TRIBUNALE DI FIRENZE 
                        Prima Sezione Penale 
 
    Il giudice, dott. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato
a carico di G. M. nato a ...; elettivamente domiciliato presso l'avv.
Enrico Roccasalvo del Foro di Pisa (elezione nella nomina dep. il  27
ottobre 2020); 
    Libero assente; 
    Difeso dall'avv. di ufficio Stefano Pagliai del Foro  di  Firenze
(nominato il 24 febbraio 2021 a seguito della rinuncia del precedente
difensore di fiducia); 
    Imputato dei seguenti reati: 
        a) del reato di cui agli artt. 81 c.p.v. c.p. 640,  comma  2,
n. 2-bis (con riferimento al 61 n. 5 c.p.) 61 n.  1  e  56  c.p.  per
avere truffato P. L. e tentato di truffare G. G. Artifici  e  raggiri
consistiti nell'affermare a entrambi di essere povero e,  falsamente,
di avere un figlio piccolo convivente e di aver bisogno di soldi  per
comprargli il latte in polvere  condensato.  Con  cio'  inducendo  in
errore la P. che cosi' veniva mossa a pieta' e gli dava  euro  50,00.
Quindi al fine di procurarsi tale ingiusto profitto di euro  50,00  e
con pari danno per la P. Fatto aggravato perche' commesso per  motivi
abietti ovvero per muovere a pieta' le persone usando  falsamente  il
bisogno di un bambino piccolo e cosi'  creando  anche  condizioni  di
minorata difesa  nei  confronti  della  persona  offesa.  Evento  non
consumatosi per cause da lui indipendenti invece nei confronti del G.
che non gli dava alcunche'. 
        Con la recidiva, specifica, reiterata. 
        In... in data... ; 
        b) del reato di cui all'art. 624 e 625 n. 7 c.p. perche',  al
fine di trarne profitto, si impossessava della bicicletta  di  S.  D.
sottraendola  al  legittimo  proprietario.  Fatto  aggravato  perche'
commesso su bene esposto alla pubblica fede perche' parcheggiata  per
strada. 
        Con la recidiva, specifica, reiterata. 
        In... in data... ; 
        c) per il reato  di  cui  all'art.  374-bis  c.p.  per  avere
dichiarato  falsamente  al  personale  Questura...  ,  in   sede   di
verbalizzazione  di  identificazione,  elezione  domicilio  e  nomina
difensore nel presente procedimento e come  tale  destinato  all'A.g.
procedente «di non avere riportato condanne penali in Italia».  Fatto
non vero per quanto attestato dal certificato penale da cui risultano
due condanne passate in giudicato. 
        Con la recidiva, specifica, reiterata. 
        In... in data... . 
    Sentite le parti; 
    Premesso che: 
        con decreto del Gup del 22 dicembre 2020 G. M. era rinviato a
giudizio per i tre reati sopra indicati; 
        nelle udienze dell'11 ottobre 2021 e del 14 febbraio 2022  si
svolgeva l'istruttoria; all'esito le parti illustravano le rispettive
conclusioni. In  particolare  il  pubblico  ministero  chiedeva:  non
doversi procedere per il capo  A)  per  difetto  di  querela,  previa
esclusione dell'aggravante ex art. 640, comma 2, n.  2-bis  c.p.;  la
condanna dell'imputato per il  reato  di  cui  al  capo  C),  con  la
contestata  recidiva,  alla  pena  di  mesi  venti   di   reclusione;
l'assoluzione per il capo B). Il difensore chiedeva sentenza  di  non
doversi procedere per i capi A) e B); minimo della pena per  il  capo
C); 
        all'udienza  odierna,  cui  il  processo  era  rinviato   per
eventuali repliche, le parti vi rinunciavano; 
    Rilevato - con riguardo al capo C) dell'imputazione - che: 
        A) dall'istruttoria svolta e'  emerso  pacificamente  che  in
data... , mentre era gia' indagato per il furto di  cui  al  capo  B)
dell'imputazione, M. G. era sottoposto ad identificazione ex art. 349
c.p.p. (con nomina  del  difensore  ed  elezione  di  domicilio),  in
relazione al citato furto,  dal  personale  della  Polizia  di  Stato
(Questura  di...  Divisione  Anticrimine)  su  delega  del   pubblico
ministero.  Come  risulta   dal   verbale   e   dalla   testimonianza
dell'assistente capo S. G., in tale sede l'imputato - cui  non  erano
rivolti gli avvisi ex art. 64, comma 3 c.p.p.  -  dichiarava  di  non
avere riportato precedenti condanne; 
        B) dal certificato penale dell'imputato emerge viceversa  che
lo stesso aveva gia' riportato due condanne: un decreto penale del 10
gennaio 2007 (esecutivo il 10 aprile 2007)  per  un  furto  aggravato
commesso il... e una sentenza del 25 maggio 2007 (irrevocabile il  15
ottobre 2007) per il reato ex  artt.  483  c.p.  e  76,  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 445/2000, commesso il... ; 
        C) e' dunque emerso chiaramente come  il  prevenuto  in  sede
d'identificazione ex art. 349 c.p.p. abbia reso  false  dichiarazioni
in ordine ai propri precedenti penali; 
        D) il fatto  rientra  nell'ambito  della  previsione  di  cui
all'art.  495  c.p.  Secondo  la   giurisprudenza   di   legittimita'
consolidata, infatti, «Integra il delitto di cui all'art. 495 c.p. la
falsa attestazione dell'indagato alla polizia  giudiziaria  [...]  in
ordine  ai  propri  precedenti  penali»  (cosi'  Cassazione  Sez.  5,
sentenza n. 37571 dell'8 luglio 2015 Rv. 264944 - 01 in  un  caso  di
dichiarazioni rese in sede d'interrogatorio  delegato;  nello  stesso
senso Cassazione Sez. 5, sentenza n. 32741/2014 e Cassazione Sez.  5,
sentenza n.  18677/2007  Rv.  236923  -  01,  sempre  in  ipotesi  di
interrogatorio delegato, e Cassazione Sez. 5, sentenza n.  18476  del
26 febbraio 2016 Rv. 266549 - 01 in un caso di dichiarazioni rese  in
sede  d'identificazione  ed  elezione  di  domicilio);  alla   stessa
conclusione e' giunta incidentalmente anche la  Corte  costituzionale
nella sentenza n. 108/1976 («Non e' dubbio che, se  l'imputato,  alla
domanda  rivoltagli  dall'inquirente  sui  suoi   precedenti   penali
risponde in modo contrario  al  vero,  egli  incorre  nelle  sanzioni
previste dall'art. 495 del codice penale»). 
