione di domicilio e non gia' un interrogatorio, e' del tutto impropria la pretesa che la sua redazione fosse preceduta dagli avvisi di cui all'art. 64 c.p.p. ed assistita dalle garanzie ivi previste»). Parimenti, Cassazione Sez. 3, sentenza n. 29641 del 14 marzo 2018 Rv. 273209 - 01 ha escluso l'applicabilita' degli avvisi di cui all'art. 64 c.p.p. alle dichiarazioni spontanee ex art. 350, comma 7 c.p.p.: «Alle dichiarazioni spontanee rese ex art. 350, comma 7 c.p.p. dal soggetto indagato non si applicano le disposizioni dell'art. 63, comma 1 c.p.p. e dell'art. 64, stesso codice, giacche' la prima concerne l'esame di persona non imputata o non sottoposta ad indagini, mentre la seconda attiene all'interrogatorio, atto diverso dalle spontanee dichiarazioni»; nello stesso senso si sono pronunciate anche Cassazione Sez. 3, sentenza n. 48508 del 3 novembre 2009 Rv. 245622 - 01, Cassazione Sez. 4, sentenza n. 2124 del 27 ottobre 2020 Rv. 280242 - 01 e Cassazione Sez. 1, sentenza n. 15197 dell'8 novembre 2019 Rv. 279125 - 01. 2.1.5 La giurisprudenza di legittimita' ha inoltre precisato che le dichiarazioni in ordine alle condizioni e qualita' personali di cui all'art. 21 disp. att. c.p.p. «vengono rese a monte» degli avvisi di cui all'art. 64, comma 3 c.p.p., in quanto per esse - afferenti, come noto, le condizioni e qualita' personali e le condizioni di vita individuale, familiare e sociale - non si pone in alcun modo l'esercizio del diritto di difesa: tant'e' che il mendacio del soggetto interrogato a proposito di tali condizioni e qualita' espone il medesimo all'imputazione per il delitto p. e p. dall'art. 495 c.p.»; quindi «mentre l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese senza gli avvisi di cui al citato art. 64, comma 3 c.p.p. e' correlata all'esercizio del diritto di autodifesa [...], e' di tutta evidenza che le dichiarazioni rese dall'imputato sulle sue condizioni e qualita', che "precedono" - come noto - l'interrogatorio vero e proprio, sono rese prima che vengano dati gli avvisi di cui al ridetto 64, comma 3 c.p.p. proprio perche' non impegnano in alcun modo l'esercizio del diritto dell'imputato di difendersi (anche tacendo o mentendo) e per tale ragione non comportano in alcun modo l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese al riguardo dall'imputato, in relazione alle quali si porra', al piu', un problema di attendibilita' e di credibilita'» (cosi', in motivazione, Cassazione Sez. 4, Sentenza n. 2497 del 14 gennaio 2022 Rv. 282572 - 01). Anche la sentenza Cassazione Sez. 5, n. 28020 del 6 marzo 2013 si e' espressa nel senso che, con riguardo alle dichiarazioni di cui all'art. 21 disp. att. c.p.p., non siano dovuti gli avvisi di cui all'art. 64, comma 3 c.p.p. (in un caso di condanna per il reato di cui all'art. 495 c.p. in relazione alla dichiarazione dell'indagato - in udienza di convalida dell'arresto - di essere incensurato). La censura del ricorrente circa la violazione dell'art. 64 c.p.p., non essendo stato dato all'indagato l'avviso circa la facolta' di non rispondere in ordine ai precedenti penali, era cosi' disattesa dalla Corte di cassazione: «la questione della pretesa violazione dell'art. 64 c.p.p., comma 3, che comporta la inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese dalla persona in ordine ai fatti contestati non trova alcun fondamento nella specie, non essendo l'ammonimento previsto dal citato art. 64 c.p.p. riferito alle dichiarazioni sulla identita' personale ed altri elementi significativi della personalita' dell'imputato secondo il dettato normativo dell'art. 21 disp. att. c.p.p., essendo queste dichiarazioni che riguardano l'identita' e lo status civile e giuridico dell'individuo, come tali suscettibili di