CORTE D'APPELLO DI MILANO Seconda sezione civile La Corte in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott.ssa Maria Caterina Chiulli - Presidente; dott. Carlo Maddaloni - Consigliere; dott. Andrea Francesco Pirola - Consigliere Relatore; Nel procedimento in epigrafe promosso dal Ministero della giustizia in persona del Ministro pro tempore (C.F. 80184430587) in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano (c.f. 97021490152), con domicilio negli uffici di quest'ultima in Milano, via Freguglia n. 1, e presso la quale devono essere inviate le comunicazioni di cancelleria, al numero di fax 02/5468004 ovvero all'indirizzo p.e.c. ads.mi@mailcert.avvocaturastato.it - opponente/ricorrente contro O. D. K. J. D. D., nato in il e residente in alla via , cod. fisc.: , elettivamente domiciliato in Telese Terme (BN) alla via Roma n. 85, presso lo studio dell'Avv. Gianluca De Vincentis (cod. fisc.: DVNGLC86H08A783X), che lo rappresenta e difende giusta mandato in calce al ricorso, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e notificazioni relative al presente procedimento all'indirizzo P.E.C. avvdevincentisgianluca@pec.giuffre.it o al numero di fax 0824/811181 - opposto/resistente; Ha emesso la seguente ordinanza. 1. O. D. K. J. D. D. ha proposto domanda di equa riparazione per l'ingiustificata durata del primo grado di giudizio del procedimento regolato dall'art. 35-bis del decreto legislativo n. 25/2008 e successive modifiche. Con ricorso depositato in data 5 dicembre 2018, aveva chiesto il riconoscimento della protezione internazionale e, in subordine, della protezione sussidiaria o di quella per motivi umanitari. Il ricorso e' stato definito, in primo grado, con decreto di rigetto del Tribunale di Milano depositato in data 4 giugno 2022. 2. Il Consigliere designato, con decreto in data 11 luglio 2022, ha accolto la domanda di equa riparazione, liquidando il danno in complessivi euro 800,00 - pari ad euro 400,00 per ciascuno dei due anni di ritardo ingiustificato, a fronte di una durata ragionevole del procedimento presupposto determinata in anni uno -. In particolare, preso atto che il procedimento aveva avuto una durata di anni 3 mesi 5 e giorni 29 - dal 5 dicembre 2018 al 4 giugno 2022 -, ne determinava in anni 3 la durata complessiva - escludendo dal computo la frazione inferiore a sei mesi -. Quindi, ne stabiliva in anni 2 la durata irragionevole. Cio', in considerazione del fatto che il procedimento d'impugnazione ai sensi dell'art. 35-bis del decreto legislativo n. 25/2008 e successive modifiche si connota come un procedimento contraddistinto da snellezza e rapidita' a cui, per tale ragione, non e' applicabile il termine di tre anni previsto per i procedimenti di cognizione dall'art. 2, comma bis, della legge n. 89/2001, bensi' quello di un anno applicabile al procedimento di equa riparazione ex art. della legge n. 89/2001 per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 36/2016, a cui lo accomunano le medesime caratteristiche di snellezza e rapidita'. 3. Il Ministero della giustizia, tramite l'Avvocatura dello Stato, ha proposto opposizione chiedendo la revoca del decreto impugnato. Con il primo motivo la difesa erariale deduce la violazione dell'art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001, laddove il Consigliere designato ha arbitrariamente individuato in un anno il termine di ragionevole durata del procedimento in materia di protezione internazionale, anziche' in quello di tre anni previsto dall'art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89/2001 per tutti i giudizi di cognizione. Infatti, il termine di tre anni e' predeterminato dal legislatore ed e' sottratto alla discrezionalita' giudiziaria come si evince dalla stessa sentenza della Corte costituzionale n. 36/2016. Con il secondo motivo deduce il mancato computo del periodo di sospensione dei termini dall'8 marzo 2020 al 30 giugno 2020 per l'emergenza pandemica da Covid-19, stabilito dall'art. 83, comma 10 del decreto-legge n. 18/2020, convertito nella legge n. 27/2020, che recita: «ai fini del computo di cui all'articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, nei procedimenti rinviati a norma del presente articolo non si tiene conto del periodo compreso tra l'8 marzo e il 30 giugno 2020». Con il terzo motivo lamenta l'omessa valutazione, ai sensi degli articoli 2, comma 2-sexies, e 2-bis, comma 2, della legge n. 89/2001, dell'assenza di ogni effetto negativo derivato al ricorrente dalla durata del processo e dei vantaggi derivati dalla stessa. Cio' in quanto: i) il giudizio presupposto si era concluso con un rigetto; ii) in data 13 dicembre 2019 era stato concesso un termine su richiesta della difesa per produrre documentazione personale mai depositata, evidenziandosi quindi un intento dilatorio di tale richiesta; iii) la protrazione del procedimento aveva consentito al ricorrente di prolungare la sua permanenza nel territorio nazionale per tutta la durata dello stesso in ragione della sospensione, per effetto della proposizione del ricorso, dell'efficacia esecutiva del provvedimento di diniego impugnato; iv) il protrarsi del processo aveva consentito al ricorrente di veder riesaminata la sua posizione anche alla luce della disciplina piu' favorevole prevista dal decreto-legge n. 130/2020, convertito nella legge n. 173/2020 - circostanza che aveva plausibilmente comportato un radicamento del medesimo sul territorio nazionale, elemento che, unitamente ad altri presupposti, potrebbe abilitarlo alla richiesta di un permesso di protezione speciale secondo la normativa richiamata piu' favorevole -. 