    Del resto, la disposizione di cui all'art. 374-bis c.p.  indicata
dal pubblico ministero - a prescindere dal fatto che possa riguardare
la  condotta  dell'indagato/imputato   che   rilascia   dichiarazioni
all'autorita' inquirente - fa comunque salvo il  caso  che  il  fatto
costituisca piu' grave reato; il delitto ex  art.  495  c.p.  e'  per
l'appunto piu' grave,  essendo  il  massimo  edittale  (sei  anni  di
reclusione) piu' elevato di quello previsto  dall'art.  374-bis  c.p.
(cinque anni di reclusione); 
        E)    quanto    all'affermazione    della     responsabilita'
dell'imputato  relativamente  al  reato  in  questione,  pare   pero'
necessario il pronunciamento della  Corte  costituzionale  in  ordine
alla legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 495 c.p.
nella  parte  in  cui  si  applica  alle  false  dichiarazioni   rese
nell'ambito di un procedimento penale  dalla  persona  sottoposta  ad
indagini o imputata in relazione ai propri  precedenti  penali  e  in
generale in relazione alle circostanze indicate  nell'art.  21  disp.
att.  c.p.p.;  o,  in  subordine,   in   ordine   alla   legittimita'
costituzionale della norma di cui all'art. 64, comma 3  c.p.p.  nella
parte in cui non prevede che gli avvisi ivi previsti  debbano  essere
formulati   nei   confronti    della    persona    sottoposta    alle
indagini/imputata prima di qualunque tipo di audizione  della  stessa
nell'ambito del procedimento penale e della norma di cui all'art. 495
c.p. nella parte in cui non prevede  l'esclusione  della  punibilita'
per il reato ivi  previsto  in  caso  di  false  dichiarazioni  -  in
relazione ai propri precedenti penali e in generale in relazione alle
circostanze  indicate  nell'art.  21  disp.  att.   c.p.p.   -   rese
nell'ambito di un procedimento penale da chi  avrebbe  dovuto  essere
avvertito della facolta' di non rispondere; 
    Cio' premesso. 
 
                               Osserva 
 
1. Rilevanza della questione 
    1.1 M. G. era indagato per  il  furto  di  una  bicicletta  -  in
ipotesi commesso... in danno di D. S. - allorche'  fu  sottoposto  in
data...  ad  identificazione  ex  art.  349  c.p.p.   dalla   polizia
giudiziaria. In tale sede non gli furono rivolti gli  avvisi  di  cui
all'art. 64, comma 3 c.p.p.; in  particolare,  il  prevenuto  non  fu
avvisato  della  facolta'  di  non  rispondere  alle  domande,  fatta
eccezione per  quelle  concernenti  le  sue  generalita'.  Nel  corso
dell'identificazione,  rispondendo  agli  operanti,  egli   dichiaro'
contrariamente al vero di non avere precedenti penali. 
    1.2 Il fatto di per se' integrerebbe il reato di cui all'art. 495
c.p. L'imputato andrebbe tuttavia esente  da  responsabilita'  -  con
riguardo alla citata contestazione - qualora la norma di cui all'art.
495 c.p. fosse dichiarata costituzionalmente illegittima nella  parte
in cui si applica alle false dichiarazioni  rese  nell'ambito  di  un
procedimento penale dalla persona indagata/imputata in  relazione  ai
propri precedenti penali e in generale in relazione alle  circostanze
indicate nell'art. 21 disp. att. c.p.p. 
    1.3 Parimenti l'imputato dovrebbe essere assolto (con riguardo al
citato reato) qualora fosse accolta la questione subordinata, e cioe'
se fosse dichiarata l'illegittimita' costituzionale  della  norma  di
cui all'art. 64, comma 3 c.p.p. nella parte in cui  non  prevede  che
gli avvisi ivi previsti debbano essere formulati nei confronti  della
persona indagata/imputata prima di qualunque tipo di audizione  della
stessa nell'ambito del procedimento penale, nonche'  della  norma  di
cui all'art. 495 c.p. nella parte in  cui  non  prevede  l'esclusione
della punibilita'  per  il  reato  ivi  previsto  in  caso  di  false
dichiarazioni -  in  relazione  ai  propri  precedenti  penali  e  in
generale in relazione alle circostanze indicate  nell'art.  21  disp.
att. c.p.p. - rese nell'ambito  di  un  procedimento  penale  da  chi
avrebbe dovuto essere avvertito della facolta' di non rispondere. 
2. Non manifesta infondatezza 
    2.1  Pare  opportuno  preliminarmente  procedere  ad  una   breve
ricognizione del quadro normativo e giurisprudenziale. 
    2.1.1 L'art. 495 c.p. incrimina la condotta di «chiunque dichiara
o attesta falsamente al pubblico ufficiale l'identita',  lo  stato  o
altre qualita' della propria o dell'altrui persona»; come si e'  gia'
evidenziato, la giurisprudenza consolidata qualifica ai  sensi  della
citata norma la condotta del soggetto che rilasci false dichiarazioni
in ordine ai propri precedenti penali;  alla  stessa  conclusione  la
Corte di cassazione giunge anche con riguardo  ad  altre  circostanze
indicate dall'art. 21 disp. att.  (Cassazione  Sez.  F,  sentenza  n.
