TRIBUNALE DI FIRENZE
Prima Sezione penale
Il Giudice, dott. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato
a carico di H. S., nato in ... i1 ... (C.U. ...);
difeso di fiducia dall'avv. Niccolo' Lombardi Sernesi del Foro di
Firenze (nomina depositata all'udienza dinanzi al giudice di pace del
15 novembre 2021);
notifiche presso il difensore ex art. 161, comma 4 codice di
procedura penale (nel verbale del 16 luglio 2019 non era in grado di
eleggere un domicilio);
ammesso al Patrocinio a spese dello Stato (provvedimento del
giudice di pace del 10 gennaio 2023; istanza dep. 3 dicembre 2021);
imputato del seguente reato:
art. 10-bis decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 (come
inserito dall'art. 1, comma 16, lettera a), legge 15 luglio 2009, n.
94) perche' faceva ingresso nel territorio dello Stato in violazione
delle norme contenute nel testo unico citato.
In ... accertato il ...
sentite le parti;
premesso che:
con decreto del pubblico ministero emesso il 23 marzo 2020 H.
S. - cittadino tunisino - era citato dinanzi al giudice di pace di
Firenze per rispondere del reato ex art. 10-bis decreto legislativo
n. 286/1998, in ipotesi commesso entrando nel territorio dello Stato
italiano in violazione delle norme di cui al decreto legislativo n.
286/1998 (reato accertato il ...);
all'esito del processo di primo grado il giudice di pace di
Firenze con sentenza n. 1299/2022 del 14 novembre 2022 (dep. il 29
novembre 2022) condannava l'imputato alla pena di euro ... di
ammenda; ai sensi degli articoli 62-bis decreto legislativo n.
274/2000 e 16 decreto legislativo n. 286/1998 il giudice di pace
disponeva «la sostituzione della pena inflitta con la misura
dell'espulsione immediata dal territorio nazionale, per un periodo
non inferiore ad anni 5»;
avverso detta sentenza proponeva appello in data 22 dicembre
2022 il difensore dell'imputato: senza contestare il giudizio di
responsabilita' dell'imputato, con un unico motivo lamentava che il
giudice di pace avesse disposto la citata sostituzione dell'ammenda
con l'espulsione dal territorio nazionale senza motivare in alcun
modo circa la sussistenza di un pericolo di fuga dell'imputato,
condizione indefettibile per la citata sostituzione secondo la
direttiva UE 2008/115 e la giurisprudenza di legittimita'; chiedeva
quindi che, in riforma della pronuncia di primo grado, il Tribunale
applicasse unicamente la pena pecuniaria, eliminando la sanzione
sostitutiva dell'espulsione;
all'udienza odierna le parti illustravano le rispettive
conclusioni: il pubblico ministero chiedeva la conferma della
sentenza di primo grado; il difensore si riportava ai motivi di
appello.
Rilevato che:
l'appello proposto dal difensore dell'imputato e'
ammissibile;
in particolare, come sottolineato dallo stesso difensore, la
giurisprudenza di legittimita' ha chiarito che «La sentenza di
condanna emessa del giudice di pace in relazione al reato di ingresso
e soggiorno illegale dello straniero nel territorio dello Stato con
applicazione della misura dell'espulsione a titolo di sanzione
sostitutiva della pena pecuniaria e' appellabile e non ricorribile
per cassazione» (Cass. Sez. 1, sentenza n. 49871 del 28 ottobre 2015
Rv. 265417-01);
come ricostruito nella sentenza di primo grado, l'imputato si
e' reso responsabile del reato ascritto;
ai fini della pronuncia in questa sede nei confronti
dell'imputato pare necessario il pronunciamento della Corte
Costituzionale in ordine alla legittimita' costituzionale - per
violazione dell'art. 76 Cost. - dell'art. 1, comma 4, decreto
legislativo n. 8/2016 nella parte in cui prevede che la disposizione
del comma 1 dello stesso art. 1, decreto legislativo n. 8/2016 non si
applichi ai reati di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.
286; in subordine, dell'art. 1 decreto legislativo n. 7/2016 nella
parte in cui non prevede l'abrogazione, trasformandolo in illecito
amministrativo, del reato previsto dall'art. 10-bis, decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e conseguentemente dell'art.
10-bis decreto decreto legislativo n. 286/1998 nella parte in cui
prevede la pena dell'ammenda da 5.000 a 10.000 euro anziche' la
sanzione amministrativa da 5.000 a 10.000 euro.
Cio' premesso;
Osserva
1. Il procedimento a quo. La rilevanza delle questioni.
1.1 L'imputato e' accusato del reato ex art. 10-bis decreto
legislativo n. 286/1998 per avere fatto ingresso nel territorio dello
Stato italiano in violazione delle norme di cui al decreto
legislativo n. 286/1998 (reato accertato il ...).
1.2 Nel corso del giudizio di primo grado era accertata la
responsabilita' dell'imputato per il reato di ingresso nel territorio
dello Stato in violazione delle norme di cui al decreto legislativo
n. 286/1998: sottoposto ad un controllo in strada a ... in data ... ,
egli risultava privo di documenti identificativi; i successivi
accertamenti da parte della polizia giudiziaria evidenziavano come lo
stesso fosse privo di titolo per l'ingresso e la permanenza sul
territorio italiano; come affermato dalla giurisprudenza di
legittimita', «Ai fini della configurabilita' del reato di ingresso
illegale nel territorio dello Stato e' sufficiente fornire la
dimostrazione che il cittadino extracomunitario sia sprovvisto di un
titolo legittimante l'ingresso o soggiorno, ovvero che questo non sia
in grado di allegare detta documentazione» (cosi' Cassazione sez. 1 -
sentenza n. 1405 del 26 novembre 2019 Rv. 277920 - 01; nello stesso
senso anche Cassazione sez. I, sentenza n. 31998 del 17 maggio 2013
Rv. 256503 - 01); «Dunque, per non incorrere nell'affermazione di
responsabilita' penale, incombe sul soggetto extracomunitario l'onere
di dimostrare l'esistenza di un titolo di ingresso o soggiorno
legittimante il suo ingresso o la sua permanenza nello Stato» (cosi'
Cassazione sez. 7, ordinanza n. 46354 del 2022).
