IL CONSIGLIO DI STATO in sede giurisdizionale (Sezione seconda) ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 359 del 2019, proposto dalla sig.ra A. C. , rappresentata e difesa dall'avv. Sara Di Cunzolo, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Aureliana n. 63; contro il Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima-quater, del 6 giugno 2018, n. 6336, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia; Visti tutti gli atti della causa; Vista l'istanza di passaggio in decisione della causa senza discussione orale, depositata dalla parte appellante; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 giugno 2022 il Cons. Francesco Guarracino, considerata presente l'avv. Sara Di Cunzolo per l'appellante, nessuno comparso per le parti; Fatto 1. La sig. A. C. , dichiarata vincitrice in data 9 luglio 2001 del concorso pubblico a quattrocentoquarantotto posti (elevati a quattrocentocinquantaquattro) di allievo vice ispettore del Corpo di polizia penitenziaria indetto con decreto ministeriale 12 dicembre 1996, ha appellato la sentenza, n. 6336 del 6 giugno 2018, con cui il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima-quater, ne ha respinto il ricorso, integrato da motivi aggiunti, volto a ottenere l'annullamento del provvedimento del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del 18 dicembre 2014, nella parte in cui si stabiliva che la sua immissione in ruolo come vice ispettore in prova avesse decorrenza dal 18 dicembre 2014, e del provvedimento del 3 ottobre 2017, di nomina a ispettore con decorrenza dal 19 dicembre 2016, unitamente agli atti presupposti, nonche' il risarcimento del danno per il ritardo nella nomina a vice ispettore rispetto ai colleghi che avevano vinto il medesimo concorso. 2. Il Ministero della giustizia ha resistito in giudizio con atto di forma. 3. In vista dell'udienza l'appellante ha prodotto una memoria e chiesto il passaggio in decisione della causa senza discussione orale. 4. Alla pubblica udienza del 28 giugno 2022 la causa e' stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. La questione controversa in giudizio attiene alla legittimita' del provvedimento con cui la decorrenza della nomina dell'appellante alla qualifica di vice ispettore in prova del Corpo di polizia penitenziaria e' stata fissata al 18 dicembre 2014, oltre tredici anni dopo essere stata dichiarata vincitrice del relativo concorso, e della conseguente determinazione della decorrenza della sua promozione a ispettore a far data dal 19 dicembre 2016. 2. La controversia trae origine dal fatto che l'appellante - in data 9 luglio 2001 dichiarata idonea vincitrice del concorso pubblico a quattrocentoquarantotto posti (elevati a quattrocentocinquantaquattro) di allievo vice ispettore del Corpo di polizia penitenziaria indetto con decreto ministeriale 12 dicembre 1996 e in data 28 agosto 2001 nominata allievo vice ispettore a decorrere dal 13 ottobre 2001 - avendo ricevuto l'invito a presentarsi, in data 11 ottobre 2001, presso la scuola di Parma per frequentare il corso di formazione, aveva chiesto e ottenuto, siccome in stato di astensione obbligatoria dal lavoro per le condizioni della sua gravidanza (ex art. 17, comma 2, lettera a), del 26 marzo 2001, n. 151), che il posto le venisse riservato ai sensi dell'art. 27, comma 2, del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443, che, nel testo all'epoca vigente, stabiliva: «Gli allievi ispettori di sesso femminile, la cui assenza oltre novanta giorni e' stata determinata da maternita', sono ammessi a partecipare al primo corso successivo ai periodi di assenza dal lavoro previsti dalle disposizioni sulla tutela delle lavoratrici madri». Tuttavia il primo corso successivo utile veniva attivato solo dodici anni piu' tardi, quando in data 11 novembre 2013 aveva inizio il corso di formazione per gli allievi vice ispettori vincitori del concorso indetto con provvedimento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana - 4ª Serie speciale «Concorsi ed esami» - del 18 marzo 2003, n. 22, all'esito di una lunga serie di contenziosi che avevano interessato lo svolgimento del concorso medesimo. L'appellante veniva quindi inserita in questo corso e, superatolo, era finalmente immessa nel ruolo dei vice ispettori del Corpo di polizia penitenziaria con decorrenza dalla data del giuramento (18 dicembre 2014), al pari dei colleghi che avevano frequentato lo stesso corso. 