IL CONSIGLIO DI STATO 
                       in sede giurisdizionale 
                          (Sezione seconda) 
 
    ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 359 del  2019,  proposto  dalla  sig.ra  A.   C.  ,
rappresentata e difesa  dall'avv.  Sara  Di  Cunzolo,  con  domicilio
eletto presso il suo studio in Roma, via Aureliana n. 63; 
    contro il Ministero della giustizia, in persona del Ministro  pro
tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    per  la  riforma  della  sentenza  del  Tribunale  amministrativo
regionale per il Lazio, sezione prima-quater, del 6 giugno  2018,  n.
6336, resa tra le parti. 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione  in  giudizio  del  Ministero  della
giustizia; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Vista l'istanza di  passaggio  in  decisione  della  causa  senza
discussione orale, depositata dalla parte appellante; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 giugno 2022 il Cons.
Francesco Guarracino, considerata presente l'avv. Sara Di Cunzolo per
l'appellante, nessuno comparso per le parti; 
 
                                Fatto 
 
    1. La sig. A. C. , dichiarata vincitrice in data  9  luglio  2001
del concorso pubblico  a  quattrocentoquarantotto  posti  (elevati  a
quattrocentocinquantaquattro) di allievo vice ispettore del Corpo  di
polizia penitenziaria indetto con decreto  ministeriale  12  dicembre
1996, ha appellato la sentenza, n. 6336 del 6 giugno 2018, con cui il
Tribunale   amministrativo   regionale   per   il   Lazio,    sezione
prima-quater,  ne  ha  respinto  il  ricorso,  integrato  da   motivi
aggiunti, volto  a  ottenere  l'annullamento  del  provvedimento  del
Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del 18 dicembre 2014,
nella parte in cui si stabiliva che la sua immissione in  ruolo  come
vice ispettore in prova avesse decorrenza dal 18 dicembre 2014, e del
provvedimento  del  3  ottobre  2017,  di  nomina  a  ispettore   con
decorrenza dal 19 dicembre 2016, unitamente  agli  atti  presupposti,
nonche' il risarcimento del danno per il ritardo nella nomina a  vice
ispettore  rispetto  ai  colleghi  che  avevano  vinto  il   medesimo
concorso. 
    2. Il Ministero della giustizia ha resistito in giudizio con atto
di forma. 
    3. In vista dell'udienza l'appellante ha prodotto una  memoria  e
chiesto il passaggio  in  decisione  della  causa  senza  discussione
orale. 
    4. Alla pubblica udienza del 28 giugno 2022  la  causa  e'  stata
trattenuta in decisione. 
 
                               DIRITTO 
 
    1. La questione controversa in giudizio attiene alla legittimita'
del provvedimento con cui la decorrenza della nomina  dell'appellante
alla qualifica di vice  ispettore  in  prova  del  Corpo  di  polizia
penitenziaria e' stata fissata al 18  dicembre  2014,  oltre  tredici
anni dopo essere stata dichiarata vincitrice del relativo concorso, e
della  conseguente  determinazione   della   decorrenza   della   sua
promozione a ispettore a far data dal 19 dicembre 2016. 
    2. La controversia trae origine dal fatto che l'appellante  -  in
data 9 luglio 2001 dichiarata idonea vincitrice del concorso pubblico
a       quattrocentoquarantotto        posti        (elevati        a
quattrocentocinquantaquattro) di allievo vice ispettore del Corpo  di
polizia penitenziaria indetto con decreto  ministeriale  12  dicembre
1996 e in data 28 agosto  2001  nominata  allievo  vice  ispettore  a
decorrere  dal  13  ottobre  2001  -  avendo  ricevuto   l'invito   a
presentarsi, in data 11 ottobre 2001, presso la scuola di  Parma  per
frequentare il corso di formazione, aveva chiesto e ottenuto, siccome
in stato di astensione obbligatoria  dal  lavoro  per  le  condizioni
della sua gravidanza (ex art. 17, comma 2, lettera a), del  26  marzo
2001, n. 151), che il posto le venisse riservato ai  sensi  dell'art.
27, comma 2, del decreto legislativo 30 ottobre 1992,  n.  443,  che,
nel testo all'epoca vigente, stabiliva:  «Gli  allievi  ispettori  di
sesso femminile,  la  cui  assenza  oltre  novanta  giorni  e'  stata
determinata da maternita', sono ammessi a partecipare al primo  corso
successivo  ai  periodi  di  assenza  dal   lavoro   previsti   dalle
disposizioni sulla tutela delle lavoratrici madri». Tuttavia il primo
corso successivo utile veniva attivato solo dodici anni  piu'  tardi,
quando in data 11 novembre 2013 aveva inizio il corso  di  formazione
per gli allievi vice ispettori vincitori  del  concorso  indetto  con
provvedimento pubblicato nella Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica
italiana - 4ª Serie speciale «Concorsi ed esami» - del 18 marzo 2003,
n. 22, all'esito di  una  lunga  serie  di  contenziosi  che  avevano
interessato lo svolgimento del concorso medesimo. 