integrare, ove non rispondenti al vero, la fattispecie normativa di cui all'art. 495 c.p.». Per l'utilizzabilita' in sede cautelare o di merito delle dichiarazioni rese ex art. 21 disp. att. c.p.p. si vedano anche Cassazione Sez. 2, sentenza n. 31463 del 3 novembre 2020 (in ordine alla dichiarazione di assenza di un'occupazione lavorativa) e Cassazione Sez. 6, sentenza n. 43337 del 20 settembre 2016 («alcun limite di utilizzabilita' sussiste in ordine alle risposte fornite dall'imputato sulle proprie condizioni di vita e personali, in quanto non attengono al merito del procedimento, ne' possono qualificarsi dichiarazioni contra se solo in ragione della valutazione operata dal giudice»). 2.1.6 Alla luce di quanto precede, in definitiva e per quel che qui rileva, si puo' affermare che - secondo il diritto vivente quale risulta dalla giurisprudenza di legittimita' - gli avvisi di cui all'art. 64, comma 3 c.p.p. non spettano all'indagato/imputato in sede di identificazione da parte della polizia giudiziaria (e in sede di dichiarazioni spontanee ex art. 350, comma 7 c.p.p.). In ogni caso, anche nelle sedi (varie forme di interrogatorio, esame, ecc.) in cui si applica il disposto dell'art. 64, comma 3 c.p.p., gli avvisi ivi previsti spettano all'indagato/imputato dopo le dichiarazioni preliminari in ordine alle generalita' e alle informazioni di cui all'art. 21 disp. att. Quindi tali dichiarazioni preliminari (tra cui quelle relative ai precedenti penali) sono rese senza che sia previamente necessario formulare all'imputato gli avvisi ex art. 64, comma 3 c.p.p. Le dichiarazioni rese dall'indagato/imputato in risposta a tali domande preliminari possono comunque essere utilizzate dal giudice ai fini cautelari o del merito. 2.2 Tanto premesso, si dubita della legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 495 c.p. nella parte in cui si applica alle false dichiarazioni rese nell'ambito di un procedimento penale dalla persona sottoposta ad indagini o imputata in relazione ai propri precedenti penali e in generale in relazione alle circostanze indicate nell'art. 21 disp. att. c.p.p. In particolare, paiono violati i precetti di cui agli artt. 3 e 24 della Costituzione. 2.3 Il nostro ordinamento processuale penale riconosce all'indagato/imputato, in nome del diritto di difesa ed in particolare del principio del nemo tenetur se detegere, una serie di garanzie. La principale e' costituita dal c.d. diritto al silenzio. La Corte costituzionale ha sottolineato piu' volte come «il "diritto al silenzio" dell'imputato - pur non godendo di espresso riconoscimento costituzionale - costituisca un "corollario essenziale dell'inviolabilita' del diritto di difesa", riconosciuto dall'art. 24 della Costituzione (ordinanze n. 202 del 2004, n. 485 e n. 291 del 2002). Tale diritto garantisce all'imputato la possibilita' di rifiutare di sottoporsi all'esame testimoniale e, piu' in generale, di avvalersi della facolta' di non rispondere alle domande del giudice o dell'autorita' competente per le indagini.» (cosi' l'ordinanza n. 117/2019). 2.4 L'ordinamento riconosce pero' anche ulteriori facolta'/prerogative all'indagato/imputato, che pure costituiscono declinazioni del principio del nemo tenetur se detegere; tra queste vi e' anche - con l'eccezione per l'appunto delle dichiarazioni di cui agli artt. 66 c.p.p. e 21 disp. att. c.p.p. e dei profili attinenti alla responsabilita' di terzi (la falsa dichiarazione potrebbe, a certe condizioni, integrare il delitto di calunnia) - il non assoggettamento all'obbligo di dire la verita'. Il legislatore cioe', se pur non si trattava (forse) di una scelta costituzionalmente o convenzionalmente obbligata, ha deciso di articolare il diritto di difesa dell'indagato/imputato