Alla luce di quanto precede e' evidente la responsabilita'
dell'imputato per il fatto ascritto, responsabilita' che d'altronde
non e' contestata neppure nell'atto di appello (che censura solo il
profilo della sostituzione dell'ammenda con l'espulsione dal
territorio nazionale), per cui si dovrebbe confermare sul punto la
condanna pronunciata in primo grado.
Di qui la rilevanza della questione circa la natura di reato o
piuttosto di illecito amministrativo del fatto in contestazione.
1.3 Con la questione qui sollevata in via principale si chiede
alla Corte costituzionale di dichiarare l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 4, decreto legislativo n. 8/2016
nella parte in cui prevede che la disposizione del comma 1 dello
stesso art. 1 decreto legislativo n. 8/2016 non si applichi ai reati
di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
Ove la questione fosse accolta, la norma dell'art. 1, comma 1,
decreto legislativo n. 8/2016 - secondo cui «Non costituiscono reato
e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una
somma di denaro tutte le violazioni per le quali e' prevista la sola
pena della multa o dell'ammenda» - troverebbe quindi applicazione
anche ai reati di cui al decreto legislativo n. 286/1998 e in
particolare al fatto ora in contestazione di cui all'art. 10-bis
decreto legislativo n. 286/1998.
La sanzione per l'illecito di ingresso e soggiorno illegale nel
territorio dello Stato verrebbe quindi ad essere disciplinata
dall'art. 1, comma 5, decreto legislativo n. 8/2016 secondo cui «La
sanzione amministrativa pecuniaria, di cui al primo comma, e' cosi'
determinata: a) da euro 5.000 a euro 10.000 per i reati puniti con la
multa o l'ammenda non superiore nel massimo a euro 5.000; b) da euro
5.000 a euro 30.000 per i reati puniti con la multa o l'ammenda non
superiore nel massimo a euro 20.000; c) da euro 10.000 a euro 50.000
per i reati puniti con la multa o l'ammenda superiore nel massimo a
euro 20.000».
In definitiva, ove la questione fosse accolta, questo giudice
dovrebbe ai sensi dell'art. 9 decreto legislativo n. 8/2016, in
riforma della sentenza di primo grado, pronunciare sentenza di
assoluzione perche' il fatto non e' piu' previsto dalla legge come
reato e disporre la trasmissione degli atti all'autorita'
amministrativa competente.
E' bene osservare che la depenalizzazione del reato sarebbe
rilevabile dal giudice anche d'ufficio. Il principio e' affermato in
modo costante dalla giurisprudenza di legittimita' (cfr. Cassazione
sez. 5, sentenza n. 1787 del 22 settembre 2016 Rv. 268753-01,
Cassazione sez. 5, sentenza n. 27821 del 19 aprile 2017 Rv. 270378 -
01, Cassazione sez. 5, sentenza n. 39764 del 29 maggio 2017 Rv.
271850 - 01; Cassazione sez. 5, sentenza n. 21923 del 3 aprile 2018
Ud. Rv. 273191 - 01; Cassazione sez. 2 - , sentenza n. 48552 del 10
settembre 2018 Rv. 274241 - 01), al cui interno le pronunzie si
distinguono solo con riguardo alla rilevabilita' o meno anche nel
caso di inammissibilita' dell'impugnazione per alcune specifiche
cause: pare preferibile l'orientamento secondo cui
«L'inammissibilita' del ricorso per cassazione per qualunque causa
verificatasi non impedisce la possibilita' di dichiarare la
depenalizzazione del reato nel frattempo intervenuta» (in questo
senso, tra le altre, Cassazione sez. 5, sentenza n. 1787 del 22
settembre 2016 Rv. 268753 - 01, relativa proprio ad un reato
depenalizzato dal decreto legislativo n. 8/2016); in ogni caso, nel
presente procedimento detta distinzione non rileva posto che non
ricorrono cause d'inammissibilita' dell'appello.
Spetterebbe poi all'autorita' amministrativa il compito di dare
attuazione al disposto - ispirato al principio di legalita',
considerata la natura comunque punitiva dell'illecito amministrativo
- di cui all'art. 8, comma 3, decreto legislativo n. 8/2016 secondo
cui «Ai fatti commessi prima della data di entrata in vigore del
presente decreto non puo' essere applicata una sanzione
amministrativa pecuniaria per un importo superiore al massimo della
pena originariamente inflitta per il reato, tenuto conto del criterio
di ragguaglio di cui all'art. 135 del codice penale».
1.4 Ad analogo esito questo giudice dovrebbe giungere qualora
fosse accolta la questione sollevata in via subordinata, con la quale
si chiede alla Corte costituzionale di dichiarare l'illegittimita'
costituzionale dell'art. l decreto legislativo n. 7/2016 nella parte
in cui non prevede l'abrogazione, trasformandolo in illecito
amministrativo, del reato previsto dall'art. 10-bis decreto
legislativo n. 25 luglio 1998, n. 286.
Ove detta questione fosse accolta, questo giudice, in riforma
della pronuncia di primo grado, dovrebbe pronunciare sentenza di
assoluzione perche' il fatto non e' previsto dalla legge come reato.