4. O. D. K. J. D. D., tramite il proprio difensore, ha chiesto, preliminarmente, che venga sollevata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89/2001, nella parte in cui si applica anche alla durata dei procedimenti in materia di riconoscimento della protezione internazionale ai sensi dell'art. 35-bis del decreto legislativo n. 25/2008 e successive modifiche e, nel merito, ha insistito per il rigetto dell'opposizione. Considerato che 1. La questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89/2001 e' rilevante ai fini della decisione del presente giudizio. Infatti, il mancato computo del periodo di sospensione dei termini per l'emergenza pandemica da Covid-19, stabilito dall'art. 83, comma 10 del decreto-legge n. 18/2020, convertito nella legge n. 27/2020 e' ininfluente ai fini della decisione, in quanto la sottrazione del periodo considerato non avrebbe alcuna incidenza neppure in ordine alla determinazione dell'entita' dell'indennizzo liquidato. Il rigetto delle richieste del ricorrente nel procedimento presupposto, ai sensi dell'art. 2-bis, comma 1-ter, della legge n. 89/2001, puo' essere valutato solo ai fini della eventuale riduzione fino a un terzo della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno. Quindi, il risarcimento non puo' essere negato solo per tale ragione. Anche il comportamento delle parti nel procedimento presupposto puo' essere valutato solo ai fini dell'eventuale riduzione del risarcimento, ai sensi dell'art. 2-bis, comma 2, lettera b), della legge n. 89/2001. Peraltro, occorre evidenziare che il termine per produrre il contratto di lavoro richiesto all'udienza del 13 dicembre 2019 e' stato concesso fino al 20 dicembre 2019, quando invece il processo rimaneva in uno stato di stasi fino al 7 marzo 2022 data di emissione del decreto di fissazione dell'udienza del 5 maggio 2022. La protrazione della possibilita' del ricorrente di permanere nel territorio nazionale per effetto della sospensione dell'esecutivita' del provvedimento impugnato durante il procedimento presupposto non puo' essere valorizzata al fine di una presunzione di insussistenza del danno ai sensi dell'art. 2, comma 2-sexies, della legge n. 89/2001. Infatti, nel caso specifico, non si puo' ravvisare, ne' una condotta imputabile alla parte che abbia comportato la protrazione del procedimento di protezione internazionale, ne' un beneficio definitivamente consolidato in capo al ricorrente in conseguenza della durata del processo che possa giustificare tale presunzione, diversamente da quanto avviene nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato per l'imputato o di estinzione del processo per rinuncia o per inattivita' delle parti. Infine, nessun beneficio concreto e' derivato al ricorrente dall'introduzione della normativa piu' favorevole prevista dal n. 130/2020, convertito nella legge n. 173/2020, stante il diniego delle richieste avanzate, circostanza che, al tempo stesso, smentisce anche il plausibile intervenuto radicamento del medesimo nel territorio nazionale, peraltro non suffragato da alcun elemento concreto. Conclusivamente, ai fini della decisione della controversia e' determinante l'applicazione dell'art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89/2001 che prevede il termine di tre anni quale termine di ragionevole durata in primo grado del procedimento di cognizione, fra cui indubitabilmente rientra anche il procedimento di riconoscimento della protezione internazionale. Infatti, l'applicazione al caso di specie della predetta norma, comporterebbe l'accoglimento dell'opposizione. 2. Cio' posto, la Corte ritiene di non poter accedere all'interpretazione costituzionalmente orientata della norma operata dal primo giudice che ha ritenuto di determinare in anni uno la ragionevole durata in primo grado del procedimento in materia di protezione internazionale. Infatti, come rilevato dall'Avvocatura dello Stato, nel primo motivo di opposizione, il termine di tre anni contenuto nell'art. 2, comma 2-bis, della legge n. 8972001, e' predeterminato dal legislatore ed e' sottratto alla discrezionalita' dell'autorita' giudiziaria. Cio' si evince proprio dalla sentenza della Corte costituzionale n. 36/2016 che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dello stesso comma, nella parte in cui si applica alla durata del processo di primo grado previsto dalla legge n. 89/2001. Infatti, la Corte costituzionale, a pag. 9 della predetta sentenza, afferma: «L'obbligo di addivenire ad una interpretazione conforme alla Costituzione cede il passo all'incidente di legittimita' costituzionale ogni qual volta essa sia incompatibile con il disposto