34536 del 4 settembre 2012 Rv. 253428 - 01 in  relazione  alla  falsa
dichiarazione relativa al titolo di studio in  sede  d'interrogatorio
dinanzi al Gip; Cassazione Sez. 4, sentenza n. 2497  del  14  gennaio
2022 Rv. 282572 in relazione in generale alle dichiarazioni circa  le
proprie condizioni e qualita' personali). 
    2.1.2   L'art.   64   c.p.p.,   nel   dettare   le   regole   per
l'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini, al  comma  3
prevede: «3. Prima che abbia inizio l'interrogatorio, la persona deve
essere avvertita che: a) le sue dichiarazioni potranno sempre  essere
utilizzate nei suoi confronti; b) salvo quanto disposto dall'art. 66,
comma 1, ha facolta' di non rispondere ad alcuna domanda, ma comunque
il procedimento seguira' il suo corso; c) se  rendera'  dichiarazioni
su fatti che concernono la responsabilita' di  altri,  assumera',  in
ordine   a   tali   fatti,   l'ufficio   di   testimone,   salve   le
incompatibilita' previste dall'art. 197 e le garanzie di cui all'art.
197-bis». 
    Il  successivo  comma  3-bis   dell'art.   64   c.p.p.   prevede:
«L'inosservanza delle disposizioni di cui al comma 3,  lettere  a)  e
b),  rende  inutilizzabili  le  dichiarazioni  rese   dalla   persona
interrogata. In mancanza dell'avvertimento di cui al comma 3, lettera
c), le dichiarazioni eventualmente rese dalla persona interrogata  su
fatti  che  concernono  la  responsabilita'   di   altri   non   sono
utilizzabili nei loro confronti e la persona interrogata  non  potra'
assumere, in ordine a detti fatti, l'ufficio di testimone». 
    L'art. 66, comma 1 c.p.p. - richiamato dal citato art. 64,  comma
3 c.p.p. - recita: «1. Nel primo atto  cui  e'  presente  l'imputato,
l'autorita' giudiziaria lo invita a dichiarare le proprie generalita'
e quant'altro puo'  valere  a  identificarlo,  ammonendolo  circa  le
conseguenze  cui  si  espone  chi  si  rifiuta  di  dare  le  proprie
generalita' o le da' false». 
    L'art. 21 disp. att. c.p.p.  prevede:  «Quando  procede  a  norma
dell'art. 66 del codice, il giudice o il  pubblico  ministero  invita
l'imputato o la persona sottoposta alle indagini a dichiarare  se  ha
un soprannome o uno pseudonimo, se ha beni patrimoniali e quali  sono
le sue condizioni di vita individuale, familiare e sociale. Lo invita
inoltre a dichiarare se e' sottoposto ad altri processi penali, se ha
riportato condanne nello Stato o all'estero e, quando ne e' il  caso,
se esercita o ha esercitato uffici o servizi pubblici  o  servizi  di
pubblica necessita' e se ricopre o ha ricoperto cariche pubbliche». 
    L'art. 349 c.p.p. disciplina l'attivita' di identificazione della
persona sottoposta ad indagini da parte  della  polizia  giudiziaria,
prevedendo: «1. La polizia giudiziaria procede  alla  identificazione
della persona nei cui confronti vengono svolte le  indagini  e  delle
persone  in  grado  di  riferire  su  circostanze  rilevanti  per  la
ricostruzione   dei   fatti.   [...]   3.   Quando    procede    alla
identificazione, la polizia giudiziaria invita  la  persona  nei  cui
confronti vengono svolte le indagini a dichiarare  o  a  eleggere  il
domicilio per le notificazioni a norma dell'art. 161. Osserva inoltre
le disposizioni dell'art. 66 [...]». 
    2.1.3 In giurisprudenza e' pacifico che l'art. 66, comma 1 c.p.p.
limiti  l'obbligo  di  rispondere  del  soggetto   interrogato   alla
dichiarazione delle generalita' e a quelle  strettamente  finalizzate
all'identificazione, con  esclusione  viceversa  delle  dichiarazioni
relative ai precedenti penali e agli altri dati di  cui  all'art.  21
disp.   att.   c.p.p.;   con    riguardo    a    tali    circostanze,
l'indagato/imputato  puo'  infatti   legittimamente   rifiutarsi   di
rispondere senza incorrere in  responsabilita'  penale;  se  tuttavia
egli decide  di  rispondere  e  rende  false  dichiarazioni,  risulta
integrato il reato di cui all'art. 495 c.p. In questo senso  si  sono
espresse le sentenze Cassazione Sez. 5, n. 37571 dell'8 luglio  2015,
Cassazione Sez. 5, n. 32741 del 9 luglio 2014 e Cassazione Sez. 5, n.
18677 del 6 marzo 2007  Rv.  236923  -  01  (nello  stesso  senso  si
pronunciava,  con  la  sentenza   n.   108/1976,   anche   la   Corte
costituzionale, sia pur avendo riguardo alla disciplina  del  vecchio
c.p.p.). 
    2.1.4.1 Il disposto dell'art. 64 c.p.p. e' richiamato, in tutto o
in parte, oltre che dalle norme che disciplinano le varie ipotesi  di
interrogatorio previste dall'ordinamento (a seguito dell'applicazione
di misure cautelari, in udienza preliminare, ecc.),  anche  da  altre
norme processuali che ne estendono l'ambito applicativo:  l'art.  210
c.p.p. relativamente all'esame dibattimentale delle persone  imputate
in un procedimento connesso a norma dell'art. 12 c.p.p. o di un reato
collegato a norma dell'art. 371, comma 2, lettera b)  c.p.p.;  l'art.
350, comma 1 c.p.p. relativamente alle  sommarie  informazioni  utili
per le investigazioni assunte dalla polizia giudiziaria dalla persona
nei cui confronti vengono svolte le indagini;  l'art.  363  c.p.p.  -
tramite   il   richiamo   all'art.   210   c.p.p.   -   relativamente
all'interrogatorio da parte  del  pubblico  ministero  delle  persone
imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12 c.p.p. o di
un reato collegato a norma dell'art. 371, comma 2, lettera b) c.p.p.;
l'art. 374  c.p.p.  relativamente  alla  presentazione  spontanea  al
pubblico ministero. 