L'applicazione della sanzione amministrativa non rientrerebbe
nella competenza di questo giudice, per cui l'entita' della sanzione
non e' strettamente rilevante ai fini del presente processo (si
ritiene comunque che la previsione piu' ragionevole - in assenza di
altri parametri di riferimento nell'ambito del decreto legislativo n.
7/2016 - sarebbe quella di una sanzione amministrativa pecuniaria
compresa tra euro 5.000 ed euro 10.000).
2. Non manifesta infondatezza: la violazione dell'art. 76 Cost.
2.0 Questo giudice sospetta dell'illegittimita' costituzionale,
per violazione dell'art. 76 Cost., dell'art. 1 comma 4 decreto
legislativo n. 8/2016 nella parte in cui prevede che la disposizione
dell'art. l, comma 1, decreto legislativo n. 8/2016 non si applichi
ai reati di cui al decreto legislativo n. 286/1998, nonche' dell'art.
1 decreto legislativo n. 7/2016 nella parte in cui non prevede
l'abrogazione, trasformandolo in illecito amministrativo, del reato
previsto dall'art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998.
Le due questioni presentano significativi profili di analogia;
quindi - per quanto sollevate la prima in via principale, la seconda
in via subordinata - verranno trattate congiuntamente nell'ambito del
presente paragrafo.
Occorre infine premettere che una questione per certi versi
simile e' stata sollevata dal giudice di pace di Macerata con
ordinanza del 5 dicembre 2017, ma la stessa e' stata dichiarata
manifestamente inammissibile con ordinanza della Corte costituzionale
n. 64 del 2019 per vizi inerenti alla descrizione della fattispecie
concreta e alla motivazione circa la rilevanza; lo scrutinio del
merito della questione e' risultato quindi precluso alla Corte.
2.1 La legge 28 aprile 2014 n. 67 - nell'ambito di una piu' ampia
riforma ispirata ad una logica di ricorso minimo al diritto penale e
di razionalizzazione del sistema giustizia - all'art. 2 comma 1
delegava il Governo «ad adottare, entro i termini e con le procedure
di cui ai commi 4 e 5, uno o piu' decreti legislativi per la riforma
della disciplina sanzionatoria dei reati e per la contestuale
introduzione di sanzioni amministrative e civili, in ordine alle
fattispecie e secondo i principi e criteri direttivi specificati nei
commi 2 e 3».
I successivi comma 2 e 3 delineavano poi differenti principi e
criteri direttivi in relazione alla riforma della disciplina
sanzionatoria delle fattispecie previste nell'ambito dei due singoli
commi sopra specificati.
2.2 In particolare l'art. 2 comma 2 cosi' recitava:
«La riforma della disciplina sanzionatoria nelle fattispecie
di cui al presente comma e' ispirata ai seguenti principi e criteri
direttivi:
a) trasformare in illeciti amministrativi tutti i reati per
i quali e' prevista la sola pena della multa o dell'ammenda, ad
eccezione delle seguenti materie:
1) edilizia e urbanistica;
2) ambiente, territorio e paesaggio;
3) alimenti e bevande;
4) salute e sicurezza nei luoghi di lavoro;
5) sicurezza pubblica;
6) giochi d'azzardo e scommesse;
7) armi ed esplosivi;
8) elezioni e finanziamento ai partiti;
9) proprieta' intellettuale e industriale;
b) [...];
c) [...];
d) [...];
e) prevedere, per i reati trasformati in illeciti
amministrativi, sanzioni adeguate e proporzionate alla gravita' della
violazione, alla reiterazione dell'illecito, all'opera svolta
dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle sue conseguenze,
nonche' alla personalita' dello stesso e alle sue condizioni
economiche; prevedere come sanzione principale il pagamento di una
somma compresa tra un minimo di euro 5.000 ed un massimo di euro
50.000; prevedere, nelle ipotesi di cui alle lettere b) e d),
l'applicazione di eventuali sanzioni amministrative accessorie
consistenti nella sospensione di facolta' e diritti derivanti da
provvedimenti dell'amministrazione;
f) indicare, per i reati trasformati in illeciti
amministrativi, quale sia l'autorita' competente ad irrogare le
sanzioni di cui alla lettera e), nel rispetto dei criteri di riparto
indicati nell'art. 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689;
g) prevedere, per i casi in cui venga irrogata la sola
sanzione pecuniaria, la possibilita' di estinguere il procedimento
mediante il pagamento, anche rateizzato, di un importo pari alla
meta' della stessa».
2.3 Il successivo comma 3 dell'art. 2 (legge n. 67/2014) cosi'
recitava:
«La riforma della disciplina sanzionatoria nelle fattispecie
di cui al presente comma e' ispirata ai seguenti principi e criteri
direttivi:
a) abrogare i reati previsti dalle seguenti disposizioni
del codice penale [...];
b) abrogare, trasformandolo in illecito amministrativo, il
reato previsto dall'art. 10-bis del testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione
dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.
286, conservando rilievo penale alle condotte di violazione dei
provvedimenti amministrativi adottati in materia;
c) fermo il diritto al risarcimento del danno, istituire
adeguate sanzioni pecuniarie civili in relazione ai reati di cui alla
lettera a);
d) prevedere una sanzione pecuniaria civile che, fermo
restando il suo carattere aggiuntivo rispetto al diritto al
risarcimento del danno dell'offeso, indichi tassativamente:
1) le condotte alle quali si applica;
2) l'importo minimo e massimo della sanzione;
3) l'autorita' competente ad irrogarla;
e) prevedere che le sanzioni pecuniarie civili relative
alle condotte di cui alla lettera a) siano proporzionate alla
gravita' della violazione, alla reiterazione dell'illecito,
all'arricchimento del soggetto responsabile, all'opera svolta
dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle sue conseguenze,
nonche' alla personalita' dello stesso e alle sue condizioni
economiche».