3. Nel giudizio di primo grado l'appellante prospettava, in primo luogo, un dubbio di costituzionalita' della normativa di riferimento, derivandone l'illegittimita' del bando di concorso e dei provvedimenti conseguenti lesivi del suo interesse legittimo pretensivo. Sosteneva, infatti, che l'art. 27, comma 2, del decreto legislativo n. 443 del 1992 (che nel disciplinare le ipotesi di dimissione obbligatoria dal corso di formazione per assenza determinata da maternita' degli allievi ispettori di sesso femminile attribuiva loro il diritto di frequentare il corso successivo ai periodi di assenza previsti dalle disposizioni sulla tutela delle lavoratrici madri, ma non quello alla retrodatazione degli effetti dell'immissione in ruolo e, quindi, alla medesima anzianita' relativa al corso originario di appartenenza) e l'art. 25, comma 2, dello stesso decreto (che, tacendo sullo specifico punto, prevedeva che gli allievi vice ispettori, superati gli esami e le prove pratiche di fine corso, fossero nominati vice ispettori in prova, prestassero giuramento e venissero immessi nel ruolo secondo la graduatoria finale) sarebbero stati in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, che vieta qualsiasi discriminazione per ragioni connesse al sesso e, quindi, ogni trattamento meno favorevole legato allo stato di gravidanza e alla condizione di madre, e con gli articoli 31 e 37 della Costituzione posti a tutela della donna lavoratrice, munita degli stessi diritti che spettano al lavoratore uomo. Indicava, inoltre, un'ulteriore discriminazione a danno della donna lavoratrice in stato di gravidanza nel fatto che, per il concorso per vice soprintendenti, l'art. 18, comma 5, dello stesso decreto legislativo stabiliva che i concorrenti dimessi per infermita' contratta durante il corso o per infermita' dipendente da causa di servizio e ammessi al primo corso utile fossero, invece, promossi con la medesima decorrenza attribuita agli idonei del corso da cui erano stati dimessi, sia pure ai soli effetti giuridici. Propugnava, quindi, una lettura costituzionalmente orientata della normativa richiamata che riconoscesse anche alle allieve vice ispettrici dimesse dal corso formativo in ragione del loro stato di gravidanza il diritto, una volta utilmente frequentato il corso successivo, di essere immesse in ruolo con la medesima decorrenza giuridica attribuita a quanti erano risultati vincitori della stessa procedura concorsuale. In subordine lamentava l'illegittimita' degli impugnati decreti di nomina perche' adottati in asserito contrasto coi principi di ragionevole durata del procedimento e di uguaglianza e par condicio, che avrebbero richiesto una diversa decorrenza della nomina per le ipotesi in cui il concorso si fosse concluso con un abnorme ritardo imputabile all'Amministrazione. In ulteriore subordine si doleva del danno patito a causa dell'enorme ritardo colpevolmente accumulato dall'Amministrazione nella definizione del successivo concorso pubblico e, quindi, nell'avvio del primo corso di formazione utile, senza il quale avrebbe conseguito la qualifica di vice ispettore entro un termine piu' ragionevole, diminuendo lo spropositato divario rispetto agli altri vincitori del suo concorso, e chiedeva, percio', la condanna dell'intimata al risarcimento del danno, sia in forma specifica, con retrodatazione della nomina quantomeno agli effetti giuridici, che per equivalente. 