    L'appellante  veniva  quindi  inserita   in   questo   corso   e,
superatolo, era finalmente immessa nel ruolo dei vice  ispettori  del
Corpo  di  polizia  penitenziaria  con  decorrenza  dalla  data   del
giuramento (18 dicembre 2014),  al  pari  dei  colleghi  che  avevano
frequentato lo stesso corso. 
    3. Nel giudizio di primo grado l'appellante prospettava, in primo
luogo, un dubbio di costituzionalita' della normativa di riferimento,
derivandone  l'illegittimita'   del   bando   di   concorso   e   dei
provvedimenti  conseguenti  lesivi  del   suo   interesse   legittimo
pretensivo. 
    Sosteneva,  infatti,  che  l'art.  27,  comma  2,   del   decreto
legislativo n. 443 del 1992  (che  nel  disciplinare  le  ipotesi  di
dimissione  obbligatoria  dal  corso  di   formazione   per   assenza
determinata da maternita' degli allievi ispettori di sesso  femminile
attribuiva loro il diritto di  frequentare  il  corso  successivo  ai
periodi di assenza previsti dalle  disposizioni  sulla  tutela  delle
lavoratrici madri, ma non quello alla  retrodatazione  degli  effetti
dell'immissione in ruolo e, quindi, alla medesima anzianita' relativa
al corso originario di appartenenza) e  l'art.  25,  comma  2,  dello
stesso decreto (che, tacendo sullo specifico punto, prevedeva che gli
allievi vice ispettori, superati gli esami e  le  prove  pratiche  di
fine corso, fossero nominati vice  ispettori  in  prova,  prestassero
giuramento e venissero  immessi  nel  ruolo  secondo  la  graduatoria
finale) sarebbero stati in contrasto con l'art. 3 della Costituzione,
che vieta qualsiasi discriminazione per ragioni connesse al sesso  e,
quindi,  ogni  trattamento  meno  favorevole  legato  allo  stato  di
gravidanza e alla condizione di madre, e con gli  articoli  31  e  37
della Costituzione posti a tutela  della  donna  lavoratrice,  munita
degli stessi diritti che spettano al lavoratore uomo. 
    Indicava, inoltre, un'ulteriore  discriminazione  a  danno  della
donna lavoratrice in stato  di  gravidanza  nel  fatto  che,  per  il
concorso per vice soprintendenti, l'art. 18, comma  5,  dello  stesso
decreto  legislativo  stabiliva  che  i   concorrenti   dimessi   per
infermita' contratta durante il corso o per infermita' dipendente  da
causa di servizio e ammessi al primo  corso  utile  fossero,  invece,
promossi con la medesima decorrenza attribuita agli idonei del  corso
da cui erano stati dimessi, sia pure ai soli effetti giuridici. 
    Propugnava,  quindi,  una  lettura  costituzionalmente  orientata
della normativa richiamata che riconoscesse anche alle  allieve  vice
ispettrici dimesse dal corso formativo in ragione del loro  stato  di
gravidanza il diritto,  una  volta  utilmente  frequentato  il  corso
successivo, di essere immesse in ruolo  con  la  medesima  decorrenza
giuridica attribuita a quanti erano risultati vincitori della  stessa
procedura concorsuale. 
    In subordine lamentava l'illegittimita' degli  impugnati  decreti
di nomina perche' adottati in  asserito  contrasto  coi  principi  di
ragionevole durata del procedimento e di uguaglianza e par  condicio,
che avrebbero richiesto una diversa decorrenza della  nomina  per  le
ipotesi in cui il concorso si fosse concluso con un  abnorme  ritardo
imputabile all'Amministrazione. 
    In ulteriore  subordine  si  doleva  del  danno  patito  a  causa
dell'enorme  ritardo  colpevolmente  accumulato  dall'Amministrazione
nella  definizione  del  successivo  concorso  pubblico  e,   quindi,
nell'avvio del primo  corso  di  formazione  utile,  senza  il  quale
avrebbe conseguito la qualifica di vice ispettore  entro  un  termine
piu' ragionevole, diminuendo lo spropositato  divario  rispetto  agli
altri vincitori del suo concorso, e chiedeva,  percio',  la  condanna
dell'intimata al risarcimento del danno, sia in forma specifica,  con
retrodatazione della nomina quantomeno agli  effetti  giuridici,  che
per equivalente. 
    4. Il Tribunale amministrativo regionale  ha  respinto  tutte  le
domande. 