2.4 In definitiva, sia il secondo comma sia il terzo comma
dell'art. 2, legge n. 67/2014 prevedevano - con tecniche diverse -
che il legislatore delegato depenalizzasse il reato ex art. 10-bis
decreto legislativo n. 286/1998: l'art. 2 comma 2 prevedendo alla
lettera a) in via generale la trasformazione in illeciti
amministrativi di tutti i reati per i quali era prevista la sola pena
pecuniaria (per il reato ex art. 10-bis decreto legislativo n.
286/1998 e' prevista la sola pena dell'ammenda da 5.000 euro a 10.000
euro) e facendo salve alcune materie tra le quali non e' compresa
quella dell'immigrazione; l'art. 2 comma 3 prevedendo espressamente
alla lettera b) l'abrogazione, con trasformazione in illecito
amministrativo, del reato previsto dall'art. 10-bis decreto
legislativo n. 286/1998, conservando viceversa rilievo penale alle
condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in
materia.
2.5 Il Governo disattendeva i citati principi direttivi tanto nel
decreto legislativo n. 8/2016, con cui dava attuazione alla delega di
cui all'art. 2 legge n. 67/2014 con riguardo al citato comma 2,
quanto nel decreto legislativo n. 7/2016, con cui viceversa dava
attuazione alla delega in relazione all'art. 2, comma 3.
2.5.1 In particolare il decreto legislativo n. 8/2016 all'art. 1
comma 1, ricalcando il testo dell'art. 2, comma 2, lettera a), legge
n. 67/2014, prevedeva che «Non costituiscono reato e sono soggette
alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro
tutte le violazioni per le quali e' prevista la sola pena della multa
o dell'ammenda».
Lo stesso art. 1 al successivo comma 3 escludeva dall'ambito
applicativo della citata depenalizzazione i reati previsti dal codice
penale (in ossequio a quanto previsto dall'art. 2, comma 2, lettera
a, legge n. 67/2014 e fatto salvo quanto poi previsto dal successivo
art. 2 decreto legislativo n. 8/2016) e i reati compresi nell'elenco
allegato allo stesso decreto legislativo (di cui alle materie oggetto
di espressa eccezione da parte dell'art. 2, comma 2, lettera a, legge
n. 67/2014: edilizia e urbanistica; ambiente, territorio e paesaggio;
alimenti e bevande; salute e sicurezza nei luoghi di lavoro;
sicurezza pubblica; giochi d'azzardo e scommesse; armi ed esplosivi;
elezioni e finanziamento ai partiti; proprieta' intellettuale e
industriale).
Il successivo quarto comma dell'art. 1 decreto legislativo n.
8/2016 introduceva un ulteriore eccezione all'ambito applicativo
della depenalizzazione: «La disposizione del comma 1 non si applica
ai reati di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286». A
differenza di quelle previste al precedente comma 3 si tratta pero'
di un'eccezione che non era contemplata nella legge delega e che anzi
- come si vedra' - contraddice il percorso dei lavori parlamentari
che avevano condotto all'approvazione della legge n. 67/2014.
La relazione di accompagnamento alle Camere, per l'espressione
del previsto parere, dello schema di decreto legislativo (Atto di
Governo n. 245) cosi' motivava la scelta di non procedere alla
depenalizzazione del reato ex art. 10-bis decreto legislativo n.
286/1998 (e di due ulteriori reati): «le ragioni politiche sottese
alla scelta di non attuare le direttive di depenalizzazione in
riguardo ai sopra menzionati reati sono di agevole comprensione: si
tratta di fattispecie che intervengono su materia "sensibile" per gli
interessi coinvolti, in cui lo strumento penale appare come
indispensabile per la migliore regolazione del conflitto con
l'ordinamento innescato dalla commissione della violazione».
Considerazioni simili erano poi svolte nella relazione
illustrativa del decreto legislativo n. 8/2016.
2.5.2 Analogamente il decreto legislativo n. 7/2016 - pur dando
attuazione alla delega con riguardo alle previsioni dell'art. 2,
comma 3, legge n. 67/2014 nel cui ambito alla lettera b) era prevista
espressamente tra i principi e criteri direttivi l'abrogazione con
trasformazione in illecito amministrativo, del reato ex art. 10-bis
decreto legislativo n. 286/1998 - ometteva ogni riferimento a tale
reato.
2.6 Ad avviso di chi scrive il Governo in entrambi i decreti
legislativi ha violato i principi e criteri direttivi fissati dalla
legge delega: nel decreto legislativo n. 8/2016 con riguardo all'art.
2, comma 2, lettera a), legge n. 67/2014 e nel decreto legislativo n.
7/2016 con riguardo all'art. 2, comma 3, lettera b), legge n.
67/2014.
2.7 Il Legislatore delegato nella citata relazione di
accompagnamento dello schema di decreto legislativo (che sarebbe
diventato il decreto legislativo n. 8/2016) nella dichiarata
consapevolezza dei possibili dubbi di illegittimita' costituzionale
ha cercato di fugarli sostenendo che «ciascuna previsione di
depenalizzazione ha autonomia strutturale rispetto all'intero
contesto di prescrizioni impartite al legislatore delegato. Questi,
pertanto, nel momento in cui ritiene di svolgere una precisa opzione
di opportunita' politica, non esercitando la delega in riguardo ad
uno o piu' dei reati oggetto delle previsioni di depenalizzazione,
da' luogo ad un parziale recepimento della stessa, per esercizio
frazionato del potere devolutogli che non intacca la conformita' alle
direttive nella parte in cui, invece, la delega e' attuata».