4. Il Tribunale amministrativo regionale ha respinto tutte le domande. In particolare, il Tribunale ha affermato che: nella normativa vigente non risulta alcuna disposizione volta a consentire la retrodatazione degli effetti giuridici della nomina delle allieve vice ispettrici che abbiano dovuto posticipare la frequenza del corso in ragione della gravidanza alla data in cui avrebbero potuto conseguire la nomina stessa, qualora detto evento non si fosse verificato; essendo regola generale che le assenze determinano la dimissione dal corso tranne che nelle ipotesi in cui siano riconducibili alla particolarissima tipologia delle assenze determinate dall'adempimento di un dovere, ne consegue l'eccezionalita' della previsione per cui, tanto in ipotesi di dimissioni per malattia, quanto in caso di assenza per maternita', gli allievi vice ispettori possono essere ammessi a frequentare il primo corso utile (ma senza godere della retrodatazione della nomina); non e' applicabile la diversa disciplina dettata per il corso per vice soprintendenti dall'art. 18, comma 5, del decreto legislativo n. 443 del 1992, stante il consolidato orientamento giurisprudenziale sull'inapplicabilita' ai casi non previsti dalla legge delle eccezioni previste dal legislatore in materia di retrodatazione dei provvedimenti di nomina; non sono ravvisabili manifesti profili di violazione della Carta costituzionale o della normativa comunitaria a tutela della par condicio e della maternita' «che anzi viene specificatamente garantita dal legislatore il quale consente - a titolo di eccezione alla regola, analogamente a quanto riconosciuto ai dipendenti uomini in caso di malattia intervenuta durante il corso - agli allievi e agenti in prova di sesso femminile, la cui assenza oltre sessanta giorni sia stata determinata da maternita', di partecipare al primo corso di formazione utile»; «[d]el resto, se gli articoli 4, 31 e 35 della Costituzione fanno divieto al legislatore di imporre limiti discriminatori alla liberta' di conseguire e scegliere un posto di lavoro e di conservarlo, e gli fanno obbligo di sviluppare una adeguata protettiva attivita' assistenziale nei riguardi della famiglia, della maternita' e dell'infanzia e di determinare modi e forme adatte alla tutela del lavoro stesso, tuttavia non gli vietano di regolamentare i rapporti tra datori di lavoro e lavoratori, tenendo conto dei particolari aspetti che alcuni rapporti di lavoro vengono ad assumere di fronte ad altri, e dettare di conseguenza, discipline diverse, dirette ad equilibrare ed armonizzare tra loro interessi contrastanti (profili che, quanto al diverso trattamento previsto per gli allievi vice ispettori rispetto ai vice soprintendenti, risultano ben evidenziati nella motivazione della sentenza del Tribunale amministrativo regionale Lazio, Roma, n. 7863/2009)»; quanto al provvedimento di nomina alla qualifica di ispettore, ai sensi dell'art. 29 del decreto legislativo n. 443 del 1992 si tratta di promozione mediante scrutinio per merito assoluto al quale puo' essere ammesso esclusivamente il personale che abbia maturato almeno due anni di anzianita' di effettivo servizio nella qualifica precedente; quanto alla domanda di risarcimento del danno, il ritardo nell'ammissione della ricorrente al primo corso di formazione utile non e' dipeso da una condotta dolosa o colposa dell'amministrazione, bensi' dalle vicende giudiziarie che hanno caratterizzato il concorso del 2003, tali non soltanto da escludere il profilo psicologico della fattispecie ma, ancor prima, lo stesso nesso causale «in quanto il lunghissimo lasso di tempo intervenuto prima che potesse effettivamente svolgersi il corso in oggetto e' risultato il frutto di sfortunata concatenazione di eventi [...] nella quale, tuttavia [...] non e' dato rinvenire condotte dilatorie dell'amministrazione ne' grave violazione delle regole di imparzialita', correttezza e buona fede che giustifichino il risarcimento richiesto (in tal senso anche Tribunale amministrativo regionale Puglia Bari Sez. I, 22-03-2018, n. 419)». 5. L'appello e' affidato a un solo complesso motivo di gravame (pagg. 10-36) con cui l'appellante, imputando in primo luogo al Tribunale amministrativo regionale di aver omesso di rilevare che il motivo per cui non aveva partecipato al primo corso di formazione risiedeva non in una decisione volontaria, bensi' nel fatto di versare in astensione obbligatoria dal lavoro fino alla data del 30 ottobre 2001 in ragione del complicato stato di gravidanza (come comunicato al Ministero dalla Direzione della scuola di formazione e aggiornamento del personale di Parma), ripropone in chiave critica del percorso motivazionale della sentenza impugnata gli argomenti proposti in primo grado a fondamento delle sue domande. 