    In particolare, il Tribunale ha affermato che: 
      nella normativa vigente non risulta alcuna disposizione volta a
consentire la retrodatazione degli  effetti  giuridici  della  nomina
delle allieve vice  ispettrici  che  abbiano  dovuto  posticipare  la
frequenza del corso in ragione della  gravidanza  alla  data  in  cui
avrebbero potuto conseguire la nomina stessa,  qualora  detto  evento
non si fosse verificato; 
      essendo  regola  generale  che  le   assenze   determinano   la
dimissione  dal  corso  tranne  che  nelle  ipotesi  in   cui   siano
riconducibili   alla   particolarissima   tipologia   delle   assenze
determinate   dall'adempimento   di   un    dovere,    ne    consegue
l'eccezionalita' della  previsione  per  cui,  tanto  in  ipotesi  di
dimissioni per malattia, quanto in caso di  assenza  per  maternita',
gli allievi vice ispettori possono essere ammessi  a  frequentare  il
primo  corso  utile  (ma  senza  godere  della  retrodatazione  della
nomina); 
      non e' applicabile la diversa disciplina dettata per  il  corso
per  vice  soprintendenti  dall'art.  18,  comma   5,   del   decreto
legislativo n. 443  del  1992,  stante  il  consolidato  orientamento
giurisprudenziale sull'inapplicabilita' ai casi  non  previsti  dalla
legge  delle  eccezioni  previste  dal  legislatore  in  materia   di
retrodatazione dei provvedimenti di nomina; 
      non sono ravvisabili  manifesti  profili  di  violazione  della
Carta costituzionale o della normativa comunitaria a tutela della par
condicio  e  della  maternita'  «che  anzi   viene   specificatamente
garantita dal legislatore il quale consente - a titolo  di  eccezione
alla regola, analogamente a quanto riconosciuto ai dipendenti  uomini
in caso di malattia intervenuta durante il corso  -  agli  allievi  e
agenti in prova di sesso femminile, la  cui  assenza  oltre  sessanta
giorni sia stata determinata da maternita', di partecipare  al  primo
corso di formazione utile»; 
      «[d]el resto, se gli articoli 4, 31  e  35  della  Costituzione
fanno divieto al legislatore di imporre  limiti  discriminatori  alla
liberta'  di  conseguire  e  scegliere  un  posto  di  lavoro  e   di
conservarlo,  e  gli  fanno  obbligo  di  sviluppare   una   adeguata
protettiva attivita' assistenziale nei riguardi della famiglia, della
maternita' e dell'infanzia e di determinare modi e forme adatte  alla
tutela del lavoro stesso, tuttavia non gli vietano di regolamentare i
rapporti tra  datori  di  lavoro  e  lavoratori,  tenendo  conto  dei
particolari aspetti che alcuni rapporti di lavoro vengono ad assumere
di fronte ad altri, e dettare  di  conseguenza,  discipline  diverse,
dirette ad equilibrare ed armonizzare tra loro interessi contrastanti
(profili che, quanto al diverso trattamento previsto per gli  allievi
vice  ispettori  rispetto  ai  vice  soprintendenti,  risultano   ben
evidenziati  nella   motivazione   della   sentenza   del   Tribunale
amministrativo regionale Lazio, Roma, n. 7863/2009)»; 
      quanto al provvedimento di nomina alla qualifica di  ispettore,
ai sensi dell'art. 29 del decreto legislativo  n.  443  del  1992  si
tratta di promozione mediante scrutinio per merito assoluto al  quale
puo' essere ammesso esclusivamente il personale  che  abbia  maturato
almeno due anni di anzianita' di effettivo servizio  nella  qualifica
precedente; 
      quanto alla domanda  di  risarcimento  del  danno,  il  ritardo
nell'ammissione della ricorrente al primo corso di  formazione  utile
non e' dipeso da una condotta dolosa o colposa  dell'amministrazione,
bensi' dalle vicende giudiziarie che hanno caratterizzato il concorso
del 2003, tali non soltanto da escludere il profilo psicologico della
fattispecie ma, ancor prima, lo stesso nesso causale  «in  quanto  il
lunghissimo  lasso   di   tempo   intervenuto   prima   che   potesse
effettivamente svolgersi il corso in oggetto e' risultato  il  frutto
di sfortunata concatenazione di eventi [...]  nella  quale,  tuttavia
[...] non e' dato rinvenire condotte  dilatorie  dell'amministrazione
ne' grave violazione delle regole  di  imparzialita',  correttezza  e
buona fede che giustifichino il risarcimento richiesto (in tal  senso
anche  Tribunale  amministrativo  regionale  Puglia  Bari   Sez.   I,
22-03-2018, n. 419)». 
    5. L'appello e' affidato a un solo complesso  motivo  di  gravame
(pagg. 10-36) con cui  l'appellante,  imputando  in  primo  luogo  al
Tribunale amministrativo regionale di aver omesso di rilevare che  il
motivo per cui non aveva partecipato al  primo  corso  di  formazione
risiedeva non in  una  decisione  volontaria,  bensi'  nel  fatto  di
versare in astensione obbligatoria dal lavoro fino alla data  del  30
ottobre 2001 in ragione del  complicato  stato  di  gravidanza  (come
comunicato al Ministero dalla Direzione della scuola di formazione  e
aggiornamento del personale di Parma), ripropone  in  chiave  critica
del percorso motivazionale della  sentenza  impugnata  gli  argomenti
proposti in primo grado a fondamento delle sue domande. 
    6.  Ritiene  il  Collegio  che  la   prospettata   questione   di
legittimita' costituzionale sia rilevante e, diversamente  da  quanto
opinato dal giudice di prime cure, non manifestamente infondata. 