La Commissione giustizia della Camera, nel formulare il proprio
parere sullo schema di decreto legislativo, condivideva l'assunto
secondo cui si sarebbe trattato non di violazione dei principi di
delega, bensi' di mancato esercizio della delega su uno specifico
punto; esprimeva comunque parere favorevole a condizione che fosse
trasformato in illecito amministrativo il reato previsto dall'art.
10-bis decreto legislativo n. 286/1998, secondo quanto previsto dalla
legge delega.
Il decreto legislativo n. 8/2016, come si e' gia' sottolineato,
non procedeva comunque alla citata depenalizzazione (1)
2.8 La tesi sostenuta dal Legislatore delegato non pare
persuasiva.
Nel caso in esame, infatti, non viene in rilievo un mancato
esercizio della delega ne' un esercizio solo parziale della stessa,
cio' che «non comporta di per se' violazione degli articoli 76 e 77
della Costituzione (sentenze n. 218 del 1987 e n. 41 del 1975), salvo
che cio' non determini uno stravolgimento della legge di delegazione»
(sentenza della Corte costituzionale n. 149 del 2005).
A venire in rilievo e' viceversa la violazione di uno specifico
principio e criterio direttivo fissato dalla legge delega, quello di
cui all'art. 2, comma 2, lettera a), legge n. 67/2014.
2.9 Al fine di valutare la conformita' del decreto legislativo al
parametro interposto di costituzionalita' costituito dalla legge
delega, «e' richiesto lo svolgimento di un duplice processo
ermeneutico, condotto in parallelo: l'uno, concernente la norma che
determina l'oggetto, i principi e i criteri direttivi della delega;
L'altro, relativo alla norma delegata, da interpretare nel
significato compatibile con questi ultimi. Nel determinare il
contenuto della delega si deve tenere conto del complessivo contesto
normativo nel quale si inseriscono la legge delega e i relativi
principi e criteri direttivi, nonche' delle finalita' che la
ispirano, che costituiscono non solo la base e il limite delle norme
delegate, ma anche gli strumenti per l'interpretazione della loro
portata» (sentenza n. 153 del 2014).
Nel caso in esame l'attenzione si deve concentrare in particolare
sulla legge delega, piu' agevole essendo l'interpretazione del
decreto delegato.
2.10 Un primo argomento nel senso che la depenalizzazione dei
reati in materia di immigrazione puniti con la sola pena pecuniaria
costituisse uno dei principi e criteri direttivi fissati dalla legge
n. 67/2014 si ricava dal tenore letterale della legge delega. E'
infatti l'art. 2, comma 2, legge n. 67/2014 a qualificare
espressamente come «principi e criteri direttivi» le indicazioni date
nel successivo elenco, tra cui - alla lettera a) - la trasformazione
in illeciti amministrativi di tutti i reati puniti con la sola pena
pecuniaria, ad eccezione di quelli di cui alle materie ivi enumerate
(tra le quali non figura quella dell'immigrazione).
2.11 Che si tratti di violazione di un principio e criterio
direttivo emerge anche da un'ulteriore considerazione, di ordine
logico-concettuale: il legislatore delegato non ha omesso di
esercitare in parte la delega, ma ha esercitato compiutamente la
stessa in relazione all'art. 2, comma 2, legge n. 67/2014, prevedendo
all'art. 1, comma 1, decreto legislativo n. 8/2016 la trasformazione
in illeciti amministrativi di tutti i reati puniti con la sola pena
pecuniaria - cosi' ricalcando il testo dell'art. 2, comma 2, lettera
a) - salvo introdurre arbitrariamente un'eccezione ulteriore (la
materia dell'immigrazione) rispetto a quelle previste dalla legge
delega.
2.12 Utili elementi si traggono altresi' dai lavori preparatori
della legge delega.
Per la parte in esame la legge delega traeva origine dal disegno
di legge A.S. 110, d'iniziativa dei senatori Palma e Caliendo, che
prevedeva all'art. 2 lettera a) la trasformazione in illeciti
amministrativi di tutti i reati per i quali era prevista la sola pena
della multa o dell'ammenda, ad eccezione delle materie ivi elencate,
tra le quali - al n. 3) - figurava quella dell'immigrazione.
In Commissione in sede referente il disegno di legge in questione
era congiunto ad altri disegni di legge aventi la medesima logica
ispiratrice, vale a dire l'attuazione del principio del ricorso
minimo al diritto penale e la razionalizzazione e accelerazione dei
tempi del processo penale; in particolare era assunto a testo base il
disegno di legge 925 (d'iniziativa della deputata Ferranti piu'
altri). Nel testo del ddl 925 confluiva attraverso l'emendamento
1.0.100 il testo del ddl 110.
Nel corso della seduta del 9 ottobre 2013, tuttavia, era
approvato il subemendamento 1.0.100/5 che prevedeva - nell'ambito
dell'emendamento 1.0.100 - la soppressione, al comma 2 lettera a),
del numero 3). La materia dell'immigrazione era cioe' eliminata
dall'elenco di materie per le quali non doveva operare la
trasformazione in illecito amministrativo dei reati puniti con la
sola pena pecuniaria. Lo stesso subemendamento 1.0.100/5 prevedeva
inoltre che al comma 3, dopo la lettera a), fosse prevista
l'abrogazione dei reati previsti dall'art. 10-bis) decreto
legislativo n. 286/1998.
Nel corso del successivo dibattito assembleare ampio spazio era
dedicato alla depenalizzazione/abolizione dei reati in materia di
immigrazione.
Dai resoconti stenografici si evince come il punto in questione
avesse assunto un'importanza essenziale nell'ambito della delega al
Governo, sia sul piano strettamente contenutistico, sia su quello del
risalto immediato da dare o meno all'abolizione/depenalizzazione del
reato di cui all'art. 10-bis) decreto legislativo n. 286/1998.