6. Ritiene il Collegio che la prospettata questione di legittimita' costituzionale sia rilevante e, diversamente da quanto opinato dal giudice di prime cure, non manifestamente infondata. 7. La rilevanza della questione discende dal fatto che il dubbio di costituzionalita' investe le disposizioni di legge di cui l'Amministrazione ha fatto applicazione nell'ammettere l'appellante a partecipare al primo corso successivo al periodo di assenza obbligatoria dal lavoro previsto dalle disposizioni sulla tutela delle lavoratrici madri senza prevederne la retrodatazione e nel disporne la nomina a vice ispettore con decorrenza dalla data del giuramento prestato, anziche' da quella riconosciuta ai colleghi vincitori del suo stesso concorso. La praticabilita' di una lettura costituzionalmente orientata delle medesime e' esclusa dal loro tenore letterale, corroborato dal raffronto sistematico con quanto e' diversamente disposto per i concorrenti dimessi dal corso per vice sovrintendente per infermita' contratta durante il corso o dipendente da causa di servizio, che vincola invece l'Amministrazione, che ai sensi dell'art. 27, comma 2, del decreto legislativo n. 443 del 1992 ammette a partecipare al primo corso successivo l'allieva vice ispettore assente per ragioni di gravidanza, a disporne la nomina secondo l'ordine della graduatoria finale di questo stesso corso, ai sensi dell'art. 28, comma 4, del decreto stesso. Il comma 6 di quest'ultimo articolo, infatti, rende applicabili alla nomina di vice ispettore, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al precedente art. 18, il quale, al comma 4, e' chiaro nel prevedere la retrodatazione, ai soli effetti giuridici, della decorrenza nella qualifica in favore del solo personale ammesso a ripetere il corso per infermita' contratta durante il corso ovvero per infermita' dipendente da causa di servizio e non anche del personale di sesso femminile la cui assenza e' stata determinata da maternita', pur godendo quest'ultimo dello stesso diritto a essere ammesso al primo corso successivo utile (art. 18, comma 2). Una diversa lettura forzerebbe inammissibilmente il dato normativo, poiche' questo costituisce il limite cui deve arrestarsi anche l'interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo essere sollevato l'incidente di costituzionalita' ogni qual volta l'opzione ermeneutica supposta conforme alla Costituzione sia incongrua rispetto al tenore letterale della norma stessa (Cass., SS.UU., 1° giugno 2021, n. 15177, e 22 marzo 2019, n. 8230, con richiamo a Corte costituzionale sentenze n. 78 del 2012, n. 49 del 2015, n. 36 del 2016 e n. 82 del 2017). Quanto ai concorrenti profili d'incompatibilita' della normativa in questione con il diritto dell'Unione europea di cui appresso si dira', il fatto che si controverta in materia diritti fondamentali della persona rende palese la ricorrenza, nella specie, di quell'opportunita' di sollecitare anzitutto un intervento con effetti erga omnes della Corte costituzionale evidenziata dalla Corte stessa (sentenza n. 20 del 2019; cfr. anche sentenze nn. 63 e 112 del 2019; ordinanza n. 117 del 2019). Infine, poiche' il denunciato contrasto coi parametri costituzionali condiziona l'applicabilita' delle norme censurate nel presente giudizio il quale ha per oggetto non solo una domanda di annullamento degli atti impugnati ai fini della retrodatazione degli effetti giuridici della nomina, ma anche una domanda di risarcimento in forma specifica, ancora sotto forma di retrodatazione della nomina, e comunque per equivalente monetario, non si ritiene necessario esaminare gia' in questa sede la questione, rilevabile d'ufficio, dell'integrita' del contraddittorio rispetto a coloro che potrebbero avere interesse al mantenimento della decorrenza dal 18 dicembre 2014 dell'immissione in ruolo dell'appellante, senza che cio' faccia venir meno la rilevanza della questione di costituzionalita' di quelle disposizioni che concorrerebbero all'ingiustizia del danno. 