    7. La rilevanza della questione discende dal fatto che il  dubbio
di  costituzionalita'  investe  le  disposizioni  di  legge  di   cui
l'Amministrazione ha fatto applicazione nell'ammettere l'appellante a
partecipare  al  primo  corso  successivo  al  periodo   di   assenza
obbligatoria dal lavoro  previsto  dalle  disposizioni  sulla  tutela
delle lavoratrici madri senza  prevederne  la  retrodatazione  e  nel
disporne la nomina a vice ispettore con  decorrenza  dalla  data  del
giuramento prestato, anziche'  da  quella  riconosciuta  ai  colleghi
vincitori del suo stesso concorso. 
    La praticabilita' di  una  lettura  costituzionalmente  orientata
delle medesime e' esclusa dal loro tenore letterale, corroborato  dal
raffronto sistematico con  quanto  e'  diversamente  disposto  per  i
concorrenti dimessi dal corso per vice sovrintendente per  infermita'
contratta durante il corso o dipendente da  causa  di  servizio,  che
vincola invece l'Amministrazione, che ai sensi dell'art. 27, comma 2,
del decreto legislativo n. 443 del  1992  ammette  a  partecipare  al
primo corso successivo l'allieva vice ispettore assente  per  ragioni
di  gravidanza,  a  disporne  la  nomina   secondo   l'ordine   della
graduatoria finale di questo stesso corso,  ai  sensi  dell'art.  28,
comma 4, del decreto stesso. 
    Il comma 6 di quest'ultimo articolo, infatti,  rende  applicabili
alla nomina di vice ispettore, in quanto compatibili, le disposizioni
di cui al precedente art. 18, il quale, al comma  4,  e'  chiaro  nel
prevedere  la  retrodatazione,  ai  soli  effetti  giuridici,   della
decorrenza nella qualifica in favore del  solo  personale  ammesso  a
ripetere il corso per infermita' contratta durante  il  corso  ovvero
per infermita' dipendente da  causa  di  servizio  e  non  anche  del
personale di sesso femminile la cui assenza e' stata  determinata  da
maternita', pur godendo quest'ultimo dello stesso  diritto  a  essere
ammesso al primo corso successivo utile (art. 18, comma 2). 
    Una  diversa  lettura  forzerebbe   inammissibilmente   il   dato
normativo, poiche' questo costituisce il limite cui  deve  arrestarsi
anche l'interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo  essere
sollevato l'incidente di costituzionalita' ogni qual volta  l'opzione
ermeneutica  supposta  conforme  alla  Costituzione   sia   incongrua
rispetto al tenore letterale della norma stessa  (Cass.,  SS.UU.,  1°
giugno 2021, n. 15177, e 22 marzo 2019, n. 8230, con richiamo a Corte
costituzionale sentenze n. 78 del 2012, n. 49 del  2015,  n.  36  del
2016 e n. 82 del 2017). 
    Quanto ai concorrenti profili d'incompatibilita' della  normativa
in questione con il diritto dell'Unione europea di  cui  appresso  si
dira', il fatto che si controverta in  materia  diritti  fondamentali
della  persona  rende  palese  la  ricorrenza,   nella   specie,   di
quell'opportunita' di sollecitare anzitutto un intervento con effetti
erga omnes della Corte costituzionale evidenziata dalla Corte  stessa
(sentenza n. 20 del 2019; cfr. anche sentenze nn. 63 e 112 del  2019;
ordinanza n. 117 del 2019). 
    Infine,   poiche'   il   denunciato   contrasto   coi   parametri
costituzionali condiziona l'applicabilita' delle norme censurate  nel
presente giudizio il quale ha per oggetto non  solo  una  domanda  di
annullamento degli atti impugnati ai fini della retrodatazione  degli
effetti giuridici della nomina, ma anche una domanda di  risarcimento
in forma  specifica,  ancora  sotto  forma  di  retrodatazione  della
nomina,  e  comunque  per  equivalente  monetario,  non  si   ritiene
necessario esaminare gia' in questa  sede  la  questione,  rilevabile
d'ufficio, dell'integrita' del contraddittorio rispetto a coloro  che
potrebbero avere interesse al mantenimento della  decorrenza  dal  18
dicembre 2014 dell'immissione in  ruolo  dell'appellante,  senza  che
cio'  faccia   venir   meno   la   rilevanza   della   questione   di
costituzionalita'  di   quelle   disposizioni   che   concorrerebbero
all'ingiustizia del danno. 