    2.1.4.2 Con l'ordinanza n. 191/2003 la  Corte  costituzionale  ha
dichiarato manifestamente  infondata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale sollevata con riguardo all'art. 64 c.p.p. nella  parte
in cui - si asseriva - non prevede che il  giudice  del  dibattimento
debba dare all'imputato in sede di  esame  gli  avvisi  di  cui  alla
disposizione  suddetta.  La  Corte  in  tale  sede  -   disattendendo
l'impostazione da cui muoveva il giudice  remittente  e  argomentando
sulla base della riconducibilita' dell'interrogatorio e dell'esame ad
un unico genus - riteneva possibile  un'interpretazione  della  norma
che consenta di rendere applicabile la disciplina degli avvisi  anche
all'istituto dell'esame. 
    2.1.4.3 Varie pronunce di legittimita', sulla base di ragioni  di
carattere sistematico, hanno poi riconosciuto  la  doverosita'  degli
avvisi di cui all'art. 64 c.p.p. anche in relazione ad ipotesi per le
quali gli stessi non sono espressamente  previsti:  cosi'  Cassazione
Sez. 1, sentenza n. 22643 del 10  maggio  2012  Rv.  252741  -  01  e
Cassazione Sez. 1, sentenza n.  15849  del  18  dicembre  2017  hanno
affermato che i citati avvisi devono essere formulati  dalla  polizia
giudiziaria anche allorche' proceda ai  sensi  dell'art.  351,  comma
1-bis all'assunzione  di  informazioni  da  persone  imputate  in  un
procedimento connesso a norma dell'art.  12  c.p.p.  o  di  un  reato
collegato a norma dell'art. 371, comma 2, lettera b). 
    2.1.4.4 L'applicabilita' dell'art. 64 c.p.p. e'  stata  viceversa
esclusa  dalla  giurisprudenza  di  legittimita'  con   riguardo   ad
ulteriori ipotesi. 
    In particolare, la sentenza Cassazione Sez. 5, n.  18476  del  26
febbraio 2016 ha escluso che le garanzie di cui all'art. 64 c.p.p. si
applichino all'indagato in sede di  identificazione  ed  elezione  di
domicilio («Poiche'  l'atto  di  cui  si  tratta  e'  un  verbale  di
identificazione  ed   elezione   di   domicilio   e   non   gia'   un
interrogatorio,  e'  del  tutto  impropria  la  pretesa  che  la  sua
redazione fosse preceduta dagli avvisi di cui all'art. 64  c.p.p.  ed
assistita dalle garanzie ivi previste»). Parimenti,  Cassazione  Sez.
3, sentenza n. 29641 del 14 marzo 2018 Rv. 273209  -  01  ha  escluso
l'applicabilita'  degli  avvisi  di  cui  all'art.  64  c.p.p.   alle
dichiarazioni  spontanee  ex  art.  350,  comma   7   c.p.p.:   «Alle
dichiarazioni spontanee rese ex art. 350, comma 7 c.p.p. dal soggetto
indagato non si applicano  le  disposizioni  dell'art.  63,  comma  1
c.p.p. e dell'art. 64, stesso  codice,  giacche'  la  prima  concerne
l'esame di persona non imputata o non sottoposta ad indagini,  mentre
la seconda attiene all'interrogatorio, atto diverso  dalle  spontanee
dichiarazioni»;  nello  stesso  senso  si  sono   pronunciate   anche
Cassazione Sez. 3, sentenza n. 48508 del 3 novembre 2009 Rv. 245622 -
01, Cassazione Sez. 4, sentenza n.  2124  del  27  ottobre  2020  Rv.
280242 - 01 e Cassazione Sez. 1, sentenza n.  15197  dell'8  novembre
2019 Rv. 279125 - 01. 
    2.1.5 La giurisprudenza di legittimita' ha inoltre precisato  che
le dichiarazioni in ordine alle condizioni e  qualita'  personali  di
cui all'art. 21 disp. att. c.p.p. «vengono rese a monte» degli avvisi
di cui all'art. 64, comma 3 c.p.p., in quanto per esse  -  afferenti,
come noto, le condizioni e qualita' personali e le condizioni di vita
individuale, familiare  e  sociale  -  non  si  pone  in  alcun  modo
l'esercizio del diritto  di  difesa:  tant'e'  che  il  mendacio  del
soggetto interrogato a proposito di tali condizioni e qualita' espone
il medesimo all'imputazione per il delitto  p.  e  p.  dall'art.  495
c.p.»; quindi «mentre l'inutilizzabilita'  delle  dichiarazioni  rese
senza gli avvisi di  cui  al  citato  art.  64,  comma  3  c.p.p.  e'
correlata all'esercizio del diritto di autodifesa [...], e' di  tutta
evidenza che le dichiarazioni rese dall'imputato sulle sue condizioni
e qualita', che "precedono" - come noto  -  l'interrogatorio  vero  e
proprio, sono rese prima che  vengano  dati  gli  avvisi  di  cui  al
ridetto 64, comma 3 c.p.p. proprio perche'  non  impegnano  in  alcun
modo l'esercizio  del  diritto  dell'imputato  di  difendersi  (anche
tacendo o mentendo) e per tale ragione non comportano in  alcun  modo
l'inutilizzabilita'   delle   dichiarazioni    rese    al    riguardo
dall'imputato, in  relazione  alle  quali  si  porra',  al  piu',  un
problema di attendibilita' e di credibilita'» (cosi', in motivazione,
Cassazione Sez. 4, Sentenza n. 2497 del 14 gennaio 2022 Rv. 282572  -
01). 