8. Per quanto concerne la non manifesta infondatezza della questione, questo Consiglio (sez. II, 24 dicembre 2021, n. 8578) ha gia' ricostruito in termini analitici, che il Collegio condivide e fa propri, il quadro delle norme e dei principi che sono volti a evitare ogni forma di discriminazione fondata sul sesso e a garantire la parita' di trattamento tra uomo e donna anche con riferimento all'accesso al lavoro, osservando quanto segue: «25. Sul piano sovranazionale, viene in rilievo, in primo luogo, la Convenzione ONU sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979, ratificata e resa esecutiva dall'Italia con legge 14 marzo 1985, n. 132 che, all'art 11, sancisce "Gli Stati parte si impegnano a prendere ogni misura adeguata al fine di eliminare la discriminazione nei confronti della donna nel campo dell'impiego ed assicurare, sulla base della parita' tra uomo e donna, gli stessi diritti", e "per prevenire la discriminazione nei confronti delle donne a causa del loro matrimonio o della loro maternita' e garantire il loro diritto effettivo al lavoro, gli Stati parte si impegnano a prendere misure appropriate tendenti a: (...) d) assicurare una protezione speciale alle donne incinte per le quali e' stato dimostrato che il lavoro e' nocivo". 25.1 In ambito comunitario, l'art 23 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea dispone che "La parita' fra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione", mentre l'art. 157 (ex art. 141 del TCE) del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea prevede, al comma 1, che "Ciascuno Stato membro assicura l'applicazione del principio della parita' di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore" e, al comma 3, che "Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale, adottano misure che assicurino l'applicazione del principio delle pari opportunita' e della parita' di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, ivi compreso il principio della parita' delle retribuzioni per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore." 25.2 La disposizione da ultimo citata ha costituito la base normativa per l'adozione della direttiva 76/207/CEE del Consiglio del 9 febbraio 1976, nonche' della piu' recente direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006, relative all'attuazione del principio delle pari opportunita' e della parita' di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. L'art. 2, comma 3 [recte: paragrafo 2], lettera c) della direttiva n. 2006/54/CE, riprendendo quanto gia' previsto dall'art. 2, comma 7 della direttiva 76/207/CEE, precisa che "Ai fini della presente direttiva, la discriminazione comprende: (...) qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternita' ai sensi della direttiva 92/85/CEE". L'art. 14 dispone, altresi', che "e' vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene: a) alle condizioni di accesso all'occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente dal ramo di attivita' e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonche' alla promozione". Infine, il ventitreesimo considerando della medesima direttiva sancisce che "Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia risulta chiaramente che qualsiasi trattamento sfavorevole nei confronti della donna in relazione alla gravidanza o alla maternita' costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso. Pertanto, occorre includere esplicitamente tale trattamento nella presente direttiva". 25.3 La Corte di giustizia, nel qualificare come discriminazione diretta fondata sul sesso tanto il rifiuto di assumere una donna a causa del suo stato di gravidanza quanto il licenziamento di una lavoratrice per la medesima ragione (sent. 8 novembre 1990, Dekker, C-177/88 e Handels-og Kontorfunktionaerernes Forbund, C-179/88; sentenza del 4 ottobre 2001, Jimenez Melgar, C-438/99 e Tele Danmark A/S, C-109/00, nonche' sentenza 30 giugno 1998, Brown, C-394/96), ha avuto cura di distinguere il caso della lavoratrice che si trova in stato di gravidanza da quella che versi in stato di malattia che sopraggiunga dopo il congedo di maternita', osservando che "Un tale stato patologico rientra quindi nel regime generale applicabile alle ipotesi di malattia. Infatti i lavoratori di sesso femminile e maschile sono del pari esposti alle malattie. Anche se e' vero che taluni disturbi sono