    8. Per  quanto  concerne  la  non  manifesta  infondatezza  della
questione, questo Consiglio (sez. II, 24 dicembre 2021, n.  8578)  ha
gia' ricostruito in termini analitici, che il Collegio condivide e fa
propri, il quadro delle norme e dei principi che sono volti a evitare
ogni forma di discriminazione fondata sul  sesso  e  a  garantire  la
parita' di  trattamento  tra  uomo  e  donna  anche  con  riferimento
all'accesso al lavoro, osservando quanto segue: 
      «25. Sul piano  sovranazionale,  viene  in  rilievo,  in  primo
luogo, la Convenzione ONU sull'eliminazione  di  tutte  le  forme  di
discriminazione nei confronti  della  donna  adottata  dall'Assemblea
generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979, ratificata  e  resa
esecutiva dall'Italia con legge 14 marzo 1985, n.  132  che,  all'art
11, sancisce "Gli Stati parte si impegnano  a  prendere  ogni  misura
adeguata al fine di eliminare la discriminazione nei confronti  della
donna nel campo dell'impiego ed assicurare, sulla base della  parita'
tra  uomo  e  donna,  gli  stessi  diritti",  e  "per  prevenire   la
discriminazione nei confronti delle donne a causa del loro matrimonio
o della loro maternita' e garantire  il  loro  diritto  effettivo  al
lavoro, gli Stati parte si impegnano a  prendere  misure  appropriate
tendenti a: (...) d) assicurare una protezione  speciale  alle  donne
incinte per le quali e' stato dimostrato che il lavoro e' nocivo". 
      25.1 In ambito comunitario, l'art 23 della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea dispone che "La parita' fra uomini e
donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di
occupazione, di lavoro e di retribuzione", mentre l'art. 157 (ex art.
141 del TCE)  del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea
prevede,  al  comma  1,   che   "Ciascuno   Stato   membro   assicura
l'applicazione  del  principio  della  parita'  di  retribuzione  tra
lavoratori di sesso maschile e quelli  di  sesso  femminile  per  uno
stesso lavoro o per un lavoro di pari valore" e, al comma 3, che  "Il
Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo  la  procedura
legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e
sociale, adottano misure che assicurino l'applicazione del  principio
delle pari opportunita' e della parita' di trattamento tra  uomini  e
donne in materia di occupazione e impiego, ivi compreso il  principio
della parita' delle retribuzioni per  uno  stesso  lavoro  o  per  un
lavoro di pari valore." 
      25.2 La disposizione da ultimo citata  ha  costituito  la  base
normativa per l'adozione della direttiva 76/207/CEE del Consiglio del
9 febbraio 1976, nonche' della piu' recente direttiva 2006/54/CE  del
Parlamento europeo e  del  Consiglio  del  5  luglio  2006,  relative
all'attuazione del principio delle pari opportunita' e della  parita'
di trattamento fra  uomini  e  donne  in  materia  di  occupazione  e
impiego. L'art. 2, comma 3 [recte: paragrafo  2],  lettera  c)  della
direttiva n. 2006/54/CE, riprendendo quanto gia'  previsto  dall'art.
2, comma 7 della direttiva 76/207/CEE, precisa  che  "Ai  fini  della
presente direttiva, la  discriminazione  comprende:  (...)  qualsiasi
trattamento meno  favorevole  riservato  ad  una  donna  per  ragioni
collegate alla gravidanza o al congedo per maternita' ai sensi  della
direttiva 92/85/CEE". L'art. 14 dispone, altresi',  che  "e'  vietata
qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul  sesso  nei
settori pubblico o privato, compresi gli enti  di  diritto  pubblico,
per quanto attiene: a) alle condizioni di accesso  all'occupazione  e
al lavoro,  sia  dipendente  che  autonomo,  compresi  i  criteri  di
selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente dal ramo di
attivita' e a tutti i livelli della gerarchia professionale,  nonche'
alla  promozione".  Infine,  il  ventitreesimo   considerando   della
medesima direttiva sancisce che "Dalla giurisprudenza della Corte  di
giustizia risulta chiaramente che qualsiasi  trattamento  sfavorevole
nei confronti  della  donna  in  relazione  alla  gravidanza  o  alla
maternita' costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso.
Pertanto, occorre includere  esplicitamente  tale  trattamento  nella
presente direttiva". 
      25.3   La   Corte   di   giustizia,   nel   qualificare    come
discriminazione  diretta  fondata  sul  sesso  tanto  il  rifiuto  di
assumere una donna a causa del suo  stato  di  gravidanza  quanto  il
licenziamento di una lavoratrice per la  medesima  ragione  (sent.  8
novembre 1990, Dekker, C-177/88 e  Handels-og  Kontorfunktionaerernes
Forbund, C-179/88; sentenza  del  4  ottobre  2001,  Jimenez  Melgar,
C-438/99 e Tele Danmark A/S, C-109/00,  nonche'  sentenza  30  giugno
1998, Brown, C-394/96), ha avuto cura di distinguere  il  caso  della
lavoratrice che si trova in stato di gravidanza da quella  che  versi
in stato di malattia che sopraggiunga dopo il congedo di  maternita',
osservando che "Un tale stato patologico rientra  quindi  nel  regime
generale applicabile alle ipotesi di malattia. Infatti  i  lavoratori
di sesso femminile e maschile sono del pari  esposti  alle  malattie.