riconoscendo a quest'ultimo non solo il diritto di non rendere dichiarazioni, ma anche il c.d. diritto di mentire. Si rilevi in proposito che - in base agli approdi cui e' giunta la giurisprudenza di legittimita' - non si tratta solo della facolta' di non dichiarare il vero senza per cio' solo incorrere in responsabilita' penale, ma anche dell'impossibilita' per il giudice di negare il riconoscimento di circostanze attenuanti o benefici in ragione del mero mendacio dell'imputato. Si vedano ad es. Cassazione Sez. U, sentenza n. 36258 del 24 maggio 2012 Rv. 253152 - 01 («Ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, il pieno esercizio del diritto di difesa, se faculta l'imputato al silenzio e persino alla menzogna, non lo autorizza, per cio' solo, a tenere comportamenti processualmente obliqui e fuorvianti, in violazione del fondamentale principio di lealta' processuale che deve comunque improntare la condotta di tutti i soggetti del procedimento, e la cui violazione e' indubbiamente valutabile da parte del giudice di merito»), Cassazione Sez. 5, sentenza n. 17232 del 17 gennaio 2020 Rv. 279169 - 01 («In tema di sospensione condizionale della pena, e' illegittimo il diniego del beneficio fondato esclusivamente sul comportamento processuale dell'imputato che neghi ostinatamente l'addebito e sostenga una versione dei fatti smentita dalle altre risultanze istruttorie, in quanto espressione di un insopprimibile diritto di difesa, riflesso del diritto al silenzio») e Cassazione Sez. 5, sentenza n. 57703 del 14 settembre 2017 Rv. 271894 - 01 («E' illegittimo il diniego della concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, motivato dal comportamento processuale mendace dell'imputato, al quale l'ordinamento riconosce il diritto al silenzio nonche' quello di negare, anche mentendo, le circostanze di fatto a lui sfavorevoli»). Tale scelta del legislatore ha assunto un'evidente centralita' nell'esercizio del diritto di difesa dell'indagato/imputato, in termini di elaborazione delle strategie difensive, di maggiore serenita' dell'interessato che si sottoponga all'interrogatorio, ecc. 2.5.1 Occorre allora valutare se l'eccezione delineata dallo stesso legislatore a tale declinazione essenziale del diritto di difesa, con riguardo ai precedenti penali e alle altre condizioni e situazioni di cui all'art. 21 disp. att. c.p.p., sia ragionevole. 2.5.2 La Corte di cassazione ha sottolineato che i precedenti penali e tali altri dati possono valere ad individuare una persona. In particolare si e' affermato che i precedenti penali «servono, al di la' dell'identita', a caratterizzare una persona nella collettivita' sociale, integrandone l'individualita'» (Cassazione Sez. 5, sentenza n. 32741 del 2014); si e' dedotto inoltre che l'eventuale mendacio in ordine ai precedenti penali vi e' il rischio che ingeneri confusione e possa comunque costituire intralcio rispetto all'attivita' giudiziaria. 2.5.3 Tuttavia, se e' vero che le dichiarazioni di cui all'art. 21 disp. att. c.p.p. afferiscono a stati o qualita' della persona (e proprio per tale motivo in caso di falsita' rientrano nell'alveo applicativo dell'art. 495 c.p.), pare preminente e meritevole di maggior tutela il profilo della relativa interferenza con l'esercizio del diritto di difesa. Non sembra infatti condivisibile l'assunto secondo cui tali dichiarazioni non avrebbero attinenza con l'esercizio del diritto di difesa, come se il contenuto di tali dichiarazioni fosse neutro rispetto all'oggetto delle accuse. Al contrario, molto spesso le informazioni riferite con riguardo alle condizioni familiari ed economiche dell'indagato hanno un'evidente rilevanza ai fini della valutazione delle accuse: si pensi ad esempio alla