    Anche la sentenza Cassazione Sez. 5, n. 28020 del 6 marzo 2013 si
e' espressa nel senso che, con riguardo  alle  dichiarazioni  di  cui
all'art. 21 disp. att. c.p.p., non siano dovuti  gli  avvisi  di  cui
all'art. 64, comma 3 c.p.p. (in un caso di condanna per il  reato  di
cui all'art. 495 c.p. in relazione alla dichiarazione dell'indagato -
in udienza di convalida dell'arresto -  di  essere  incensurato).  La
censura del ricorrente circa la violazione dell'art. 64  c.p.p.,  non
essendo stato dato all'indagato l'avviso circa  la  facolta'  di  non
rispondere in ordine ai precedenti penali, era cosi' disattesa  dalla
Corte di cassazione: «la questione della pretesa violazione dell'art.
64  c.p.p.,  comma  3,  che  comporta  la   inutilizzabilita'   delle
dichiarazioni rese dalla persona in ordine ai  fatti  contestati  non
trova  alcun  fondamento  nella  specie,  non  essendo  l'ammonimento
previsto dal citato art. 64 c.p.p. riferito alle dichiarazioni  sulla
identita'   personale   ed   altri   elementi   significativi   della
personalita' dell'imputato secondo il dettato normativo dell'art.  21
disp.  att.  c.p.p.,  essendo  queste  dichiarazioni  che  riguardano
l'identita' e lo status civile e giuridico dell'individuo, come  tali
suscettibili  di  integrare,  ove  non  rispondenti   al   vero,   la
fattispecie normativa di cui all'art. 495 c.p.». 
    Per  l'utilizzabilita'  in  sede  cautelare  o  di  merito  delle
dichiarazioni rese ex art. 21  disp.  att.  c.p.p.  si  vedano  anche
Cassazione Sez. 2, sentenza n. 31463 del 3 novembre 2020  (in  ordine
alla  dichiarazione  di  assenza  di  un'occupazione  lavorativa)   e
Cassazione Sez. 6, sentenza n. 43337 del 20  settembre  2016  («alcun
limite di utilizzabilita' sussiste in ordine  alle  risposte  fornite
dall'imputato sulle proprie condizioni di vita e personali, in quanto
non attengono al merito del procedimento,  ne'  possono  qualificarsi
dichiarazioni contra se solo in ragione della valutazione operata dal
giudice»). 
    2.1.6 Alla luce di quanto precede, in definitiva e per  quel  che
qui rileva, si puo' affermare che - secondo il diritto vivente  quale
risulta dalla giurisprudenza di legittimita'  -  gli  avvisi  di  cui
all'art. 64, comma 3 c.p.p.  non  spettano  all'indagato/imputato  in
sede di identificazione da parte della polizia giudiziaria (e in sede
di dichiarazioni spontanee ex art. 350,  comma  7  c.p.p.).  In  ogni
caso, anche nelle sedi (varie forme di interrogatorio,  esame,  ecc.)
in cui si applica il disposto  dell'art.  64,  comma  3  c.p.p.,  gli
avvisi  ivi   previsti   spettano   all'indagato/imputato   dopo   le
dichiarazioni  preliminari  in  ordine  alle   generalita'   e   alle
informazioni di cui all'art. 21 disp. att. Quindi tali  dichiarazioni
preliminari (tra cui quelle relative ai precedenti penali) sono  rese
senza che  sia  previamente  necessario  formulare  all'imputato  gli
avvisi ex art. 64, comma 3 c.p.p. 
    Le dichiarazioni rese dall'indagato/imputato in risposta  a  tali
domande preliminari possono comunque essere utilizzate dal giudice ai
fini cautelari o del merito. 
    2.2 Tanto premesso, si dubita della  legittimita'  costituzionale
della norma di cui all'art. 495 c.p. nella parte in  cui  si  applica
alle false dichiarazioni rese nell'ambito di un  procedimento  penale
dalla persona sottoposta ad  indagini  o  imputata  in  relazione  ai
propri precedenti penali e in generale in relazione alle  circostanze
indicate nell'art. 21 disp. att. c.p.p. 
    In particolare, paiono violati i precetti di cui agli artt.  3  e
24 della Costituzione. 
    2.3  Il   nostro   ordinamento   processuale   penale   riconosce
all'indagato/imputato,  in  nome  del  diritto  di   difesa   ed   in
particolare del principio del nemo tenetur se detegere, una serie  di
garanzie. 
    La principale e' costituita dal  c.d.  diritto  al  silenzio.  La
Corte costituzionale ha sottolineato piu' volte come «il "diritto  al
silenzio" dell'imputato - pur non godendo di espresso  riconoscimento
costituzionale    -    costituisca    un    "corollario    essenziale
dell'inviolabilita' del diritto di difesa", riconosciuto dall'art. 24
della Costituzione (ordinanze n. 202 del 2004, n. 485 e  n.  291  del
2002).  Tale  diritto  garantisce  all'imputato  la  possibilita'  di
rifiutare di sottoporsi all'esame testimoniale e, piu'  in  generale,
di avvalersi della  facolta'  di  non  rispondere  alle  domande  del
giudice  o  dell'autorita'  competente  per  le   indagini.»   (cosi'
l'ordinanza n. 117/2019). 
    2.4    L'ordinamento    riconosce    pero'    anche     ulteriori
facolta'/prerogative all'indagato/imputato,  che  pure  costituiscono
declinazioni del principio del nemo tenetur se detegere;  tra  queste
vi e' anche - con l'eccezione per l'appunto  delle  dichiarazioni  di
cui agli artt. 66 c.p.p.  e  21  disp.  att.  c.p.p.  e  dei  profili
attinenti alla  responsabilita'  di  terzi  (la  falsa  dichiarazione
potrebbe, a certe condizioni, integrare il delitto di calunnia) -  il
non assoggettamento all'obbligo di dire la verita'. 
    Il legislatore cioe', se pur  non  si  trattava  (forse)  di  una
scelta costituzionalmente o convenzionalmente obbligata, ha deciso di
articolare il diritto di difesa dell'indagato/imputato riconoscendo a
quest'ultimo non solo il diritto di  non  rendere  dichiarazioni,  ma
anche il c.d. diritto di mentire. 