Anche se e' vero  che  taluni  disturbi  sono  specifici  dell'uno  o
dell'altro sesso, l'unico problema e' quindi quello di sapere se  una
donna viene licenziata per le assenze dovute a malattia nelle  stesse
condizioni di un uomo; se per entrambi valgono le  stesse  condizioni
non vi e'  discriminazione  diretta  in  ragione  del  sesso"  (sent.
Handels-og Kontorfunktionaerernes Forbund, C-179/88, punti 16 e  17).
La Corte ha, altresi', chiarito che "lo stato di gravidanza non e' in
alcun modo  assimilabile  ad  uno  stato  patologico,  a  fortiori  a
un'indisponibilita' non derivante da ragioni  di  salute,  situazioni
che invece possono motivare il licenziamento di una donna  senza  che
per questo tale licenziamento sia discriminatorio in base  al  sesso.
Nella citata sentenza Hertz,  la  Corte  ha  d'  altronde  nettamente
distinto la gravidanza dalla malattia, anche nel caso di una malattia
causata dalla gravidanza ma  che  sopraggiunga  dopo  il  congedo  di
maternita'. Essa ha precisato (punto  16)  che  non  e'  il  caso  di
distinguere tale malattia da qualsiasi altra malattia"  (sentenza  14
luglio 1994, Carole Louise Webb C-32/93, punto 25). 
      26. Sul piano costituzionale rilevano non solo gli articoli 3 e
51 della Costituzione, richiamati anche dal giudice di  primo  grado,
ma anche l'art. 4  della Costituzione  ("la  Repubblica  riconosce  a
tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le  condizioni  che
rendano effettivo questo diritto"), l'art. 31 della Costituzione  che
qualifica compito della Repubblica  l'agevolazione  della  formazione
della famiglia e la protezione della maternita', e  l'art.  37  della
Costituzione che impone la fissazione di condizioni di lavoro per  la
donna compatibili con l'adempimento della sua funzione familiare. 
      26.1  Il  legislatore  ordinario,  dal  canto  suo,   ha   dato
attuazione ai precetti costituzionali, statuendo che "la  parita'  di
trattamento  e  di  opportunita'  tra  donne  e  uomini  deve  essere
assicurata in tutti i campi, compresi  quelli  dell'occupazione,  del
lavoro e della retribuzione" (art. 1, comma 2, decreto legislativo 11
aprile 2006, n. 198 il c.d. Codice delle pari opportunita' tra uomo e
donna). 
      26.2 I principi sottesi al quadro normativo  sopra  richiamato,
sono stati puntualizzati e ribaditi dalla  Corte  costituzionale,  la
quale ha sancito che "il principio posto dall'art. 37 - collegato  al
principio di uguaglianza - impone alla legge di impedire che possano,
dalla maternita' e dagli impegni  connessi  alla  cura  del  bambino,
derivare conseguenze  negative  e  discriminatorie.  Entrambe  queste
esigenze impongono, per  lo  stato  di  gravidanza  e  puerperio,  di
adottare misure legislative dirette non soltanto  alla  conservazione
dell'impiego, ma anche ad evitare che nel relativo periodo  di  tempo
intervengano, in relazione al rapporto di lavoro,  comportamenti  che
possano turbare ingiustificatamente  la  condizione  della  donna  ed
alterare il suo  equilibrio  psico-fisico,  con  serie  ripercussioni
sulla   gestazione   o,   successivamente,   sullo    sviluppo    del
bambino"(sentenza n. 61 del 1991; cfr. anche  12  settembre  1995  n.
423, la quale ha precisato che il rilievo costituzionale  del  valore
rappresentato dal ruolo di madre della lavoratrice comporta che,  nel
rapporto di lavoro, non possono frapporsi ne' ostacoli,  ne'  remore,
alla gravidanza e alla cura del bambino nel periodo di puerperio). 
      27. L'impianto normativo, sia nazionale che sovranazionale,  e'
univoco nell'escludere che lo stato di gravidanza possa rappresentare
un  ostacolo  nell'accesso  al  lavoro  o  fonte  di  discriminazione
nell'ambito del rapporto lavorativo.  Per  tale  ragione,  il decreto
ministeriale 17 maggio 2000, n. 155 (Regolamento  recante  norme  per
l'accertamento dell'idoneita' al servizio nella Guardia  di  finanza)
non  puo'  che  essere  letto  alla  luce  delle   coordinate   sopra
richiamate, in quanto volto a garantire l'uguaglianza sostanziale dei
candidati che aspirano all'arruolamento in Guardia di  finanza  e  ad
evitare che la gravidanza, di per se', possa costituire una causa  di
esclusione dal concorso, e,  quindi,  fonte  di  una  discriminazione
diretta fondata sul sesso, la cui  eliminazione  si  impone  come  un
obiettivo multilivello. 
      27.1  L'uguaglianza  sostanziale   tra   i   candidati,   senza
distinzione di genere, sarebbe frustrata  in  via  definitiva  se  lo
stato  di  gravidanza  si  trasformasse  da  impedimento   temporaneo
all'accertamento a causa definitiva di esclusione. Giova, sotto  tale
profilo, richiamare i principi espressi  dalla  Corte  di  giustizia,
secondo cui il rifiuto d'assunzione per  motivo  di  gravidanza  puo'
opporsi solo alle donne e rappresenta,  quindi,  una  discriminazione
diretta a motivo del sesso (sent. 8 novembre 1990, Dekker,  C-177/88,
punto 12)». 