maggiore o minore verosimiglianza della contestazione di un furto o di altro reato contro il patrimonio a seconda che l'indagato/imputato abbia o meno una regolare fonte di reddito o un consistente patrimonio; o, alla stessa stregua, alla valutazione della detenzione in casa di un quantitativo di stupefacente non irrisorio, come destinata al proprio consumo personale o piuttosto allo spaccio. Si tratta in effetti di valutazioni che comunemente si compiono nelle aule di giustizia e che la stessa giurisprudenza di legittimita', come si e' visto, autorizza a compiere sulla base delle dichiarazioni rese dall'indagato/imputato ai sensi dell'art. 21 disp. att. c.p.p. Con particolare riguardo ai precedenti penali, gli stessi talora sono addirittura elementi costituivi del reato (si pensi alla contravvenzione di cui all'art. 707 c.p.) o comunque possono avere una certa valenza rispetto alle modalita' esecutive del fatto (si pensi ad un soggetto gia' condannato per plurimi furti con destrezza, che si veda accusato di taccheggio a bordo di un autobus). In ogni caso assumono sempre rilevanza ai fini della possibile contestazione della recidiva (elemento circostanziale del reato, la cui applicazione e per certi versi gia' solo contestazione comporta rilevanti effetti, sotto piu' profili) e comunque ai fini del trattamento sanzionatorio ex art. 133 c.p. e della concessione o meno di benefici (nel caso ora in esame, per l'appunto, all'imputato e' stata contestata una recidiva qualificata). Sotto il profilo procedurale la dichiarazione da parte dell'indagato di avere o meno precedenti penali (cosi' come quella di avere un'occupazione lavorativa o di convivere con una persona dotata di un reddito stabile o di avere altro procedimento pendente, magari con una misura cautelare in corso di esecuzione) puo' incidere sulla valutazione delle esigenze cautelari, diverso essendo chiaramente il significato che assume il delitto per cui si procede in presenza di un soggetto incensurato o, piuttosto, di un soggetto gravato da plurimi precedenti specifici. Del resto, da un lato i precedenti penali, le condizioni economiche, ecc. sono anche accertabili aliunde dalla polizia giudiziaria o dall'autorita' giudiziaria, per cui il dedotto rischio di confusione risulta minimo (e comunque recessivo rispetto alla tutela del diritto di difesa); dall'altro, pero', e' anche vero che le stesse dichiarazioni dell'indagato/imputato possono costituire lo spunto per maggiori approfondimenti da parte degli inquirenti e comunque una prima fonte utile di informazioni e quindi contribuire, almeno indirettamente, a determinare la sua futura responsabilita' penale o l'entita' del trattamento sanzionatorio o l'applicazione di una misura cautelare. In tale contesto, nel rispondere alle domande di cui all'art. 21 disp. att. c.p.p., l'indagato/imputato - anche se l'interrogatorio/esame inteso in senso stretto non e' ancora iniziato - gia' si sta difendendo, cercando di fornire una propria versione che, anche con riguardo ai precedenti penali e alle altre qualita' e condizioni di cui all'art. 21 disp. att. c.p.p., renda meno verisimili le accuse o faccia apparire meno gravi i fatti o meno stringenti le esigenze cautelari. Risulta percio' eccessivamente formalistico e quindi irragionevole distinguere tra domande preliminari, che non sarebbero coperte dal diritto di mentire, e domande rientranti nell'interrogatorio/esame vero e proprio, alle quali l'imputato potrebbe rispondere liberamente, senza timore di incorrere in ulteriori responsabilita' penali. Al contrario pare necessario declinare il contenuto concreto del principio del nemo tenetur se detegere in modo analogo con riferimento all'oggetto della contestazione e ai fattori che