    Si rilevi in proposito che - in base agli approdi cui  e'  giunta
la giurisprudenza di legittimita' - non si tratta solo della facolta'
di  non  dichiarare  il  vero  senza  per  cio'  solo  incorrere   in
responsabilita' penale, ma anche dell'impossibilita' per  il  giudice
di negare il riconoscimento di circostanze attenuanti o  benefici  in
ragione del mero mendacio dell'imputato. Si vedano ad es.  Cassazione
Sez. U, sentenza n. 36258 del 24 maggio 2012 Rv.  253152  -  01  («Ai
fini del riconoscimento delle circostanze  attenuanti  generiche,  il
pieno esercizio del diritto  di  difesa,  se  faculta  l'imputato  al
silenzio e persino alla menzogna, non lo autorizza, per cio' solo,  a
tenere  comportamenti  processualmente  obliqui  e   fuorvianti,   in
violazione del fondamentale principio di lealta' processuale che deve
comunque improntare la condotta di tutti i soggetti del procedimento,
e la cui violazione e' indubbiamente valutabile da parte del  giudice
di merito»), Cassazione Sez. 5, sentenza n. 17232 del 17 gennaio 2020
Rv. 279169 - 01 («In tema di sospensione condizionale della pena,  e'
illegittimo il  diniego  del  beneficio  fondato  esclusivamente  sul
comportamento  processuale  dell'imputato  che  neghi   ostinatamente
l'addebito e sostenga una versione dei  fatti  smentita  dalle  altre
risultanze istruttorie, in quanto espressione  di  un  insopprimibile
diritto di difesa, riflesso del diritto al  silenzio»)  e  Cassazione
Sez. 5, sentenza n. 57703 del 14 settembre 2017 Rv. 271894 - 01  («E'
illegittimo il diniego della  concessione  del  beneficio  della  non
menzione della condanna nel certificato  del  casellario  giudiziale,
motivato dal  comportamento  processuale  mendace  dell'imputato,  al
quale l'ordinamento riconosce il diritto al silenzio  nonche'  quello
di  negare,  anche  mentendo,  le  circostanze   di   fatto   a   lui
sfavorevoli»). 
    Tale scelta del legislatore ha  assunto  un'evidente  centralita'
nell'esercizio  del  diritto  di  difesa  dell'indagato/imputato,  in
termini  di  elaborazione  delle  strategie  difensive,  di  maggiore
serenita' dell'interessato che si sottoponga all'interrogatorio, ecc. 
    2.5.1 Occorre allora  valutare  se  l'eccezione  delineata  dallo
stesso legislatore a tale  declinazione  essenziale  del  diritto  di
difesa, con riguardo ai precedenti penali e alle altre  condizioni  e
situazioni di cui all'art. 21 disp. att. c.p.p., sia ragionevole. 
    2.5.2 La Corte di cassazione ha  sottolineato  che  i  precedenti
penali e tali altri dati possono valere ad individuare  una  persona.
In particolare si e' affermato che i precedenti penali  «servono,  al
di  la'  dell'identita',   a   caratterizzare   una   persona   nella
collettivita'  sociale,  integrandone  l'individualita'»  (Cassazione
Sez. 5, sentenza n. 32741  del  2014);  si  e'  dedotto  inoltre  che
l'eventuale mendacio in ordine ai precedenti penali vi e' il  rischio
che  ingeneri  confusione  e  possa  comunque  costituire   intralcio
rispetto all'attivita' giudiziaria. 
    2.5.3 Tuttavia, se e' vero che le dichiarazioni di  cui  all'art.
21 disp. att. c.p.p. afferiscono a stati o qualita' della persona  (e
proprio per tale motivo in  caso  di  falsita'  rientrano  nell'alveo
applicativo dell'art. 495 c.p.),  pare  preminente  e  meritevole  di
maggior tutela il profilo della relativa interferenza con l'esercizio
del diritto di difesa. 
    Non sembra  infatti  condivisibile  l'assunto  secondo  cui  tali
dichiarazioni non avrebbero attinenza con l'esercizio del diritto  di
difesa, come se il  contenuto  di  tali  dichiarazioni  fosse  neutro
rispetto all'oggetto delle accuse. 
    Al contrario, molto spesso le informazioni riferite con  riguardo
alle  condizioni  familiari   ed   economiche   dell'indagato   hanno
un'evidente rilevanza ai fini  della  valutazione  delle  accuse:  si
pensi  ad  esempio  alla  maggiore  o  minore  verosimiglianza  della
contestazione di un furto o di altro reato  contro  il  patrimonio  a
seconda che l'indagato/imputato abbia o meno una  regolare  fonte  di
reddito o un consistente patrimonio; o,  alla  stessa  stregua,  alla
valutazione  della  detenzione  in  casa  di   un   quantitativo   di
stupefacente  non  irrisorio,  come  destinata  al  proprio   consumo
personale o piuttosto allo spaccio. 
    Si tratta in effetti di valutazioni che comunemente  si  compiono
nelle  aule  di  giustizia  e  che  la   stessa   giurisprudenza   di
legittimita', come si e' visto, autorizza a compiere sulla base delle
dichiarazioni rese dall'indagato/imputato ai sensi dell'art. 21 disp.
att. c.p.p. 