    9. A tanto deve  aggiungersi  che  la  Corte  di  giustizia,  con
riferimento alla direttiva comunitaria del 1976 di cui sopra gia'  si
e' detto, ha altresi' chiarito che la posticipazione dell'entrata  in
servizio in qualita' di dipendente di ruolo conseguente al congedo di
maternita' di cui  abbia  beneficiato  l'interessata  costituisce  un
trattamento  sfavorevole  vietato  giacche'   «[l]a   direttiva   del
Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE,  relativa  all'attuazione  del
principio della parita' di trattamento fra gli uomini e le donne  per
quanto  riguarda  l'accesso  al  lavoro,  alla  formazione   e   alla
promozione professionali e le  condizioni  di  lavoro,  osta  ad  una
normativa nazionale che non  riconosce  ad  un  lavoratore  di  sesso
femminile che si trova in congedo di maternita'  gli  stessi  diritti
riconosciuti ad altri vincitori dello stesso concorso  di  assunzione
per quanto  riguarda  le  condizioni  di  accesso  alla  carriera  di
dipendente di ruolo posticipando la  sua  entrata  in  servizio  alla
scadenza di questo  congedo,  senza  prendere  in  considerazione  la
durata del detto congedo nel calcolo dell'anzianita' di  servizio  di
questo  lavoratore»  (sent.  16  febbraio  2006,  Sarkatzis  Herrero,
C294/04). 
    In quel caso,  dove  la  ricorrente  nel  giudizio  a  quo  aveva
ottenuto un nuovo impiego durante un congedo di maternita' e la  data
della sua entrata in servizio era stata posticipata alla scadenza  di
tale congedo, la Corte ha rimarcato che «poiche' la direttiva  76/207
mira ad un'uguaglianza sostanziale e  non  formale,  le  disposizioni
degli articoli 2, nn. 1 e 3, e 3 di questa  direttiva  devono  essere
interpretate nel senso che vietano qualsiasi trattamento  sfavorevole
di un lavoratore  di  sesso  femminile  a  causa  di  un  congedo  di
maternita' o in relazione con un tale congedo,  diretto  alla  tutela
della donna incinta, senza che occorra tener conto del fatto  che  il
detto trattamento riguarda un rapporto di lavoro esistente o un nuovo
rapporto di lavoro» (sentenza Sarkatzis Herrero, cit., punto 41). 
    Piu' di recente la Corte medesima, investita in via pregiudiziale
dal Tribunale  amministrativo  regionale  Lazio  nell'ambito  di  una
controversia concernente la dimissione da un corso di formazione  per
l'assunzione  della  qualifica  di  vice   commissario   di   polizia
penitenziaria a seguito  della  prolungata  assenza  dell'interessata
motivata da un congedo obbligatorio di  maternita',  a  fronte  della
rappresentata  esigenza,  per  motivi  di  interesse   pubblico,   di
ammettere  all'esame  solo  candidati   adeguatamente   preparati   a
esercitare le loro nuove funzioni attraverso la loro partecipazione a
tutte  le  lezioni  previste  nell'ambito  del  relativo   corso   di
formazione, ha ribadito il principio per cui le  autorita'  nazionali
«quando adottano le misure che ritengono necessarie per garantire  la
pubblica sicurezza di uno Stato membro (v., in particolare,  sentenza
dell'11 gennaio 2000, Kreil, C285/98, Racc. pag. I69, punto 24), esse
sono tuttavia tenute, quando adottano misure in deroga a  un  diritto
fondamentale, quale il diritto alla parita' di trattamento tra uomini
e donne, di cui la direttiva 2006/54 mira a garantire l'attuazione, a
rispettare  il  principio  di  proporzionalita',  che  fa  parte  dei
principi generali del diritto  dell'Unione  (v.,  in  tal  senso,  in
particolare, sentenza Kreil, cit., punto 23)» (sentenza 6 marzo 2014,
Napoli, C-595/12, punto 35). 
    Ha affermato la Corte che «si deve constatare che una misura come
quella controversa nella causa principale, che  prevede  l'esclusione
automatica dal corso di formazione  e  comporta  l'impossibilita'  di
presentarsi a sostenere l'esame organizzato in seguito  senza  tenere
conto, in particolare, ne' della fase del corso in  cui  si  verifica
l'assenza per  congedo  di  maternita',  ne'  della  formazione  gia'
acquisita, e che si limita a riconoscere alla donna che abbia  fruito
di detto congedo il diritto di partecipare a un corso  di  formazione
organizzato in data successiva ma incerta,  non  appare  conforme  al
principio di proporzionalita'» (sentenza Napoli, cit., punto 36). 