specifici dell'uno o dell'altro sesso, l'unico problema e' quindi quello di sapere se una donna viene licenziata per le assenze dovute a malattia nelle stesse condizioni di un uomo; se per entrambi valgono le stesse condizioni non vi e' discriminazione diretta in ragione del sesso" (sent. Handels-og Kontorfunktionaerernes Forbund, C-179/88, punti 16 e 17). La Corte ha, altresi', chiarito che "lo stato di gravidanza non e' in alcun modo assimilabile ad uno stato patologico, a fortiori a un'indisponibilita' non derivante da ragioni di salute, situazioni che invece possono motivare il licenziamento di una donna senza che per questo tale licenziamento sia discriminatorio in base al sesso. Nella citata sentenza Hertz, la Corte ha d' altronde nettamente distinto la gravidanza dalla malattia, anche nel caso di una malattia causata dalla gravidanza ma che sopraggiunga dopo il congedo di maternita'. Essa ha precisato (punto 16) che non e' il caso di distinguere tale malattia da qualsiasi altra malattia" (sentenza 14 luglio 1994, Carole Louise Webb C-32/93, punto 25). 26. Sul piano costituzionale rilevano non solo gli articoli 3 e 51 della Costituzione, richiamati anche dal giudice di primo grado, ma anche l'art. 4 della Costituzione ("la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto"), l'art. 31 della Costituzione che qualifica compito della Repubblica l'agevolazione della formazione della famiglia e la protezione della maternita', e l'art. 37 della Costituzione che impone la fissazione di condizioni di lavoro per la donna compatibili con l'adempimento della sua funzione familiare. 26.1 Il legislatore ordinario, dal canto suo, ha dato attuazione ai precetti costituzionali, statuendo che "la parita' di trattamento e di opportunita' tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compresi quelli dell'occupazione, del lavoro e della retribuzione" (art. 1, comma 2, decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 il c.d. Codice delle pari opportunita' tra uomo e donna). 26.2 I principi sottesi al quadro normativo sopra richiamato, sono stati puntualizzati e ribaditi dalla Corte costituzionale, la quale ha sancito che "il principio posto dall'art. 37 - collegato al principio di uguaglianza - impone alla legge di impedire che possano, dalla maternita' e dagli impegni connessi alla cura del bambino, derivare conseguenze negative e discriminatorie. Entrambe queste esigenze impongono, per lo stato di gravidanza e puerperio, di adottare misure legislative dirette non soltanto alla conservazione dell'impiego, ma anche ad evitare che nel relativo periodo di tempo intervengano, in relazione al rapporto di lavoro, comportamenti che possano turbare ingiustificatamente la condizione della donna ed alterare il suo equilibrio psico-fisico, con serie ripercussioni sulla gestazione o, successivamente, sullo sviluppo del bambino"(sentenza n. 61 del 1991; cfr. anche 12 settembre 1995 n. 423, la quale ha precisato che il rilievo costituzionale del valore rappresentato dal ruolo di madre della lavoratrice comporta che, nel rapporto di lavoro, non possono frapporsi ne' ostacoli, ne' remore, alla gravidanza e alla cura del bambino nel periodo di puerperio). 27. L'impianto normativo, sia nazionale che sovranazionale, e' univoco nell'escludere che lo stato di gravidanza possa rappresentare un ostacolo nell'accesso al lavoro o fonte di discriminazione nell'ambito del rapporto lavorativo. Per tale ragione, il decreto ministeriale 17 maggio 2000, n. 155 (Regolamento recante norme per l'accertamento dell'idoneita' al servizio nella Guardia di finanza) non puo' che essere letto alla luce delle coordinate sopra richiamate, in quanto volto a garantire l'uguaglianza sostanziale dei candidati che aspirano all'arruolamento in Guardia di finanza e ad evitare che la gravidanza, di per se', possa costituire una causa di esclusione dal concorso, e, quindi, fonte di una discriminazione diretta fondata sul sesso, la cui eliminazione si impone come un obiettivo multilivello. 