Era infatti espressamente evidenziato - a piu' riprese (si vedano
tra gli altri, gli interventi del senatore Palma, presentatore del
ddl 110, (2) e del senatore Casson, relatore di maggioranza (3) ) -
che l'eliminazione operata in Commissione della materia
dell'immigrazione dall'elenco delle materie oggetto di esclusione da
parte dell'art. 2, comma 2, lett. a) rendeva ultronea un'espressa
previsione - all'art. 2, comma 3, lettera b) - concernente il reato
di cui all'art. 10-bis) decreto legislativo n. 286/1998.
Ciononostante, si decideva di mantenere in vita entrambe le
previsioni e - nell'ambito della seduta del 21 gennaio 2014 - era
approvato l'emendamento 2.800 presentato dal Governo, per effetto del
quale all'art. 2, comma 3, lettera b), si prevedeva l'abrogazione,
con trasformazione in illecito amministrativo, del reato ex art.
10-bis decreto legislativo n. 286/1998, fatto salvo il rilievo penale
delle condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi
adottati in materia.
Da tale ricostruzione emerge, in definitiva, come il tema della
depenalizzazione del reato ex art. 10-bis decreto legislativo n.
286/1998 sia stato uno di quelli piu' centrali nell'ambito della
discussione assembleare e avesse assunto una valenza essenziale
nell'economia della legge delega.
2.13 Del resto, la depenalizzazione del reato in questione (e
degli altri reati in materia di immigrazione puniti con la sola pena
pecuniaria) rispondeva perfettamente alla logica ispiratrice
dell'intera legge n. 67/2014, vale a dire l'attuazione del principio
del ricorso minimo al diritto penale e la razionalizzazione e
accelerazione dei tempi del processo penale.
Come sottolineato in vari interventi nel corso del dibattito
parlamentare (4) , la previsione come reato dei fatti di cui all'art.
10-bis decreto legislativo n. 286/1998 appariva unicamente come una
fonte di aggravi per gli uffici giudiziari: da tempo la dottrina e i
pratici delle aule di Tribunale avevano infatti evidenziato che
l'espulsione dello straniero irregolare sul territorio poteva essere
eseguita anche in via amministrativa e che le ammende previste per
tale reato erano destinate a rimanere solo sulla carta (5) .
2.14 Puo' giovare infine richiamare quanto osservato dalla Corte
costituzionale nella sentenza n. 223/2019.
Il giudice rimettente lamentava che - in violazione dei principi
e criteri direttivi della legge delega n. 103/2017 (6) - il
legislatore delegato con il decreto legislativo n. 36/2018 non avesse
previsto la procedibilita' a querela per il reato di lesioni
personali stradali di cui all'art. 590-bis, comma 1, c.p., pur punito
con una pena compresa nella forbice edittale per la quale il
legislatore delegante aveva previsto l'introduzione della condizione
di procedibilita' della querela.
L' Avvocatura dello Stato, intervenendo, eccepiva
l'inammissibilita' della questione ritenendo che il giudice a quo,
dolendosi di un «eccesso di delega in minus», avesse omesso di
considerare il margine di discrezionalita' spettante al Governo
nell'esercizio della delega.
La Corte, prima di esaminare il merito della questione (che
avrebbe poi ritenuto non fondata), rilevava:
«il giudice rimettente non lamenta qui un mancato esercizio
della delega da parte del legislatore, ne' un suo parziale esercizio:
ipotesi, queste, che secondo la costante giurisprudenza di questa
Corte possono si' determinare una responsabilita' politica del
Governo verso il Parlamento, ma non una violazione dell'art. 76
Cost., a meno che il mancato parziale esercizio della delega stessa
non comporti uno stravolgimento della legge di delegazione (sentenze
n. 304 del 2011, n. 149 del 2005, n. 218 del 1987, n. 8 del 1977 e n.
41 del 1975; ordinanze n. 283 del 2013 e n. 257 del 2005).
Il giudice a quo lamenta, invece, la non corretta osservanza di
uno specifico criterio di delega - quello di cui all'art. 1, comma
16, lettera a), della legge n. 103 del 2017 - che il Governo ha
deciso di esercitare mediante il decreto legislativo n. 36 del 2018,
che ha per l'appunto previsto la procedibilita' a querela di una
serie di delitti contro la persona e contro il patrimonio previsti
dal codice penale e puniti con pena detentiva non superiore a quattro
anni. Nell'esercitare tale delega, il Governo avrebbe - nella
prospettiva del rimettente - arbitrariamente omesso di prevedere la
procedibilita' a querela del delitto di cui all'art. 590-bis, primo
comma, codice penale, anche se tale delitto prevede pene detentive
inferiori nel massimo al limite di quattro anni indicato dalla legge
delega, e nonostante non ricorra - secondo il giudice a quo - alcuna
delle ipotesi eccezionali nelle quali doveva, in base al citato art.
1, comma 16, lettera a), della legge n. 103 del 2017, conservarsi la
regola previgente della procedibilita' d'ufficio.
Come e' accaduto nella recente sentenza n. 127 del 2017, la Corte
e' dunque chiamata a valutare se il Governo, nell'esercitare in parte
qua la delega conferitagli dal Parlamento, abbia o meno errato nel
dare applicazione ai principi e ai criteri direttivi il cui rispetto
condiziona, in forza dell'art. 76 Cost., la legittimita'
costituzionale del decreto legislativo.