    Ha quindi rilevato che «[l]a  violazione  di  tale  principio  e'
tanto piu' flagrante in quanto, come rilevato dal giudice del rinvio,
la circostanza  che  l'inizio  del  successivo  corso  di  formazione
costituisca un evento incerto  deriva  dal  fatto  che  le  autorita'
competenti non sono obbligate a organizzare detto  corso  a  scadenze
predeterminate» (punto 37) e ha  convenuto  col  giudice  del  rinvio
anche sul fatto che «le autorita' nazionali potrebbero  eventualmente
prevedere  di  conciliare  l'esigenza  di  formazione  completa   dei
candidati con i  diritti  della  lavoratrice  predisponendo,  per  la
lavoratrice che rientra da un congedo di maternita', corsi  paralleli
di recupero equivalenti a quelli inizialmente dispensati, di modo che
la lavoratrice possa essere ammessa, in tempo utile, all'esame che le
consentira' di accedere il prima possibile a un livello superiore  di
carriera, cosicche'  l'evoluzione  della  sua  carriera  non  risulti
sfavorita rispetto a quella di un collega di sesso maschile vincitore
dello stesso concorso e  ammesso  allo  stesso  corso  di  formazione
iniziale» (punto 38). 
    10. Le disposizioni di legge sopra richiamate che pur prevedendo,
a tutela  della  gravidanza  e  delle  lavoratrici  madri,  che  alla
dimissione  dall'originario  corso  di  formazione   determinata   da
maternita' segua l'ammissione alla partecipazione al primo  corso  di
formazione successivo ai periodi di  assenza  obbligatoria,  tuttavia
non prevengono  e  comunque  non  temperano  l'effetto  distorsivo  e
penalizzante per la carriera delle allieve vice ispettrici di  questa
postergazione rispetto ai colleghi di sesso  maschile  vincitori  del
loro stesso concorso  (con  disincentivo  alla  partecipazione  delle
donne  al  concorso  ovvero  alla  maternita')  e,  dunque,  non   si
sottraggono certamente al dubbio di non garantire l'uguaglianza e  la
parita' di  trattamento  tra  uomo  e  donna  anche  con  riferimento
all'accesso al lavoro e  di  discriminare  le  donne  a  causa  della
maternita', dubbio che alla luce di tutte  le  considerazioni  finora
svolte non puo' dirsi manifestamente infondato. 
    Tanto piu' che ad escludere la possibilita' di invocare in  senso
opposto la discrezionalita' del legislatore  nel  contemperamento  di
valori costituzionali diversi sta il fatto  che  la  limitata  tutela
assicurata dalla legislazione vigente, come  sopra  ricostruita,  non
risponde  al  principio   di   proporzionalita'   gia'   secondo   la
giurisprudenza nella Corte di giustizia. 
    D'altronde la retrodatazione agli effetti giuridici della  nomina
in ruolo alla stessa data di decorrenza attribuita  agli  idonei  del
corso di formazione originario e' la  soluzione  gia'  prescelta  dal
legislatore per i vincitori  del  concorso  per  vice  sovrintendente
dimessi dal corso  per  infermita'  (contratta  durante  il  corso  o
dipendente da causa di servizio), indipendentemente dall'epoca in cui
essi in concreto abbiano potuto  ripetere  il  corso,  considerandola
all'evidenza  lo   strumento   maggiormente   idoneo   o,   comunque,
preferibile per apprestare una tutela piena ed effettiva in quei casi
di legittimo impedimento. 
    11. Per queste ragioni il giudizio va  sospeso  e  vanno  rimesse
alla  Corte  costituzionale,  ai  sensi  dell'art.  1   della   legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e dell'art. 23, della  legge  11
marzo 1953, n. 87, le questioni di legittimita' costituzionale  degli
articoli 27, comma 2, e 28,  comma  4,  del  decreto  legislativo  30
ottobre 1992, n. 443, nella  parte  in  cui  non  prevedono  che  gli
allievi ispettori di sesso femminile ammessi a partecipare  al  primo
corso successivo ai periodi di  assenza  dal  lavoro  previsti  dalle
disposizioni sulla tutela  delle  lavoratrici  madri  possano  essere
promossi con la medesima decorrenza giuridica attribuita agli  idonei
del corso da cui erano stati dimessi, in mancanza della  possibilita'
di partecipare a corsi paralleli  di  recupero  organizzati  in  data
certa e ragionevolmente ravvicinata, perche'  in  contrasto  con  gli
articoli 3,  31,  37  e  117,  primo  comma,  della  Costituzione  in
riferimento  all'art.  23  della  Carta  dei   diritti   fondamentali
dell'Unione europea, agli articoli 2, paragrafo 2, lettera c), e  14,
paragrafo 1, lettera a), della direttiva  2006/54/CE  del  Parlamento
europeo e del Consiglio  del  5  luglio  2006  e  all'art.  11  della
Convenzione   ONU   sull'eliminazione   di   tutte   le   forme    di
discriminazione nei confronti  della  donna  adottata  dall'Assemblea
generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979, ratificata  e  resa
esecutiva in Italia con legge 14 marzo 1985, n. 132.