27.1 L'uguaglianza sostanziale tra i candidati, senza distinzione di genere, sarebbe frustrata in via definitiva se lo stato di gravidanza si trasformasse da impedimento temporaneo all'accertamento a causa definitiva di esclusione. Giova, sotto tale profilo, richiamare i principi espressi dalla Corte di giustizia, secondo cui il rifiuto d'assunzione per motivo di gravidanza puo' opporsi solo alle donne e rappresenta, quindi, una discriminazione diretta a motivo del sesso (sent. 8 novembre 1990, Dekker, C-177/88, punto 12)». 9. A tanto deve aggiungersi che la Corte di giustizia, con riferimento alla direttiva comunitaria del 1976 di cui sopra gia' si e' detto, ha altresi' chiarito che la posticipazione dell'entrata in servizio in qualita' di dipendente di ruolo conseguente al congedo di maternita' di cui abbia beneficiato l'interessata costituisce un trattamento sfavorevole vietato giacche' «[l]a direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parita' di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, osta ad una normativa nazionale che non riconosce ad un lavoratore di sesso femminile che si trova in congedo di maternita' gli stessi diritti riconosciuti ad altri vincitori dello stesso concorso di assunzione per quanto riguarda le condizioni di accesso alla carriera di dipendente di ruolo posticipando la sua entrata in servizio alla scadenza di questo congedo, senza prendere in considerazione la durata del detto congedo nel calcolo dell'anzianita' di servizio di questo lavoratore» (sent. 16 febbraio 2006, Sarkatzis Herrero, C294/04). In quel caso, dove la ricorrente nel giudizio a quo aveva ottenuto un nuovo impiego durante un congedo di maternita' e la data della sua entrata in servizio era stata posticipata alla scadenza di tale congedo, la Corte ha rimarcato che «poiche' la direttiva 76/207 mira ad un'uguaglianza sostanziale e non formale, le disposizioni degli articoli 2, nn. 1 e 3, e 3 di questa direttiva devono essere interpretate nel senso che vietano qualsiasi trattamento sfavorevole di un lavoratore di sesso femminile a causa di un congedo di maternita' o in relazione con un tale congedo, diretto alla tutela della donna incinta, senza che occorra tener conto del fatto che il detto trattamento riguarda un rapporto di lavoro esistente o un nuovo rapporto di lavoro» (sentenza Sarkatzis Herrero, cit., punto 41). Piu' di recente la Corte medesima, investita in via pregiudiziale dal Tribunale amministrativo regionale Lazio nell'ambito di una controversia concernente la dimissione da un corso di formazione per l'assunzione della qualifica di vice commissario di polizia penitenziaria a seguito della prolungata assenza dell'interessata motivata da un congedo obbligatorio di maternita', a fronte della rappresentata esigenza, per motivi di interesse pubblico, di ammettere all'esame solo candidati adeguatamente preparati a esercitare le loro nuove funzioni attraverso la loro partecipazione a tutte le lezioni previste nell'ambito del relativo corso di formazione, ha ribadito il principio per cui le autorita' nazionali «quando adottano le misure che ritengono necessarie per garantire la pubblica sicurezza di uno Stato membro (v., in particolare, sentenza dell'11 gennaio 2000, Kreil, C285/98, Racc. pag. I69, punto 24), esse sono tuttavia tenute, quando adottano misure in deroga a un diritto fondamentale, quale il diritto alla parita' di trattamento tra uomini e donne, di cui la direttiva 2006/54 mira a garantire l'attuazione, a rispettare il principio di proporzionalita', che fa parte dei principi generali del diritto dell'Unione (v., in tal senso, in particolare, sentenza Kreil, cit., punto 23)» (sentenza 6 marzo 2014, Napoli, C-595/12, punto 35). Ha affermato la Corte che «si deve constatare che una misura come quella controversa nella causa principale, che prevede l'esclusione automatica dal corso di formazione e comporta l'impossibilita' di presentarsi a sostenere l'esame organizzato in seguito senza tenere conto, in particolare, ne' della fase del corso in cui si verifica l'assenza per congedo di maternita', ne' della formazione gia' acquisita, e che si limita a riconoscere alla donna che abbia fruito di detto congedo il diritto di partecipare a un corso di formazione organizzato in data successiva ma incerta, non appare conforme al principio di proporzionalita'» (sentenza Napoli, cit., punto 36). Ha