    Con particolare riguardo ai precedenti penali, gli stessi  talora
sono  addirittura  elementi  costituivi  del  reato  (si  pensi  alla
contravvenzione di cui all'art. 707 c.p.) o  comunque  possono  avere
una certa valenza rispetto alle modalita'  esecutive  del  fatto  (si
pensi ad un soggetto gia' condannato per plurimi furti con destrezza,
che si veda accusato di taccheggio a bordo di un  autobus).  In  ogni
caso assumono sempre rilevanza ai fini della possibile  contestazione
della  recidiva  (elemento   circostanziale   del   reato,   la   cui
applicazione e per  certi  versi  gia'  solo  contestazione  comporta
rilevanti effetti,  sotto  piu'  profili)  e  comunque  ai  fini  del
trattamento sanzionatorio ex art. 133 c.p. e della concessione o meno
di benefici (nel caso ora in esame, per  l'appunto,  all'imputato  e'
stata  contestata  una  recidiva  qualificata).  Sotto   il   profilo
procedurale la dichiarazione da parte dell'indagato di avere  o  meno
precedenti  penali  (cosi'  come  quella  di   avere   un'occupazione
lavorativa o di convivere  con  una  persona  dotata  di  un  reddito
stabile o di avere altro procedimento pendente, magari con una misura
cautelare in corso di esecuzione)  puo'  incidere  sulla  valutazione
delle esigenze cautelari, diverso essendo chiaramente il  significato
che assume il delitto per cui si procede in presenza di  un  soggetto
incensurato  o,  piuttosto,  di  un  soggetto  gravato   da   plurimi
precedenti specifici. 
    Del  resto,  da  un  lato  i  precedenti  penali,  le  condizioni
economiche,  ecc.  sono  anche  accertabili  aliunde  dalla   polizia
giudiziaria o dall'autorita' giudiziaria, per cui il dedotto  rischio
di confusione risulta minimo  (e  comunque  recessivo  rispetto  alla
tutela del diritto di difesa); dall'altro, pero', e' anche  vero  che
le stesse dichiarazioni dell'indagato/imputato possono costituire  lo
spunto per maggiori  approfondimenti  da  parte  degli  inquirenti  e
comunque una prima fonte utile di informazioni e quindi  contribuire,
almeno indirettamente, a determinare la  sua  futura  responsabilita'
penale o l'entita' del trattamento sanzionatorio o l'applicazione  di
una misura cautelare. 
    In tale contesto, nel rispondere alle domande di cui all'art.  21
disp.    att.    c.p.p.,    l'indagato/imputato    -     anche     se
l'interrogatorio/esame inteso in senso stretto non e' ancora iniziato
- gia' si sta difendendo, cercando di fornire  una  propria  versione
che, anche con riguardo ai precedenti penali e alle altre qualita'  e
condizioni  di  cui  all'art.  21  disp.  att.  c.p.p.,  renda   meno
verisimili le accuse o faccia apparire meno  gravi  i  fatti  o  meno
stringenti le  esigenze  cautelari.  Risulta  percio'  eccessivamente
formalistico  e  quindi   irragionevole   distinguere   tra   domande
preliminari, che non sarebbero coperte  dal  diritto  di  mentire,  e
domande rientranti nell'interrogatorio/esame  vero  e  proprio,  alle
quali l'imputato potrebbe rispondere  liberamente,  senza  timore  di
incorrere in ulteriori responsabilita' penali. 
    Al contrario pare necessario declinare il contenuto concreto  del
principio  del  nemo  tenetur  se  detegere  in  modo   analogo   con
riferimento all'oggetto della contestazione e ai fattori che  possono
rilevare rispetto agli elementi circostanziali del  reato  (recidiva,
rilevante  a  sua  volta  ai  fini  della  prescrizione,  ecc.),   al
trattamento sanzionatorio, ai benefici, alle esigenze cautelari, ecc. 
    2.6  In  via  subordinata,  si  intende  sottoporre  alla   Corte
costituzionale la  questione  circa  la  legittimita'  costituzionale
della norma di cui all'art. 64, comma 3 c.p.p. nella parte in cui non
prevede che gli avvisi ivi  previsti  debbano  essere  formulati  nei
confronti della persona sottoposta alle  indagini/imputata  prima  di
qualunque tipo di audizione della stessa nell'ambito del procedimento
penale e della norma di cui all'art. 495 c.p. nella parte in cui  non
prevede l'esclusione della punibilita' per il reato ivi  previsto  in
caso di false dichiarazioni  -  in  relazione  ai  propri  precedenti
penali e in generale in relazione alle circostanze indicate nell'art.
21 disp. att. c.p.p. - rese nell'ambito di un procedimento penale  da
chi avrebbe dovuto essere avvertito della facolta' di non rispondere. 
    2.7 Qualora cioe' la Corte dovesse ritenere che, con riguardo  ai
precedenti penali e alle altre qualita' e condizioni di cui  all'art.
21 disp. att. c.p.p., l'indagato/imputato abbia il solo diritto a non
rispondere (senza che  sia  irragionevole  negargli  la  facolta'  di
mentire), si chiede che tale diritto al  silenzio  sia  adeguatamente
tutelato. 
    In particolare, affinche'  il  soggetto  indagato/imputato  possa
valutare compiutamente se rispondere  o  meno  alle  domande  di  cui
all'art.  21  disp.  att.  c.p.p.,  pare  essenziale  che  egli   sia
previamente ed espressamente avvisato di tale suo diritto. 
    Come si e' visto,  la  giurisprudenza  di  legittimita'  nega  la
necessita' di tale avviso  in  sede  d'identificazione  ex  art.  349
c.p.p. e comunque afferma che gli avvisi ex art. 64, comma  3  c.p.p.
(tra  cui  l'avviso  circa  la  facolta'  di  non  rispondere)  vanno
formulati dopo le domande preliminari circa le generalita' e le altre
circostanze di cui all'art. 21 disp. att. c.p.p.  L'indagato/imputato
- normalmente soggetto privo di  cognizioni  giuridiche  -  si  trova
quindi di fronte ad un pubblico ufficiale (dotato di poteri di cui il
prevenuto ignora spesso gli esatti confini) che  lo  interroga  senza
previamente avvisarlo della  facolta'  di  non  rispondere.  In  tale
contesto e' evidente la naturale ritrosia  dell'indagato/imputato  ad
esercitare quello che sarebbe un suo diritto (che forse  egli  ignora
del tutto) e viceversa la tendenza a rispondere, magari mentendo  per
difendersi, alle domande che gli verranno rivolte. 