Ove risultasse che il Governo abbia interpretato e applicato in
maniera non corretta il criterio di delega in parola, e abbia quindi
indebitamente omesso di prevedere la procedibilita' a querela del
delitto di cui all'art. 590-bis, primo comma, codice penale, tale
omissione si risolverebbe in una violazione dell'art. 76 Cost.: non
diversamente, del resto, da cio' che accadrebbe ove il Governo avesse
previsto la procedibilita' a querela di un'ipotesi delittuosa che,
secondo le indicazioni del legislatore delegato, doveva invece
restare procedibile d'ufficio.»
Ebbene, la vicenda ora in esame pare porre una problematica
simile, suscettibile di essere risolta secondo lo stesso percorso
logico descritto dalla Corte costituzionale nella citata sentenza e
sopra riportato. In quel caso il criterio di delega era quello di
prevedere la procedibilita' a querela per i reati contro la persona
puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale
detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o
alternativa alla pena pecuniaria, fatte salve talune eccezioni ivi
elencate; in questo caso il criterio di delega e' quello di prevedere
la trasformazione in illeciti amministrativi di tutti i reati puniti
con la sola pena edittale pecuniaria, fatte salve talune eccezioni
ivi elencate.
2.15 In via subordinata, si chiede alla Corte costituzionale di
di dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, decreto
legislativo n. 7/2016 - nella parte in cui non prevede l'abrogazione,
trasformandolo in illecito amministrativo, del reato previsto
dall'art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998 - per violazione del
criterio di delega di cui all'art. 2, comma 3, lettera b), legge n.
67/2014 e quindi dell'art. 76 Cost.
Al riguardo, si deve rilevare che il Governo ha proceduto alla
trasformazione di numerosi reati in illeciti amministrativi con il
decreto legislativo n. 8/2016, ma quest'ultimo aveva particolare
riguardo all'art. 2, comma 2, legge n. 67/2014 (espressamente
citato); era viceversa con il decreto legislativo n. 7/2016 che il
Governo dava attuazione alla delega ricevuta in relazione all'art. 2,
comma 3, legge n. 67/2014.
Quindi, benche' la materia della depenalizzazione del reato ex
art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998 sia piu' affine al
contenuto del decreto legislativo n. 8/2016 (il decreto legislativo
n. 7/2016 si occupa invece di abrogare talune norme incriminatrici e
di prevedere per i fatti ivi gia' previsti delle sanzioni pecuniarie
civili), si reputa piu' corretto individuare il provvedimento da
censurare nel decreto legislativo n. 7/2016 ed in particolare nel
relativo art. 1 che ha previsto l'abrogazione di alcune norme
incriminatrici.
2.16 Valgono, con riguardo al vizio qui denunciato,
considerazioni analoghe a quelle sopra esposte con riguardo al
decreto legislativo n. 8/2016 in relazione all'art. 2, comma 2,
lettera a), legge n. 67/2014.
Il Legislatore delegato non si e' limitato a esercitare solo in
parte la delega ricevuta, ma ha esercitato la delega violando uno
specifico principio e criterio direttivo, dal significato letterale
inequivoco e la cui importanza emergeva chiaramente dai lavori
preparatori della legge delega.
2.17 Qualora fosse accolta tale questione subordinata, ad avviso
di questo giudice occorrerebbe in via consequenziale dichiarare
l'illegittimita' costituzionale altresi' dell'art. 10-bis decreto
legislativo n. 286/1998 nella parte in cui prevede la pena
dell'ammenda da 5.000 a 10.000 euro anziche' la sanzione
amministrativa da 5.000 a 10.000 euro.
Quanto alla cornice della sanzione pecuniaria, la stessa viene
individuata nel range tra 5.000 euro e 10.000 euro e non in quello
tra 5.000 euro e 30.000 euro (previsto dall'art. l, comma 5, decreto
legislativo n. 8/2016) in ragione del fatto che il criterio di delega
di cui all'art. 2, comma 2, lettera e), legge n. 67/2014 (di cui il
citato art. 1, comma 5, decreto legislativo n. 8/2016 ha costituito
attuazione) ha riguardo per l'appunto alla depenalizzazione prevista
dall'art. 2, comma 2, legge n. 67/2014 e non pare poter trovare
applicazione con riguardo all'attuazione dell'art. 2, comma 3, legge
n. 67/2014.
In mancanza di altro parametro, pare quindi potersi mantenere la
cornice edittale gia' prevista dall'art. 10-bis decreto legislativo
n. 286/1998, fatta salva la natura amministrativa pecuniaria della
sanzione anziche' penale.
2.18 Tanto con riguardo al decreto legislativo n. 8/2016
(censurato in via principale) quanto con riguardo al decreto
legislativo n. 7/2016 (censurato in via subordinata), non pare
possibile un'interpretazione conforme.
Il testo dei due provvedimenti non e' infatti interpretabile in
modo compatibile con i due criteri di delega fissati dall'art. 2,
comma 2, lettera a) e dall'art. 2, comma 3, lettera b), legge n.
67/2014.
(1) Cosi' la relazione illustrativa: «Nonostante la condizione posta
dalla Commissione giustizia della Camera dei deputati non si
ritiene di esercitare la delega anche con riferimento al reato di
cui all'art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.
286. Ribadita l'argomentazione sopra esposta sulla assenza di
infedelta' alla delega, le ragioni politiche sottese alla scelta
di non attuare le direttive di depenalizzazione vanno parimenti
ricercate nel carattere particolarmente sensibile degli interessi
coinvolti dalle fattispecie in esame: per tali materie, in
assenza di un intervento sistematico di piu' ampio respiro, lo
strumento repressivo penale appare, invero, indispensabile ai
fini della composizione del conflitto innescato dalla commissione
dell'illecito».
(2) Seduta del 16 gennaio 2014, pag. 13 del resoconto stenografico.
(3) Seduta del 21 gennaio 2014, pag. 89 del resoconto stenografico.