quindi rilevato che «[l]a violazione di tale principio e' tanto piu' flagrante in quanto, come rilevato dal giudice del rinvio, la circostanza che l'inizio del successivo corso di formazione costituisca un evento incerto deriva dal fatto che le autorita' competenti non sono obbligate a organizzare detto corso a scadenze predeterminate» (punto 37) e ha convenuto col giudice del rinvio anche sul fatto che «le autorita' nazionali potrebbero eventualmente prevedere di conciliare l'esigenza di formazione completa dei candidati con i diritti della lavoratrice predisponendo, per la lavoratrice che rientra da un congedo di maternita', corsi paralleli di recupero equivalenti a quelli inizialmente dispensati, di modo che la lavoratrice possa essere ammessa, in tempo utile, all'esame che le consentira' di accedere il prima possibile a un livello superiore di carriera, cosicche' l'evoluzione della sua carriera non risulti sfavorita rispetto a quella di un collega di sesso maschile vincitore dello stesso concorso e ammesso allo stesso corso di formazione iniziale» (punto 38). 10. Le disposizioni di legge sopra richiamate che pur prevedendo, a tutela della gravidanza e delle lavoratrici madri, che alla dimissione dall'originario corso di formazione determinata da maternita' segua l'ammissione alla partecipazione al primo corso di formazione successivo ai periodi di assenza obbligatoria, tuttavia non prevengono e comunque non temperano l'effetto distorsivo e penalizzante per la carriera delle allieve vice ispettrici di questa postergazione rispetto ai colleghi di sesso maschile vincitori del loro stesso concorso (con disincentivo alla partecipazione delle donne al concorso ovvero alla maternita') e, dunque, non si sottraggono certamente al dubbio di non garantire l'uguaglianza e la parita' di trattamento tra uomo e donna anche con riferimento all'accesso al lavoro e di discriminare le donne a causa della maternita', dubbio che alla luce di tutte le considerazioni finora svolte non puo' dirsi manifestamente infondato. Tanto piu' che ad escludere la possibilita' di invocare in senso opposto la discrezionalita' del legislatore nel contemperamento di valori costituzionali diversi sta il fatto che la limitata tutela assicurata dalla legislazione vigente, come sopra ricostruita, non risponde al principio di proporzionalita' gia' secondo la giurisprudenza nella Corte di giustizia. D'altronde la retrodatazione agli effetti giuridici della nomina in ruolo alla stessa data di decorrenza attribuita agli idonei del corso di formazione originario e' la soluzione gia' prescelta dal legislatore per i vincitori del concorso per vice sovrintendente dimessi dal corso per infermita' (contratta durante il corso o dipendente da causa di servizio), indipendentemente dall'epoca in cui essi in concreto abbiano potuto ripetere il corso, considerandola all'evidenza lo strumento maggiormente idoneo o, comunque, preferibile per apprestare una tutela piena ed effettiva in quei casi di legittimo impedimento. 11. Per queste ragioni il giudizio va sospeso e vanno rimesse alla Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e dell'art. 23, della legge 11 marzo 1953, n. 87, le questioni di legittimita' costituzionale degli articoli 27, comma 2, e 28, comma 4, del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443, nella parte in cui non prevedono che gli allievi ispettori di sesso femminile ammessi a partecipare al primo corso successivo ai periodi di assenza dal lavoro previsti dalle disposizioni sulla tutela delle lavoratrici madri possano essere promossi con la medesima decorrenza giuridica attribuita agli idonei del corso da cui erano stati dimessi, in mancanza della possibilita' di partecipare a corsi paralleli di recupero organizzati in data certa e ragionevolmente ravvicinata, perche' in contrasto con gli articoli 3, 31, 37 e 117, primo comma, della Costituzione in riferimento all'art. 23 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, agli articoli 2, paragrafo 2, lettera c), e 14, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006 e all'art. 11 della Convenzione ONU sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 14 marzo 1985, n. 132.