    Affinche' il diritto al silenzio sia  effettivamente  protetto  e
non soltanto tollerato, pare viceversa necessario che nell'ambito del
procedimento  penale,  prima  di   qualunque   forma   di   audizione
dell'indagato/imputato (che  si  tratti  cioe'  dell'identificazione,
dell'interrogatorio in senso stretto,  dell'esame,  ecc.  e  comunque
prima  di  qualunque  tipo  di  domanda,  per  quanto  apparentemente
preliminare), quest'ultimo sia compiutamente informato circa  il  suo
diritto a non rispondere alle domande (fatta  salva  la  precisazione
circa l'obbligo di rispondere in ordine alle generalita' e agli altri
dati  strettamente  finalizzati  all'identificazione  secondo  quanto
previsto dall'art. 66, comma 1 c.p.p.). 
    Tale  esigenza  sembra  sussistere  anche  in  presenza   di   un
difensore, come ad es. nel caso dell'esame dibattimentale, in  quanto
l'avviso espresso appare  essenziale  per  vincere  eventuali  timori
rispetto a quello che e' l'esercizio  di  un  diritto,  in  un  clima
culturale in cui non si e' ancora  definitivamente  affermata  l'idea
che quello al silenzio sia un diritto e che  dal  relativo  esercizio
non possano  derivare  conseguenze  negative  per  l'interessato  (si
registrano infatti tuttora sentenze di merito in cui la negazione  di
attenuanti o benefici viene motivata  con  il  comportamento  mendace
dell'imputato). 
    La conclusione vale pero' a maggior ragione nelle  circostanze  -
ad es. in occasione dell'identificazione ex art. 349 c.p.p. - in  cui
l'indagato non sia  neppure  assistito  da  un  difensore  che  possa
renderlo edotto dei suoi diritti. 
    Parimenti, posto che le dichiarazioni rese ai sensi dell'art.  21
disp. att. c.p.p. potranno poi essere  utilizzate  dal  giudice,  una
compiuta valutazione circa l'esercizio o meno del diritto al silenzio
presuppone l'ulteriore avviso di cui all'art. 64, lettera  a)  c.p.p.
in base al quale le dichiarazioni rese potranno poi essere utilizzate
nei confronti del dichiarante. 
    2.8 Al tempo stesso si chiede d'introdurre nel disposto dell'art.
495 c.p. la  previsione  della  non  punibilita'  per  il  reato  ivi
previsto nel caso in  cui  -  in  mancanza  dei  necessari  avvisi  -
l'indagato/imputato abbia reso false dichiarazioni  in  relazione  ai
propri precedenti penali  e  in  generale  alle  circostanze  di  cui
all'art. 21 disp. att. c.p.p. 
    Si tratta di un corollario che si reputa necessario per dotare di
effettivita'  la  previsione  circa  gli  avvisi  e  per  non  punire
l'indagato/imputato  che  non  sia  stato  posto  in  condizione   di
esercitare compiutamente il proprio diritto. 
    Del resto l'ordinamento gia' prevede ipotesi  in  cui,  a  fronte
della mancata formulazione di avvisi circa il diritto al silenzio  in
sede procedimentale, colui che vi avrebbe avuto  diritto  abbia  reso
false dichiarazioni. 
    E' il caso dell'art. 384, comma 2 c.p. che, rispetto ai reati  di
cui agli artt. 371-bis, 371-ter, 372 e 373 c.p., prevede una causa di
non punibilita' -  tra  l'altro  -  per  chi  avrebbe  dovuto  essere
avvertito della  facolta'  di  astenersi  dal  rendere  informazioni,
testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione. 
    Il medesimo principio pare possa essere fatto valere nel caso  in
esame. 
3. Possibilita' di un'interpretazione conforme 
    3.1 Con riguardo alla richiesta in via principale  non  risultano
percorribili interpretazioni conformi della norma ora censurata  agli
artt. 3 e 24 della Costituzione, chiaro e  univoco  essendo  il  dato
letterale (la disposizione e' peraltro interpretata in modo  costante
dalla giurisprudenza in conformita' al citato dato letterale). 
    3.2 Quanto alla richiesta subordinata relativa all'art. 495 c.p.,
analogamente non pare percorribile un'interpretazione  conforme,  non
essendovi margine nel tenore letterale della  norma  per  individuare
una causa di non punibilita' nei termini prospettati. 
    3.3 In ordine alla richiesta subordinata  relativa  all'art.  64,
comma 3 c.p.p., un'interpretazione adeguatrice  di  tipo  sistematico
volta  a  prevedere   sempre   -   prima   di   qualunque   audizione
dell'indagato/imputato - la formulazione  degli  avvisi  disciplinati
dalla citata norma sarebbe astrattamente possibile. 
    Tuttavia,  detta  interpretazione  conforme  si  scontra  con  la
consolidata giurisprudenza di legittimita' gia' sopra esaminata. 
    Come rilevato piu' volte dalla Corte costituzionale, «in presenza
di un indirizzo giurisprudenziale consolidato, "il giudice a quo,  se
pure e' libero di non uniformarvisi e di  proporre  una  sua  diversa
esegesi,   ha,   alternativamente,   la    facolta'    di    assumere
l'interpretazione censurata in termini  di  "diritto  vivente"  e  di
richiederne su tale presupposto il controllo di compatibilita' con  i
parametri costituzionali (ex plurimis, sentenze n. 39  del  2018,  n.
259 del 2017 e n. 200 del 2016; ordinanza n.  201  del  2015).  Cio',
senza  che  gli  si  possa  addebitare  di  non  aver  seguito  altra
interpretazione, piu' aderente ai parametri stessi, sussistendo  tale
onere solo in assenza di un contrario diritto vivente (tra le  altre,
sentenze n. 122 del 2017 e n. 11  del  2015"  (sentenza  n.  141  del
2019)» (cosi', la sentenza  della  Corte  costituzionale  n.  95  del
2020).