(4) Si vedano in particolare gli interventi del senatore Buccarella
(primo presentatore in Commissione referente del subemendamento
1.0.100/5, che aveva incontrato il parere favorevole del relatore
di maggioranza e, una volta approvato, aveva comportato nel testo
proposto dalla commissione l'eliminazione della materia
dell'immigrazione dall'elenco delle materie escluse dalla
depenalizzazione e la previsione espressa nel comma 3
dell'abrogazione del reato ex art. 10-bis decreto legislativo n.
286/1998) e del senatore Buemi (nel corso della seduta del 21
gennaio 2014, rispettivamente a pag. 101 e 103 del resoconto
stenografico).
(5) Si tratta in sostanza dei motivi che sono stati anche posti a
base delle questioni di costituzionalita' dell'art. 10-bis
decreto legislativo n. 286/1998 sotto il profilo della violazione
del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., che la
Corte costituzionale - allorche' e' giunta a vagliare il merito
della questione - ha ritenuto non sussistente, trattandosi di
aspetti attinenti ad una valutazione di politica criminale e
giudiziaria rientrante nella discrezionalita' del legislatore non
sindacabile dalla Corte. Cosi la sentenza n. 250 del 2010: «e'
ben vero, in effetti, che le condotte che integrano il reato di
cui si discute, costituendo nel contempo violazioni della
disciplina sull'ingresso e il soggiorno dello straniero nello
Stato, erano e restano sanzionate, in via amministrativa, con
l'espulsione disposta dal prefetto ai sensi dell'art. 13, comma
2, del decreto legislativo n. 286 del 1998: onde si riscontra una
sovrapposizione - tendenzialmente completa - della disciplina
penale a quella amministrativa. E' altrettanto vero che, alla
luce della complessiva configurazione della norma in esame, il
legislatore mostra di considerare l'applicazione della sanzione
penale come un esito "subordinato" rispetto alla materiale
estromissione dal territorio nazionale dello straniero ivi
illegalmente presente. [...] Tale assetto normativo - che trova
la sua ratio precipuamente <<nel diminuito interesse dello Stato
alla punizione di soggetti ormai estromessi dal proprio
territorio>> [...] non comporta ancora, tuttavia, che il
procedimento penale per il reato in esame sia destinato, a
priori, a rappresentare un mero "duplicato" del procedimento
amministrativo di espulsione (di norma, per giunta, piu' celere):
e cio', a tacer d'altro, per la ragione che - come l'esperienza
attesta - in un largo numero di casi non e' possibile, per la
pubblica amministrazione, dare corso all'esecuzione dei
provvedimenti espulsivi. La stessa sostituzione della pena
pecuniaria con la misura dell'espulsione da parte del giudice -
configurata, peraltro, dall'art. 16, comma 1, del decreto
legislativo n. 286 del 1998 come soltanto discrezionale (<<puo>>)
- resta espressamente subordinata alla condizione che non
ricorrano le situazioni che, ai sensi dell'art. 14, comma 1, del
medesimo decreto legislativo, impediscono l'esecuzione immediata
dell'espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della
forza pubblica (necessita' di procedere al soccorso dello
straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua
identita' o nazionalita', all'acquisizione di documenti per il
viaggio, ovvero indisponibilita' di vettore o di altro mezzo di
trasporto idoneo). E' pure difficilmente contestabile, per altro
verso, che - come da piu' parti criticamente rimarcato - la pena
dell'ammenda, applicabile nei casi di mancata esecuzione (o
eseguibilita' immediata) dell'espulsione, presenti una ridotta
capacita' dissuasiva: e cio', a fronte della condizione di
insolvibilita' in cui assai spesso (ma, comunque, non
indefettibilmente) versa il migrante irregolare e della
difficolta' di convertire la pena rimasta ineseguita in lavoro
sostitutivo o in obbligo di permanenza domiciliare (art. 55 del
decreto legislativo n. 274 del 2000), stante la problematica
compatibilita' di tali misure con la situazione personale del
condannato, spesso privo di fissa dimora e che, comunque, non
puo' risiedere legalmente in Italia. Simili valutazioni - al pari
di quella attinente, piu' in generale, al rapporto fra "costi e
benefici" connessi all'introduzione della nuova figura criminosa,
rapporto secondo molti largamente deficitario (tanto piu' in un
sistema che gia' prevede, in caso di mancata esecuzione immediata
dell'espulsione, l'ordine di allontanamento del questore, che
innesca la piu' energica tutela penale predisposta dall'art. 14,
comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286 del 1998) -
attengono, tuttavia, all'opportunita' della scelta legislativa su
un piano di politica criminale e giudiziaria: piano di per se'
estraneo al sindacato di costituzionalita'».
(6) Art. 1 comma 16: Il Governo e' delegato ad adottare, nel termine
di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge,
decreti legislativi per la modifica della disciplina del regime
di procedibilita' per taluni reati e delle misure di sicurezza
personali e per il riordino di alcuni settori del codice penale,
secondo i seguenti principi e criteri direttivi: a) prevedere la
procedibilita' a querela per i reati contro la persona puniti con
la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva
non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o
alternativa alla pena pecuniaria, fatta eccezione per il delitto
di cui all'art. 610 del codice penale, e per i reati contro il
patrimonio previsti dal codice penale, salva in ogni caso la
procedibilita' d'ufficio qualora ricorra una delle seguenti
condizioni: 1) la persona offesa sia incapace per eta' o per
infermita'; 2) ricorrano circostanze aggravanti ad effetto
speciale ovvero le circostanze indicate nell'art. 339 del codice
penale; 3) nei reati contro il patrimonio, il danno arrecato alla
persona offesa sia di rilevante gravita'; [...]