possono rilevare rispetto agli elementi circostanziali del reato (recidiva, rilevante a sua volta ai fini della prescrizione, ecc.), al trattamento sanzionatorio, ai benefici, alle esigenze cautelari, ecc. 2.6 In via subordinata, si intende sottoporre alla Corte costituzionale la questione circa la legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 64, comma 3 c.p.p. nella parte in cui non prevede che gli avvisi ivi previsti debbano essere formulati nei confronti della persona sottoposta alle indagini/imputata prima di qualunque tipo di audizione della stessa nell'ambito del procedimento penale e della norma di cui all'art. 495 c.p. nella parte in cui non prevede l'esclusione della punibilita' per il reato ivi previsto in caso di false dichiarazioni - in relazione ai propri precedenti penali e in generale in relazione alle circostanze indicate nell'art. 21 disp. att. c.p.p. - rese nell'ambito di un procedimento penale da chi avrebbe dovuto essere avvertito della facolta' di non rispondere. 2.7 Qualora cioe' la Corte dovesse ritenere che, con riguardo ai precedenti penali e alle altre qualita' e condizioni di cui all'art. 21 disp. att. c.p.p., l'indagato/imputato abbia il solo diritto a non rispondere (senza che sia irragionevole negargli la facolta' di mentire), si chiede che tale diritto al silenzio sia adeguatamente tutelato. In particolare, affinche' il soggetto indagato/imputato possa valutare compiutamente se rispondere o meno alle domande di cui all'art. 21 disp. att. c.p.p., pare essenziale che egli sia previamente ed espressamente avvisato di tale suo diritto. Come si e' visto, la giurisprudenza di legittimita' nega la necessita' di tale avviso in sede d'identificazione ex art. 349 c.p.p. e comunque afferma che gli avvisi ex art. 64, comma 3 c.p.p. (tra cui l'avviso circa la facolta' di non rispondere) vanno formulati dopo le domande preliminari circa le generalita' e le altre circostanze di cui all'art. 21 disp. att. c.p.p. L'indagato/imputato - normalmente soggetto privo di cognizioni giuridiche - si trova quindi di fronte ad un pubblico ufficiale (dotato di poteri di cui il prevenuto ignora spesso gli esatti confini) che lo interroga senza previamente avvisarlo della facolta' di non rispondere. In tale contesto e' evidente la naturale ritrosia dell'indagato/imputato ad esercitare quello che sarebbe un suo diritto (che forse egli ignora del tutto) e viceversa la tendenza a rispondere, magari mentendo per difendersi, alle domande che gli verranno rivolte. Affinche' il diritto al silenzio sia effettivamente protetto e non soltanto tollerato, pare viceversa necessario che nell'ambito del procedimento penale, prima di qualunque forma di audizione dell'indagato/imputato (che si tratti cioe' dell'identificazione, dell'interrogatorio in senso stretto, dell'esame, ecc. e comunque prima di qualunque tipo di domanda, per quanto apparentemente preliminare), quest'ultimo sia compiutamente informato circa il suo diritto a non rispondere alle domande (fatta salva la precisazione circa l'obbligo di rispondere in ordine alle generalita' e agli altri dati strettamente finalizzati all'identificazione secondo quanto previsto dall'art. 66, comma 1 c.p.p.). Tale esigenza sembra sussistere anche in presenza di un difensore, come ad es. nel caso dell'esame dibattimentale, in quanto l'avviso espresso appare essenziale per vincere eventuali timori rispetto a quello che e' l'esercizio di un diritto, in un clima culturale in cui non si e' ancora definitivamente affermata l'idea che quello al silenzio sia un diritto e che dal relativo esercizio non possano derivare conseguenze negative per l'interessato (si registrano infatti tuttora sentenze di merito in cui la negazione di attenuanti o