letterale della disposizione», nonche': «I commi 2-bs e 2-ter dell'art. 2, nell'affermare che il termine ivi indicato "Si considera rispettato", sono univoci e non possono che essere intesi nel senso che tale termine va ritenuto ragionevole. Cio' appare tanto piu' vero, se si tiene a mente che questa affermazione e' stata fatta nell'ambito di un intervento normativo segnato dall'intento del legislatore di sottrarre alla discrezionalita' giudiziaria la determinazione della congruita' del termine, per affidarla invece ad una previsione legale di carattere generale. Si puo' aggiungere fin d'ora che, in tal modo, e in coerenza con quest'ultima finalita', e' stato regolato l'insieme dei processi civili di cognizione, e dunque anche il procedimento previsto dalla legge n. 89 del 2001, cui la giurisprudenza di legittimita' ha costantemente attribuito tale natura. Difatti, lo stesso art. 2, comma 2-bis, di tale legge reca previsioni speciali esclusivamente per il procedimento di esecuzione forzata e per le procedure concorsuali». Cio' esclude, a giudizio della Corte, che la ragionevole durata in primo grado del procedimento presupposto possa essere determinata in via interpretativa in anni uno, in analogia con la ragionevole durata in primo grado del procedimento previsto dalla legge n. 89 del 2001, in quanto tale opzione ermeneutica si sostanzia nella disapplicazione dell'art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89/2001, attivita' non consentita neppure al fine di giungere ad una interpretazione costituzionalmente orientata della norma. 3. Tuttavia, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001, in riferimento agli articoli 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali nella parte in cui si applica al processo di primo grado previsto dall'art. 35-bis del decreto legislativo n. 25/2008, come modificato dal decreto-legge n. 13 del 17 febbraio 2017, convertito nella legge n. 46/2017, prospettata, dal resistente, non puo' ritenersi manifestamente infondata. Infatti, il procedimento in materia di protezione internazionale regolato dall'art. 35-bis del decreto legislativo n. 25/2008, come modificato dal decreto-legge n. 13/2017 conv. nella legge n. 46/2017, applicabile nel caso di specie, e' un procedimento articolato in soli due gradi di giudizio e disciplinato con modalita' di trattazione dirette a favorirne la celere definizione. In particolare, l'art. 35-bis, della norma citata, prevede l'applicazione al procedimento degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile, la trattazione dello stesso, di regola, in camera di consiglio e la fissazione dell'udienza per la comparizione delle parti solo nei casi previsti dai commi 10 e 11 della stessa norma. Inoltre, l'art. 35-bis, comma 13, del decreto legislativo n. 25/2008, prevede che la decisione intervenga entro quattro mesi dalla presentazione del ricorso «sulla base degli elementi esistenti al momento della decisione». Infine, il comma 15 della norma citata dispone che «La controversia e' trattata in ogni grado in via di urgenza». Altresi', la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo ha evidenziato che le cause relative allo stato e alla capacita' delle persone e comunque quelle relative a fondamentali diritti delle persone richiedono un particolare grado di diligenza ed efficienza con riduzione del parametro di ragionevole durata del processo - Bock c. Germania, 29 marzo 1989 § 49; c. Italia, 18 febbraio 1999, § 18; Mikulić c. Croazia, 7 febbraio 2002, § 44). La Corte di cassazione, con ordinanza n. 909 del 20 gennaio 2015, ha recepito tale principio al fine di valutare la ragionevole durata di un processo concernente il riconoscimento dello status di rifugiato prima dell'introduzione dell'art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89/2001. Quindi, non e' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art 2, comma 2-bis, della legge n. 89/2001, in relazione agli articoli 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione in relazione all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, laddove lo stesso prevede un termine di durata ragionevole di tre anni per il primo grado dei procedimenti di protezione internazionale, quando l'intero giudizio e' articolato in soli due gradi e ne e' prevista la trattazione «con urgenza» in quanto avente per oggetto diritti fondamentali delle persone che la Corte europea dei diritti dell'uomo individua come parametro che giustifica una particolare diligenza e celerita' nella trattazione degli stessi. Cio' anche alla luce della pronuncia della Corte costituzionale n. 36/2016 che ha determinato in un anno la ragionevole durata del procedimento di primo grado previsto dalla legge n. 89/2001, anch'esso strutturato in soli due gradi di giudizio e parimenti connotato, secondo la giurisprudenza europea, dalla necessita' di essere concluso in termini piu' celeri di quelli previsti per le procedure ordinarie. 4. Conclusivamente, ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953, si dispone la sospensione del presente procedimento e la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.