benefici viene motivata con il comportamento mendace dell'imputato). La conclusione vale pero' a maggior ragione nelle circostanze - ad es. in occasione dell'identificazione ex art. 349 c.p.p. - in cui l'indagato non sia neppure assistito da un difensore che possa renderlo edotto dei suoi diritti. Parimenti, posto che le dichiarazioni rese ai sensi dell'art. 21 disp. att. c.p.p. potranno poi essere utilizzate dal giudice, una compiuta valutazione circa l'esercizio o meno del diritto al silenzio presuppone l'ulteriore avviso di cui all'art. 64, lettera a) c.p.p. in base al quale le dichiarazioni rese potranno poi essere utilizzate nei confronti del dichiarante. 2.8 Al tempo stesso si chiede d'introdurre nel disposto dell'art. 495 c.p. la previsione della non punibilita' per il reato ivi previsto nel caso in cui - in mancanza dei necessari avvisi - l'indagato/imputato abbia reso false dichiarazioni in relazione ai propri precedenti penali e in generale alle circostanze di cui all'art. 21 disp. att. c.p.p. Si tratta di un corollario che si reputa necessario per dotare di effettivita' la previsione circa gli avvisi e per non punire l'indagato/imputato che non sia stato posto in condizione di esercitare compiutamente il proprio diritto. Del resto l'ordinamento gia' prevede ipotesi in cui, a fronte della mancata formulazione di avvisi circa il diritto al silenzio in sede procedimentale, colui che vi avrebbe avuto diritto abbia reso false dichiarazioni. E' il caso dell'art. 384, comma 2 c.p. che, rispetto ai reati di cui agli artt. 371-bis, 371-ter, 372 e 373 c.p., prevede una causa di non punibilita' - tra l'altro - per chi avrebbe dovuto essere avvertito della facolta' di astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione. Il medesimo principio pare possa essere fatto valere nel caso in esame. 3. Possibilita' di un'interpretazione conforme 3.1 Con riguardo alla richiesta in via principale non risultano percorribili interpretazioni conformi della norma ora censurata agli artt. 3 e 24 della Costituzione, chiaro e univoco essendo il dato letterale (la disposizione e' peraltro interpretata in modo costante dalla giurisprudenza in conformita' al citato dato letterale). 3.2 Quanto alla richiesta subordinata relativa all'art. 495 c.p., analogamente non pare percorribile un'interpretazione conforme, non essendovi margine nel tenore letterale della norma per individuare una causa di non punibilita' nei termini prospettati. 3.3 In ordine alla richiesta subordinata relativa all'art. 64, comma 3 c.p.p., un'interpretazione adeguatrice di tipo sistematico volta a prevedere sempre - prima di qualunque audizione dell'indagato/imputato - la formulazione degli avvisi disciplinati dalla citata norma sarebbe astrattamente possibile. Tuttavia, detta interpretazione conforme si scontra con la consolidata giurisprudenza di legittimita' gia' sopra esaminata. Come rilevato piu' volte dalla Corte costituzionale, «in presenza di un indirizzo giurisprudenziale consolidato, "il giudice a quo, se pure e' libero di non uniformarvisi e di proporre una sua diversa esegesi, ha, alternativamente, la facolta' di assumere l'interpretazione censurata in termini di "diritto vivente" e di richiederne su tale presupposto il controllo di compatibilita' con i parametri costituzionali (ex plurimis, sentenze n. 39 del 2018, n. 259 del 2017 e n. 200 del 2016; ordinanza n. 201 del 2015). Cio', senza che gli si possa addebitare di non aver seguito altra interpretazione, piu' aderente ai parametri stessi, sussistendo tale onere solo in assenza di un contrario diritto vivente (tra le altre, sentenze n. 122 del 2017 e n. 11 del 2015" (sentenza n. 141 del 2019)» (cosi', la sentenza della Corte costituzionale n. 95 del 2020).